Il grembiule a quadretti



Il grembiule a quadretti

C’è chi pensa che la lotta No Tav attraverserà le prossime generazioni. Il
No Tav ha già segnato le vite di tante persone. Oggi in piazza ci sono
ragazzi che ieri erano bambini, tante volte ci è capitato di accompagnare
nell’ultimo viaggio uno di noi.
Finora le botte, gli arresti, la violenza non sono bastate a piegarci.
Anzi! Ogni volta che hanno colpito duro la nostra rivolta è dilagata
ovunque mettendoli in difficoltà.
Ma.
Le lotte e i movimenti durano quando segnano punti all’avversario. Le
sconfitte alla lunga logorano. La rassegnazione è una malattia insidiosa e
mortale, è la malattia che attraversa da lunghi anni il nostro paese, la
malattia di chi ha perso la speranza che questo non sia il solo mondo
possibile.
È su questo che puntano i nostri avversari. Auspicano che un anno di
occupazione militare riesca a fiaccare la nostra resistenza. Non
sgomberano subito il campeggio, perché sanno che sapremmo reagire, ma
provano a soffocarci con continui controlli, con i fogli di via, con
l’esistenza stessa del cantiere militarizzato.
Non siamo più nel 2005. Allora si andò di slancio e il governo venne preso
alla sprovvista: c’era in noi tutta la forza della prima volta,
l’insurrezione si fece con la spontaneità con cui si impastano i sogni dei
bambini. Prima che arrivi il buon senso, la disciplina che incarcera i
corpi ed ingabbia le menti, prima del grembiule a quadretti, della
campanella, del banco, del tempo rubato che dalla scuola porta alla
servitù del lavoro.
In questi sette anni siamo stati in gamba. I giochi della politica, gli
amministratori voltagabbana, la sottile illusione che il gioco delle
istituzioni si potesse giocare con altre carte, tra liste civiche e
“democrazia partecipativa” non ci hanno fatto smarrire la via.
Quando le armi della politica hanno ceduto il passo alla politica delle
armi abbiamo saputo ancora una volta metterci di mezzo, nella chiara
consapevolezza che solo la nostra azione diretta poteva impedire che
l’arroganza e la violenza dispiegata dello Stato cantassero indisturbate
la loro canzone.
Sapevamo che quando il potere non riesce a sedurre, quando il grande
fratello non riesce a farsi amare, allora colpisce ed uccide.
Oggi ci serve forza ed intelligenza. I nostri avversari sono cattivi ma
non sono stupidi, sanno usare l’inganno e la violenza, i giudici e i
poliziotti, i giornalisti e l’illusione partecipativa.
Oggi la partita non è (più) solo sul Tav. In ballo c’è il disciplinamento
di un movimento che ha saputo rimettere al centro la questione sociale,
che ha saputo riprendersi la facoltà di decidere e di pensare un altro
futuro, perché sa vivere un altro presente.
Questa volta, lo sappiamo bene, lo Stato intende andare sino in fondo per
spezzare un movimento divenuto simbolo di rivolta un po’ ovunque.
Dobbiamo tenerne conto. Soprattutto dobbiamo decidere il senso di una
lotta il cui esito resta comunque incerto. Abbiamo l’ambizione di vincere,
perché abbiamo imparato che vincere fa bene. Conta anche vincere bene,
senza deleghe a qualche cacciatore di poltrone, senza rinunciare mai alla
propria dimensione di movimento popolare, senza affidarsi ai giochi della
politica internazionale.
In quest’anno e più di lotta durissima abbiamo imparato tanto, ma non
sempre l’abbiamo saputo mettere a frutto.
Lontani dal loro fortino/cantiere, lontani dalle recinzioni e dal filo
spinato, siamo riusciti a metterli in difficoltà, rendendo visibile la
violenza dispiegata dello Stato. Una violenza legale, che sempre meno
persone considerano legittima.
Hanno scelto con cura il posto dove fare il tunnel geognostico. Un’area
poco abitata, lontano dalle case e dagli occhi dei più, un posto perfetto
per un’occupazione militare. Sperano che il movimento si estenui
nell’assedio del cantiere militarizzato.
Gli ingranaggi dell’occupazione militare e della macchina che lucra e
propaganda il Tav sono dappertutto. Anche noi possiamo essere dappertutto.
Sinora però siamo stati quasi timidi. Siamo usciti dal catino solo per
reagire alla loro violenza, non abbiamo saputo costruire una solida rete
che metta in difficoltà tutti gli snodi dell’occupazione militare.
Quando le nostre barricate attraverseranno tutti i paesi, quando le truppe
saranno obbligate a valicare dal Sestriere, perché questa valle gli si
chiuderà ancora una volta davanti allora – come nel dicembre del 2005 e
nel febbraio del 2010 - li vedremo fare marcia indietro.
Ridurre la nostra resistenza alla ripetizione rituale della pressione sul
cantiere, sperando che il tempo sia dalla nostra, è il primo sintomo della
rassegnazione. Si va perché si deve, si va perché non si vuole fare la
fine di altri movimenti, ridotti ad un ruolo meramente testimoniale, si va
perché quelle reti, quelle ruspe, quegli uomini in armi sono
intollerabili. Si va perché è giusto andarci.
Ma.
Non basta e non può esaurire la nostra lotta. Sarebbe miope non vederlo.
Il fortino non è una via crucis da percorrere per celebrare il rito
collettivo del taglio di qualche metro di filo spinato.
Il taglio delle reti è indubbiamente il segnale forte della volontà di
rifiutare le regole di un gioco truccato. Ma se resta un esercizio,
diviene inutile. Tanto inutile che tanti che lo praticavano oggi restano a
casa. I militari fanno scavare le buche e poi le fanno riempire, perché i
soldati non devono pensare ma ubbidire. Noi non siamo soldati, siamo gente
che decide di testa propria senza farsi comandare da nessuno.
La Val Susa è un laboratorio vivo dove radicalità dell’agire e radicamento
sociale si coniugano in una sintesi felice, mai data per sempre, ma
costantemente rinnovantesi, nella sfida ai poteri forti.
Una sfida che può e deve tornare a coinvolgere tutti, che può e deve
puntare al blocco della valle, allo sciopero generale, alla rivolta che li
obblighi a mollare senza rimettere in moto i tavoli di mediazione, i
giochi della politica come accadde nel dicembre del 2005, quando la
vittoria ci sfuggì di mano per aver esitato a mantenere ferma la
resistenza.

In questi lunghi mesi tanta gente di ogni dove è scesa in piazza al nostro
fianco, perché le nostre ragioni sono quelle di tanti. Il governo ha fatto
una macelleria sociale senza precedenti. Si sono presi quello che restava
di libertà e tutele, si sono presi la nostra salute, l’accesso ai saperi,
alle risorse indispensabili alla vita. Nonostante piovano pietre prevale
la paura, l’io speriamo che me la cavo, la ricerca meschina di una
salvezza individuale. Ma i sommersi sono ben più dei salvati.
La lotta dei No Tav è stata l’unica scintilla che ha spezzato la paura che
ha rotto la rassegnazione, che ha dato fiducia nella possibilità di
invertire la rotta.
Questa scintilla, se riesce a mantenere forte la propria fiamma, se riesce
a farsi pratica viva può accendere ovunque nuovi focolai di lotta.
Oggi occorre un nuovo patto di mutuo soccorso. Un patto vero che si
costruisca spontaneamente tra chi lotta in ogni dove, non certo l’ennesima
assise politica dell’ennesimo super movimento, l’ultima delle creature che
uccidono in breve chi le ha partorite.
Presto ci saranno le elezioni, presto i giochi della politica
istituzionale in chiave partecipativa reclameranno le loro vittime. È
tempo di costruire una prospettiva diversa. È tempo che la capacità di
fare politica senza deleghe sperimentata in questi anni tra una barricata
e un pranzo condiviso, esca fuori dalla gabbia istituzionale.
Costruire assemblee popolari che in ogni contrada avochino a se la facoltà
decisione, svuotando e delegittimando chi gioca il gioco del potere, è una
prospettiva possibile un po’ ovunque. Tante Libere Repubbliche, tante
Comuni contro il Comune, tanti spazi di libertà che allarghino il fronte,
che mettano in gioco intelligenze e cuori, che ridisegnino la mappa del
territorio in cui viviamo.
Solo se sapremo scandire con intelligenza e passione un tempo altro
potremo mettere – ancora una volta – in difficoltà un avversario che non
fa sconti a nessuno. Occorre estendere il conflitto, aprire sempre nuovi
ambiti di autogestione, per spezzare l’accerchiamento e creare le
condizioni per mandarli via. E non solo dalle reti di Clarea. Non c’è pace
per chi viene a farci guerra.
Non siamo più bambini. Non permetteremo a nessuno di metterci il grembiule
a quadretti per rubarci i sogni.
(questo testo verrà distribuito alla marcia Giaglione Chiomonte di sabato
28 luglio)

Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torino
corso Palermo 46 – ogni giovedì dalle 21
338 6594361 fai_to at inrete.it
http://anarresinfo.noblogs.org/