[Disarmo] Accordo sul nucleare: stop al programma iraniano e allentamento alle sanzioni. Obama: La diplomazia rende più sicuro il mondo



di Angela Manganaro con un'analisi di Alberto Negri


Il 4 giugno 2009 all'Università del Cairo il presidente Barack Obama, eletto da meno di un anno, faceva il suo primo atteso storico discorso al mondo islamico: «sono qui oggi per cercare di dare il via a un nuovo inizio fra Stati Uniti e i musulmani di tutto il mondo»; portava il «saluto di pace delle comunità musulmane» del suo Paese «assalaamu alaykum»; elencava terzo fra i punti di tensione dopo la guerra in Iraq e Afghanistan e la questione fra palestinesi e israeliani, Teheran. «Da molti anni - disse - l'Iran si distingue per la propria ostilità nei confronti del mio Paese e in effetti tra i nostri popoli ci sono stati episodi storici violenti». Ammise: «Nel bel mezzo della Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno avuto parte nel rovesciamento di un governo iraniano democraticamente eletto. Dalla Rivoluzione Islamica, l'Iran ha rivestito un ruolo preciso nella cattura di ostaggi e in episodi di violenza contro i soldati e i civili statunitensi. Tutto ciò è ben noto». Esortò: «Invece di rimanere intrappolati nel passato, ho detto chiaramente alla leadership iraniana e al popolo iraniano che il mio Paese è pronto ad andare avanti. La questione, adesso, non è capire contro cosa sia l'Iran, ma piuttosto quale futuro intenda costruire».

Sono passati cinque anni e la primavera araba: al Cairo dopo la rivoluzione comandano di nuovo i generali; Obama non è più un giovane, rivoluzionaria, promessa mondiale, Nobel per la Pace appena insediato, ma un presidente al secondo mandato in calo nei sondaggi alle prese con problemi interni - crisi economica e riforma sanitaria, sua battaglia - e danni d'immagine internazionali: l'attentato di Bengasi, vittima l'ambasciatore americano Chris Stevens, rivelò inadeguata la dottrina leading from behind teorizzata a Washington dal team del presidente; lo scorso settembre la marcia indietro dopo la minaccia dei raid sulla Siria fa di Putin interlocutore di Papa Francesco e leader più potente del mondo secondo la rivista Forbes.

Il 24 novembre 2013, Obama incassa una vittoria che può dire sua perché ha sempre predicato il valore del dialogo «La diplomazia ha aperto una nuova strada per rendere più sicuro il mondo», mentre il suo segretario di Stato John Kerry dichiara che l'accordo di Ginevra è un «primo passo» per la stabilità nel Medio Oriente.

Dopo anni di stallo e quattro giorni di negoziati, Teheran si impegna con i 5+1 e ottiene allentamenti delle sanzioni, che stanno strangolando la sua economia. Un accordo di sei mesi che tuttavia molti definiscono «storico». Altro protagonista è il neopresidente iraniano Hassan Rohani, in carica da pochi mesi, sospettato di essere solo un esecutore meno agitato di Ali Khamenei, troppo debole e non interessato a un nuovo corso. E invece con l'avallo della Guida Suprema, Rohani mette in pratica la sua apertura al mondo annunciato qualche mese fa con una lettera al Washington Post in occasione del viaggio a New York per l'Assemblea Onu: «Non abbiamo mai voluto la bomba atomica, il motore di questo governo è la costruttiva interazione con il mondo». Era vero.

Anche se è solo iniziale e limitato a sei mesi, è definito da più parti «storico» l'accrdo che viene parzialmente incontro alle richieste di Teheran di un allentamento delle sanzioni anti-nucleari che strangolano la sua economia ma che scontenta Israele.

Pechino ha notato che l'intesa «salvaguarderà la pace»; il presidente francese Francois Hollande l'ha definita una «tappa verso l'arresto del programma militare nucleare iraniano». «Buono per il mondo intero» e il giudizio espresso dal capo del Foreign Office britannico, William Hague. E, in tweet, il ministro degli Esteri Emma Bonino ha parlato di «un passo importante per la pace in Medio Oriente».

Da Teheran Rohani, la cui elezione ha permesso di sbloccare un dossier in stallo da un decennio, ha detto che l'accordo rispetta il diritti iraniani al nucleare civile e porterà, da qui ad un anno, alla completa levata delle sanzioni con positive ripercussioni per gli iraniani. Non a caso la valuta iraniana si subito apprezzata del 3% sul dollaro. L'intesa, come ovvio, ha ricevuto l'avallo della Guida suprema iraniana Ali Khamenei.

Scontento a Gerusalemme: il premier israeliano Benyamin Netanyahu parla invece dell'accordo come «un errore storico» che rende oggi il pianeta «più pericoloso»: l'Iran, ha sostenuto, «ha ottenuto esattamente quanto voleva», ossia «alleviare in modo sostanziale le sanzioni e il mantenimento di componenti importanti del proprio programma nucleare». L'Autorità nazionale palestinese invece rilancia: da Ginevra è arrivato un messaggio a Israele, che la pace è l'unica opzione, dice il portavoce di Abu Mazen, auspicando che sia presto riattivato anche il Quartetto per la soluzione del conflitto israelo-palestinese.

Il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, ha accolto favorevolmente «il coraggio» mostrato dall'Iran e dalle grandi potenze per limitare il programma nucleare di Teheran, ma ha anche sottolineato l'importanza di attuare l'accordo "entro i tempi: ora è cruciale assicurare l'applicazione dell'accordo e di continuare a lavorare, sulla base della fiducia costruita, ad una soluzione definitiva di questo problema", ha detto Van Rompuy.


24 novembre 2013