tre proposte contro il declino



da repubblica
giovedi 16 dicembre 2004


TRE PROPOSTE CONTRO IL DECLINO
LUCIANO GALLINO

PER USCIRE dal declino un primo passo consiste nell´ammettere che esso
esiste. Bisogna riconoscere a Luca Cordero di Montezemolo il merito di
averlo compiuto nel ruolo di presidente della Confindustria. Indicando in
dettaglio parecchie cause della crisi, senza nascondersi che in qualche
misura tra di esse vanno collocate anche scelte imprenditoriali. Il suo
rapporto ha collocato tra i segni incontrovertibili di declino la crescita
esigua del Pil.
E la stagnazione della produzione industriale in tutti i principali settori,
congiunta alla scarsa produttività del lavoro e alla diminuzione in un
decennio di oltre un punto e mezzo della quota italiana delle esportazioni
nel mondo, dal 4,6 al 3%. Tra le cause ha menzionato il basso livello delle
attività di ricerca e sviluppo, gli investimenti pubblici e privati ridotti
al minimo, e ha insistito con forza ? finalmente ?sul fatto che a fronte del
95% di imprese che hanno meno di 10 dipendenti, tanto le prime che i secondi
non raggiungeranno mai un livello paragonabile ai vicini paesi Ue.
Nondimeno, poiché sembra che i segni non bastino mai per convincere il
governo che l´economia del nostro paese corre ormai seri rischi, che la
perdita di posizioni rispetto ad altri paesi sta diventando drammatica, è
sempre utile aggiungerne altri. Ricordando, ad esempio, che tra le 2000
società più importanti del mondo classificate secondo un indice che combina
vendite, utili e valore in borsa, pubblicata da "Forbes" la primavera
scorsa, l´Italia compare con sole 42 società, contro le 64 della Germania,
le 67 della Francia e le 132 del Regno Unito. Per tacere di paesi che hanno
tra un quarto e un ottavo della nostra popolazione ? Olanda, Svezia,
Svizzera ? e però sono presenti nello stesso gruppo con un numero di gruppi
economici di poco inferiore al nostro. La Svizzera, per dire, con i suoi
sette milioni di abitanti, porta in detta classifica ben 36 società.
Parecchie delle quali, si noti, sono gruppi industriali.
Se non bastasse il dato contingente per giungere ad ammettere che sotto il
profilo industriale stiamo diventando un paese piccolo e arretrato, ci sono
le serie storiche. "Business Week" pubblica ogni anno un´altra classifica,
quella delle Global 1000, ordinate in questo caso per valore di mercato. In
essa si scopre che nel 2000 le società italiane erano presenti in 31; nella
edizione aggiornata al maggio 2004 sono scese a 23. Tra queste i gruppi
industriali sono in minoranza, e molti appaiono situarsi intorno al 750°
posto o al disotto. In tale posizione si trovano appunto Edison, Luxottica,
Fiat e Finmeccanica.
Non ancora convinti che il declino esiste e che negarlo equivale a danzare
mentre la nave affonda? Suggerirei come ulteriore stimolo di dare una scorsa
al fiume di rapporti sullo stato della nostra economia che escono da centri
di ricerca europei, sia pubblici che privati. Ho sott´occhio, tra i tanti,
un documento dell´ufficio studi del gruppo Allianz e della Dresdner Bank,
giugno 2004, che con equilibrio e ricchezza di dati dice in sostanza che la
mancanza di competitività dell´economia italiana è dovuta a serie debolezze
strutturali. Grosso modo le stesse indicate da Montezemolo nel suo rapporto.
Anche in questo caso, ovviamente, si può cercare di sottrarsi all´evidenza
sostenendo che tedeschi e francesi, olandesi e britannici hanno interesse a
dipingere a tinte fosche la situazione italiana allo scopo di dirottare gli
investitori verso i loro rispettivi paesi. Il fatto è che i rapporti in
questione descrivono di solito vari paesi Ue, non solo il proprio, come
spazi profittevoli per compiervi investimenti, perché essi presentano dati
strutturali molto più favorevoli che non l´Italia.
Il secondo passo per provare almeno a uscire dal declino ? se mai il governo
compisse il primo ? dovrebbe consistere nel farsi venire delle idee in tema
di politica economica e industriale. Il terzo passo starebbe nel predisporre
i mezzi per attuarle. E qui la strada si presenta davvero impervia. Le idee
al riguardo non nascono dal nulla. Nascono ? così accade in Francia, in
Germania, in Gran Bretagna ? da un dialogo sistematico e permanente tra
ministeri, enti territoriali, atenei, istituti di ricerca scientifica e
tecnologica privati e pubblici, sindacati, associazioni imprenditoriali,
unioni professionali. Un dialogo diretto a far emergere quali sono i punti
di forza e di debolezza di un´economia, e quali sono gli spazi in cui
concentrare le risorse disponibili per avviare poli di competenza e reti di
sviluppo con elevati livelli di integrazione interna ed esterna. Duole
dirlo, ma i duecento distretti industriali italiani ? sulle cui virtù
salvifiche sono stati molti a illudersi ? al confronto con meraviglie
industriali come il polo aeronautico di Tolosa, la Optics Valley a sud-est
di Parigi, o il distretto biotecnologico dell´area di Monaco di Baviera,
appaiono, forse con una decina scarsa di eccezioni, in ritardo di
quarant´anni.
E non già perché da noi manchino tecnici, scienziati, imprenditori e
lavoratori di prim´ordine. Piuttosto perché manca ? per tornare al terzo
passo necessario volendo uscire dal declino ? sia l´iniziativa che una
idonea strumentazione organizzativa da parte del governo e dello Stato. Se
mai venissero elaborate, quelle tali idee di politica economica, avrebbero
bisogno di organi operativi per essere tradotte in realtà. Ma quali
ministeri potrebbero operare in Italia a tale scopo, con i propri mezzi o
inventando nuove forme di organizzazione? Il ministero dell´Economia
gestisce il patrimonio di cui lo Stato è ancora proprietario con lo spirito
imprenditoriale di un amministratore di condominio. Basti pensare alla
vicenda Alitalia, alla cui crisi decennale il ministero ha semplicemente
assistito anche quando controllava ancora il 100% del capitale. Il ministero
delle Attività Produttive non ha nemmeno una direzione del massimo livello
che si occupi esclusivamente di industria ? come hanno invece i principali
paesi Ue. Il ministro per l´Innovazione Scientifica e Tecnologica si occupa
solamente di informatica, una tecnologia certo di importanza primaria, se
non fosse che ne esistono oggi decine di altre parimenti importanti. Infine
il ministero per l´Università e la Ricerca Scientifica e Tecnologica appare
impegnato in prevalenza a produrre norme e decreti, compresi quelli che
istituiscono distretti tecnologici che avranno forse un brillante avvenire,
ma per ora sono formati da valenti quanto ristrette pattuglie di ricercatori
e di tecnici.
Una politica di rilancio dell´economia e dell´industria diventerà realtà
quando il nostro paese avrà la forza di compiere i tre passi suddetti. Il
primo, dopo il rapporto di Confindustria, forse lo compiranno anche altri
soggetti istituzionali. I sindacati lo hanno fatto da tempo. Per gli altri
due possiamo soltanto sperare che qualche iniziativa di lungo periodo venga
quanto meno avviata. Prima che il Botswana ci sopravanzi sulla via dello
sviluppo.