Torino. Il giorno dei metalmeccanici



Torino. Il giorno dei metalmeccanici

Cronaca del corteo del 28 gennaio, in occasione dello sciopero generale.
Alcune foto dello spezzone dell’anarchismo sociale a quest’indirizzo:
http://www.flickr.com/photos/58952321@N07/sets/72157625815862963/show/

La piazza sindacale
Torino 28 gennaio. Alle 8 del mattino è già tanta la gente che riempie la
piazza. Il corteo, che si dividerà lungo il percorso in tre diversi
tronconi, è imponente. La questura dice quindicimila, gli organizzatori
dicono trentamila. Lo spezzone maggioritario è quello Fiom, ma del tutto
significative sono le presenze della Cgil. Oltre ai metalmeccanici, oltre
ai funzionari in permesso sindacale, ci sono tanti lavoratori che,
approfittando della copertura del sindacalismo di base (Cub e Cobas),
hanno scelto di scioperare. L’esigenza di uno sciopero che andasse oltre
la vertenza dei metalmeccanici Fiat è stata ampiamente condivisa. Il
sindacalismo di base, che in questa fase avrebbe potuto giocare un ruolo
forte, avendo indetto lo sciopero per tutte le categorie, non è riuscito
tuttavia a raccogliere i frutti di una scelta, che pure rispondeva ad una
richiesta diffusa. Come già in passato, ma questa volta in modo più netto,
il sindacalismo alternativo pare relegato al ruolo di “pungolo” della
CGIL. Un ruolo certo non scelto ma dal quale negli ultimi anni non è –
almeno a Torino – riuscito a smarcarsi.
Le divisioni tra i tre maggiori sindacati di base del Piemonte, Cobas, Cub
e Usb, hanno contribuito a diminuirne la forza e la visibilità di piazza.
Sebbene le tre organizzazioni abbiano finito con lo sfilare in coda una
dietro l’altra – l’ordine di precedenza è stato discusso per oltre un’ora
e mezza – lo spezzone di base ha raccolto intorno alle proprie bandiere
tra le quattro e le cinquecento persone. I Cobas, che il 24 gennaio, in
occasione dell’assemblea organizzata all’università da studenti autonomi e
di area Sel in sostegno alla Fiom, avevano provato a chiedere a Landini un
intervento dal palco, si erano visti chiudere la porte in faccia. La Fiom,
sebbene incassi volentieri il sostegno di autonomi e vendoliani, non è
interessata ad aprire interlocuzioni di carattere movimentista. D’altra
parte per la Fiom la partita è all’interno della Cgil, non fuori. La
scelta della Confederazione di scendere in piazza a fianco dei propri
metalmeccanici non era affatto scontata ed è stato in queste settimane
l’obiettivo forte della Fiom. Non dimentichiamo che ancor prima della
sconfitta di misura al referendum, la segretaria generale Camusso, aveva
invitato Landini e i suoi a porre una firma tecnica all’accordo, per
mantenere i diritti di rappresentanza. Della serie: la partita è persa,
non rompete i coglioni che l’organizzazione costa e non possiamo mica
metterci a raccattare i soldi delle tessere ai cancelli.
Il vincitore della giornata è stato Giorgio Airaudo, accolto da una vera
ovazione da una piazza che invece non è stata tenera con gli esponenti
CGIL che temporeggiano sull’indizione di sciopero generale, proposta da
Airaudo e sostenuta a gran voce dalla piazza. Il popolo della sinistra,
un’etichetta sempre più logora e senza prospettive, è da sempre a caccia
di eroi. Nello specifico auspicava che Airaudo accettasse di partecipare
alle primarie del centro sinistra, che tra un mese decideranno chi correrà
per la poltrona di sindaco. Il rifiuto di Airaudo, già nell’aria il 28, è
stato ufficializzato il 29. Una candidatura forte a sinistra avrebbe
rischiato di riproporre sul piano politico le contrapposizioni sin troppo
evidenti su quello sindacale. I partitini della dispora post comunista
dovranno cercarsi un altro cavallo. Il 28, relegati in coda al corteo, un
pugno di militanti stretti intorno ai diversi striscioni, erano il segno
di un’esperienza ormai residuale.

Le altre piazze
Gli studenti, protagonisti delle piazze torinesi tra ottobre e dicembre,
sono presenti in vari spezzoni (post autonomo, filo Sel, post
disobbediente, anarchico) ma non hanno certo i numeri dell’autunno. Il
movimento antigelmini pare – il condizionale è d’obbligo – aver intrapreso
una parabola discendente.
Gli autonomi, in coda prima dello spezzone del sindacalismo di base,
raccoglievano, oltre alla propria area studentesca, una parte dei No Tav.
L’Assemblea lavoratori studenti del Politecnico dava vita ad uno spezzone
di circa 300 persone che sfilava subito dopo la Cgil.
Lo spezzone dell’anarchismo sociale, promosso dalla FAI torinese e dagli
studenti del Cast, oltre cento i partecipanti, si univa allo spezzone
dell’assemblea lavoratori studenti che, invece di seguire la Cgil, in via
Maria Vittoria proseguiva per via Pietro Micca, smarcandosi –
politicamente e fisicamente - dal percorso della Cgil.
Lo spezzone rosso e nero, aperto dallo striscione “occupiamo le fabbriche,
licenziamo padroni e burocrati”, ha attacchinato manifesti su cui
campeggiava l’immagine della Fiat occupata dagli operai in armi nel 1920,
fermandosi più volte per interventi e comizi volanti.
Dopo via Micca il corteo si è ulteriormente diviso in due: mentre
antagonisti e sindacati di base proseguivano per piazza Castello, lo
spezzone dell’assemblea lavoratori studenti, quello rosso e nero, quello
di Resistenza Viola e i No Tav di “Torino e cintura sarà dura” hanno
girato in via Bertola, dove per qualche minuto è stata occupata l’agenzia
interinale “Umana”. Il corteo si è poi diretto verso il municipio, dove è
partita una vivace contestazione all’indirizzo del sindaco Chiamparino,
che si è nettamente schierato a favore dell’accordo Fiat. Slogan, comizi
volanti e i tamburi della Samba Band, che si è guadagnata la prima pagina
di “Cronacaqui” e l’accusa di brigatismo per aver ritmato “rapimenti di
dirigenti!”. Quando i manifestanti si sono allontanati dalla piazza sui
muri del municipio campeggiava la scritta “Servi della Fiat”.
All’arrivo in piazza Castello lo spezzone rosso e nero si è tenuto lontano
dal palco della Cgil ed ha chiuso la giornata con alcuni veloci
interventi.

La città, la Fiat, il futuro che non c’è
Questa cronaca, necessariamente scarna e probabilmente parziale della
lunga giornata dei metalmeccanici, segna l’epilogo di una lunga vicenda,
probabilmente iniziata nel lontano settembre del 1980 davanti ai cancelli
di quella che, allora, era ancora La Fabbrica. Oggi di quella fabbrica – e
della sua storia di lotta e resistenza operaia - resta ben poco. Chi non è
di Torino prenda in mano una mappa della città e cerchi Mirafiori. Di
solito la rappresentano in verde, anche se di verde ha ben poco: è così
grande che a momenti non ci credi. È grande come una piccola città. È essa
stessa la città. Oggi tanta parte di quella città è vuota o è stata
riempita da altri: aziende di servizi, logistica, informatica. Delle
decine di migliaia di operai che vi lavoravano un tempo non sono rimasti
che in cinquemila. Di questi cinquemila solo pochi hanno visto la Fabbrica
prima dell’80; per gli altri, i più, la vita è stata tutta dentro la
fabbrica normalizzata, ridisciplinata, smontata pezzo dopo pezzo con
meticolosità da un’azienda sopravvissuta drenando denaro pubblico per i
propri privatissimi interessi.
L’accordo firmato alla vigilia di Natale è solo l’epilogo scontato di una
lunga agonia. D’altro canto, sebbene, sin dall’estate, fossero ben chiari
i propositi della dirigenza Fiat non vi è stata risposta: niente scioperi,
niente blocchi, niente lotta. Il quasi no al referendum del 14 gennaio è
stato un sussulto di orgoglio, un guizzo di dignità e nulla più.
La città è schiacciata. Schiacciata dalla crisi, dal mutuo da pagare,
dalle bollette che scadono e restano lì, dalla paura di un domani che è
già oggi. Le infinite italianissime risorse del welfare familistico si
stanno esaurendo. Chi oggi va in pensione – e ci va sempre più tardi –
finisce con il cercarsi un altro lavoro, perché altrimenti non arriva alla
fine del mese e certo non ha soldi per mantenere il figlio studente,
precario, disoccupato.
L’orizzonte di un mondo altro, senza sfruttamento né oppressione, pare
tramontato, dimenticato inattingibile. La sinistra che governa la città da
venticinque anni senza mai dispiacere ai signori della Fiat, proverà a
succedere a se stessa alle prossime elezioni, giocando sull’ennesima
vetrina, sullo show patriottardo dei 150 anni.
Ma. Fuori dal gioco delle poltrone c’è un’altra Torino: è la Torino che
sostiene le lotte degli immigrati, dei senza potere, dei lavoratori, è la
Torino di chi non ci sta a scegliere tra la schiavitù e la disoccupazione.
Questa Torino si è presa il suo piccolo scampolo di piazza il 28 gennaio.
Si tratta di lavorare, giorno dopo giorno, perché la rassegnazione ceda il
passo alla lotta, perché infine la paura cambi di campo. È vero oggi come
trent’anni fa: i lavoratori, uniti, possono fare male ai padroni. Molto
male.

Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torinese – FAI
Corso Palermo 46 – la sede è aperta ogni giovedì dalle 21
338 6594361 – fai_to at inrete.it