ecco perchè voglio Usa fuori dalla sardegna



 dal il giornale di sardegna  pag  culturale  del 27\4\2005

Servitù militari, l'Isola sequestrata

A Cagliari. Lo scrittore filippino sarà oggi nell'Aula
Magna della facoltà di Lettere e Filosofia


GIAMBERNARDO PIRODDI
PIÙ CHE "SOLO E PENSOSO ",
serio e pensoso. Assorto
nelle sue riflessioni. Così
è apparso in pubblico Walden
Bello, il cinquantottenne intellettuale
filippino autorevole esponente
del movimento mondiale
di opposizione al neoliberismo,
pensatore assai critico nei confronti
della globalizzazione e da
sempre partecipe delle battaglie
del movimento new global. Walden
Bello era ieri a Sassari (oggi
alle 16.30 farà tappa nell'aula magna
di Lettere e Filosofia di Cagliari)
per un incontro organizzato
dalla libreria Odradek e dal Comitato
per il ritiro delle truppe
dall'Iraq, dal titolo "Autogoverno
e deglobalizzazione in alternativa
alla guerra infinita: la Sardegna
nell'occhio del ciclone". Si è partiti
dall'individuare il nemico, la
sacra Trimurti americana formata
dal Wto, dal Fondo Monetario
Internazionale, dalla Banca
Mondiale. Una Trimurti che secondo
Walden Bello è immodificabile.
Può essere soltanto abbattuta.
Il passo successivo è la deglobalizzazione,
che diviene infine
autogoverno dei popoli. Di
patti proprio poco chiari e di
pseudoamicizie troppo lunghe
fra sardi e americani ha parlato il
giornalista Piero Mannironi in
apertura di serata: «Per quanto riguarda
guerre e servitù militari la
Sardegna è in prima linea da cinquant'anni,
fra accordi bilaterali
segreti e stoccaggio di novanta testate
nucleari. Un gioco, in cui la
politica cede totalmente il passo
alla tecnocrazia militare». Rincara
la dose il deputato dei Verdi
Mauro Bulgarelli: «La Sardegna
purtroppo ha una storia di servitù,
e sempre militari, più lunga di
cinquant'anni. Pensiamo alla
Brigata Sassari. Ma forse sono retrò:
ormai la guerra esporta la democrazia.
democrazia.
I nostri padri costituzionalisti
sono stati traditi, la pace
è sinonimo di "contrario di
guerra". Non si contempla più il
significato di "equità sociale".
Lottare per la pace ormai può significare
soltanto la smilitarizzazione
». Dello stesso parere Roberto
Luchetto del Comitato per
il ritiro delle truppe dall'Iraq: «Subito
il ritiro delle nostre truppe. E
la chiusura della basi Nato-Usa».
Da parte sua, dopo aver ascoltato
con attenzione, Walden Bello
non ha esitato ad affondare subito
la lama, anche se con ironia: «È
la mia prima volta in Sardegna, vi
ringrazio tutti. Posso invece dire
di aver già visitato Genova, in occasione
del G8, nel 2001. Ed in
quel caso invece ricordo perfettamente
l'ospitalità dei carabinieri
italiani. Infatti sono stato arrestato.
Non sono stato invece
picchiato dalla polizia, che ha
picchiato però molti altri. Così
come ricordo bene il giovane ucciso
dai militari italiani». Allargando
lo sguardo all'Italia intera,
Bello dice che ha molto ben presente
il ruolo della nostra nazione
nello scacchiere internazionale
e nei suoi equilibri: «Ciò che
è successo al G8 è stata soltanto la
punta dell'iceberg. Il vostro Paese
è coinvolto in una guerra di
"esportazione della democrazia";
c'è il problema delle basi militari
che va risolto per prima cosa.
Senza risolverlo non si arriva alla
deglobalizzazione, allo sganciamento
da un meccanismo che fagocita
». Circa la guerra irachena
Bello ha toni che sono ancor più
fuor di metafora: «La guerra in
Iraq è esattamente l'equivalente
della guerra civile in Spagna o del
conflitto vietnamita».

Docufilm "Sa Lota"
Anche questa è storia di Sardegna. Poligoni
missilistici sperimentali, sottomarini
nucleari, territori contaminati, neonati
con deformazioni craniche, tumori e alterazioni
genetiche. La Maddalena, Perdasdefogu
e Capo Frasca. Il 66 per cento della
superficie soggetta a servitù militari in Italia
si trova in terra sarda. Ma la memoria
non ha buchi, non cancella morti e territori
degradati. L'occupazione militare è in
continua espansione, ma il suo limite è la
resistenza del popolo. Una tradizione di
lotta e resistenza. Clamorosa la rivolta di
Pratobello, comune di Orgosolo, anno
1969. Oggi quella piccola rivoluzione è
raccontata in un documentario di Francesca
Ziccheddu e Maria Bassu. "Sa lota" sono
immagini e voci, di donne e uomini. È
storia recente di un paese, di 4 mila abitanti,
che ha fronteggiato i contigenti dell'esercito
italiano, centinaia di carabinieri,
poliziotti e baschi blu, inviati per sopprimere
l'iniziativa popolare. Mamme e mogli,
padri e mariti che hanno impedito l'esproprio
dei pascoli perché in quei campi,
il ministro della Difesa italiano, aveva deciso
di insediarvi il poligono di tiro permanente
per artiglieria e una base di acquartieramento
di contingenti dell'esercito.
Sessantadue minuti pieni pieni di interviste
alle donne, motore determinante,
menti politicizzate e forza motrice. Testimonianze
scelte da una orgolese doc, la
Bassu, e un progetto voluto, pensato e realizzato
dalla regista cagliaritana Ziccheddu.
Sono i corpi e le menti di quella battaglia,
non canali ufficiali, a descrivere,
emozionarsi ancora per quei momenti
che sono divenuti storia da tramandare ai
figli. Azione assembleare e resistenza passiva,
parole che sono il segno che opporsi è
possibile. Il documentario verrà presentato
il primo maggio alle 17.30 nel cinema
parrocchiale di Orgosolo. A Cagliari l'appuntamento
è per il 5 maggio, alle 20, al cinema
Nanni Loy dell'Ersu.
Francesca Fradelloni

LA BASE USA DELLA MADDALENA. Il rifugio per i sottomarini
Nel nord dell'Isola spicca per pericolosità
la base Usa della Maddalena-Santo
Stefano-Tavolara, rifugio e punto di
appoggio per i sottomarini a propulsione
nucleare della VI flotta, armati con missili
a testata termonucleare. La base è stata
concessa, dal governo italiano a quello
USA, in base ad accordi stipulati nel 1954,
1972, 1978, 1979, tuttora coperti da
segreto militare e mai ratificati dal
parlamento, ed è a tutti gli effetti
un'entità extraterritoriale sottoposta alla
giurisdizione Usa.
All'inizio degli anni Settanta, subito dopo
l'installazione della base, si registra un
aumento della radioattività nel territorio.

  bisogna  ritornare  a pratobllo  1968  ecco  qui  per  chi vuole saperne
di più

GIUSEPPE MARONGIU
La storia di una lotta pacifica fatta di persone
è arrivata nei giorni scorsi all'Università
di Sassari, in una mostra fotografica piccola
ma molto bella, organizzata dal Collettivu'e
sos istudentes. Pratobello 1969 racconta la
rivolta popolare degli orgolesi contro l'occupazione
militare di 13 mila ettari di pascoli.
È la storia di un mese frenetico e senza
sonno, di una lotta senza partito che avrà la
meglio sulle migliaia di soldati e sulle decisioni
prese a Roma. Tutto ha inizio il 27
maggio 1969 quando sui muri ancora spogli
di Orgosolo compaiono dei manifesti intestati
alla Brigata Trieste. Il testo impone ai
pastori e ai braccianti agricoli che lavorano
in territorio di Pratobello di abbandonare la
zona e trasferire il bestiame altrove.Perché
per due mesi il terreno da pascolo sarà un
poligono di tiro. A questa notizia se ne aggiunge
un'altra, non ufficiale, che circola in
paese: quello che il Governo italiano chiama
poligono temporaneo mira in realtà a
diventare un campo di addestramento e tiro
permanente. Il Circolo giovanile di Orgosolo
con i propri volantini ciclostilati avvisa
la popolazione e organizza la prima assemblea.
Si decide di portare avanti una lotta alla
luce del sole, senza incontri segreti o riunioni
a numero chiuso. Mentre i sindacati e
i partiti si scontrano con il Circolo e cercano
invano di mantenere le redini del gioco. Il 9
giugno 3500 orgolesi iniziano l'occupazione
dei campi. Donne, uomini e bambini, affrontano
i militari faccia a faccia. Non si verifica
nessun episodio di violenza ma qualcosa
di molto più forte. Le donne raggiungono
i soldati, li guardano negli occhi, iniziano
a parlare. Spiegano loro cosa hanno
in testa. «I militari - spiegaNanni Moro del
Circolo - iniziano vedere con gli occhi della
popolazione».
dell'esercito
avrebbero in ogni modo cercato
di evitare questo pericoloso rapporto col
'nemico'. Ma alcuni militari affrontano il rischio
di comunicare per lettera con la popolazione.
Così i soldati imparano a diffidare
degli ufficiali che avevano descritto gli
abitanti del paese come banditi. Gli abitanti
corrono sotto il sole giorno dopo giorno
per tenere occupato l'esercito e impedire le
esercitazioni. È una rivolta senza sangue.
Daimanifesti che chiedono 'concimi, non
proiettili' nascerannoi primimurales.Ma i
giornali in quei giorni dicono le bugie. «Una
grossa manifestazione pacifica - aggiunge
Moro- veniva resa ai lettoricomela scalcagnata
parata di quattro gatti maoisti». I
giornali fanno il gioco del Governo perché
nessuno deve sapere che la gente può dire
no alle servitù militari. Il 26 giugno la vittoria
arriva ma i partiti e i sindacati fanno fare
uno scivolone alla lotta. Il poligono di tiro
non sarà permanente ma per due mesi si
sparerà: quella del 26 è una serata di stanchezza
e la promessa di indennizzi ai pastori
fa il resto. La vittoria arriva ma si porta dietro
quest'ombra scura. A sottolineare che la
lotta, quella vinta, è tutta del popolo,mentre
gli accordi, i compromessi e le figuracce,
vannoai partiti, sindacati e giornali di allora
.