Sudan: le incertezze della crescita



Sudan: le incertezze della crescita

L’economia sudanese sta vivendo un periodo di forte crescita grazie allo sfruttamento dei propri giacimenti petroliferi, che conferiscono al paese una forte capacità di attrazione degli investimenti esteri. Ma il focalizzarsi principalmente sui benefici derivanti dallo sviluppo di una risorsa naturale solleva dubbi sulla sostenibilità della crescita futura e finché la situazione interna rimarrà problematica l’arrivo di finanziamenti esteri in settori ancora non sviluppati risulterà difficoltoso.

Alberto Grossetti

Equilibri.net (18 luglio 2007)

Il ruolo del petrolio nella crescita economica

La performance dell’economia sudanese negli ultimi anni è risultata buona nonostante i gravi problemi derivanti dal conflitto interno e dalle difficoltà incontrate nel raggiungimento della pace tra il nord e il sud. Il PIL cresce al ritmo del 8-10% l’anno, l’inflazione è sottocontrollo e secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI) importanti progressi sono stati fatti con la riforma del settore finanziario, con la liberalizzazione del commercio ed il sistema controllato dei cambi sta iniziando a funzionare. Il settore trainante è il petrolifero (gli alti prezzi hanno supportato la bilancia dei pagamenti e permesso alle casse dello stato di accumulare forti riserve straniere), ma da solo non è in grado di risolvere i problemi finanziari in cui versa il paese: il debito estero condiziona fortemente le prospettive di sviluppo, limita i finanziamenti per il raggiungimento alcuni degli obbiettivi del millennio e al contempo non permette l’accesso ai fondi dei creditori internazionali perchè preoccupati per un eventuale insolvenza. Recentemente Riek Mashar, vice presidente del Sudan del Sud, si è vivacemente lamentato per i continui ritardi dei donatori e augurato il rispetto degli impegni presi durante il meeting di Oslo, successivo alla firma del Comprehensive Peace Agreement (CPA), l’accordo di pace firmato nel 2005 che ha posto fine a 22 anni di guerra tra il Nord e il Sud del Sudan (Cfr. Sudan: la situazione nel sud). I paesi donatori hanno pagato solo il 14% della somma promessa per i lavori di ricostruzione post conflitto. In più le entrate fiscali sono destinate a ridursi notevolmente in seguito al processo di decentramento amministrativo e fiscale stabilito dal CPA, limitando ulteriormente le possibilità di spesa del governo. Le autorità governative hanno compreso che il successo di tale programma può avvenire soltanto mediante una appropriata e trasparente regolamentazione, un monitoraggio duraturo ed effettivo e attraverso il miglioramento dell’efficienza generale dell’apparato amministrativo pubblico. Allo stato attuale delle cose, le capacità di gestione burocratica del Sud appaiono molto ristrette, e sostanziosi investimenti diventano necessari per l’attuazione di un punto fondamentale che ha permesso il raggiungimento dell’accordo di pace. Il CPA, oltre a prevedere la possibilità di riscuotere e imporre le tasse, si prefigge di conferire una reale autonomia finanziaria al Sud attraverso la divisione dei proventi petroliferi nazionali. In questo contesto un comportamento poco efficace o trasparente dell’amministrazione pubblica potrebbe seriamente stimolare la nascita di nuove e destabilizzanti tensioni. Obbiettivo complementare è l’elaborazione di una politica monetaria e finanziaria comune, decisa da Khartoum, il cui fine, dichiarato formalmente dalle autorità governative, è una maggiore integrazione e quindi lo sviluppo del Sud, ma che probabilmente palesa la volontà di legare l’economia del sud a quella del nord per scongiurare la secessione.

Negli ultimi sette anni il Sudan ha triplicato il proprio PIL grazie alla scoperta e allo sfruttamento di giacimenti petroliferi, ed è ora una delle economie più attive dell’Africa. Il presidente Omar al-Bashir ha recentemente affermato che la produzione odierna (500.000 barili al giorno; il Sudan è il terzo Paese afrcano per produzione petrolifere di petrolio e il quinto per riserve stimate) potrà aumentare l’anno prossimo e che la situazione globale dei giacimenti diventerà sempre più rosea con l’arrivo di nuova tecnologia e con l’apertura di nuovi pozzi. Compagnie come la Barwa Real Estate Co. del Qatar, la Petronas, compagnia statale della Malasya o la cinese China National Petroleum Corp, stanno contrattando col governo l’acquisizione delle licenze per lo sfruttamento di nuovi terminali estrattivi. Recenti studi affermano che il potenziale petrolifero dei nuovi territori sottoposti a verifica è in linea con quelli già sfruttati, e Khartum è deciso a sfruttarlo appieno mettendo in campo una serie di agevolazioni fiscali che dovrebbero rendere ancor più convenienti gli investimenti nel settore dell’oro nero. Previsioni ottimistiche affermano che entro la fine dell’anno, con l’aumento delle esportazioni di petrolio, il PIL potrà crescere fino al 12,5%

Investimenti esteri e prospettive future

Il Nord e il Sud hanno entrambi come obbiettivo lo sviluppo, ma le condizioni di partenza sono diverse: se il governo di Khartoum può contare su capacità superiori nell’organizzazione e nell’amministrazione della “cosa pubblica”, Juba vanta sul proprio territorio la maggioranza dei giacimenti petroliferi. Il contenzioso aperto fra i due governi riguarda proprio il possesso dei proventi del petrolio, e il CPA non sembra avere risolto la questione: le autorità del Nord si stanno adoperando per fare ottenere le concessioni di utilizzo dei pozzi a compagnie a loro legate o direttamente controllate dal governo, come la Hi-Tech Petroleum Group creata da Abdel Aziz, ex Ministro del petrolio in cui lavora come alto dirigente il fratello del Presidente Bashir. Lo spettro della secessione sta spingendo Khartoum ad interessarsi sempre maggiormente alle risorse economiche dei territori meridionali, delle quali sarà costretta a privarsi se il referendum del 2011 sancirà la totale autonomia del Sud.

Il Sudan costituisce un vastissimo territorio con enormi possibilità di investimento ancora poco sfruttate: possiede un sottosuolo ricchissimo di risorse quali gas naturale e minerali preziosi, una grande produttività agricola favorita da un clima abbondante di piogge, un forte potenziale idroelettrico e una popolazione numerosa che potenzialmente potrebbe assicurare una domanda interna di beni e servizi costante ed elevata, se ci fosse un’effettiva redistribuzione della ricchezza. Nonostante queste opportunità, gli investitori esteri tardano ad arrivare e si indirizzano principalmente verso i settori già avviati, come il petrolifero. Per il FMI la dipendenza del petrolio è pericolosa, perchè rende il paese vulnerabile alle fluttuazioni del prezzo internazionale e diventa quindi necessario attuare politiche di diversificazione produttiva per rendere competitivi anche gli altri settori. Recentemente il governo del Sud ha ottenuto dalla Banca Mondiale (BM) il finanziamento di un progetto volto a sostenere la crescita e le possibilità occupazionali del settore privato, e creare competenze politico-amministrative per facilitare lo sviluppo di nuove attività economiche. Altri problemi strutturali stanno disincentivando l’arrivo di investimenti esteri: un sistema di infrastrutture ancora deficitario, la quasi totale assenza di telecomunicazioni, una corruzione dilagante e non per ultimi l’incertezza del futuro politico e il dramma del Darfur.

A fronte dell’imperversare della crisi umanitaria molte organizzazioni umanitarie stanno spingendo le aziende a ritirare i propri investimenti dal paese per costringere il governo Kartoum, considerato responsabile, a fermare il conflitto. A giugno il Fidelity Investments, il più importante gestore di fondi comuni d’investimento ha ritirato il 91% della propria partecipazione in PetroChina, compagnia petrolifera con grossi interessi in Sudan, e altre grosse aziende come Siemens o Rolls-Royce stanno modificando o addirittura cessando le proprie attività nel paese per motivi etici.Naturalmente questo processo non può dirsi generalizzato, come testimonia la condotta opposta di altre compagnie, tutte concordanti nel distinguere i propri doveri e le proprie responsabilità da quelle del governo: ad esempio la francese Total e la britannica White Nile Ltd non sembrano volere ritirare i propri investimenti nel paese, e il contenzioso che vi è tra le due aziende per l’acquisizione di una importante concessione nel Sud rimane.

Ciò che però risulta appurato, è il sostegno della Repubblica Popolare Cinese allo stato sudanese, la quale ha utilizzato il proprio diritto di veto in seno al Consiglio ONU per evitare le sanzioni economiche promosse dagli USA contro il governo di Khartoum e ha più volte ribadito la sua non ingerenza negli affari interni dello stato. Per affermare le proprie esigenze economiche, il governo cinese non ha mai posto condizioni politiche o richiesto il raggiungimento di obbiettivi quali il rispetto per i diritti umani e la tutela delle libertà fondamentali. La Cina ha forti interessi in Sudan, ne rappresenta il principale partner commerciale importando circa l’80% delle totali esportazioni di greggio e sta contribuendo alla ricostruzione del paese investendo nella creazione di un sistema di infrastrutture e telecomunicazioni efficiente. Pechino non ha mai fatto mancare il proprio appoggio economico e politico e come probabile conseguenza il suo ruolo sarà determinante per risolvere il conflitto nel Darfur (Cfr. Sudan: braccio di ferro tra Pechino e Washington).

Conclusioni

Il paese possiede un sottosuolo ricco di petrolio, gas naturale e minerali preziosi, che costituiscono un potenziale economico davvero invidiabile e hanno permesso negli ultimi anni una alta e costante crescita del PIL. Il principale obbiettivo economico del Sudan per il futuro sarà la riduzione della povertà e il miglioramento delle condizioni di vita della sua popolazione, ma per raggiungerlo appare necessario diversificare la struttura produttiva. L’economia del Sudan dipende fortemente dall’estrazione e vendita del petrolio, un settore ora in crescita e molto redditizio ma il cui futuro è poco prevedibile perché soggetto alla mutevole congiuntura internazionale. I recenti progressi economici non si stanno accompagnando a progressi politici: i diritti umani non sono rispettati e l’accordo di pace del 2005 non sembra aver risolto le questioni di fondo tra il governo di Khartoum e il Sud, così come prosegue la crisi in Darfur. La cronica instabilità interna sta contribuendo a rendere difficile l’arrivo di investimenti esteri, che potrebbero risultare importanti per la crescita di settori potenzialmente redditizi ma ancora poco sviluppati.