[Diritti] ADL 161201 - I bravi ragazzi



L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

La più antica testata della sinistra italiana, www.avvenirelavoratori.eu

Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero fondata nel 1894

Sede: Società Cooperativa Italiana - Casella 8965 - CH 8036 Zurigo

Direttore: Andrea Ermano

 

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e-Settimanale - inviato oggi a 45964 utenti – Zurigo, 1 dicembre 2016

  

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IPSE DIXIT

 

I "bravi ragazzi" e il gioco sul voto - «Per quei "bravi ragazzi" degli hedge fund e delle grandi banche d'inve­sti­mento… nessun evento è ne­gativo o positivo in sé. L'essenziale è che, attorno a ogni grande av­ve­ni­mento (finanziario ma anche politico), si possa costruire un evento di ri­lievo globale per… il trading speculativo». – Alessan­dro Graziani

 

Lui piace - «Lui piace a certi poteri. Purché, nel fare il simpatico, porti avanti la distruzione della democrazia. Un sindaco che improvvisa­men­te diventa premier senza neanche essere eletto, qualcuno che lo appoggia deve averlo... Dalle asserzioni di soggetti come Jp Morgan riguardo alle costituzioni mediterranee emerge il disegno di liquidare l'Europa "socialdemocratica" intesa come stile di vita.» - Amalia Si­gnorelli

 

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Il “governo tecnico” di Renzi - «Se vince il No, il "governo tecnico" di Renzi può tranquillamente andare avanti. Ha più di un anno per correggere la rotta. Lo chiamo “governo tecnico” tra virgolette perché nessuno ha mai votato la sua maggioranza… Ho visto un "di più" nella campagna del Sì che mi è andato di traverso: l'allarmismo, il promet­tere qualsiasi mancia, addirittura l'inno alle clientele… Se vince il Sì, temo che si vada subito alle urne, con l'Italicum in vigore. La strada delle elezioni prenderebbe velocità e porterebbe a un cambio della forma di governo sbagliato e pericoloso. Nascerebbe un governo del capo proprio nel momento in cui il mondo si riempie di capi proble­matici» - Pier Luigi Bersani

 

Si toglierebbe al Parlamento la decisione sullo "stato di guerra". – «Oggi in campo internazionale siamo ad un livello di guerra fredda molto vicino alla guerra calda tra blocchi contrapposti, come nel 1946, in Europa, in Asia e quindi in tutto il mondo. Gli equilibri stanno cambiando rapidamente e in modo pressoché incon­trollato. Gli stessi Stati Uniti non sanno dove andare e domani forse scopriranno di non voler e non poter andare da nessuna parte… Come uomo, soldato e cittadino con oltre 46 anni di servizio nell’ambito di una istituzione fondamentale come le Forze Armate, deputate alla difesa della Patria, anche in guerra, non posso condivide­re una riforma che sottrae al Parlamento la decisione sulla più dram­matica evenienza di uno Stato: la dichiarazione di guerra. La norma proposta indica infatti nel Governo, attraverso la sua ovvia e artificiosa maggioranza monocamerale, il responsabile di tale decisione.» - Fabio Mini

 

Le poche mani di domani - «Tra il '46 e il '48 c'erano i postumi d'una guerra civile, ma la Costituzione fu lo strumento della concordia nazionale. Oggi, al contrario, la riforma divide. Siamo in balia di apprendisti stregoni che ignorano quanto la materia sia incande­scente… È stata approvata da un Parlamento eletto con una legge incostituzionale. Fatto senza precedenti... L'articolo 1 dice che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Ebbene, questo Parlamento non è stato eletto secondo le forme ammesse dalla Costituzione. C'è stata un'usurpazione della sovranità popolare… Se vince il Sì non si apre la strada a una dittatura, ma alla riduzione della democrazia e all'accentramento del potere in poche mani. Non possiamo tuttavia sapere, oggi, quali saranno le "poche mani" di domani». – Gustavo Zagrebelsky

 

   

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    L'AVVENIRE DEI LAVORATORI contribuisce da oltre 115 anni a tenere vivo l'uso della nostra lingua presso le comunità italiane nel mondo tra quelle persone che si sentono partecipi degli ideali socialisti-democratici di Giustizia e Libertà.

    

  

PERCHÉ NO

 

Salviamo la Presidenza

della Repubblica !

 

Se passa la revisione Renzi-Boschi, ci possiamo scordare gli appelli al Capo dello Stato affinché intervenga a tutela della Costituzione.

 

di Felice Besostri

 

Da quando con leggi elettorali maggioritarie si sono create nel Parla­men­to italiano maggioranze artificiali e raccogliticce, non vi è stata più la rap­presentanza dei cittadini e neppure della Nazione, come richie­deva l’art. 67 Cost. Vi è stata solo la subordinazione dei parlamentari alle oligarchie dei partiti, nei migliori dei casi, o a un capo-padrone negli altri casi.

    Dovevi ubbidienza a chi poteva candidarti nel collegio uninominale sicuro o al primo posto nel listino bloccato di recupero proporzionale con il Mattarellum (ma almeno restava un giudizio degli elettori del collegio) ovvero a chi ti collocava in posizione utile in liste bloccate regionali o, in pochi casi, provinciali con il Porcellum.

    Per giudizio praticamente unanime la qualità media dei parlamentari si è abbassata, perché il criterio della fedeltà era quello prevalente. Non parliamo della moralità: c’è stata una compravendita di senatori acclarata giudizialmente con l’autore salvato dalla solita prescrizione. In questo ultimo parlamento, il cambio di casacca, con passaggio dall’opposizione all’area governativa (il contrario è più raro) ha riguardato 146 deputati su 630 con 205 passaggi, mentre al Senato ben 117 senatori su 315 elettivi con 175 spostamenti: qualcuno ha fatto più di un cambio di gruppo parlamentare. Dovremmo togliere all’epoca di Agostino De Pretis l’etichetta del trasformismo o, quantomeno, non ritenerla una caratteristica esclusiva.

 

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Felice Besostri, protagonista delle battaglie

democratiche contro l'Italicum e il Porcellum

 

Certamente certe inclinazioni individuali al compromesso per interessi personali ha giocato un ruolo in questo degrado della politica, ma quan­do tale inclinazione è favorita dalle leggi elettorali, viene meno ogni pudore. E persino l'ipocrisia, tributo del vizio alla virtù, viene abbandonata.

    Se bisogna essere fedeli a un capo, cui si deve la nomina a deputato o senatore, quando gli interessi non coincidono, occorre trovarne un altro, che garantisca la rielezione. Ciò è puntualmente avvenuto per i passaggi del 2008 nelle successive elezioni del 2013. Non farò i nomi, e men che meno i nomi dei soliti due, perché il fenomeno è stato ben più ampio.

    Ovviamente, non il solo sistema elettorale è responsabile di tutto ciò, ma anche l’allentamento dei vincoli ideologici, che sarebbe meglio chia­mare di sentimento di appartenenza ad una comunità di valori. Non era tutto oro la militanza fideistica, la disciplina di partito “a pre­scin­de­re”, ma l’allentamento seguito poi non ha portato a una militanza più consapevole e partecipata: ha portato a un individualismo esasperato, all’interesse personale assunto come metro di giudizio prevalente, quando non esclusivo.

    È vano pensare a società perfette, dove fosse risolto il paradosso del­la democrazia, che presuppone che la maggioranza abbia le virtù che di norma sono di pochi. Ma il rispetto dei valori costituzionali sì: il di­vie­to di mandato imperativo si giustifica soltanto se il/la parlamenta­re cam­bia gruppo nel supremo interesse della Nazione, che ella/egli rap­pre­senta ex art. 67 Cost. e soltanto perché il partito o lista che lo aveva eletto voleva impedirgli di adempiere le funzioni pubbliche “con di­sci­pli­na ed onore”, come impone l’art. 54 Cost. Nessun’altra ragione giu­sti­fica il voltagabbana.

    Come antidoto a questo sprofondamento della rappresentatività nel­l’interesse personale occorre un sistema elettorale dove ogni parla­men­tare possa essere giudicato dai suoi elettori.

    Il voto uguale, libero e personale dell’art. 48 Cost. non è garantito dall’Italicum, che il Presidente della Repubblica ha promulgato con troppa fretta nel maggio 2015, senza ragione alcuna dal momento che prevedeva l’integrale applicazione soltanto a partire dal 1° luglio 2016. Il Presidente della Repubblica, e solo lui, è qui il garante della Costi­tu­zio­ne fino all’approvazione della revisione Renzi-Boschi. Dopodiché Il Presidente della Repubblica sarebbe di fatto sminuito nei suoi poteri di nomina del Presidente del Consiglio pur previsti dal tuttora vigente art. 92 Cost., e sarebbe diminuito anche nel suo potere di sanzione con lo scioglimento la Camera che non osservi il principio di leale col­la­bo­ra­zione degli organi costituzionali.

    Ma il Presidente della Repubblica sarà condizionato dal vincitore del premio di maggioranza alla Camera dei deputati. Il dominus della Came­ra, infatti, grazie all’irrazionale diminuzione dei Senatori a 100, si è di fatto assicurato la maggioranza del Parlamento in seduta comune. Questa maggioranza scenderà dagli attuali 476 ad appena 366, appena 26 voti parlamentari in più dei 340 assicurati dall’Italicum. In realtà la distanza è ancora inferiore se contiamo gli eletti nella circoscrizione estero nonché i consiglieri e sindaci del suo stesso partito nominati “senatori”.

    In questo modo, per la prima volta nella storia della democrazia italiana, un partito solo e il suo capo terranno sotto scacco il Presidente della Repubblica, grazie ad una maggioranza artificiale e drogata da una legge elettorale iper-maggioritaria.

    Di lì in poi non avrà senso elevare appelli al Capo dello Stato perché intervenga a tutela della Costituzione. Siamo noi che – domenica 4 dicembre – dobbiamo accogliere il suo silente appello e liberarlo da questo disegno del Presidente del Consiglio di mettere sotto tutela il Quirinale.

 

P.S.: Ho scritto al premier Renzi quanto segue: Caro Presidente, spero che i cittadini respingano la revisione costituzionale, che chiamare riforma è neolingua orwelliana... Spero in un NO anche per evitare che il Presidente della Repubblica sia posto sotto il controllo di un Presidente del Consiglio che, grazie al premio alla minoranza, impropriamente chiamato “di maggioranza”, andrebbe a controllare anche il Parlamento in seduta comune: la maggioranza assoluta del Parlamento, dopo la revisione, cadrebbe infatti da 476 a 366, molto, troppo vicino a 340 garantiti al vincitore di turno dall’Italicum (più i deputati eletti nella circoscrizione estero, in Val d'Aosta e Trentino-Alto Adige). Con osservanza.

       

 

MIGRAZIONI: DA MARCINELLE  A LAMPEDUSA

 

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Roma - Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”

Sala degli Atti parlamentari - Piazza della Minerva, 38

 

Un paese di Calabria

 

Giovedì 1 dicembre, ore 17:00

 

Proiezione del docufilm:

Un paese di Calabria

(Bo Film, Tita Productions, Marmita Films, Les Productions JMH, 2016, 91’)

 

di Shu Aiello e Catherine Catella

 

Intervengono:

Pietro Grasso, Presidente del Senato

Luigi Manconi, Presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani

Marcello Pittella, Presidente della regione Basilicata

Domenico Lucano, Sindaco di Riace

Shu Aiello e Catherine Catella, Autrici di Un paese di Calabria

 

L'accoglienza degli immigrati a Riace, in Calabria, e l'impegno civile del sindaco Domenico Lucano, per la rivista Fortune tra le 50 persone più influenti al mondo, messa a confronto con il progetto “We are the people” della regione Basilicata, volto a trasformare l’emergenza umanitaria in opportunità di sviluppo per il territorio.

 

Venerdì 2 dicembre, ore 11:00

 

Roma - Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”

Sala degli Atti parlamentari - Piazza della Minerva, 38

 

L’emigrazione

vista dagli italiani

 

Presentazione del volume:

Che cos’è l’emigrazione. Scritti di Paolo Cinanni

a cura dell’Archivio Filef nel centenario dalla nascita dell’Autore.

 

Intervengono:

Francesco Calvanese, Presidente FILEF

Rodolfo Ricci, Coordinatore FILEF nazionale

Giovanni Cinanni, figlio dell’Autore

 

Paolo Cinanni (1916-1988) ha partecipato alla Resistenza e nell'immediato dopoguerra è stato protagonista delle lotte contadine nel Sud, in particolare nella provincia di Cosenza e in Piemonte. Dopo il 1956 si è dedicato all'emigrazione verso Svizzera e Germania fondando, insieme a Carlo Levi, la FILEF.

 

Presentazione del saggio:

Capire Marcinelle. L’industria mineraria in Abruzzo dagli inizi dell’Ottocento al secondo dopoguerra

Textus, 2016

 

Interviene:

Marcello Benegiamo, Autore del saggio

 

Perché tanti abruzzesi si trovavano nella miniera di Bois du Cazier l’8 agosto 1956? Le semplici dinamiche dei processi migratori da sole non bastano a spiegare una presenza di abruzzesi così massiccia, soprattutto se si riflette sul fatto che essi provenivano prevalentemente dall’area della Maiella. Quali furono le premesse che portarono alla partenza di tanti corregionali verso i distretti minerari di tutto il mondo? Molti abruzzesi lavorarono nelle miniere perché già in Abruzzo erano minatori.

   

        

SPIGOLATURE

 

Cuba

dopo Castro

 

di Renzo Balmelli

 

EREDITÀ. Quando scompare un personaggio carismatico e contro­ver­so come Fidel Castro si usa dire che con lui è finita un'epoca. Ci si spinge addirittura più in là per affermare che con il Leader Maximo si è chiuso definitivamente il Novecento. Adesso la prima cosa a cui si pen­sa è come i suoi successori riusciranno a gestire un'eredità storica tanto importante, quanto ingombrante. L'altro interrogativo, non meno cru­ciale, è provare a capire quale sarà la sorte di Cuba senza il Coman­dan­te che ha riscattato un popolo umiliato dalla feroce dittatura di Ba­ti­sta e dalla pedantesca tutela americana. L'isola caraibica, col suo fasci­no immutato, oggi è a un bivio: conservare la sua identità o diventare un rifugio per facoltosi dandy annoiati. Con la svolta alla Casa Bianca e l'ingresso del suo prossimo, edonista, imprevedibile inquilino l'oriz­zonte appare cupo.

 

OPA. Solo i grandi lasciano dietro di sé sentimenti fortemente contrastanti. Fidel Castro, artefice di una storica rivoluzione che ha entusiasmato e diviso, mobilitato e deluso, appartiene a questa categoria sia per i risultati conseguiti in vari campi, dall'istruzione al sistema sanitario considerato tra i più avanzati al mondo, sia per avere lasciato i dissidenti in prigione. Nonostante le evidenti contraddizioni, all'Avana il cordoglio è sincero tra la popolazione, memore della stagione in cui l'Isola era asservita agli Stati Uniti che la consideravano uno zerbino sulla soglia di casa. Il ruolo della CIA nel sostenere il regime militare è uno dei lati oscuri dalla politica americana in una delle regioni più calde del globo dove la crisi causata dall'istallazione dei missili sovietici si risolse per un pelo sull'orlo della guerra nucleare. Ora come ora è difficile valutare quali intenzioni abbia l'amministrazione repubblicana prossima ventura che però non ha mancato di anticipare le proprie riserve all'operato di Obama determinato ad avviare una nuova era nelle relazioni tra i due Paesi. Con l'OPA su Cuba che a quanto pare Trump sarebbe intenzionato a lanciare per rivedere i trattati di buon vicinato, potrebbe aprirsi una ulteriore partita sulla scacchiera caraibica carica di incognite.

 

CONFUSIONE. Ma che succede? Dove vogliono portarci gli impresari del potere? Si parla di una seconda Yalta, ipotesi inquietante come poche. Intanto a Parigi sale l'astro di Fillon, in pole position per l'Eliseo, pragmatico, conservatore nei costumi, liberale in economia, che strizza l'occhio a Mosca e all'elettorato lepenista. In Italia Silvio medita il ritorno dopo il referendum, non si capisce da dove e per dove. Salvini esulta e si capisce ancora meno. In Austria Hofer, favorito dai sondaggi che ultimamente però sono usciti piuttosto screditati, scalpita come un bianco Lipizzano della Scuola spagnola di Vienna. In Olanda furoreggia il partito anti-immigrati e la Gran Bretagna si scopre vieppiù populista. Solo la destra – e non c'è di che stare allegri – sembra in grado di raccogliere il grido di rabbia che sta assordando il mondo. Nella gigantesca confusione della platea internazionale, la sinistra vecchia maniera, quella buona rosso antico, è una N.P., una non pervenuta, alla quale si addice la battuta d Woody Allen: Dio è morto, Marx pure e anch'io non mi sento tanto bene.

 

ASSETTI. Sono in molti a chiedersi, come dicevamo all'inizio, se la preoccupante prospettiva di una nuova Yalta sia destinata davvero a concretizzarsi ed a ridisegnare, come fece la precedente, gli assetti del pianeta. Rispetto al primo vertice in Crimea – oggi tra l'altro teatro di gravi e sintomatiche tensioni stile guerra fredda – sono cambiati i protagonisti e gli scenari. Ma l'idea che gli attuali attori, ossia Putin e Trump, si ispirino ai loro predecessori per spartirsi il mondo in zone d'influenza non è tra le più allettanti. Anzi, mette paura. Sappiamo cosa successe dopo la conferenza del 1945 e quante attese andarono deluse. Ancora non è chiaro che cosa potrebbe scaturire dall'incontro tra il leder americano e quello russo se Washington e Mosca decidessero di giocare la partita da soli, senza fastidiosi intrusi e lasciando in disparte l'Europa di cui oltre tutto non hanno un'altissima considerazione. Sembra insomma di assistere a un nostalgico ritorno di fiamma in cui prevale la tentazione di riesumare dalle catacombe della storia un passato infarcito di pessime ideologie che non si vorrebbe più rivivere e che pesa e condiziona il presente e il futuro. No, così non va.

 

STILLICIDIO. La sera prima del 25 novembre, alla vigilia della giornata indetta in tutto il mondo per dire basta alla violenza contro le donne, la giovane Elisabeth è andata incontro a una fine atroce, così com'è accaduto ad Angela, Giada, Martina e Rossana a loro volta vittime in pochi giorni del tremendo fenomeno noto come femminicidio. Fenomeno che non è il prodotto di una distorsione mediatica, ma l'espressione di una brutale forma di prevaricazione che continua a persistere. Di casi analoghi in Italia ve ne sono stati quasi seicento (599 per la precisione) dal 2012 a oggi. Uno stillicidio pazzesco a opera di mariti, fidanzati, spasimanti. In tutti questi anni – si poteva leggere sul Corriere della Sera – non sono mancati gli appelli e le riflessioni su come cambiare questo brutto racconto al quale manca tuttora la fine. Invano. Purtroppo il paradosso di questa società è che insegna alle donne a difendersi dallo stupro anziché insegnare agli uomini a non stuprare le donne.

   

        

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Pubblico impiego: intesa

tra il governo e i sindacati

 

Firmato l'accordo quadro. Cgil, Fp e Flc "condividono le linee

guida che dovranno sovrintendere l'avvio delle trattative per il rinnovo dei contratti". Il riferimento è 85 euro di aumento medio. Vengono corrette le norme della Brunetta e della Buona scuola

 

Arriva l'accordo quadro tra governo e sindacati sui contratti del pubblico impiego. È la notizia di stasera, diffusa al termine della trattativa no stop aperta dalle 11 a Palazzo Vidoni. Cgil, Cisl e Uil, con le rispettive categorie di settore,  e il governo "hanno condiviso le linee guida che dovranno sovrintendere l’apertura delle trattative per il rinnovo dei contratti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni". Lo scrivono Cgil Nazionale, Fp Cgil e Flc Cgil in un comunicato.

    Dopo sette anni di blocco della contrattazione, dunque, "si interviene correggendo le norme introdotte dalla legge Brunetta e dalla buona scuola che limitavano la contrattazione ridandole ruolo e titolarità. Si ripristina un sistema di relazioni sindacali in tutti i settori basato sulla partecipazione di lavoratori e sindacati all’organizzazione e alle condizioni di lavoro, alla valorizzazione professionale, che supera la pratica degli atti unilaterali".

 

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Barbagallo (Uil), Camusso (Cgil) e Furlan (Cisl) ieri alla firma

del nuovo contratto con la ministra Madia (foto Marco Merlini)

 

 

Inoltre, è "di particolare valore" la garanzia, assunta dal governo, "di rinnovare i contratti dei lavoratori precari assunti dalle pubbliche amministrazioni in scadenza e l’impegno a superare con apposite norme il precariato all’interno della Legge quadro che dovrà essere prossimamente varata. Importante è anche l’introduzione nel settore pubblico di welfare contrattuale con misure che integrano le prestazioni pubbliche".

    Le soluzioni salariali indicate nelle linee guida fanno riferimento a un aumento contrattuale di 85 euro medie mensili per il triennio 2016-2018. "Si è, inoltre, convenuto di trovare una soluzione che tuteli le retribuzioni dei lavoratori garantendo che gli aumenti contrattuali abbiano efficacia per tutti senza che possano incidere sul bonus degli 80 euro".

    Il sindacato prosegue: "Dopo anni di blocco della contrattazione, di promesse mancate, di sacrifici dei lavoratori, si intravvede una concreta possibilità di rinnovare i contratti. Ogni punto dell’intesa prevede uno strumento di attuazione degli impegni assunti: legge di bilancio, atto di indirizzo sulla contrattazione, riscrittura del testo unico che ci consentirà di verificare passo dopo passo se siamo sulla strade per un rinnovo positivo dei contratti".

    Il testo condiviso con il governo "è un primo importante risultato, che premia le mobilitazioni dei lavoratori pubblici di questi anni e, se concretizzato, lascia alle spalle una stagione di legislazione punitiva del lavoro pubblico aprendo la strada alla valorizzazione e contrattua­lizzazione dei dipendenti pubblici", concludono Cgil, Fp e Flc.

   

        

Da Avanti! online

www.avantionline.it/

 

Gianni Pittella candidato alla

guida del Parlamento Europeo

 

di Marilena Selva

 

È l’italiano Gianni Pittella a candidarsi alla presidenza del Parlamento europeo, dopo la decisione del socialista tedesco Martin Schulz di lasciare per tornare a Berlino e sfidare la Merkel. Il gruppo socialista ha appoggiato in maniera compatta la candidatura di Pittella, cosa che non sarebbe successa se Schulz non avesse avesse scelto di candidarsi in Germania, gli stessi tedeschi e i francesi non erano felicissimi della sua rielezione.

    Pittella in realtà ha deciso di proporsi in prima persona soprattutto per provare a impedire che la guida dell’Aula passi ai popolari, portando il Ppe alla guida di tutte e tre le principali istituzioni europee avendo già Jean-Claude Juncker alla Commissione e Donald Tusk nel Consiglio europeo.

    Le ragioni di questa candidatura sono due, ha spiegato Pittella in conferenza stampa a Bruxelles al termine della riunione del gruppo S&D, la prima è che “bisogna preservare un’equa rappresentanza tra le presidenze delle maggiori istituzione europee”. L’equilibrio politico “è essenziale” e “noi non accetteremo mai un monopolio popolare”, ha assicurato l’esponente del Pd secondo cui “il compromesso su cui si è fondata la collaborazione legislativa sinora realizzata” tra popolari e socialisti al Parlamento europeo “è stato rotto e non da noi”. Il garante di questa collaborazione era Martin Schulz, e se un popolare prendesse il suo posto questo compromesso verrebbe a cadere.

 

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La seconda ragione, ha continuato Pittella, “è legata alla piattaforma politica e programmatica”, con “il mondo che sta cambiando, la Brexit in Europa e Trump negli Usa occorre una svolta progressista”, e la sua candidatura è proprio “sostenuta da un programma e da un’agenda progressista”, un programma che chiede “nuove politiche economiche, di archiviare l’austerità, una nuova agenda sociale, un nuovo modello di sviluppo più sostenibile e un sistema che impedisca di evadere ed eludere le tasse in Europa come fanno le grandi multinazionali”.

 

Vai al sito dell’avantionline

       

 

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI - Voci su Wikipedia :

(ADL in italiano) https://it.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_lavoratori

(ADL in inglese) https://en.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(ADL in spagnolo) https://es.wikipedia.org/wiki/L'Avvenire_dei_Lavoratori

(Coopi in italiano) http://it.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in inglese) http://en.wikipedia.org/wiki/Ristorante_Cooperativo

(Coopi in tedesco) http://de.wikipedia.org/wiki/Cooperativa_italiana

   

  

Da l’Unità online

http://www.unita.tv/

 

Sondaggi vietati: ma spunta

il trucco per saperne di più

 

Il divieto di pubblicare sondaggi negli ultimi 15 giorni di

campagna elettorale viene costantemente aggirato usando

degli escamotage su diversi siti.

 

di Francesco Gerace / @FrancescoGerace

 

Com’è noto per le ultime due settimane di campagna elettorale la legge vieta di pubblicare sondaggi. Da quasi due settimane i cittadini sono stati “privati” di uno strumento utile a capire l’umore del Paese, ma nelle ultime occasioni non propriamente efficace (vedi elezioni Usa e Brexit). Molti cittadini, specie nell’era dei social network, si impe­gna­no molto a sottolineare acriticamente una qualsiasi variazione percen­tua­le iniziando così lunghi dibattiti tra i sostenitori dell’una o dell’altra posizione.

    Il divieto, però, viene raggirato. Infatti le società continuano a ese­gui­re i sondaggi – nessuna legge lo vieta – e alcuni siti usando degli escamotage pubblicano comunque le rilevazioni aggiornate giorno per giorno.

    E’ il caso del sito The Right Nation che ormai da parecchie tornate elettorali maschera i sondaggi sotto la voce corse di cavalli clandestine. Un trucchetto simpatico, su cui i curatori del sito costruiscono un racconto prima di dare i “tempi di gara” (i dati dei sondaggi).

    Ad esempio in una delle ultime “corse di cavalli” all’Ippodromo du Deuxième Doigt il cavallo Assemblage Hétéroclite è dato in testa con 52,4″, contro il 47,6″ di Truie Blessée. Un risultato sul filo di lana che si deciderà solo sull’ultimo rettilineo.

    The Right Nation non l’unico sito dove è possibile trovare i dati dei sondaggi, infatti operazione simile, usando la compravendita di automobili, è fatta dal sito scenaripolitici.com. Un servizio per tutti coloro che non riescono a trattenere la curiosità sull’andamento della campagna elettorale.

    Anche nel mercato delle auto qualcosa si muove: infatti gli analisti di Nandocar danno “New board” (46,5) in netto recupero su “Original board” (53,5) seppur ancora distanziata.

 

Vai al sito dell’Unità

       

            

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Facebook si espande in Cina.

Censurandosi

 

Le multinazionali non ci hanno mai abituato a comportamenti dalla spiccata moralità, anche considerando che il loro fine ultimo è pur sempre quello di mantenersi sempre al top nel mercato mondiale.

 

di Federico Marcangeli

 

Facebook non è mai stata da meno, rispetto alle altre multinazionali, essendo spesso oggetto di critiche per alcuni comportamenti non troppo trasparenti. Ad esempio la censura di alcuni contenuti in Turchia, Russia e Pakistan.

    Nonostante ciò, l’azienda ha sempre cercato di “darsi un tono” con campagne di sensibilizzazione verso alcuni temi di rilevanza globale: la violenza sulle donne, i diritti degli omosessuali e molto altro.

    Evidentemente però la libertà di espressione ed il contrasto ai regimi autoritari non rientrano nelle battaglie del colosso Social che, secondo il New York Times, starebbe sviluppando un sistema di censura per poter entrare nel mercato Cinese.

    Per chi non lo sapesse, in Cina vige l’assoluto divieto di utilizzo di moltissimi siti internazionali: da Google a Twitter, passando dallo stesso Facebook. Infatti, attraverso un complesso sistema di firewall chiamato “Golden Shield Project” (il "Progetto Scudo dorato”), il regime di Pechino censura tutte le informazioni e le notizie non allineate. Ovviamente i social network sono tra i principali strumenti di comunicazione globale e per questo vengono fortemente osteggiati. L’unico modo per utilizzarli “sottobanco” è sfruttando delle connessioni VPN (reti private criptate create ad hoc, il cui accesso è regolato attraverso un sistema di credenziali) non molto affidabili e, soprattutto, con il rischio di essere perseguiti dal Ministero della Pubblica Sicurezza Cinese.

    Per Facebook l’assenza da questo mercato equivale ad una perdita potenziale di milioni di dollari e per questo i dirigenti cercano da tempo un accordo con i vertici del Partito Comunista.

    L’ultima idea del colosso sarebbe quella di sviluppare un software di censura interno al Social, in grado di individuare e bloccare tutti i contenuti “inopportuni”. Molto semplicemente, ogni utente cinese verrebbe monitorato in tempo reale e verrebbero oscurati tutti i post non allineati con gli indirizzi indicati dal Governo Cinese. Per contenere le reazioni sdegnate di tutto il web, Facebook aveva in piano di sviluppare il programma dal punto di vista tecnico, lasciando poi la gestione ad un’altra azienda (cinese) e quindi non rientrando direttamente nel sistema di censura (ok la censura, ma preserviamo almeno l’immagine). Nel disegno non erano però previste le fughe di notizie che, a quanto dice il NYT, arriverebbero direttamente dall’interno e che hanno smascherato molto presto il progetto.

    Questa scelta aprirebbe a riflessioni molto profonde sulla libertà e sull’incidenza che i social hanno nel mondo. E’ giusto fare affidamento in modo così massiccio su uno strumento che, da un giorno all’altro, potrebbe censurare i nostri contenuti e le nostre vite online? La domanda è certamente complessa, ma prima o poi bisognerà fare i conti con il problema.

       

       

Da CRITICA LIBERALE

riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

La sconfitta dell’Occidente

 

di Paolo Bagnoli

 

L’era Trump è iniziata e il mondo sembra essere afflitto dallo sgomento poiché la vittoria della Clinton era stata data praticamente per scontata. Nessuno, però, dell’esito della sfida come avviene in tutte le elezioni. Quello che, tuttavia, ha colpito di più, sia nelle dichiarazioni prima che in quelle dopo le urne e di questi giorni nei quali Trump sta formando il proprio governo, è il fatto che non si riscontra la percezione nemmeno minima di una verità che dovrebbe essere oramai assodata: vale a dire, che la “mentalità” americana è veramente altro rispetto a quella europea. Non si tratta di una faccenda dei tempi moderni; essa è connaturata agli Stati Uniti fin dalla loro nascita, dalla loro volontà di essere un “nuovo mondo” rispetto a quello preesistente la nascita della federazione. Per sapere di cosa si tratta basterebbe ricordarsi delle pagine che Tocqueville ha dedicato alla democrazia americana; vecchie di quasi due secoli, ma attuali come lo sono tutte le verità della storia.

    Al pari di ogni evento della politica saranno i fatti a dirci cosa farà Trump. La medesima cosa sarebbe stato se avesse vinto la Clinton cui certo non ha giovato essere la moglie di un già presidente. Sicuramente Trump interpreta una destra populista così come la Clinton un centrismo compassionevole. Si può dire: meglio quest’ultimo che il muscolarismo istintuale del primo, ma se Trump ha prevalso vuol dire che il suo messaggio ha parlato ai popoli americani più convincentemente di quello della Clinton; tanto convincentemente che, nonostante corresse praticamente contro il partito che rappresentava e avesse schierati versus i principali organi di informazione statunitensi, egli è riuscito ad aggregare su una ripresa forte di stampo nazionalistico basato sulla supremazia bianca un blocco sociale che spera in un’America più forte e più isolazionista per risolvere i problemi che la affliggono. In altri termini, per quanto possa apparire paradossale, Trump ha venduto un sogno confuso e volgare che ha fatto presa a fronte della debolezza della presidenza Obama e del fatto che la sua avversaria non ha saputo interpretare che il canone dell’America politica e dei tradizionali motivi di interesse che la caratterizzano. Ma anche dietro Trump, prende corpo il riferimento di un universo bancario e finanziario ben agguerrito e talora squalificato.

    Colpisce inoltre il fatto che, da più parti, in America e fuori d’America, si affermi che se invece della Clinton il candidato democratico fosse stato Sanders questi ce l’avrebbe potuta fare. Se davvero fosse stato così l’evento sarebbe stato più dirompente della vittoria di Obama di otto anni orsono quando, con lui, entrò alla Casa Bianca la comunità nera segnando un dato storico di grandissimo significato. Non fosse altro che per questo, Obama ha cambiato la storia del proprio Paese. Figuriamoci cosa avrebbe significato la vittoria di un candidato che si definisce “socialista” – e certo l’America in questo momento ne avrebbe particolarmente bisogno – ma dubitiamo che Sanders ce l’avrebbe potuta fare considerato che l’idea di socialismo è fuori dai canoni storici degli Stati Uniti d’America. In essi vi sono dei socialisti e pure attivi nelle istituzioni, ma non crediamo che il Paese abbia superato l’ostacolo concettuale per cui si possano attuare politiche che si definiscono “socialiste”. Comunque, a Sanders va riconosciuto il merito di una battaglia coraggiosa che è riuscita a far penetrare il “verbo” socialista in larghi strati della popolazione americana. In fondo le opinioni di Sanders sono di buon senso con il pregio della verità. Ci auguriamo che il partito democratico ci rifletta. Messa sotto accusa è la leadership del partito; una vecchia guardia di professionisti della politica, assai autoreferenziale e dedita quasi esclusivamente a ricercare finanziamenti per il partito invece che a cercar di capire il Paese e interpretarlo; dare senso politico ai movimenti che vi si agitano e al disagio dei lavoratori. Insomma, a cercare di promuovere una politica che nasca dal basso. Il j’accuse del senatore del Vermont è preciso: ”Non si può dire a chi lavora o a chi il lavoro lo ha perso, noi siamo dalla vostra parte, mentre si cercano finanziamenti a Wall Street e fra i miliardari. Dobbiamo andare più nei quartieri operai e meno ai cocktail party (…) c’è un partito a cui chiedere, venti o trenta dollari, a milioni di persone che sono pronte a contribuire.” Vediamo ora se questi germi di sinistra attecchiranno in una società che, inevitabilmente, subirà una svolta dal sapore fortemente conservatore anche se Trump non ha lanciato nemmeno uno straccio di programma per cui è difficile capire cosa potrebbe succedere. Certo la presenza nel governo di notori “falchi”, per lo più anche razzisti, è più di un segnale. In un contesto civile così connotato a destra, la strada dei diritti sociali diventerà assai ardua; al limite dell’impraticabile.

    Quello che ci pare assodato è il ritorno dell’isolazionismo anche se un ripristino in senso classico nemmeno gli USA se lo possono permet­te­re. L’avversità di Trump verso gli accordi Nafta con Messico e Ca­nada e Tpp in Asia è notoria e per quanto concerne l’Europa il rapporto sarà principalmente con il Regno Unito. L’Europa, come al solito, tace assorbita com’è dalla questione dei deficit di bilancio! La Russia di Putin ha già cominciato a battere le mani fragorosamente; Trump, infatti, non sembra volerle remare contro sul piano internazionale e, soprattutto, sembra volersi tenere lontano dalla Cina, intessendo una stretta relazione tra Taiwan, Giappone e la Corea del Sud.

    Ci sembra però di scorgere in Trump qualcosa di più profondo e preoccupante; vale a dire, l’affermarsi dello sgretolamento del senso stesso dell’Occidente, ossia del valore storico-politico che unisce l’America e l’Europa. Nella sua visione delle questioni americane e di quelle transatlantiche non sembra albergare l’idea di comunità che è il focus dell’idea stessa di democrazia. In politica interna contano solo i singoli. Il suo populismo altro non è che la somma degli addendi formati da tanti, milioni di singoli cui ha promesso di occuparsi personalmente. Il neo-presidente non seguirà l’idea della democrazia come forma politica di una comunità pluralistica di interessi generali, bensì di un insieme atomizzato senza un valore comune di convivenza condiviso. Populismo, di sicuro, ma ben diverso da quello dei Farage, Le Pen, Salvini e compagnia cantando che oggi si spellano le mani nell’applauso servile al vincitore. È in questa radice che cambia anche la mai sopita tendenza all’isolazionismo degli Stati Uniti di cui la freddezza verso l’Europa è una significante testimonianza. Ecco come si origina la faglia del concetto geo-politico di Occidente.

    A fronte di tante incognite, una certezza c’è: il mondo ha svoltato e non nella direzione giusta. Il futuro, poi, è in grembo di Giove.

 

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Lettera da Cuba

 

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Dopo la morte

di Fidel Castro

 

È estremamente inquietante tutto ciò che ho letto, scritto da amici che vivono negli Stati Uniti, in occasione della morte d Fidel Castro. Che siano contro il sistema cubano, lo posso capire. Ma per favore non offendano più noi, persone che viviamo qui: anche voi siete cubani!

    Non so chi vi ha detto che tutti noi che viviamo a Cuba siamo dei morti di fame... La Cuba di adesso non è più quella che molti hanno lasciato anni fa...

    C' è a chi piace tantissimo andare a rendere omaggio a Fidel o perché lo sente o anche solo per curiosità. Ma per favore rispettateci...

   Dico questo non per riferirmi al tema politico (non mi interessa), io parlo del rispetto che l'essere umano merita.

 

Lettera da Cuba

(nome noto alla redazione)

   

  

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

L'Avvenire dei lavoratori è parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista". Fondato nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte attiva al movimento pacifista durante la Prima guerra mondiale; durante il ventennio fascista ha ospitato in co-edizione l'Avanti! garantendo la stampa e la distribuzione dei materiali elaborati dal Centro estero socialista in opposizione alla dittatura e a sostegno della Resistenza. Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha iniziato una nuova, lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana. Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo alla salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

  

     

 

 

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