15 settebre 1993 - 15 settenbre 2006 - in memoriam di Padre Pino Puglisi



Giuseppe Puglisi nasce a Palermo il 15 settembre 1937, da una famiglia di
umili origini. Il padre Carmelo fa il calzolaio e la madre Giuseppina la
sarta. Giuseppe ha due fratelli, Franco e Nicola, morto a quindici anni per
problemi cardiaci.
Cresce a Brancaccio, un quartiere ad alta densità mafiosa, e alterna gli
studi al lavoro, aiutando il padre a inchiodare le scarpe ed effettuando
consegne per sua madre, donna molto religiosa.
Nel 1953 entra nel Seminario Maggiore di Palermo. E' un allievo modello,
serio e studioso, con una passione particolare per la matematica, materia
che per qualche tempo insegnerà al Seminario Minore. Va già allora
sviluppando quella che sarebbe divenuta una sua caratteristica fondamentale,
l'ascolto, che dimostra particolarmente nell'attenzione per le esigenze dei
compagni.
Viene ordinato sacerdote il 2 luglio 1960 e dice la prima messa nella chiesa
di Don Bosco.
Il 1 ottobre 1970, padre Pino riceve l'incarico di parroco a Godrano, un
paesino a quaranta chilometri da Palermo, teatro di una sanguinosa faida.
Qui cerca di combattere la cultura mafiosa con la cultura della fratellanza,
cominciando dai più giovani. Istituisce il doposcuola, che tiene fino a
notte tarda, poiché molti ragazzi di giorno lavorano nei campi.
Nel 1991 diventa Parroco di Brancaccio.
Nel 1992 l'Italia è scossa dalle stragi di Capaci e di via D'Amelio, in cui
perdono la vita i giudici Falcone e Borsellino. Il 23 luglio i volontari di
padre Pino scrivono una lettera al Presidente della Repubblica, Scalfaro,
esponendo la situazione del loro quartiere. Dopo una sollecitazione giunta
da Roma, a Brancaccio i poliziotti fanno sgomberare molti sotterranei
occupati abusivamente, e utilizzati come deposito per il traffico d'armi e
di droga, per le scommesse clandestine, e come luogo d'incontro per la
prostituzione anche minorile.
All'indomani di una manifestazione nell'anniversario della strage di Capaci,
guidata da padre Pino per le strade di Brancaccio, uomini di Cosa Nostra
lanciano delle molotov contro la chiesa. Seguono intimidazioni e pestaggi ai
danni di suoi parrocchiani. Lui stesso riceve minacciose telefonate e
lettere anonime, e viene aggredito.
La sua opposizione alla mafia, così come ai politici e agli amministratori
pubblici con essa collusi, prosegue ferma, ma mai aggressiva. Non prende di
petto i suoi persecutori, bensì li affronta con il sorriso, considerandoli
comunque persone da redimere. «Venite in chiesa alla luce del sole - dice ai
mafiosi durante la messa - discutiamone. Riflettiamo insieme sulla violenza
che sa generare solo altra violenza. Vorrei conoscervi e conoscere i motivi
che vi spingono a ostacolare chi tenta di educare i vostri figli alla
legalità, al rispetto reciproco, ai valori dell'amore e della cultura». Solo
in un'occasione perde la sua mitezza, quando, il 25 luglio 1993, tuona dal
pulpito: «Chi usa la violenza non è un uomo, ma un animale. Abbiate il
coraggio di uscire allo scoperto e di riflettere con noi su quello che sta
succedendo». Considera il suo comportamento naturale e non si sente un eroe,
né ama vedersi definire "prete antimafia".
Il 26 luglio 1993 viene pubblicata sul Giornale di Sicilia una sua
intervista rilasciata a Delia Parrinello. «Brancaccio è la borgata più
dimenticata della città. Non ha una scuola media, niente asilo e nemmeno un
consultorio o un centro sociale comunale, ha solo una scuola elementare e
una sezione di materna. E noi, la parrocchia, cosa abbiamo fatto finora?
Lavoriamo da tre anni senza risultati. Nelle anticamere di tutti i sindaci,
di tutti gli assessori, del prefetto, anche in questura, anche alla Usl,
nella sala d'aspetto dell'amministratore straordinario della legge 62 e in
quella del provveditore: a chiedere almeno una scuola media, un distretto
sociosanitario di base e un po' di verde dove giocare e correre. Tutte
richieste sostenute anche dal consiglio di quartiere. Risultato? Finora
nessuno. C'è speranza per il distretto... i locali ci sono». Si riferisce
agli scantinati di via Hazon, porto franco di Cosa Nostra. Nell'intervista
Puglisi tende una mano ai suoi persecutori: «Spero che i protagonisti delle
intimidazioni cambino modo di pensare e tornino alla ragionevolezza. Si
affianchino a noi per chiedere alle istituzioni ciò che è indispensabile per
la vita civile del quartiere. E' la questura a dire che a Brancaccio vivono
parecchie famiglie a rischio, bambini che sono a un passo dal diventare come
il fratello maggiore, la sorella, i genitori. Stiamo tentando di strapparli
a questo destino, di comunicare loro i valori nuovi rispetto a quelli
trasmessi dalla strada: perché fermarci? Chi usa la violenza non è un uomo,
chiediamo a chi ci ostacola di riappropriarsi dell'umanità».
Il 15 settembre 1993, giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, sta
rientrando a casa, quando viene assassinato da un commando di Cosa Nostra.