La fatwa e la smorfia dell'occidente



 
La fatwa e la smorfia dell’occidente
L’Iran alza la taglia sulla testa di Salman Rushdie. E sulla nostra libertà

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Dopo che nel febbraio del 1989 l’ayatollah Khomeini dichiarò che Salman Rushdie meritava la morte, lo scrittore si eclissò per tre anni sotto la protezione della polizia inglese. Ora Teheran bolla come “offesa all’islam” l’onoreficenza conferita dalla regina all’autore del libro “I versetti satanici”. E alza la taglia sulla sua testa. Il ministero per gli Affari religiosi del Pakistan dichiara che dobbiamo aspettarci attentati suicidi. La provocazione allucinata e carismatica di Khomeini non si è mai estinta e ha segnato l’avvio di una campagna di intimidazione del mondo libero. Chi ricorda il nome di Hitoshi Igarashi? Era il linguista giapponese che accettò di tradurre “I versetti satanici”. I sicari iraniani arrivarono fino a Tsubuka per aprirgli la trachea. Nessun nome di traduttore comparve più sul libro. Il traduttore norvegese William Nygaard uscì miracolosamente vivo da un attentato, una trentina di ospiti di un albergo a Sivas, Turchia, furono uccisi nel tentativo di linciaggio del traduttore turco Aziz Nesin e una coltellata è toccata all’italiano Ettore Capriolo. I nostri intellettuali furono lesti a sanzionare il diritto della teocrazia a regolare il discorso sull’islam. Sulla fatwa André Glucksmann scrisse che “nel nostro occidente democratico, le autorità religiose e politiche cominciarono con l’abbozzare una smorfia che liquidava moralmente sia l’autore dei ‘Versetti satanici’ sia gli inquisitori di Teheran”. La smorfia è diventata postura. Come dimostrano i casi delle vignette danesi, di Ayaan Hirsi Ali e di Robert Redeker.