articoli di analisi della crisi finanziaria di Gesualdi e di Sbilanciamoci



Per capire meglio la crisi finanziaria vi invito a leggere alcuni articoli di Francuccio Gesualdi e di Sbilanciamoci

Amalia navoni- coordinamento Nord Sud del Mondo

 

Articoli tratti dal sito di Altreconomia        www. altreconomia.it

 

LA RESA DEI CONTI  Le ragioni di una crisi  di Francesco Gesualdi  del Centro Nuovo Modello di Sviluppo

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Santi subito. O almeno così viene fatto di dire leggendo i giornali. Naturalmente stiamo parlando dei mercati benché nessuno sappia di preciso chi siano. Da quando è iniziato l'attacco ai debiti pubblici, anche detti sovrani per prendersi gioco di loro, i mercati sono dipinti come professori dotti e sapienti sempre pronti a intervenire per tirare le orecchie ai governi monelli che ne combinano di tutti i colori. Come scolaretti, i governi fanno le loro proposte di risanamento del debito, ma il giudizio supremo è affidato al mercato, che come tutti gli oracoli parla solo per segni. Borsa in rialzo vuol dire che va bene, borsa in ribasso che va male, ma l'interpretazione finale è lasciata agli economisti che si affrettano ad indicare ai governi le scelte che devono compiere. Così le borse, da luoghi di affari sono stati trasformati in templi educativi, dove i mercati, in spirito di abnegazione, si assumono l'ingrato compito di insegnare ai governi come si gestisce il bene comune.

Niente di più falso. I mercati non sono educatori, ma predatori. Non sono mossi da sentimenti di amore altruistico, ma di avidità personale. Non intervengono per la difesa del bene comune, ma per arricchirsi personalmente. Al pari dei leopardi, che vagano per la savana in cerca di gazzelle azzoppate, da isolare e braccare, così fanno gli speculatori di borsa. Individuano i soggetti pubblici o privati più deboli e fanno di tutto per sfiduciarli. Poi, quando la loro reputazione è distrutta fanno scattare la trappola: si dichiarano disponibili a concedere prestiti , ma pretendono interessi più alti. Il tutto in un lavoro di squadra esattamente come fanno i felini. Prima intervengono gli speculatori per fare cadere il prezzo delle loro prede. Poi si fanno avanti le società di rating per decretare il loro stato di inaffidabilità. Infine arrivano le banche che si dichiarano disponibili a concedere prestiti, ma solo a tassi rialzati. Della serie: uno picchia, uno regge la vittima, uno la ricatta per chiamare l'ambulanza. E invece di essere considerati per quello che sono, aggressori e ricattatori, le forze del mercato sono presentate come soggetti di pubblica utilità perché ripuliscono la foresta dei deboli e insegnano agli animali di grossa taglia come fare per evitare le imboscate. In effetti a questo mondo tutto è relativo e i ladri invece di punirli per la loro aggressione potremmo premiarli per il servizio che rendono mettendo in risalto i sistemi di sicurezza che non funzionano.

Ma il problema non è la relatività. Il problema è da che parte stiamo. Se stiamo dalla parte dei predatori l'aggressione è operazione di pulizia degli inetti e incapaci. Se stiamo dalla parte delle vittime l'aggressione è violenza. Questo sistema la sua scelta l'ha fatta ed è la difesa degli affari privati in base ai rapporti di forza. Per questo, quando gli stati indebitati sono accerchiati dai mercati speculativi, non ci si scaglia contro questi ultimi per impedire che l'avidità privata abbia la meglio sull'interesse collettivo, ma si interviene sugli stati affinché accettino le condizioni imposte dai mercati e l'assedio sia tolto. Così si scopre che oltre al profitto immediato, la speculazione nei confronti degli stati ha un obiettivo ben più sostanzioso: costringerli a vendere tutto ciò che possiedono e cedere ai privati la gestione di sanità, istruzione e qualsiasi altro servizio vendibile. Non a caso l'imperativo imposto agli stati è svendita e privatizzazione.

Sappiamo che negli ultimi anni i governi di errori ne hanno fatti tanti, non ultimo quello di avere accresciuto i propri debiti di tredicimila miliardi di dollari per tamponare le perdite delle banche private dovute ad una gestione azzardata e incapace. Ma qualunque siano gli errori commessi, non è ammissibile che gli stati vivano sotto ricatto di banche, fondi di investimento e agenzie di rating. Così come non è ammissibile che una quota crescente di soldi pubblici finisca come interessi nelle casse di banche e fondi pensione. Non è pensabile che le banche approfittino del debito pubblico per ricevere una rendita eterna, altrimenti lo stato fa una redistribuzione alla rovescia: prende alla gente e ingrassa le banche. Bisogna ripristinare l'ordine dei valori cominciando a dire che la sovranità non appartiene ai mercati, ma al popolo.  Le leggi le fanno i parlamenti e i mercati devono rispettarle. E una buona volta dobbiamo dire che se dobbiamo fare dei sacrifici perché gli stati sono nei guai, il peso più grosso dobbiamo farlo portare ai forti. Se la famiglia è in difficoltà non si taglia il latte al neonato, ma il vino agli adulti. Fuor di metafora se lo stato è in difficoltà non si tagliano le spese sociali, ma si congela la restituzione del capitale e il pagamento degli interessi ai colossi. Diranno che così facendo il mondo crollerà. In realtà cercheremo solo di uscire dal debito pubblico con un po' di giustizia.

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Conviene seguire da vicino cosa sta succedendo in Grecia perché è il filmato di ciò che toccherà agli altri paesi europei fortemente indebitati, Italia in testa che ha un debito pubblico pari al 120% del Pil. Ma procediamo con ordine precisando che in gioco non c'è la capacità degli stati di pagare le fatture che quotidianamente presentano fornitori di beni e servizi. Questo viene come conseguenza del vero problema che è la continua necessità degli stati di ottenere nuovi prestiti per ripagare quelli vecchi in scadenza. Una montagna di denaro che gli stati indebitati cercano di raggranellare presso banche, fondi pensione, e qualsiasi altro istituto finanziario che per mestiere raccolgono e investono risparmio di altri. Prestiti con interessi a sorpresa in base a come ti valuta il mercato: maggiore lo stato di sofferenza, più alti i tassi di interesse richiesti, rendendo gli stati più deboli simili a cavalli stremati che ad ogni nuova boccata di biada ricevono sul groppone un nuovo peso da portare. Il rischio è che cadano e non si rialzino più. Ma alle banche questa prospettiva non sembra interessare, anzi forse è proprio ciò che vogliono, come è nella politica di molti strozzini a cui non interessa tanto cosa possono guadagnare dagli interessi, ma cosa possono ricavare dalle spoglie del debitore. In molti paesi del Sud del mondo è abituale che gli strozzini cedano prestiti ai piccoli contadini ad interessi da capogiro in modo da dissanguarli e fare scattare la trappola alla prima rata non pagata. A quel punto inviano avvocati, notai e sicari, ciascuno con la propria arma di ricatto, per costringere i contadini a chiudere la partita cedendo i propri averi. E se il debitore non ha niente da dare possono prendersi lui stesso in ostaggio riducendolo in schiavitù.

Nei confronti degli stati indebitati si assiste alla stessa scena. Nelle loro capitali arrivano emissari di ogni genere, della Banca Centrale Europea, del Fondo Monetario Internazionale, delle società di rating, tutti con la stessa missiva: “pagate ciò che il mercato vi impone e se non potete pagare, svendete”.

Soprattutto “svendete” perché il vero disegno di mercanti, banche, assicurazioni, imprese di servizi, tutti intrecciati fra loro come serpenti in amore, è di mettere le mani sulle proprietà degli stati. Vedere tanta ricchezza e non poterla toccare, alla stregua di un frutto proibito, è una sofferenza indicibile, da sempre si scervellano per impossessarsene. Così si scopre che si scrive debito, ma si pronuncia privatizzazione, il sogno eterno dei mercanti di accaparrare palazzi, spiagge, parchi, isole, ma anche acqua, scuola, sanità, elettricità, gas, strade e tutto il resto che gli stati possiedono. Tutti beni comuni che la struttura pubblica mette gratuitamente a disposizione di tutti per il bene di tutti, ma che i mercanti vogliono per sé per ricavarci profitto.

Dunque quella del debito non è una battaglia economica, ma tutta politica. Una battaglia in cui si scontrano due concezioni: il bene comune contro l'arricchimento di pochi, l'interesse generale contro gli egoismi individuali. Dall'esito di questa battaglia dipenderà il nostro futuro: civile e armonioso se prevalgono i beni comuni, barbaro e violento se vince l'individualismo.

Oggi più che mai la parola d'ordine deve essere resistere, resistere, resistere. Basta con le manovre lacrime e sangue. Bisogna uscire dal debito sulle spalle dei forti. Dunque sfidiamoli con quella che loro chiamano bancarotta. Gridiamogli in faccia che non possiamo, né vogliamo pagare e ci avvaliamo del nostro potere di popolo sovrano per decretare la sospensione del pagamento di capitali e interesse. Il mondo non crollerà per questo. Più semplicemente assisterà ad un'operazione di livellamento: verrà tolto a chi in questi decenni si è arricchito all'inverosimile e verrà restituito a chi semplicemente chiede di vivere. Gli ebrei nella loro saggezza avevano istituito il Giubileo, l'azzeramento dei debiti ogni cinquanta anni per riposizionare le iniquità. L'umanità del terzo millennio sarà capace di altrettanta civiltà? Dipende da noi, da ognuno di noi: dalla nostra capacità di farci sentire.

 

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Una manovra disperata, iniqua e senza futuro: Sbilanciamoci propone un piano che colpisce i grandi patrimoni, riduce le spese militari, cancella le grandi opere. Per rilanciare l'economia, difendere il lavoro e i più deboli

 

 

 

Da  Sbilanciamoci.org

La manovra varata con decreto dal governo Berlusconi è frutto di scelte affrettate e disperate nel tentativo di dare risposte all'aggravarsi della situazione economica e finanziaria e dei mercati internazionali. Ma questo provvedimento, come i precedenti, non affronta e aggredisce in modo strutturale il problema del debito e non mette in campo misure significative per il rilancio dell'economia. Il problema principale è proprio questo: si affronta la crisi solo sul fronte dei tagli della spesa pubblica (prevalentemente la spesa sociale), mentre non vi è nè un'idea, nè una misura credibile capace di rilanciare l'economia, le imprese ed il lavoro in questo paese. Anzi, questa manovra, come la precedente, ha un impatto depressivo e recessivo: comprime la domanda interna, i consumi, i salari e con essi la produzione.

A questi due elementi negativi – l'estemporaneità dei tagli e l'assenza di misure per il rilancio dell'economia- si aggiunge il forte carattere iniquo della manovra che si rivolge contro i lavoratori, in particolare i dipendenti pubblici, i pensionati ed in generale i cittadini: il taglio, pesantissimo, ai trasferimenti agli enti locali e alle Regioni si traduce in minori servizi ed in maggiori tributi per i cittadini. Inoltre la manovra (e non si capisce cosa abbiano a che fare queste disposizioni con una norma d'emergenza di stabilizzazione della finanza pubblica) colpisce i diritti acquisiti e cancella i diritti dei lavoratori come, di fatto, il Contratto Nazionale di Lavoro. Ancora una volta non vi sono significative misure contro l'evasione fiscale o che colpiscano le grandi ricchezze, ed in particolare i grandi patrimoni che sono così salvati dai provvedimenti del governo. Le stesse misure che sembrano andare in una giusta direzione risultano ipocritamente limitate, parziali, temporanee e sembrano essere prese proprio per evitare di varare l'imposta patrimoniale.

Il "contributo di solidarietà" sui redditi Irpef più alti (5% oltre i 90mila euro e 10% oltre i 150mila euro) è una misura estemporanea e non si colloca dentro un quadro di riforma in senso progressivo delle aliquote Irpef (anche a favore delle aliquote più basse), riforma necessaria per dare continuità nel tempo alle entrate fiscali e maggior gettito. Questa misura -senza interventi volti a colpire l'evasione fiscale (come la tracciabilità dei pagamenti sopra i 1000 euro, l'elenco clienti-fornitori, ecc.) e senza la tassazione dei patrimoni- rischia di essere parziale, di salvare gli evasori e le grandi ricchezze. La stessa tassazione delle rendite al 20% è ancora insufficiente (sarebbe stata più equa un'imposizione al 23%) e non comprende i possessori (tra cui, in gran parte, le banche) dei titoli di stato.

Anche gli interventi sul fronte della riduzione dei costi della politica, sono parziali e ancora insufficienti. Non si affronta una delle questioni principali, cioè la riforma del sistema parlamentare, dei costi dei partiti e della commistione tra politica e pubblica amministrazione, la lotta alla corruzione. Critichiamo in questo senso le misure contenute nel decreto, relative alla privatizzazione dei servizi pubblici locali. È  una misura che va contro lo spirito del voto referendario sull'acqua pubblica e che comporterà ancora maggiori costi per i cittadini per i servizi essenziali a livello locale.

Il nostro giudizio è dunque nettamente negativo ed è per questo che ribadiamo le proposte già formulate nella nostra ultima contro manovra.

Proponiamo, ora, contro il provvedimento del governo una manovra di 60miliardi, di cui 30 da destinare alla riduzione del debito e 30 da destinare al rilancio dell'economia, al lavoro e alla difesa del welfare.

Da una parte -sul fronte delle entrate- è necessario colpire i grandi patrimoni con una tassa ad hoc, tassare i capitali rientrati dall'estero, ridurre del 20%  le spese militari, cancellare le grandi opere. Dall'altra-sul fronte degli interventi-è necessario investire nella green economy, nelle piccole opere pubbliche, nella ricerca e nell'innovazione. Nello stesso tempo è necessario difendere i diritti dei lavoratori, dei pensionati, dei cittadini: difendere i redditi più bassi, allargare lo spettro degli ammortizzatori sociali, rafforzare la rete dei servizi sociali e della tutela dei più deboli.

Fino ad oggi il governo ha sbagliato praticamente tutto: diffondere inutile ottimismo, negare la crisi, limitarsi ad interventi di facciata, aspettare inerzialmente la ripresa internazionale, non colpire i grandi patrimoni e la finanza, salvare gli evasori fiscali, non mettere in campo interventi strutturali per rilanciare l'economia, voler colpire la dignità del lavoro ed il ruolo del sindacato.

E' ora di cambiare strada. Solo costruendo una politica ispirata, da una parte, al rigore e dall'altra all'equità sociale e dall’altra, al rilancio di un'economia diversa -sostenibile e di qualità- si può dare al paese il senso di un impegno rivolto alla ricostruzione di un'idea di futuro e di speranza, di un modello di sviluppo diverso da quello che abbiamo fino ad oggi conosciuto e che ci ha portato alla drammatica crisi che stiamo vivendo.