[Diritti] ADL 161020 - Un leader



L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

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Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894

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Direttore: Andrea Ermano

 

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e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 20 ottobre 2016

  

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IPSE DIXIT

 

Un leader per due referendum - «Nella storia italiana c’è un solo leader che è riuscito a vincere due referendum: Pietro Nenni. Nel 1946, soverchiando l’agnosticismo del democristiano De Gasperi e la cautela del comunista Togliatti sul referendum istituzionale, il leader socialista coniò lo slogan "O Repubblica o caos", che contribuì alla vittoria del fronte repubblicano. Nel 1974 Nenni lasciò cadere le ipotesi di com­promesso sul divorzio, avanzate da comunisti e democristiani, e – ora­mai anziano e stanco – tornò in piazza del Popolo, a Roma, per l’ul­timo, grande comizio della sua vita, contribuendo alla vittoria del No». – Fabio Martini

 

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Il persistere delle oligarchie - «Aveva, dunque, ragione Norberto Bobbio quando denunciava tra le contraddizioni della democrazia il “persistere delle oligarchie”. Se ci guardiamo attorno, potremmo dire: non solo il persistere, ma il rafforzarsi, l'estendersi “globalizzandosi” e il velarsi in reti di relazioni d’interesse politico-finanziario, non prive di connessioni malavitose, protette dal segreto, sempre più complicate e sempre meno decifrabili. Se, per un momento, potessimo sollevare il velo e guardare la nuda realtà, quale spettacolo ci toccherebbe di vedere?». – Gustavo Zagrebelsky

 

In cauda - «Queste riflessioni… sono state occasionate da una discussione sulla riforma costituzionale che, probabilmente, sarà presto sottoposta a referendum popolare. Hanno a che vedere con i contenuti di questa riforma? Hanno a che vedere, e molto da vicino». – Gustavo Zagrebelsky

 

    

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    L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

    

    

EDITORIALE

 

E però preferirei di No

 

Variazioni sulle “subordinate” che, in politica

come nella vita, sono molto importanti

 

di Andrea Ermano

 

Il PSE, JP Morgan, Merkel, l’ambasciatore Usa in Italia “dovrebbero farsi gli affari loro sul referendum”, ha dichiarato qualche giorno fa Massimo D’Alema dopo che il Partito Socialista Europeo aveva manifestato il proprio sostegno al Sì.

    A stretto giro di posta, il vicesegretario generale del PSE, Filibeck, ha risposto all'ex premier diessino: “Come si fa a dire al Pse di farsi gli affari propri? Il referendum italiano è affare del Pse”.

    Qui evidentemente ha ragione Giacomo Filibeck, che oltre tutto è ex segretario nazionale della “Sinistra Giovanile” (in qualche modo erede della FGCI di Berlinguer, Occhetto, Petruccioli, D'Alema, Folena e Cuperlo).

    Poi uno può contestare al PSE che parla a vanvera, che su tanti temi nemmeno si esprime, che sulla situazione italiana si dimostra subalterno ai poteri forti della globalizzazione eccetera. Ed è poi chiaro che ciascuna di queste opinioni sarà a sua volta opinabile e confutabile. Ma, finché possibile, occorrerebbe discutere sul merito e sul metodo, senza revocare il diritto di parola a nessuno, fatto salvo il dovere dei media (dovere alquanto disatteso) di fornirci un’informazione corretta e ragionevolmente completa.

    Se tutti, dunque, hanno il diritto di esprimersi sulla disfida referendaria italiana, questo non varrà in minor misura, immaginiamo, per il Presidente degli Stati Uniti d'America, in quanto rappresentante di un Paese al quale l’Italia deve la propria liberazione dal nazifa­scismo e senza il quale perciò la nostra Costituzione forse nemmeno ci sarebbe.

    Dopodiché, idem come sopra. Anche Obama può sbagliare, come forse ha dimostrato indirizzando al premier Renzi, ospite martedì alla Casa Bianca, questa frase idiomatica in italiano: “Patti chiari, amicizia lunga”.

    Perché, forse, ha sbagliato? Perché nella nostra lingua queste parole hanno un senso ambivalente: da un lato enunciano il duplice presupposto di una lunga partnership secondo il quale i patti vanno formulati in modo assolutamente comprensibile e rispettati in modo assolutamente leale. Dall’altro lato, però, – proprio nel dover esplicitare questa duplice ovvietà – dal proverbio traspare in subordine che, se emergesse una qualche ambiguità o slealtà, l’amicizia potrebbe anche non durare.

 

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“Patti chiari, amicizia lunga”

 

Dato che nella politica come nella vita le “subordinate” sono importantissime, “Patti chiari, amicizia lunga” suona quasi come una minaccia. E in effetti, spesso, questo proverbio entra in scena nei giochi linguistici del nostro bell'idioma quando è necessario definire molto bene le regole del gioco “non affinché possano essere comprese, ma affinché non possano essere travisate”, diceva Quintiliano.

    A questo punto, una volta esclusa cioè ogni possibilità di fraintendimento, e ciò grazie a formule nette e precise, si usa concludere: “Patti chiari, amicizia lunga”. In questo modo s'intende che d’ora in poi, nessuno potrebbe più appellarsi ai "non credevo, non sapevo, non volevo". No, adesso, qualora qualcosa girasse storto, comproverebbe un caso di patente slealtà. E non ci sarebbe più amicizia. 

    Fin qui il senso del proverbio nella nostra lingua.

    E non riusciamo a immaginarci che Barack Obama possa voler avere detto: Ok, dear Matteo, recitiamo pure questo siparietto sul bel prato della Casa Bianca, che tanto piace a Benigni, affinché tu possa poi tornare in Italia con il mio endorsement e spenderlo nella campagna referendaria. Ma non dimenticare che, in cambio, gli USA si attendono dal tuo Governo questo e questo.

    Ha ragione quindi Bartezzaghi, il quale sulla Repubblica, riassume così lo stato dell’arte: “Barack Obama gli ha rivolto un saluto e una frase gentile in italiano. Con questo sforzo ospitale ha così contribuito alla settimana della lingua italiana nel mondo”.

    Inversamente, se per ipotesi Obama invece avesse inteso dire quel che ha detto, non sarebbe irrilevante interrogarsi su quale sia il prezzo pattuito dal nostro Governo per sdebitarsi dell’endorsement di cui sopra. E le prime cose venute in mente ai commentatori sono state: a) una partecipazione militare italiana rafforzata (boots on the ground) in Libia) e b) un indurimento diplomatico nei riguardi della Russia.

    Ma scacciamo i cattivi pensieri.

    Chi siamo, in fondo, noi dell’ADL per mettere in dubbio la facoltà di giudizio di tanti grandi uomini, rappresentanti di realtà istituzionali così importanti e potenti? Se il PSE, JP Morgan, Angela Merkel, l’ambasciatore Usa in Italia e ora anche Barack Obama ci dicono e ci ripetono che la Revisione Renzi-Boschi va bene per l’Italia, non sarebbe più intelligente evitare atteggiamenti da bastian contrari?

    Certo, si parva licet, lasciateci qui ricordare che in altri tempi (per esempio durante la Prima Guerra mondiale, il Fascismo, lo Stalinismo, la Seconda Guerra mondiale), dalle colonne di questo “giornalino”, come lo chiamava Silone, ci fu gente capace di assumere posizioni controcorrente – per esempio contro l’immane macello bellico, contro le dittature di ogni colore, a favore degli Stati Uniti d’Europa in garanzia della pace nel nostro continente – posizioni che stanno lì a dimostrare come il Kaiser, lo Zar e persino il Papa possano avere torto… e che ognuno alla fine avrebbe il dovere di pensare con la propria testa.

    A parte ciò, eccovi qua una buona ragione per la quale persino un vecchio politico tutt’altro che infallibile, un rottamato e demonizzato come D’Alema, non può essere però molto lontano dal vero quando sostiene il NO al referendum sulla Revisione Renzi-Boschi perché (nel combinato disposto con l’Italicum) essa spalanca le porte a revisioni costituzionali “a colpi di maggioranza” e perché essa stessa (grazie al Porcellum) è passata “a colpi di maggioranza”.

 

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Bill Clinton e Massimo D’Alema all’epoca in cui l’uno era Presidente degli USA e l’altro Presidente del Consiglio

 

Su Wikipedia leggiamo che nel 2006 Romano Prodi “incaricò tredici personalità di spicco del mondo della cultura e della politica di redigere un Manifesto per il Partito Democra­tico, utile a enun­ciare i valori del nuovo soggetto politico”. Nel solenne do­cu­mento riveste un' importan­za par­tico­lare il tema della “difesa della Costitu­zione” (vai al link). Wikipedia rinvia qui a due link sul sito ufficiale del PD contenenti sia la bozza del “Manifesto dei valori” sia la versione approvata dal­l'Assemblea costituente del PD il 16 febbraio 2008.

    (Detto tra parentesi: Se cercate questi siti, vi apparirà la scritta: “Impossibile contattare il server”. Abbiamo lungamente cercato su internet questo “Manifesto dei valori”, dove si sottolinea “l’importanza della difesa della Costituzione”: non siamo riusciti a trovarlo da nessuna parte. Se altri ne sono capaci, p.f. ce ne indichino il luogo e noi non mancheremo di segnalarlo alle lettrici e ai lettori dell’ADL).

    La “difesa della Costituzione” è una questione importante, dati gli esiti negativi delle revisioni costituzionali condotte (o tentate e abortite) in questi anni “a colpi di maggio­ranza”.

    Questo tema, è stato recentemente ripreso da Massimo D’Alema che citato un frammento dal Manifesto dei Valori del PD: La sicurezza dei diritti e della libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento e resta la fonte di legittimazione e di limita­zione di tutti i poteri. Il Partito Democratico s'impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, e a mettere fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza” (vai al video su Radio Radicale, min. 32:30 > 34:25).

    Se questo diceva il Manifesto dei Valori del PD (heri dicebamus…), mi dici tu come fai a fidarti ciecamente di questi annunci di serenità circa il futuro della Repubblica?!

    Detto ciò, vogliamo concludere con una nota di speranza: è bello che a Washington il premier Renzi abbia voluto escludere l'imminenza di catastrofi in caso di vittoria del NO. E che Obama gli abbia chiesto di "restare in politica qualunque sia il risultato del referendum".

       

   

Perché No

 

Perché dobbiamo votare NO


Intervista a Claudio Micheloni, Presidente del Comitato

Italiani all’Estero presso il Senato della Repubblica

 

Lei è uno dei pochi parlamentari del PD ad aver sottoscritto

un documento per il NO al Referendum Costituzionale.

Ce ne spiega i motivi?

    In sintesi, i motivi principali sono tre: l'effetto concreto di questa riforma sarà la riduzione della sovranità popolare, la compressione dell'autonomia del Parlamento e una inaudita concentrazione di potere nelle mani di pochi individui; in secondo luogo, gli obiettivi dichiarati della riforma, vale a dire semplificazione dei processi decisionali e riduzione dei costi della politica, non saranno conseguiti se non in misura molto marginale, ai limiti dell'irrilevanza, e pagando un prezzo molto elevato. Inoltre, gli italiani all'estero saranno penalizzati fino a un punto tale da configurare una cittadinanza di serie B.

Per tutti questi motivi ho ritenuto non solo di sottoscrivere quel documento ma di motivare puntualmente, in tutte le occasioni possibili, le ragioni della mia contrarietà a questa riforma: ritengo che ciò corrisponda a un dovere di trasparenza che riguarda tutti, ma forse ancor più i parlamentari eletti all'estero, che sono stati scelti direttamente dai cittadini.

    Perché la riforma è negativa per gli italiani all’estero e come mai, se è così, lei è l’unico ad essersi schierato per il No? C’è chi dice che si è voluto tutelare la possibilità di rielezione …

    La questione è semplice: se vince il Sì il Senato non sarà abolito, la rappresentanza degli italiani all'estero invece sì. Poiché al Senato sono state assegnate dalla riforma competenze tutt'altro che marginali, quali ad esempio le modifiche costituzionali e la legislazione europea, il fatto che gli eletti all'estero rimangano alla Camera, non toglie che il voto degli italiani all'estero valga meno di quello degli italiani in Italia. Anzi, vale due volte meno se consideriamo la nuova legge elettorale: gli italiani all'estero non potranno decidere chi governa - poiché il loro voto non sarà conteggiato ai fini dell'assegnazione del premio di maggioranza e non sarà possibile prendere parte al ballottaggio - e non saranno rappresentati nella cosiddetta Camera delle Autonomie.
Infine, sulle motivazioni degli altri sono certo che i diretti interessati sappiano illustrarle meglio di me; quanto ad eventuali interessi personali all'origine delle mie scelte, preferirei non adeguarmi a questo livello di discussione, ma non voglio sottrarmi alla domanda. Mettiamola così: trovo curiosa l'idea secondo la quale chi si schiera contro una proposta sostenuta dal Governo, dal vertice del PD, dalla Confindustria, da JP Morgan, dalla quasi totalità degli organi di informazione stia tutelando se stesso, ma non c'è limite alla fantasia.

Mi permetto solo di suggerire a questi grandi strateghi di riflettere su una nota frase di Jung: "Tutto ciò che ci irrita negli altri, può portarci a capire noi stessi".

    L’emigrazione italiana, contrariamente a quanto avvenuto per tre decenni (dall’80 agli anni 2000) ha ripreso a crescere in modo consistente. Da questo punto di vista, la questione della rappresentanza dei circa 5 milioni di italiani emigrati è una questione settoriale o non piuttosto una questione nazionale?

    E' certamente una questione nazionale, e per certi aspetti anche di più, se pensiamo alle ultime inquietanti notizie provenienti dalla Gran Bretagna. Siamo passati dalla retorica sulla "fuga dei cervelli" alla retorica sulle "nuove mobilità", salvo scoprire che ogni anno diverse decine di migliaia di giovani partono per cercare lavoro, per costruirsi una vita autonoma e magari una famiglia, cose che ormai in Italia appaiono a molti come un'utopia. Fanno di tutto, dal cameriere alla guardia giurata, non solo ricerca scientifica o web design, e sono tutti dotati di cervello, come del resto i nostri genitori e i nostri nonni.

Quindi sarebbe intelligente smettere di prenderli in giro e cominciare davvero a cogliere le opportunità enormi che l'insieme di queste esperienze rappresentano per l'Italia, per la crescita della nostra economia, garantendo concretamente quei diritti di cittadinanza che rischiano di essere svuotati fino alla dissipazione di un legame, una identità che è invece fortissima.

    Al di là dell’aspetto che riguarda l’emigrazione italiana, quali sono secondo lei le insufficienze e i rischi di questa riforma?

    Sugli obiettivi dichiarati è difficile non essere d'accordo. Tuttavia, il contenuto reale della riforma suscita un forte timore per la qualità della democrazia italiana a venire.

Per accelerare le decisioni del Parlamento senza pregiudicarne la qualità sarebbe sufficiente riformare i regolamenti di Camera e Senato, provvedere a una riduzione del numero dei parlamentari molto più ampia di quella proposta, ma bilanciata tra le due Camere, in modo tale che il lavoro delle Commissioni possa svolgersi in maniera efficace.

Insieme ad altri senatori e deputati, generosamente qualificati come "gufi", abbiamo avanzato proposte concrete in questa direzione, garantendo, a proposito della riduzione dei costi, risultati molto più consistenti e sicuri di quelli previsti dal progetto del Governo.

Pochi sanno, infatti, che le indennità dei senatori coprono solo il 20% dell'attuale bilancio del Senato: dunque prima spendevamo 100 per ottenere 80, domani spenderemo 80 per ottenere 20.

La Camera continuerà ad avere ben 630 deputati, pagati esattamente come oggi (cioè troppo), e le commissioni continueranno ad essere sovraffollate, dunque prive di un reale potere di indirizzo e controllo dell'operato del Governo. Un centinaio di consiglieri regionali frequenteranno la Capitale: non voteranno la fiducia, però si occuperanno di questioni rilevantissime, dovendo rispondere a logiche di partito e di territorio in una posizione di oggettiva subalternità al Governo. Queste ed altre ragioni di merito mi hanno indotto ad esprimere una opposizione chiara e ferma a un progetto di riforma costituzionale che non funzionerà, anche perché non è affatto simile agli altri ordinamenti diffusi in Europa dei quali si parla a sproposito, come ad esempio il Bundesrat, che segue una logica coerentemente federalista, o il sistema francese, che non a caso prevede il presidenzialismo. Siamo di fronte a una riforma a dir poco approssimativa, evidentemente viziata da un intento propagandistico e da un calcolo di convenienza politica a breve termine, talmente breve che potrebbe rivelarsi già scaduto.

Dal mio punto di vista la nuova legge elettorale non è la questione dirimente, ma costituisce un'aggravante, perché provvede a introdurre in un progetto già squilibrato un premierato di fatto, senza contrappesi adeguati, e con ogni probabilità spalancherà la strada ad un genere di presidenzialismo ancora sconosciuto nelle democrazie occidentali.

Vale la pena di ricordare che il tanto vituperato bicameralismo paritario è certamente raro, ma vivo e vegeto proprio negli USA, oltre che in Svizzera e Australia. Il premio di maggioranza nelle elezioni politiche nazionali, invece, è una creatura quasi esclusivamente italiana, a parte Malta, Messico e Corea del Sud, ma questo lo ricordano in pochi.

La Costituzione italiana non è intoccabile, ma rimane pur sempre l'esito storico della Guerra di Liberazione, e il frutto del lavoro della migliore classe dirigente che il nostro Paese abbia mai avuto. Sarebbe bene tenerlo presente, così come credo sarebbe utile rispondere a una domanda: davvero pensiamo che le inefficienze del nostro sistema politico dipendano dall'assetto costituzionale, lo stesso con cui il Paese si è sollevato dalle macerie del dopoguerra fino a diventare una delle grandi potenze industriali del pianeta? O non dipendono forse da una classe politica che da qualche decennio ama discutere di regole piuttosto che assumersi fino in fondo la responsabilità di governare e cambiare l'Italia?

    Tornando alla nostra emigrazione, negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo e a volte drastico taglio degli interventi, dalla scuola alla formazione, alla riduzione della rete consolare, ecc. che non ha pari con altri settori di spesa. Come mai i successivi governi non hanno colto il potenziale di questo pezzo di Italia fuori dai confini? E perché la compagine eletta all’estero non ha saputo contrastarla?

    Anzitutto siamo di fronte a un problema complessivo di cultura politica. Per cogliere quel potenziale occorre una visione nazionale, un progetto per il Paese: non si può dire che la classe dirigente italiana degli ultimi decenni (non solo la politica) abbia brillato da questo punto di vista. Poi, dato che attraversiamo una lunga transizione, resa ancora più problematica dalla crisi del progetto europeo, servono la volontà e la capacità di aggredire i nodi strutturali dell'arretratezza italiana: tra questi, non ultimo il problema di una classe burocratica che ha consolidato il proprio status nel passato e riesce oggi, salvo poche eccezioni, a difenderlo a scapito dei diritti e degli interessi dei cittadini.

In questo quadro, l'azione dei parlamentari eletti all'estero è stata certamente insufficiente, specie se consideriamo le necessità e le aspettative. Non è mio costume millantare risultati epocali, ma penso sia giusto ricordare ad esempio che l'anno scorso i senatori eletti all'estero sono riusciti a recuperare 5 milioni di euro, molti dei quali indirizzati ai corsi di lingua e cultura italiana, e così bene o male è accaduto negli anni precedenti, anche grazie alla sensibilità manifestata da alcuni esponenti del Governo e della maggioranza parlamentare. Cifre insufficienti, senza le quali però avremmo assistito a una perdita di servizi ancora più grave.

A mio avviso,  il terreno sul quale l'azione degli eletti all'estero è stata davvero carente in questi anni (e mi assumo per intero la mia parte di responsabilità) è quello della capacità di incidere sul dibattito nazionale valorizzando il potenziale di cui stiamo parlando, così come quello della volontà di difendere le ragioni degli italiani all'estero anche quando ciò significa entrare in conflitto con attori influenti, quali la burocrazia ministeriale o alcune espressioni del mondo sindacale. Da questo punto di vista, pur confermando la mia insoddisfazione per lo stato dell'arte, devo aggiungere che ho la coscienza a posto.

Di certo serve un salto di qualità, sia nell'azione dei parlamentari che nell'ambito della rappresentanza in generale. Non a caso, coloro che puntano a comprimere i servizi pur di mantenere i privilegi, agiscono per delegittimare la rappresentanza e svuotarne la funzione: lo abbiamo visto con i Comites. Perciò è essenziale che chi si assume l'onere e l'onore di rappresentare gli italiani all'estero lo faccia con la schiena diritta e lo sguardo vigile.

   

   

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

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Ponzio Pilato all’Unesco

 

Mai come in questo caso Israele ha ragione. E l’Italia è proprio un bizzarro Paese che riesce a dimenticare la propria storia anche in quei consessi (e in quelle occasioni) in cui dovrebbe ricordarla…

 

L’altro giorno il nostro rappresentante ha deciso di astenersi su una risoluzione dell’Unesco a proposito della “tutela del patrimonio culturale della Palestina” a Gerusalemme Est. Non sempre le forti reazioni del governo di Benjamin Netanyahu sono condivisibili (capita in democrazia), ma mai come in questo caso il premier israeliano ha ragione. E il rappresentante dell’Italia dovrebbe saperlo benissimo. In quel luogo, all’interno del “patrimonio culturale” che l’Unesco intende tutelare, c’è il “Muro del Pianto”, caro agli Ebrei. È in sostanza quel che rimane del famoso Tempio di Gerusalemme che vide la “cacciata dei mercanti” a opera di Gesù.

    Quel Muro rimase in piedi alla fine dell’assedio e della distruzione della città attuata da Tito, comandante delle legioni, futuro imperatore romano e figlio di Vespasiano. Era il 70 d.C.

    Ora, a parte il fatto che non si capisce perché mai l’Unesco sia anda­ta a infilarsi, senza alcuna competenza, in questo ginepraio geopolitico, di fronte a quel passato che in ampia misura ci riguarda, il nostro rap­presentante avrebbe dovuto esprimere quanto meno voto contrario e non lavarsi le mani con l’astensione, come fece Ponzio Pilato, gover­na­tore della Galilea e figura peraltro storicamente controversa.

       

    

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

   

Perché Sì

 

I decibel del No, le ragioni del Sì

 

di Mario Lavia - @mariolavia

 

da l’Unità online

http://www.unita.tv/

 

Di qui la percezione di un vantaggio del No segnalata da tempo dalla maggior parte dei sondaggi (ma non tutti, Ixé parla di parità) e corrispondente ad una sensazione molto diffusa.

    È dunque un’illusione ottica – anzi, acustica – questo vantaggio del No? Nessuno lo sa. Però è certo che, secondo gli ultimi sondaggi di Emg, Euromedia Research, Ipr Marketing, fra gli indecisi la fetta maggiore è propensa a votare Sì, tanto è vero che di settimana in settimana le distanze fra No e Sì si accorciano, al punto che Masia (Emg) al TgLa7 ha precisato che stante questa progressione del Sì «fra un mese gli schieramento saranno pari».

    Anzi, se vogliamo dirla tutta gli schieramenti sono praticamente pari già adesso in quanto il 3% circa di vantaggio attribuito al No è sotto il margine di errore che in questa situazione incerta è fra il 3 e il 6 percento.

    Ma dicevamo dei decibel. È fuor dubbio che chi ha deciso di votare No lo manifesti ad alta voce, perché è anche un voto di malessere, di protesta, è un voto più “aggressivo” e dunque più “gridato” e che dunque si senta di più, carico com’è di forza polemica e di insofferenza verso l’esistente: non è un caso se tutti i partiti di opposizione siano schierati per la bocciatura del quesito referendario.

    Anche per questo c’è anche chi sostiene – all’opposto delle lamentazioni di Massimo D’Alema – che i fautori del Sì siano, come dire, intimiditi dai toni polemici di un Grillo, di un Brunetta, di un Travaglio, dello stesso D’Alema. Difficile dirlo. Ma è sicuro che le motivazioni del Sì appaiono meno facili da urlare, non foss’altro perché entrare nel merito della riforma è senz’altro meno accattivante e “popolare” dei tanti motivi di malessere che infarciscono la propaganda del No.

    E poi c’è una grande massa di italiani che non parla – o non parla ancora – o perché non si è fatta un’idea precisa o perché non vuole essere trascinata in una mega-baruffa dai roboanti toni apocalittici e politicisti: tutta la discussione sul dopo-referendum effettivamente risulta stucchevole per tanti cittadini normali, ai non avvezzi al chiacchiericcio del Transatlantico.

    E infatti – astutamente – Travaglio e D’Alema che pure si battono per la sconfitta della riforma e di Renzi contemporaneamente auspicano che il premier resti al suo posto, ancorché indebolito (anzi, proprio per questo), in una capriola politicista che cerca di salvare capra e cavoli.

    Che la gente sia preoccupata, non c’è dubbio: ma è tutto da vedere se quest’ansia fungerà da benzina oppure da freno per chi vuole buttare le carte per aria. La partita è pertanto apertissima ma l’impressione, giorno dopo giorno, è che le potenzialità del Sì sono ancora lontane dall’essersi espresse. Sta a suoi sostenitori lavorare per scongelare le idee degli indecisi, perché è lì che si trova la chiave del referendum del 4 dicembre. Senza bisogno di alzare i decibel, quello lo fanno gli altri.

 

Vai al sito dell’Unità

       

       

SPIGOLATURE 

 

Non “tregua”. 

Né “umanitaria”

 

di Renzo Balmelli 

 

IMPOSTURA. Si spezza il cuore al pensiero che nel sedicesimo anno del nuovo millennio, tenuto a battesimo in un tripudio di bollicine ben auguranti, ci diano da bere l'ipocrita impostura della "tregua umanita­ria" per mascherare il massacro di Aleppo. Meglio di niente, verrebbe da dire. Ma non è così e lo sappiamo. La sospensione delle ostilità, se mai verrà rispettata, servirà solo a fare rifiatare i generali più che a ri­sollevare le sorti della popolazione, ormai allo stremo. Rifatta la stra­te­gia a tavolino, le ostilità riprenderanno e gli scontri costringeranno al­tre migliaia di persone a fuggire dalle proprie case per incamminarsi verso l'ignoto sbattendo contro il muro dell'indifferenza.

 

LACRIME. Ha fatto il giro del mondo il pianto della bimba di Aleppo scampata al bombardamento della sua casa. "Non hai niente cara" le diceva il soccorritore per rincuorarla. Di fuori forse no, ma dentro, nel profondo dell'animo e nella mente di quella ragazzina tremante di paura qualcosa si è spezzato per sempre. Quel trauma atroce che segna il fallimento dell'umanità le ha rubato l'infanzia e il futuro. E chissà se un domani tornerà un sorriso su quel volto disfatto e un lampo di speranza si accenderà nei suoi occhi terrorizzati che fissavano il vuoto. Chi ha voluto il macello si ravveda, altrimenti qui non ci saranno più lacrime per piangere e morti da seppellire

 

LOTTE. Non è certo per caso che l'Isis esiste, ma per la somma di vari fattori concomitanti e per il risentimento che covava sotto la brace permettendo al terrorismo fondamentalista di trovare in quella regione un brodo di coltura ideale. La sua ascesa è stata inoltre favorita dalla somma di gravi errori di valutazione di cui nessuno può proclamarsi innocente. Ora pare che il Califfato sia sotto assedio e si trovi in gravi difficoltà a Mosul e nei territori conquistati. Ma il tempo non è ancora maturo. Per portare un minimo di stabilità nel Medio oriente occorre un immenso lavoro diplomatico che consenta di rimuovere per sempre i danni causati dalle lotte selvagge per il potere.

 

TENEBRE. Sembrava fosse stata definitivamente sepolta nel mare di Malta. Invece 26 anni dopo l'ultimo vertice sovieto-americano, che doveva dare inizio alla pace-calda, ecco che la guerra fredda torna prepotentemente a galla come se il conflitto est-ovest non fosse mai stato archiviato. Tra dispiegamenti Nato nell'aerea del Baltico, aggressive manovre militari russe a ridosso del Mediterraneo e toni aspri, la tensione tra l'Alleanza atlantica e il Cremlino non è mai stata così alta dalla caduta del Muro e dalla liquidazione del Patto di Varsavia. A volte sembra di essere tornati ai tempi della crisi di Cuba, quando era acuto il pericolo di ricadere nelle tenebre.

 

 HORROR. Immaginiamoci questo scenario. Trump vince e diventa presidente. Hofer conquista Vienna. In Germania l'estrema destra compie balzi da gigante. In Italia e Francia, complici le divisioni della sinistra, festeggiano la Lega e il Fronte nazionale. In sottofondo populisti, nazionalisti e xenofobi di ogni risma e di ogni Paese esulta­no. Sembra un incubo pronto ad andare in scena nel teatro dell'impos­si­bile e che invece, senza una riscossa dei valori etici ereditati dall'il­lu­minismo, rientra nel novero delle possibilità a breve scadenza. Nessun maestro del genere horror avrebbe mai concepito un tale copione che potrebbe essere il film di una fiction più vera di una storia vera.

 

CREMA. Fuori dal Regno Unito il sapore della "Marmite", sorta di crema da spalmare sul pane, può risultare piuttosto insolito. I sudditi di Sua Maestà ne vanno invece pazzi e sono in ansia in quanto pare che tra le tante ricadute della Brexit vi sia anche il rischio di vedere sparire dalla tavola questa loro "prelibatezza". Se per Theresa May "Brexit means Brexit", "Brexit significa Brexit", senza se e senza ma, sarà curioso capire come la premier riuscirà a rendere meno indigesto un boccone che può risultare amaro pure agli euroscettici. Anche in questo campo, in apparenza minore, la Gran Bretagna tende a rinchiudersi su se stessa rinnegando la propria tradizione.

 

VIZIO. Se un merito si può attribuire a Trump, ovviamente – scusate il bisticcio – non per merito, ma solo per demerito suo, è di avere richiamato l'attenzione sul fenomeno del sessismo che non rimane circoscritto alle bravate del candidato repubblicano. Machismo e atteggiamenti indecorosi nei confronti della donna se non proprio la regola sono comunque manifestazioni presenti un po' ovunque nella società, nel mondo del lavoro e in politica con gradazioni di intensità variabile, ma sempre imperdonabili. Intanto le gesta dello sfidante di Hillary Clinton investono i media europei e portano alla (ri)scoperta di un vizio che nel recente passato per le ben note vicende ha offuscato l 'immagine dell'Italia. 

 

IDEALISTA. Ancora non si era spenta l'eco del suo ultimo ricevimento in veste di Presidente offerto da Obama a Renzi, tra l'altro all'origine di svariati mal di pancia tra gli assenti, è già ci si chiedeva come sarà la Casa Bianca dopo il 4 novembre. Sebbene sia ancora presto per tracciare un bilancio degli otto anni trascorsi dal primo leader di colore nell'Ufficio ovale, si ha come la sensazione che l'opinione pubblica non faziosa cominci già adesso a rimpiangerlo. Se il famoso "Yes we can" non ha dato tutti frutti sperati, resta di lui il segno di un idealista convinto, dell'uomo del dialogo, di una persona moralmente integra e di un mandato senza scandali. Di questi tempi dite se è poco.

 

     

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Caporalato,

una legge di civiltà

 

La Camera ha approvato in via definitiva il ddl. “Finalmente una norma buona e giusta", commenta il segretario Cgil Susanna Camusso. Tra le novità: pene più severe, responsabilità delle imprese, indennizzi, confisca dei beni, accoglienza per gli stagional

 

Via libera definitivo della Camera al disegno di legge sul contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo, il cosiddetto ddl caporalato. I voti a favore sono stati 336, nessun contrario, gli astenuti sono stati 25 (Forza Italia e Lega). Inasprimento degli strumenti penali, indennizzi per le vittime, rafforzamento della rete del lavoro agricolo di qualità e un piano di interventi per l'accoglienza dei lavoratori agricoli stagionali: sono queste le principali novità contenute nella legge.  SCHEDA: ecco cosa cambia 

    “Finalmente una legge buona e giusta che ci aiuterà nella difesa dei lavoratori italiani e stranieri sfruttati da imprenditori privi di scrupoli, da caporali che lucrano sulla loro povertà e sul loro bisogno di lavoro, dalla criminalità organizzata”. Così il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. “Una legge – aggiunge – fortemente voluta dalla Cgil, conquistata a prezzo di dure battaglie, di morti e di centinaia se non migliaia di uomini ridotti in condizioni di vera e propria schiavitù”. Dunque “ringraziamo il Parlamento – conclude il segretario della Cgil – per il lavoro svolto in Aula e nelle Commissioni di Camera e Senato che, con grande impegno, hanno elaborato, discusso e portato al voto un'ottima legge”.

    Con l'intervento normativo si stabiliscono nuovi strumenti penali per la lotta al caporalato come la confisca dei beni (come avviene con le organizzazioni criminali mafiose), l'arresto in flagranza, l'estensione della responsabilità degli enti. In Senato è stato introdotto l'allargamento del reato anche attraverso l'eliminazione della violenza come elemento necessario e che rendeva più complessa l'applicazione effettiva della norma. La nuova legge prevede anche la responsabilità del datore di lavoro, il controllo giudiziario sull'azienda che consentirà di non interrompere l'attività agricola e la semplificazione degli indici di sfruttamento.

    Per la prima volta si decide di estendere le finalità del Fondo anti-tratta anche alle vittime del delitto di caporalato, considerata l' omogeneità dell'offesa e la frequenza dei casi registrati in cui la vittima di tratta è anche vittima di sfruttamento del lavoro. Viene rafforzata la operatività della Rete del lavoro agricolo di qualità, creata nel 2014 con il provvedimento Campolibero e attiva dal 1 settembre 2015.

    Con la nuova legge, infine, le amministrazioni statali saranno direttamente coinvolte nella vigilanza e nella tutela delle condizioni di lavoro nel settore agricolo, attraverso un piano congiunto di interventi per l'accoglienza di tutti i lavoratori impegnati nelle attività stagionali di raccolta dei prodotti agricoli. L'obiettivo è tutelare la sicurezza e la dignità dei lavoratori ed evitare lo sfruttamento ulteriore della manodopera anche straniera. Il piano presentato dai ministeri del Lavoro e delle Politiche sociali, delle Politiche agricole alimentari e forestali e dell'Interno sarà stabilito con il coinvolgimento delle Regioni, delle province autonome e delle amministrazioni locali, nonché delle organizzazioni di terzo settore.

    

        

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

JOBS (RE)ACT

 

L'effetto Jobs act sull'occupazione è finito. L'abolizione del­l'articolo 18 ha portato un aumento dei licenziamenti per giusta causa. Con il taglio della decontribuzione le assunzioni a tempo indeterminato sono crollate del 32,9%. Barbagallo (UIL): «I dati Inps confermano le nostre preoc­cu­pazioni».

 

di Liberato Ricciardi

 

Arriva l’altra faccia della medaglia del Jobs Act, dopo la forte crescita del 2015 trainata dagli sgravi, nel 2016 le assunzioni segnano il passo, con una forte impennata sia sulla disoccupazione che sul precariato. Non solo, ma eliminato di fatto l’articolo 18 e finiti gli incentivi per la creazione di nuovi posti di lavoro, il trend è tutto tranne che positivo, e ad attestarlo è l’Osservatorio sul precariato dell’Inps: -8,5% di assunzioni e +31% di licenziamenti rispetto ai primi otto mesi del 2015. Arrivano al 28% in più, inoltre, i licenziamenti disciplinari, quelli che il Jobs Act ha reso a tutti gli effetti più facili da portare a termine per le aziende.

    Secondo i dati dell’Osservatorio Inps, in particolare crollano le assunzioni a tempo indeterminato, mentre invece l’abolizione dell’articolo 18 contenuta nel Jobs Act ha fatto impennare il numero dei licenziamenti. In altre parole, come pure avevano ammonito molti economisti e i critici della riforma del lavoro Renzi, non appena è venuta meno in modo significativo la convenienza ad assumere, il numero delle conversioni di contratti più precari e delle assunzioni “nuove” si sta riducendo sempre più rispetto al boom del 2015, “drogato” dagli incentivi più generosi. Le imprese cominciano gradualmente a usufruire sempre più della nuova libertà garantita dal Jobs Act di liberarsi del personale. Per adesso si tratta di numeri modesti, ma il ritmo di crescita è notevole.

    Complessivamente le assunzioni di datori di lavoro privati, nel periodo gennaio-agosto 2016, sono risultate 3.782.000, con una riduzione di 351.000 unità rispetto al corrispondente periodo del 2015 (-8,5%). Nel complesso delle assunzioni sono comprese anche le assunzioni stagionali (447.000). Il rallentamento delle assunzioni ha riguardato principalmente i contratti a tempo indeterminato: -395.000 unità, pari a -32,9% rispetto ai primi otto mesi del 2015.

     “Il calo – spiega l’Inps – va considerato in relazione al forte incremento delle assunzioni a tempo indeterminato registrato nel 2015, anno in cui dette assunzioni potevano beneficiare dell’abbattimento integrale dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per un periodo di tre anni”. Analoghe considerazioni possono essere sviluppate per la contrazione del flusso di trasformazioni a tempo indeterminato (-35,4%). Per i contratti a tempo determinato, nei primi otto mesi del 2016, si registrano 2.385.000 assunzioni, in aumento sia sul 2015 (+2,5%), sia sul 2014 (+5,5%). Per i contratti in apprendistato si osserva una crescita del 18% rispetto allo stesso periodo del 2015 mentre i contratti stagionali calano del 7,4%.

    La maggior flessibilità avrebbe dovuto dare al mercato quella spinta necessaria a ripartire, ma a un anno e mezzo dall’entrata in vigore del Jobs Act, però, l’occupazione ancora latita con un tasso di senza lavoro fermo all’11,4%. L’Inps conferma quindi la dinamica emersa dalle rilevazioni statistiche dell’Istat e mostra, a fine agosto, un quadro a tinte fosche. Mentre continua a crescere senza sosta il ricorso ai voucher – la stretta del governo è arrivata solo a settembre – rallentano le assunzioni a tempo indeterminato e in generale i nuovi contratti.

    A preoccupare gli addetti ai lavori è soprattutto il trend delle assunzioni a tempo indeterminato: ad agosto sono state solo il 24,9% dei nuovi rapporti di lavoro, il dato mensile più basso dell’ultimo biennio. Insomma, la cura Renzi inizia a scricchiolare, soprattutto in considerazione di un tasso di disoccupazione che resta stabile all’11,4%. L’altra faccia della medaglia non è per nulla rassicurante: nonostante le buone intenzioni, infatti, a fronte di un’occupazione che non riparte, non calano neppure dimissioni e licenziamenti.

    Per coloro che sono stati assunti con il contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs act a partire dal marzo 2015, sono cambiate le sanzio­ni in caso di licenziamento ingiusto, con la sostanziale cancellazione del­l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e quindi con l’impossibilità del­la reintegra nel posto di lavoro. Cresce in modo preoccupante anche il pre­cariato e il riscontro è dato dal continuo aumento dei Voucher: tra gen­naio e agosto di quest’anno sono stati venduti 96,6 milioni di vou­cher destinati al pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio, del valore nominale di 10 euro, con un incremento, rispetto ai primi otto mesi del 2015, pari al 35,9%. Nei primi otto mesi del 2015, la crescita dell’utilizzo dei voucher, rispetto al 2014, era stata pari al 71,3%. I buoni sono stati sperimentati dall’agosto del 2008, in particolare per i lavoratori delle vendemmie. Da allora al 30 giugno 2016 ne sono stati saccati 347,2 milioni. Il voucher si è rapidamente diffuso e ha accelerato negli ultimi anni: “Ha registrato un tasso di crescita del 66%” tra il 2014 e il 2015, cui va aggiunto un ulteriore +40% tra i primi sei mesi del 2015 e i primi sei mesi del 2016, annota oggi l’Inps.

    I dati dell’Inps sull’occupazione nei primi otto mesi del 2016 “con­fer­mano le preoccupazioni” della Uil sullo scarso impatto sulla crescita del Jobs act e della decontribuzione. Lo afferma il segretario generale del sindacato, Carmelo Barbagallo. “Purtroppo, i dati Inps di oggi – di­ce – confermano le preoccupazioni che avevamo espresso sui rischi che il Jobs act determinasse solo un riciclaggio di posti di lavoro. Tutto poi tende a complicarsi ulteriormente a causa della successiva riduzio­ne degli incentivi e del diffuso ricorso ai voucher. Ci dispiace sot­toli­near­lo, ma avevamo previsto anche un incremento dei licenzia­men­ti, cosiddetti, “per giusta causa”: siamo stati facili profeti. Adesso, il Go­ver­no e anche noi abbiamo un ulteriore problema sociale: dovre­mo ge­sti­re questi lavoratori licenziati in più proprio a causa della ri­du­zio­ne delle tutele generata, di fatto, dal Jobs act. Qual è la soluzione per que­ste altre diecimila persone che, ora, si ritrovano senza occupazione?”.

 

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Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

Mercati e

società civile

 

di Luigi Covatta

 

Alla fine del 1989, quando venne aperto il muro di Berlino, in molti ci cimentammo sulla probabile riconversione dell’industria bellica. Io, che allora stavo al ministero dei Beni culturali, scrissi anche qualcosa sul possibile uso dei sistemi di puntamento e di altre diavolerie della “guerra elettronica” nelle ricerche archeologiche.

    Ora, sulla Stampa di ieri (16.10.2016, ndr), Domenico Quirico ci informa invece dell’uso di reperti archeologici per l’approvvigiona­men­to di armi da parte dell’Isis.

    Allora c’era chi predicava “la fine della storia”: e c’erano soprattutto lettori frettolosi di Fukuyama che predicavano (e praticavano) la fine della politica. Dopo la guerra fredda ci sarebbe stato spazio solo per la società civile e per il mercato, mentre l’ordine internazionale si sarebbe riassestato di seguito, come l’Intendenza napoleonica. Non c’è quindi da stupirsi se, dopo un quarto di secolo, un’espressione della società civile, come indubbiamente è la ‘ndrangheta, riesca a movimentare contestualmente sia il mercato dell’arte che quello delle armi.

       

            

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

    

Dalla Fondazione Rosselli di Firenze

http://www.rosselli.org/

 

Valdo Spini e

Ariane Landuyt

 

Allo Spazio QCR,

via degli Alfani 101r, Firenze

 

Mercoledì 26 ottobre 2016, ore 17

 

Giuseppe Garibaldi,

di Gian Biagio Furiozzi

 

intervengono: Alessandra Campagnano,

Bruno Becchi, Francesco Ghidetti, Valdo Spini

 

http://circolorosselli.it/20161026_Garibaldi.pdf

 

 

Giovedì 3 novembre 2016, ore 17

 

Dodici passi nella storia.

Le tappe dell'emancipazione femminile

a cura di Lidia Pupilli e Marco Severini

 

intervengono: Costanza Geddes, Fabio Bertini,

Alessandra Campagnano, Ariane Landuyt

 

http://circolorosselli.it/20161103_Severini.pdf

      

        

STATI GENERALI

LINGUA ITALIANA

 

Il portale della lingua italiana nel

mondo: https://www.linguaitaliana.esteri.it/

 

FIRENZE - Nel corso dei lavori della seconda edizione degli Stati generali della Lingua italiana avviata stamani a Firenze, il direttore generale per la Promozione del Sistema Paese del Maeci, Vincenzo De Luca, ha lanciato e illustrato il nuovo Portale della lingua italiana nel mondo che raccoglie tutti i dati dell'offerta linguistica presente all'estero. Il portale è frutto di un'idea emersa nel corso della prima edizione degli Stati generali per una visione aggiornata dei dati sulla diffusione della nostra lingua.

    "Il tema di questa edizione è stato scelto per indicare come l'italiano sia lingua viva - afferma De Luca, rilevando come i dati riportati nel portale testimonino proprio "la forza e la capacità attrattiva che l'italiano e la nostra cultura esprimono". In esso il numero degli studenti di italiano nel mondo viene quantificato in 2.223.000 in 116 paesi, "una tendenza in crescita - rileva De Luca - che non possiamo non cogliere". Tra le sezioni segnalate, un "osservatorio" sulla lingua "animato da tutti i soggetti che si occupano dell'insegnamento dell'italiano attraverso cui è possibile consultare e conoscere i numeri e le diverse realtà ad esso afferenti - precisa il direttore generale, citando per esempio le oltre 400 cattedre di italianistica presenti negli Stati Uniti. (Vincenzo De Luca / Inform)

 

            

LETTERA dal Friuli

 

Riforme (e politici) di ieri ...

 

Più o meno quarant'anni fa Giorgio Gaber cantava: “libertà è partecipazione”. Se il 4 dicembre passeranno le “riforme” di

Renzi corriamo il rischio di essere tutti meno liberi.

 

Lo scorso 17 aprile, in occasione del referendum sulle “trivelle”, uno dei miei nipoti, fresco diciottenne, è andato per la prima volta a votare. Lo ha fatto - immagino non senza provare un po' di emozione - dopo essersi documentato e confrontato sull'argomento, convinto della sua scelta e, nello stesso tempo, negativamente sorpreso e infastidito per l'invito esplicito a disertare le urne e ad andarsene a fare una gita rivolto in quei giorni agli italiani e a migliaia di giovani come lui dal Presidente del Consiglio e da tutti i suoi ministri, con la complice “benedizione” dell'ex Presidente della Repubblica Napolitano.

    Soddisfatto del comportamento di questo ragazzo, gli ho spiegato con un certo orgoglio che se aveva potuto avere quella opportunità ed esercitare un fondamentale diritto democratico lo doveva anche a suo nonno, mio padre, il senatore socialista Bruno Lepre, primo firmatario della proposta di legge che, approvata nel febbraio del 1975, abbassò la maggiore età da ventuno a diciotto anni. Grazie a quel provvedimento, non privo di altre positive implicazioni, tre milioni e mezzo di giovani poterono andare a votare per la prima volta, contribuendo in modo determinante al successo elettorale dei partiti di sinistra nelle elezioni amministrative di quell'anno, che portò alla conquista di numerose regioni e grandi città.

    Fu una piccola, grande “riforma” elettorale. Piccola per la semplicità e la chiarezza del suo contenuto, che, grazie all'intuito del proponente, non richiese l'iter lungo, complesso e non privo di insidie previsto attraverso un ritocco della Costituzione; grande per la portata e le sue conseguenze concrete.

    Dopo il terremoto del 1976, mio padre contribuì a quello che viene felicemente ricordato come “modello friulano”, impegnandosi, assieme agli altri parlamentari della regione, nella stesura e approvazione di provvedimenti che garantissero non solo la “ricostruzione”, ma anche la “rinascita e lo sviluppo” dei territori colpiti. Le difficoltà e i gravi problemi di quegli anni, non paragonabili agli attuali, furono superati non attraverso la concentrazione del potere nell'esecutivo, ma con il coinvolgimento diretto della Regione e dei Comuni e con il controllo e la partecipazione popolare.

    Non posso dire con certezza se oggi mio padre, che ci ha lasciato nel settembre di dieci anni fa, sarebbe favorevole o meno all'eliminazione del “bicameralismo perfetto” e all'approvazione di alcune leggi che vengono presentate come necessarie semplificazioni del sistema politico. Non ho però difficoltà ad immaginare che sorriderebbe con me e scuoterebbe perplesso la testa vedendo in televisione una giovane Ministra nascondere la propria impreparazione rispondendo ai rilievi dell'intervistatore con una serie interminabile di “ovviamente...”. So poi che era particolarmente fiero di essere il “senatore della Carnia” e di rappresentare un piccolo territorio montano poco popolato. So che i suoi voti di preferenza se li è conquistati uno ad uno, grazie alla stima di cui godeva e che rimase molto male quando fu “rottamato” dai compagni di partito più vicini al segretario nazionale. La sua “riforma”, comunque, andava in una direzione completamente opposta ai provvedimenti che oggi rischiano di togliere ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti e la voglia stessa di esprimere il voto.

    Più o meno quarant'anni fa, in un brano che forse anche mio nipote conosce, Giorgio Gaber cantava: “libertà è partecipazione”. Se il 4 dicembre passeranno le “riforme” di Renzi corriamo davvero il rischio di essere tutti meno liberi.

   

Marco Lepre, Tolmezzo (UD)

        

        

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

     

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