[Disarmo] Un piano B per uscire dal club Nato



C'è vita a sinistra. Studiare modelli alternativi di forze armate e relazioni, alleanze, scambi internazionali

di Gregorio Piccin dal Manifesto

C’è vita a sini­stra, ma credo anche un grande vuoto di ana­lisi, chia­rezza e con­sa­pe­vo­lezza intorno ad un tema diri­mente come la guerra con­si­de­rato che dal 1989 l’Italia, già pesan­te­mente schie­rata, è diven­tata un paese diret­ta­mente bel­li­ge­rante con un por­tato di respon­sa­bi­lità eti­che e mate­riali incalcolabili.

Mi impres­siona non poco il fatto che nel dibat­tito in corso sulla costru­zione di un nuovo sog­getto poli­tico con voca­zione di governo e potere, la grande que­stione della poli­tica estera e mili­tare sia una sorta di ecto­pla­sma senza con­torno e sostanza, evo­cata velo­ce­mente per aggiun­gere un piglio etico al ragio­na­mento. Siamo tutti con­sa­pe­voli che il mondo è deci­sa­mente mul­ti­po­lare ed inter­di­pen­dente, siamo tutti inter­na­zio­na­li­sti (?) e con­tro la guerra ma elu­diamo la que­stione rifu­gian­doci troppo spesso die­tro ad un approc­cio esclu­si­va­mente con­te­sta­ta­rio o molto peg­gio rinun­cia­ta­rio (per una sorta di silen­ziosa accet­ta­zione della realpolitik?).

Tut­ta­via, se la pro­spet­tiva è quella rifor­ma­trice e di governo, credo sia impre­scin­di­bile abban­do­nare un certo pro­vin­cia­li­smo (anche euro­cen­trico) e svi­lup­pare per tempo un’analisi che possa pro­durre un piano stra­te­gico di riforme strut­tu­rali da pro­porre e col­lo­care in una pro­spet­tiva gene­rale coe­rente ed orga­nica. Un piano stra­te­gico di riforme evi­den­te­mente infor­mato da una nuova stra­te­gia di poli­tica estera che non può con­ti­nuare ad essere con­si­de­rata un tema minore, una sorta di optio­nal. Senza que­sta capa­cità di ela­bo­ra­zione e pro­po­sta temo che il nuovo sog­getto poli­tico possa nascere gra­ve­mente ed irre­spon­sa­bil­mente monco.

La con­creta non bel­li­ge­ranza del nostro Paese (e non solo) può essere con­si­de­rata una que­stione diri­mente e costi­tuente nel qua­dro di una ricom­po­si­zione politico-organizzativa a livello nazio­nale ed europeo?

Guar­diamo alla sto­ria recente: i governi ita­liani degli ultimi ven­ti­quat­tro anni (di cen­tro­de­stra, cen­tro­si­ni­stra e “tec­nici”) ci hanno tra­sci­nato in tutte le avven­ture bel­li­che Nato/statunitensi, a pre­scin­dere spesso anche da qual­siasi valu­ta­zione di così detto “inte­resse nazio­nale”, come se la poli­tica estera fosse diret­ta­mente tele­fo­nata da Washing­ton. Nello stesso lasso di tempo e sem­pre con la stessa blin­data tra­sver­sa­lità poli­tica, sono state ulte­rior­mente con­cesse nuove por­zioni di ter­ri­to­rio nazio­nale per con­si­stenti amplia­menti e nuova costru­zione di instal­la­zioni mili­tari stra­te­gi­che (sem­pre statunitensi).

Credo che que­sto livello di imba­raz­zante sud­di­tanza e di bel­li­ge­ranza non abbia eguali in Europa se non in Gran Bre­ta­gna che però è anche nei fatti il secondo anello deci­sio­nale della Nato dopo gli Stati uniti.

Ma in que­sto mondo mul­ti­po­lare, ciò che impe­di­sce la defi­ni­zione di una nuova poli­tica estera, com­mer­ciale, ener­ge­tica e di repe­ri­mento delle mate­rie prime (di cui abbiamo asso­luto biso­gno) che non sia aggres­siva ma coo­pe­ra­tiva sono gli stessi punti di forza su cui si fonda la nostra belligeranza.

Si tratta di nient’altro, se non della pri­va­tiz­za­zione spinta della guerra, foto­co­pia del più che con­so­li­dato modello anglo-americano, appen­dice della più gene­rale pri­va­tiz­za­zione della società.

Per­sino il tema della ridu­zione delle spese mili­tari rischia di essere, nel qua­dro attuale e senza una chiara ini­zia­tiva rifor­ma­trice, un’arma a dop­pio taglio: un eser­cito pro­fes­sio­nale euro­peo oggi coste­rebbe infi­ni­ta­mente meno ma non per­de­rebbe mini­ma­mente la sua fun­zione offensiva/neocoloniale.

Credo sia arri­vato il momento di pen­sare in maniera orga­nica ad un arti­co­lato piano B (con­si­de­rata la dirom­pente lezione greca) per uscire dal club Nato affron­tando ed ana­liz­zando le que­stioni più sopra elen­cate, stu­diando e con­si­de­rando modelli alter­na­tivi di forze armate e rela­zioni, alleanze, scambi inter­na­zio­nali. Si potrebbe comin­ciare con la pub­bli­ca­zione e discus­sione demo­cra­tica degli accordi segreti che rego­lano la pre­senza mili­tare sta­tu­ni­tense sul nostro ter­ri­to­rio da sessant’anni.

E poi, senza andare troppo lon­tano (anche poli­ti­ca­mente), guar­diamo a due Paesi con­fi­nanti come la Sviz­zera e l’Austria entrambi neu­trali, entrambi dotati di eser­citi di leva strut­tu­ral­mente incom­pa­ti­bili con gli stan­dard Nato ma per­fet­ta­mente inte­grati con le esi­genze logi­sti­che della Pro­te­zione civile. Pen­siamo all’Austria in par­ti­co­lare (0,6% del Pil per la difesa), che sta in Europa come noi ma senza aver par­te­ci­pato a guerre d’aggressione ed anzi pro­po­nen­dosi come cen­tro inter­na­zio­nale per il disarmo nucleare e dove in un refe­ren­dum nel 2013 il 60% della popo­la­zione si è espressa con­tro la pro­fes­sio­na­liz­za­zione dell’esercito per­ché que­sto pas­sag­gio avrebbe intac­cato l’assetto neu­trale del paese. E’ così impen­sa­bile ela­bo­rare una pro­spet­tiva che veda nell’Italia il paese trai­nante di un polo neu­trale in seno all’Europa (tra l’altro piut­to­sto insta­bile), che sap­pia abban­do­nare l’attuale disa­strosa atti­tu­dine neo­co­lo­nia­li­sta e bel­li­ge­rante per una con­creta, pro­fi­cua e paci­fica coo­pe­ra­zione strategica?