[Ecologia] La “rifiuti connection” petrolifera lucana vista dagli USA



24 febbraio 2014

La “rifiuti connection” petrolifera lucana vista dagli USA

 

LaVOCEdiNYStatueDagli USA si interessano dell’Italia e della Basilicata con la nuova inchiesta sullo smaltimento dei reflui petroliferi in Val Basento presso Tecnoparco. L’articolo “Basilicata Oil to Oil. La grande industria made in Italy “è di Luigi Politano della “voce di New York segnalatoci da un nostro lettore. Ecco il suo articolo [di Luigi Politano*] “Nuova inchiesta sul centro oli Eni di Viggiano. Secondo gli inquirenti il colosso petrolifero italiano avrebbe smaltito rifiuti illegalmente. Emessi 11 avvisi di garanzia, in Italia e all’estero. Tra gli indagati nessun politico, ma la politica da queste parti c’entra sempre. Intanto la stampa tace L’antimafia entra nel cuore tutto made in Italy dell’Eni, quello del distretto meridionale nella regione Basilicata. Il centro oli di Viggiano. Secondo gli inquirenti il colosso petrolifero italiano avrebbe smaltito illegalmente i rifiuti prodotti, grazie alla complicità di imprese locali. Nell’indagine condotta dal NOE (Nucleo operativo ecologico corpo carabinieri), sono stati emessi undici avvisi di garanzia, in Italia e all’estero, per traffico di rifiuti. La notizia trova poco spazio sui quotidiani italiani, eccezion fatta per poca stampa locale e qualche giornalista attento.

Tra gli indagati spiccano i nomi di Ruggero Gheller, responsabile distretto meridionale dell’Eni. Michele Somma, presidente di Confindustria Basilicata e tra i notabili della “monnezza” Lucana.

Indagato assieme a Michele anche il papà, Faustino Somma, classe 1935, al vertice della Tecnoparco Valbasento spa, azienda che secondo i pm non trattava adeguatamente i liquidi di scarto prodotti da Eni, prima di essere smaltiti.

Indagato anche Massimo Orlandi, ex amministratore delegato di Sorgenia – società energetica del gruppo De Benedetti – ancora in carica nel 2010, quando sono iniziate le indagini.

E poi c’è anche un imprenditore locale, Giovanni Castellano, che nel curriculum ha un arresto, a fine 2012, per illecito smaltimento di rifiuti.

La vicenda, che può apparire un piccolo caso di “giudiziaria” di provincia, dovrebbe far aumentare l’attenzione, di opinione pubblica e politica nazionali, su quello che avviene da anni in Basilicata. E non solo perché “in provincia” ad essere indagati siano anche vertici locali di Eni e l’ex Ad di Sorgenia.

Lasciando per un attimo la cronaca dettagliata degli avvenimenti, in attesa che gli inquirenti facciano il loro lavoro, il ragionamento va spostato su una questione solo apparentemente diversa.

Sotto la Lucania scorre il più grande giacimento petrolifero in terra ferma d’Europa. L’Italia, attraverso il petrolio prodotto su territorio nazionale, copre circa il 6-7% del suo fabbisogno energetico. La maggior parte di questo petrolio arriva proprio dalla Val d’Agri, dove Eni e Shell fanno ottimi affari sotto la lente disattenta delle amministrazioni locali che, a scadenza quasi fissa, si trovano di fronte a inchieste derivanti per lo più da omessi controlli e tentativi di corruzione.

Nei faldoni delle indagini di questi anni – molte cadute nel nulla (soprattutto quelle che riguardano i politici), alcune ancora in corso – sono finiti in molti. Dall’ex presidente della Regione, Vito De Filippo, all’amministratore delegato di Total Italia, Lionel Levha. Appalti su costruzione di strutture, manutenzione, trasporti, smaltimento rifiuti derivanti dal petrolio e dal gas… Sotto gli occhi degli inquirenti è finito di tutto, ma pare che nulla o quasi si sia mosso. C’è solo il dubbio imperante del modo in cui i rifiuti (non solo quelli del petrolio) vengano smaltiti nelle diverse aree della Basilicata devastando il territorio. Inutile dire che la vicinanza a Campania e Calabria, l’enorme quantità di denaro che si sposta in questa regione – solo apparentemente terra di nessuno – e il business dei rifiuti industriali, abbia fatto accendere qualche lanternina in direzione di ‘ndrangheta e camorra, ma non pare sia questo il caso e questa è una storia che per ora tralasceremo.

Dicevamo di politica e industria nella Regione del Sud. Di politici in questa inchiesta per ora pare non ci sia traccia, ma di responsabilità politiche davvero troppe. Il diritto alle royalties derivante dall’estrazione (di gas e petrolio), porta un ingente quantitativo di ricchezza su un territorio che secondo i dati Istat è povero in canna. In Basilicata continua ad esserci l’alto tasso di disoccupazione di sempre rimanendo la Regione più povera d’Italia, dal punto di vista del reddito pro capite.

Dal 2008 però, secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico, sono arrivati più di 760 milioni di euro, che in una regione con mezzo milione di abitanti dovrebbe essere una cifra davvero consistente. Cosa si è fatto con questo denaro?

Ci si sono tappati i buchi di bilancio fatti da una classe politica incapace, che poi deve scegliere se e come controllare la stessa attività estrattiva che le porta quei soldi. E non solo grazie alle royalties, ma anche grazie agli appalti dell’indotto, una piccola economia a se stante che alimenta un consistente bacino di voti da tutelare e tenere sotto controllo ad ogni costo. E si sa, il consenso elettorale è sempre importante. Qualcosa forse non torna. Chi controlla chi, e soprattutto come, è sempre il tema più interessante dell’argomento “grande industria made in Italy”.

Inutile pensare alla salute pubblica e alla tutela ambientale. Temi considerati da perditempo che non guardano al concreto del lavoro e alle necessità di un progresso necessario. Peccato che di lavoro e progresso in Basilicata non ce ne sia traccia nonostante questa enorme ricchezza. Non un euro è mai stato stanziato in maniera adeguata per far risorgere decentemente l’economia di una Regione che potrebbe essere ricchissima e che potrebbe creare altra occupazione grazie proprio al suo territorio e ad attività di ricerca e sviluppo che potrebbero fare i giovani abitanti neolaureati che invece alla fine vanno via. Ma parliamo di investimenti veri, non quelli spot per inizio attività che non dureranno mai.

Di proclami ce ne sono moltissimi, come molti sono i finanziamenti a pioggia in vista delle tornate elettorali. La prova è che lo scorso anno la Basilicata è stata declassata di nuovo, da Bruxelles, a zona obiettivo convergenza (l’ex obiettivo uno, quello per le aree sottosviluppate). E la cosa grave è che qualcuno, il declassamento, potrebbe definirlo “strategia politica”, salvo non capire a cosa servono e come verranno investiti i potenziali fondi europei, oltre a quelli del petrolio e del gas. Clientele a parte, si intende. Senza contare la necessità di bonificare alcune porzioni di territorio contaminate dalle industrie e dallo smaltimento dei rifiuti sparse per l’intera nazione. Ma questa non è una priorità della politica italiana, come non lo è il crimine organizzato che produce miliardi di euro, derubando la collettività, anche grazie allo smaltimento illecito dei rifiuti.

Questa è solo l’ennesima inchiesta in cui esce fuori il sistema industriale italiano che non riusciamo a lasciarci alle spalle, basato su profitti ad ogni costo e nessun controllo. A discapito del lavoro, della salute e del ritorno economico e sociale per le persone che vivono attorno a quelle aree industriali. Il petrolchimico di porto Marghera e l’Ilva di Taranto ne sono un esempio lampante.

Certo, sono ovvie banalità. Ecco perché i giornali in Italia non ne parlano.

*Luigi Politano è giornalista, fondatore dell’associazione antimafie
Da Sud e della casa editrice Round Robin.

da www.olambientalista.it