Re: Prendiamo esempio dai danesi



La Danimarca potrà anche avere le scuse o l'eventuale "perdono" dai 
governi ma se ha offeso il mondo arabo l'offesa rimane e magari non sono 
escluse nuove reazioni violente da parte di esagitati.
La violenza si può fare anche con le parole, chiamasi anche l'istigazione 
all'odio...persino un papa conservatore come Ratzinger raccomanda invece 
la calma e il dialogo costruttivo con le altre religioni. Voi Amici di Lazzaro 
(parlo sempre al plurale perchè non ti firmi mai) invece cosa fate, volete 
tornare ai tempi delle crociate??

Ciao,
Davide

On 23 Mar 2006 at 17:21, Ass. popoli minacciati / Ges. wrote:

> 
> Se condividete quanto scritto da Magdi Allam si capisce che non sapete
> di cosa state parlando. Invece di mischiare ceci e fagioli, dite
> direttamente quello che pensate. "A Gheddafi non dobbiamo dargli un
> solo euro?" Ma almeno sapete perche' Gheddafi chiede soldi o meglio
> investimenti? Se non lo sapete probabilmente e' anche inutile che vi
> dia una risposta, considerando che stiamo parlando di cose molto piu'
> grosse che non le vignette, stiamo parlando di genocidio da noi
> commesso in Libia. Prima si studia un po' di storia, poi si parla
> altrimenti si fa solo bieco populismo (e male anche), come fa in
> questo caso il buon Magdi Allam.
> 
> Associazione per i popoli minacciati
> 
>     ----- Original Message ----- 
>     From: associazione Amici di Lazzaro 
>     To: conflitti at peacelink.it 
>     Sent: Thursday, March 23, 2006 1:37 PM
>     Subject: Prendiamo esempio dai danesi
> 
> Prendiamo esempio dai danesi
> Tenere la schiena dritta ripaga 
> 
> 
> 
> 
> 
> 
> 
> 
> Schiena dritta, paga. Schiena ricurva, non paga. La Danimarca non si
> scusa per le vignette su Maometto, richiama gli ambasciatori dai Paesi
> islamici, protesta per le violenze subite, non si lascia intimidire
> dal boicottaggio economico, reagisce alle minacce di morte. E alla
> fine ottiene le scuse e il risarcimento da Siria e Libano per le
> aggressioni alle sue ambasciate. L'Italia invece si fa in quattro per
> scusarsi per le «provocazioni » che giustificherebbero l'assalto al
> consolato a Bengasi, caccia un ministro, minimizza, si dice
> disponibile a indennizzare la Libia. E alla fine incassa nuove minacce
> di attentati terroristici e una pretesa di denaro 50 volte superiore
> la cifra pattuita. Che l'Italia di distingua dal comportamento dei
> Paesi scandinavi lo si constata anche dal fatto che mentre il nostro
> Calderoli è stato licenziato dal governo per aver esibito la vignetta
> su Maometto, in Svezia la ministra degli Esteri Laila Freivalds si è
> dimessa per aver ostacolato la pubblicazione delle vignette. Da noi ha
> prevalso il discutibilissimo criterio dell'opportunità politica, da
> loro si è imposto il dovere incontrovertibile del rispetto della
> Costituzione. Ma a quanto pare continuiamo imperterriti a chinarci e
> genufletterci al tiranno e alle intimidazioni. Il 20 marzo scorso
> Gheddafi avverte da Sky Tg24: «Altre Bengasi o attentati in Italia?
> È da aspettarselo, purtroppo». E noi come rispondiamo a un capo di
> Stato che minaccia attentati terroristici? Il ministro degli Esteri
> Fini taglia corto: «Le intimidazioni e le minacce nemmeno troppo
> velate di Gheddafi non ci spaventano». Franco Frattini, vice
> presidente della Commissione europea, sdrammatizza: «È una
> dichiarazione quella di Gheddafi che non credo sarà seguita da
> nessuna azione». Niente condanne, niente proteste, quasi si trattasse
> di parole al vento pronunciate da uno spaccone qualsiasi, e non da un
> burattinaio reo-confesso del terrorismo internazionale. Il 3 marzo
> Gheddafi aveva minacciato un' ondata di violenze: «Se l'Italia vuole
> che le sue compagnie, consolati, ambasciate e cittadini residenti in
> Libia vivano in pace, deve pagare il prezzo». E noi come rispondiamo
> a un'intimidazione di stampo mafioso? «Parole che non devono
> impressionare più di tanto », getta acqua sul fuoco Fini, «perché
> è chiaro che si tratta più di un comizio ai suoi fedelissimi che di
> una responsabile presa di posizione in campo internazionale». Fonti
> del Viminale, citate da La Repubblica, puntualizzano che Gheddafi si
> sarebbe macchiato di «una scorrettezza enorme nei confronti del
> ministro Pisanu». Come se la sicurezza del nostro Stato fosse stata
> concepita sulla base del rapporto personale tra Gheddafi e Pisanu. Ci
> ricordiamo come abbiamo reagito il 17 febbraio quando fu attaccato,
> bruciato, saccheggiato e distrutto il nostro consolato a Bengasi? Con
> una nota ufficiale di Palazzo Chigi in cui si esprime «il profondo
> dolore del Governo e del popolo italiano per i tragici incidenti di
> Bengasi», si esalta il governo libico per «avere operato per
> garantire l'incolumità dei nostri connazionali», attribuendo
> implicitamente la responsabilità delle violenze a Calderoli, perché
> il suo comportamento è «in contrasto con la linea del Governo ed
> evidentemente incompatibile con incarichi istituzionali». Berlusconi,
> con l'opposizione consenziente, si è assunto la responsabilità di un
> attentato pianificato e orchestrato da Gheddafi cacciando un proprio
> ministro, ha formulato le scuse anziché pretenderle, ha offerto un
> indennizzo anziché esigerlo. Il 18 febbraio Berlusconi si era
> mostrato raggiante: «Tutto risolto, ho parlato con Gheddafi, i
> rapporti sono ottimi». Invece, inflessibile, Gheddafi è tornato a
> minacciare nuove Bengasi e attentati in territorio italiano. Alzando
> di 50 volte il prezzo per chiudere l'annosa questione dell'indennizzo
> per i danni coloniali: dai 63 milioni di euro per la costruzione di
> un'autostrada tra Bengasi e Tripoli, concordati il 28 ottobre 2002, a
> oltre 3 miliardi di euro per la costruzione di un'autostrada dalla
> frontiera con la Tunisia a quella con l'Egitto. Impareremo la lezione?
> Sembra proprio di no ascoltando la parola d'ordine condivisa a destra
> e a sinistra: «Mediazione e dialogo», «Dialogo e mediazione».
> Ricordiamoci però che a furia di incurvare la schiena finiremo per
> spezzarla. E allora raddrizziamola, come hanno fatto i danesi, fin
> quando siamo ancora in tempo. MAGDI ALLAM - corriere.it
> 
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> 23 marzo 2006
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