alla ricerca di nuove scale di valori.



Giorgio Nebbia
Alla ricerca di nuove scale di valori
La circolazione natura-merci-natura

La fabbrica, la città, l'abitazione umana sono organismi viventi che
"funzionano", come qualsiasi altro essere vivente, grazie ad un flusso di
materia e di energia: la materia è rappresentata da "cose" ottenute dalla
biosfera --- dall'aria, dalle acque, dal suolo, dal mondo vivente vegetale e
animale --- per lo più gratis, e da molte altre cose provenienti dalla
tecnosfera, dall'universo degli oggetti fabbricati dagli esseri umani per
trasformazione dei beni tratti dalla natura: vegetali, animali, fonti di
energia, pietre, acqua, minerali, eccetera.
Chiamerò, per intenderci, "merci" gli oggetti e i servizi prodotti dentro la
tecnosfera: a rigore, come vedremo, dovremo fare i conti anche con "beni"
scambiati, senza pagare niente, fra gli umani e le loro attività e il mondo
circostante della natura: l'ossigeno "acquistato" gratis dall'aria,
necessario per la respirazione umana e per le combustioni; l'anidride
carbonica "venduta" gratis all'atmosfera come risultante della respirazione,
delle combustioni, della scomposizione delle pietre, eccetera.
Non è possibile avere idee chiare sul funzionamento delle attività umane e
su quanto attraversa un territorio se non si fa qualche passo avanti nella
comprensione di questi complessi scambi e "commerci" di materiali e di
energia, nei quali il denaro può entrare o no.
Cominciamo con l'osservare che i processi di produzione e di "consumo" delle
merci presentano alcune interessanti analogie con i processi viventi:
entrambi traggono dalla natura risorse (aria, acqua, minerali, prodotti
vegetali e animali) e le trasformano in cose utili.
Nel processo di trasformazione e nel processo di "uso" delle "cose", i
materiali usati e i loro sottoprodotti ritornano nell'ambiente naturale
circostante sotto forma di gas, liquidi e solidi, nella stessa quantità in
peso in cui sono entrati nel processo.
Per questo motivo d'ora innanzi non userò più il termine "consumo" delle
cose fabbricate, delle merci, perché in realtà ciascun "consumatore" non
consuma niente, ma si limita ad usare, per un tempo più o meno lungo, le
merci stesse.
Anche i processi dell'economia, come quelli della vita, sono perciò
caratterizzati da una circolazione natura-merci-natura, o N-M-N (se vogliamo
ricorrere ad una analogia con la simbologia marxiana); a differenza, però,
di quanto avviene nei processi vitali, nei quali tutte le scorie rientrano
in ciclo, che operano con cicli "chiusi", alla fine del ciclo delle merci
prodotte dalle attività umane, la natura risulta impoverita di alcune delle
sue risorse e la qualità di alcune delle sue risorse risulta peggiorata per
l'immissione delle scorie e dei rifiuti.
Fino a quando, nei processi "economici" di produzione e uso delle merci,
l'estrazione delle risorse naturali e la restituzione delle scorie sono
state abbastanza lente nel tempo e diluite nello spazio, la natura ha avuto
il tempo di rimettersi in equilibrio; nelle società industriali moderne,
invece, l'estrazione delle risorse dalla natura, la massa delle scorie
prodotte e l'immissione delle scorie nei corpi naturali riceventi sono molto
veloci e concentrate nello spazio.
E' questa una delle cause dei guasti ambientali che si manifestano come
peggioramento della qualità dell'aria e delle acque o come impoverimento
delle riserve di risorse naturali, della fertilità del suolo, della
stabilità delle valli, e che appaiono evidenti quando si sono già
verificati.
Alla vera base di questi guasti sta il fatto che gli esseri umani nelle loro
attività economiche sono incapaci di valutare correttamente i fenomeni
dell'estrazione di materia dalla natura e di contaminazione della natura.
L'efficienza di un processo che produce e usa merci viene descritto soltanto
con indicatori monetari nei quali il concetto di scarsità e di qualità delle
risorse naturali non appare, se non per quella parte che tocca il
"proprietario" di alcune delle risorse stesse: il proprietario delle
miniere, o del campo coltivato, o delle sorgenti di acqua, che vede ridotte
le sue possibilità di guadagno con l'esaurimento o la contaminazione della
sua proprietà.
Quando, come nella stragrande maggioranza dei casi, le risorse naturali non
hanno un proprietario, sono cioè dei beni collettivi --- a chi appartiene
l'aria, o il mare, o l'acqua del fiume, o la flora e la fauna non vendibile
? --- le loro modificazioni sono difficilmente prevedibili perché non sono
misurabili con l'unità "denaro" e nessuno ha avuto finora interesse a
misurarla con qualche altro strumento o indicatore diverso da quelli
tradizionali del "mercato".
Da qui la necessità di cercare qualche altro indicatore dei flussi della
materia e dell'energia che sono coinvolti nei processi di produzione e di
uso delle merci: la ricerca, in altre parole, di una contabilità fisica, o
"naturale" dei processi di trasformazione della natura che ci permetta di
identificare qualche nuova unità di misura del "valore" diversa dal denaro.
L'idea non è nuova. Le prime contabilità degli scambi fra agricoltura,
industria e consumi, a cominciare dalla celebre "tavola" di F. Quesnay,
redatta nel 1758, sono state pensate in termini fisici. Il problema è
trattato da Marx nella sua analisi della circolazione della ricchezza e
l'economista Marshall, nei suoi "Principi" del 1890, scrisse che "la Mecca
degli economisti" sarebbe stata l'economia biologica.
E i primi pianificatori sovietici, negli anni venti, hanno cercato, per
liberarsi delle scorie del capitalismo precedente, di liberarsi anche dei
limiti imposti dal suo principale indicatore, il denaro, e hanno tentato di
redigere una contabilità nazionale in unità fisiche.
Purtroppo, ai fini di una contabilità economica nazionale, è difficile
sommare il peso delle patate con quello della lana o del tondino di ferro,
tanto è vero che le prime tavole intersettoriali dell'economia sovietica
hanno dovuto descrivere anch'esse gli scambi di merci in unità monetarie.
Sarebbe stato necessario aspettare i tempi attuali per vedere rinascere una
nuova domanda di analisi dei flussi di materiali associati alle attività
economiche, l'analisi del "metabolismo" delle fabbriche e dei processi di
produzione e di consumo. Finalmente viene riconosciuto che non è possibile
valutare i flussi di gas responsabili dell'effetto serra, o di rifiuti, e
applicare corrette imposte, se non si conoscono esattamente le quantità
fisiche dei materiali coinvolti nei processi economici, nella circolazione
che ho prima chiamato natura-merci-natura.

L'energia e la materia contano più dei soldi

In questo campo, a differenza di quanto avviene con i prezzi monetari,
abbiamo alcuni punti di riferimento solidi: per definizione la materia e
l'energia che entrano in ciascun processo di produzione e di uso delle merci
si ritrovano, alla fine, nella stessa quantità, anche se modificata; una
parte di tale materia ed energia è sotto forma di merce vendibile in cambio
di denaro, mentre una parte - anzi la maggior parte - è sotto forma di
sostanze chimiche e di energia che finiscono come "scorie", che vengono
"rifiutate" e immesse "da qualche parte" nella biosfera.
A titolo di esempio pensiamo alla benzina bruciata in un'automobile: La
merce è la benzina e noi la paghiamo e il servizio reso è lo spostamento di
una persona a bordo per un certo numero di kilometri. Possiamo perciò dire
che il servizio costa tante lire per persona-kilometro.
Questo valore monetario non ci dice niente sulla storia naturale della
benzina, prima che sia entrata nel motore, né ci dice niente sui gas che si
liberano nell'atmosfera durante la combustione, ne' dell'amianto o della
polvere di gomma che vengono immessi nell'aria durante il moto del veicolo
per il kilometro considerato.
La contabilità fisica mostra che un kilogrammo di benzina brucia soltanto se
interagisce con l'ossigeno contenuto in circa 20 kg di aria; il "servizio",
cioè lo spostamento dei veicolo, è accompagnato dall'immissione
nell'ambiente degli stessi 21 kg di materiali immessi in ciclo. Le sostanze
che escono dal tubo di scappamento, pur avendo la stessa massa della materia
iniziale, hanno composizione chimica molto differente: troviamo gli stessi
atomi che erano presenti negli idrocarburi della benzina, nell'ossigeno e
nell'azoto dell'aria, ma adesso sono combinati in parte ancora come ossigeno
e azoto, ma anche come anidride carbonica, ossido di carbonio, ossidi di
azoto, idrocarburi diversi da quelli della benzina, e innumerevoli altre
sostanze di "rifiuto" la cui misura e caratterizzazione è tutt'altro che
facile, anche perché finora non interessava a nessuno.
Lo stesso vale per l'energia che era originariamente "contenuta" dentro la
benzina, come energia potenziale a bassa entropia, e che durante la
combustione si libera come calore ad alta temperatura e ancora bassa
entropia (quel calore che muove i cilindri del motore e le ruote) e alla
fine si ritrova anch'esso nei gas di scappamento e nel riscaldamento
provocato dagli attriti, come calore a bassa temperatura e ad alta entropia.
La quantità di energia è sempre la stessa, ma la sua qualità "merceologica",
la sua attitudine ad essere ancora utilizzata per qualche fine utile, è
molto diminuita, una perdita di utilità che si può indicare come aumento di
entropia.
Le poche precedenti considerazioni forniscono la base per la ricerca di
qualche indicatore fisico del valore che ci liberi dall'arbitrio del denaro
e ci fornisca qualche informazione convincente.
Per esempio potremmo caratterizzare una merce o un servizio (ricordando che
ogni servizio, anche apparentemente immateriale) richiede degli oggetti
fisici e materiali), sulla base della quantità di materia che richiede nel
suo processo di produzione e di uso, nel suo "ciclo vitale".
Si potrà così dire che è tanto più utile, o apprezzabile -- o ecologicamente
"virtuoso" -- un processo o un servizio che consente di ottenere la stessa
merce e lo stesso servizio con un minore consumo di materia prime, o con un
minore consumo di energia, o con un minore inquinamento ambientale.
Si potrebbe così parlare di "costo energetico", di "costo in risorse
naturali", di "costo ambientale", di ciascuna merce o di ciascun servizio,
essendo, proprio come si usa considerare nel caso del valore monetario,
tanto più apprezzabile una merce o un servizio che hanno un minore "costo
naturale" (1).
Ciascuno di questi tre caratteri possono essere misurati in kilogrammi o in
kilocalorie per cui il confronto può essere considerato universale (o
quasi).

Il costo energetico delle merci

Prima di chiarire a che cosa potrebbe servire, in pratica, questa ricerca di
nuovi indicatori "naturali" del valore, e anche per mostrare alcune delle
grandi difficoltà del loro computo, vorrei soffermarmi sul caso
dell'energia, certamente il più studiato e quello relativamente più facile.
Secondo quanto detto prima è possibile confrontare le merci e i servizi
sulla base della quantità di energia richiesta per la fabbricazione di una
unità di peso di una merce, o per una unità di un servizio: per esempio per
consentire ad una persona di percorrere un kilometro. Potremmo così parlare
del costo energetico di una merce o di un servizio.
Questa maniera di ragionare tocca, però, anche alcuni aspetti più delicati
della stessa teoria del valore: del resto gli economisti classici, e Marx
stesso, pensavano a qualcosa di fisico quando elaborarono una teoria del
valore sulla base della quantità di lavoro "incorporato" in una merce,
necessario a produrla. Sostanzialmente il valore-lavoro è associato in
qualche modo ad una misura della quantità di energia --- umana, in questo
caso --- necessaria per produrre le merci, è associata a quell'entità
misteriosa che è il "valore d'uso" delle merci, un valore legato in qualche
modo alla "natura", come sostiene Marx nella "Critica del programma di
Gotha" (1875) quando afferma che "la natura è la fonte dei valori d'uso (e
in questi consiste la ricchezza effettiva !) altrettanto quanto il lavoro,
che esso stesso, è soltanto la manifestazione di una forza naturale, la
forza-lavoro umana".
Martinez-Alier in un suo libro (2) ha analizzato numerosi contributi di
persone che hanno cercato di elaborare una teoria energetica del valore
delle merci o una analisi del rapporto fra energia, lavoro e merci.
Il medico ucraino Sergei Podolinskij scrisse nel 1881 un saggio, apparso in
tedesco, francese, italiano e russo, su una proposta di valore fisico delle
merci. Il saggio ha ricevuto di recente una nuova edizione e traduzione ed è
stato analizzato criticamente da Tiziano Bagarolo (3).
Ma continuamente varie persone, più o meno motivate ideologicamente, sono
state attratte dalla ricerca di qualche scala del valore che fosse libera
dalla schiavitù delle unità monetarie imposte dalla contabilità
capitalistica.
Negli anni venti di questo secolo, per esempio, una teoria del valore in
unità fisiche è stata proposta da F. Soddy (che aveva ottenuto il premio
Nobel per la scoperta degli isotopi degli elementi), dallo scrittore H.G.
Wells (quello della "guerra dei mondi"), e da altri.
Di particolare interesse è il movimento, sorto ai tempi della grande crisi
1929-33 e sull'onda delle idee di Thorstein Veblen, denominato "tecnocrazia"
(4) e basato sull'idea che i tecnici, piuttosto che il potere finanziario,
avrebbero dovuto avere un ruolo predominante nelle decisioni economiche e
produttive.
Nell'ambito di questo movimento un certo Howard Scott propose una curiosa
teoria della distribuzione delle merci, secondo la quale il denaro avrebbe
dovuto essere sostituito da una moneta basata sulle unità energetiche. La
proposta, pubblicata da Scott nel fascicolo del gennaio 1933 di "Harper's
Magazine", sosteneva che l'industria avrebbe prodotto nella maniera più
efficiente una grande quantità di merci utili se il governo avesse stampato
dei certificati energetici in quantità equivalente alla quantità totale di
energia che considerava utile impiegare in un anno nella produzione delle
merci.
Tali certificati avrebbero dovuto essere distribuiti in parti uguali fra la
popolazione: ciascun cittadino avrebbe usato i certificati a sua
disposizione per acquistare le merci o i servizi occorrenti, ciascuno
caratterizzato sulla base di un suo valore energetico, regolando i suoi
gusti e le sue scelte sulla base del vincolo fisico costituito dalla
quantità di energia assegnatagli dalla collettività.
Chi avesse voluto acquistare una merce con elevato costo energetico avrebbe
avuto meno certificati per acquistare altre merci, però avrebbe potuto
acquistare certificati energetici da altri.
I certificati di energia avrebbero dovuto essere trasferibili e avrebbero
dovuto avere una durata limitata.

L'italiano Salvadori e la sua dimenticata
misura del valore energetico delle merci

La misura del costo energetico delle merci fu proposta, ancora negli anni
trenta, da Roberto Salvadori, un oscuro professore di merceologia
dell'Università di Firenze, che propose una unità di misura del valore
espresso in energon-merce. Di Roberto Salvadori esistono poche notizie,
tratte da un "curriculum vitae" datato 1931. Si era laureato in chimica a
Padova nel 1896, il che fa pensare che sia nato intorno al 1870. Nel 1899 si
recò con una borsa di studio nell'Università di Gottingen nel laboratorio
del prof. Nerst. Dopo due anni di insegnamento a Sassari, nel 1902 vinse il
concorso di professore ordinario di chimica nell'Istituto Tecnico di Firenze
e nello stesso anno ottenne la libera docenza.
Dal 1926 al 1934 tenne per incarico il corso (allora biennale) di
Merceologia presso la Facoltà di Scienze economiche e commerciali di
Firenze. Potrebbe essere vissuto fino a circa il 1940.
Nel suo libro "Merceologia generale. Principi teorici. II. Le proprietà
delle cose. III. Concetto merceologico dell'energia", Firenze, Editore Cya,
1933, ha introdotto il concetto di "energia-merce" definito come "la somma
algebrica delle energie necessarie alla creazione di una entità
merceologica, per cui si può stabilire il valore commerciale energetico".
Per "valore commerciale energetico" Salvadori intendeva "il valore assoluto
dell'unità di misura di un prodotto merceologico, determinato dalle
condizioni tecniche della sua preparazione. Ogni tipo di merce rappresenta,
in definitiva, una somma di energie che è sempre superiore all'energia
teorica che il prodotto ha in sé".
Salvadori definì gli "energon-merce" come la somma dell'energia spesa per
produrre una unità di peso di ciascuna merce; tale somma è sempre superiore
al "contenuto energetico" della merce stessa e dipende dalle inefficienze e
perdite del processo.
A Salvadori va quindi il merito di aver introdotto, pur con un linguaggio
poco chiaro, l'idea che esiste un consumo minimo teorico di energia per
produrre ciascuna merce - equivalente, in un certo senso, al rendimento di
Carnot delle macchine termiche - e che il consumo reale di energia dipende
dalle perdite, dalle inefficienze tecniche, e così via.
Per inciso lo stesso concetto per alcuni cicli produttivi è stato ripreso
dall'americano Gyftopoulos nel 1974 (5).
Utili informazioni su questi tentativi di misurare il valore --- il "valore
d'uso" --- delle merci e dei servizi in unità fisiche, e in particolare
energetiche, si trovano nel libro già citato, di Martinez-Alier, e in quello
dell'inglese Peter Chapman, "Il paradiso dell'energia" (6).

La crisi energetica del 1973
e la nuova curiosità per il costo energetico

L'interesse per la misura del costo energetico delle merci è ripreso negli
anni settanta, in seguito alle oscillazioni del prezzo del petrolio e delle
materie prime: il petrolio era la stessa cosa, aveva lo stesso valore
energetico, quando costava 10.000 lire alla tonnellata nel 1972 o 300.000
lire/t nel 1985 o 150.000 lire/t come costa oggi. Il calore che libera, i
servizi che rende, la quantità di merci che può contribuire a fabbricare,
sono grandezze indipendenti dal prezzo unitario.
La ricerca di un indicatore energetico del valore delle merci fu ripresa da
Martha Gilliland (7), il cui lavoro fu criticato da David Huttner (8);
un'altra proposta di misura del costo energetico fu avanzata dall'inglese
Peter Chapman, già ricordato (6), e alcuni studi sul "costo energetico delle
merci" sono stati condotti anche nell'Università di Bari (9).
Una critica alla proposta di misurare in unità energetiche il valore delle
merci è contenuta in un celebre articolo di Nicholas Georgescu-Roegen (10)
sulla base del fatto che bisogna considerare non soltanto l'energia, ma
anche la materia ("matter matters too").
La base razionale della ricerca di un valore energetico, o di un costo
energetico delle merci e dei servizi, sta nel fatto che, conoscendo tali
valori, un soggetto economico, una persona, un'azienda, che voglia consumare
meno energia ha (avrebbe) a disposizione un indicatore fisico, in un certo
senso "assoluto", per scegliere fra diversi processi o modi di
comportamento.
Ad esempio fra due processi produttivi "varrà" di più quello che fornisce la
stessa merce con minore consumo di energia.
I diversi modi di trasporto delle persone e delle merci possono essere
confrontati sulla base del consumo di energia per kilometro percorso da una
persona o da una tonnellata di merce.
La valutazione del costo energetico delle merci pone vari problemi
metodologici. Il primo punto riguarda l'identificazione di una nuova unità
delle attività umane che è il "processo" di trasformazione della natura in
merci e poi in scorie e rifiuti. Il "processo si svolge dentro confini
fisici che devono essere definito abbastanza bene, a pena di commettere
errori. Il processo è quanto avviene entro i confini di una fabbrica o nei
confini di una città o in quelli di una abitazione.
Prendiamo un processo produttivo, quello di fabbricazione dell'alluminio,
che consiste, come è noto, nel trattare un minerale, la bauxite, con agenti
chimici che consentono di ricuperare l'ossido di alluminio. Una seconda fase
trasforma l'ossido di alluminio, miscelato con adatti fondenti, in alluminio
metallico per elettrolisi, con l'uso dell'elettricità.
In prima approssimazione si può misurare la quantità di energia elettrica
consumata per ottenere un kg di alluminio e si può affermare che tale
energia rappresenta il costo energetico dell'alluminio, o l'energia
"incorporata" nel metallo.
Però bisognerebbe valutare anche il "costo energetico" degli elettrodi di
carbone e dei fondenti impiegati nell'elettrolisi e che sono "consumati" nel
processo. Per fare le cose meglio bisognerebbe anche aggiungere il costo
energetico del trasporto di questi agenti dal luogo di produzione alla
fabbrica di alluminio, e poi il "costo energetico" del trasporto dalla
bauxite dalla miniera alla fabbrica e il costo energetico degli agenti con
cui viene trattata la bauxite, e avanti di questo passo.
Includendo tutti i costi energetici dei vari fattori della produzione, il
"costo energetico" vero e proprio della merce, cioè il consumo di energia
nell'intero ciclo produttivo, può anche raddoppiare.
Se, con lo stesso procedimento, si calcola il costo energetico
dell'alluminio ricavato dalla fusione del rottame, si vede che l'operazione
di riciclo consente di ottenere alluminio, che è sempre lo stesso, con un
costo energetico che è circa un ventesimo rispetto a quello che si ha quando
si parte dalla bauxite; quasi come se il trattamento del rottame consentisse
di ricuperare una parte dell'energia spesa quando lo si è fabbricato la
prima volta partendo dal minerale e che è rimasta "incorporata" nel metallo.

Altri indicatori del valore

L'analisi del valore delle merci sulla base del costo energetico può perciò
aiutare a scegliere le materie prime, a progettare i materiali, gli
imballaggi, i manufatti, sulla base di nuovi vincoli, quali la scarsità di
energia o di materie prime.
Sulla base di simili considerazioni si possono cercare altri indicatori
fisici, naturali, del valore, come il costo in risorse naturali e il costo
ambientale.
Il primo potrebbe essere misurato sulla base della quantità di acqua, o di
minerali, o di vegetali, richiesti per produrre una unità di peso di merce;
il secondo potrebbe descrivere la quantità di rifiuti --- gassosi, liquidi o
solidi --- che accompagnano la produzione o l'uso di una unità di peso di
merce.
La crescente scarsità di acqua nel mondo, anche nei paesi industrializzati,
induce a prestare crescente attenzione alla misura - e alla diminuzione -
del "costo in acqua" delle merci (11) attraverso innovazioni nel campo del
riciclo dell'acqua, dell'uso di acqua di qualità inferiore per usi meno
nobili, come il raffreddamento dei processi industriali, l'irrigazione,
l'annaffiatura dei giardini e ... la pulizia dei gabinetti: E' assurdo che
ogni italiano, nella propria vita urbana e domestica, usi ogni anno 20.000
litri di acqua di alta qualità per usi alimentari e igienici e altri 80.000
litri di acqua, ugualmente di alta qualità, per i gabinetti e per la pulizia
delle strade.
"Vale" perciò, ha un maggiore "valore d'uso", la merce o il servizio che
richiedono minore quantità di acqua. Analogamente vale di più la merce o il
servizio che, nel corso della produzione o dell'uso, richiede meno risorse
naturali e ha un minore "costo di natura". Anche in questo caso si tratta di
misurare la quantità di risorse naturali - minerali, energie fossili,
foreste, eccetera - per unità di merce prodotta o per ciascun servizio.
Infine si può misurare il "costo ambientale" di ciascuna merce o servizio
sulla base della quantità di residui o scorie che vengono immessi
nell'ambiente nel corso della produzione o alla fine della vita utile.
Ormai cominciano ad essere emanate leggi che stabiliscono la massima
quantità di agenti inquinanti che possono essere immessi nei corpi riceventi
ambientali: la massima quantità di ossido di carbonio, o di ossidi di azoto
o di zolfo o di idrocarburi policiclici che possono essere immessi
nell'ambiente per ogni kg di benzina o gasolio bruciato in un motore o per
ogni km percorso o per ogni kilowattora di elettricità prodotta.
Comunque nella maggior parte dei processi si hanno ben poche informazioni
sulle sostanze che accompagnano ciascun processo, benché da tali sostanze
dipenda anche la salute dei lavoratori oltre che l'effetto ambientale
associato alla fase di produzione o di uso finale delle merci.
Il ritardo delle conoscenze che consentirebbero la misura del "costo (o
valore) fisico" delle merci e dei processi dipende anche dal fatto che i
processi educativi --- per esempio di formazione dei chimici, degli
ingegneri, degli economisti --- sono centrati sulla misura della quantità
dei prodotti principali, che sono quelli a cui sono associati scambi
monetari, e ben poco attenzione è rivolta all'analisi della quantità e del
tipo di prodotti secondari, dei residui e delle scorie, la cui composizione,
fra l'altro, è più difficile da misurare, valutare, conoscere, rispetto a
quella dei prodotti principali economici.
Ci sono stati dei tentativi, in passato, di elaborare delle "enciclopedie
dei processi", cioè dei bilanci dei flussi di materie e di energia, in unità
fisiche, associati ai processi di produzione e di uso delle merci, ma ben
poco cammino è stato finora fatto su questa strada.

A che cosa serve ?

La ripresa dell'interesse per nuove scale di valori avrebbe il fine di
capire qualcosa di più nel campo ancora poco esplorato della teoria del
valore nei rapporti uomo-natura-società. Ma avrebbe anche qualche utilità
pratica, consentirebbe di identificare le scelte economiche più razionali in
un'epoca di risorse scarse.
Insomma anche la società strettamente capitalistica, basata sulle rigorose
leggi del liberto mercato, sta cominciando a riconoscere che qualcosa nei
meccanismi dei prezzi non funziona.
Per esempio in questi ultimi anni si stanno moltiplicando l'interesse e gli
studi sulla caratterizzazione di alcune merci, considerate meno dannose per
l'ambiente con una "etichetta ecologica" o "ecolabel", assegnata sulla base
del minore consumo di materiali o di energia o del minore inquinamento,
rispetto ad altre merci.
Gli acquirenti potrebbero così essere orientati, a parità di prezzo o anche
pagando un prezzo maggiore, verso le merci più "amiche" della natura. In un
certo senso questo orientamento si sta già verificando con gli alimenti
cosiddetti "biologici", più costosi ma apparentemente ottenuti con meno
pesticidi o concimi rispetto a quelli tradizionali.
E' facile costatare che l'operazione si presta a frodi se le misure dei
valori "naturali" delle merci non sono effettuate correttamente.
Un altro interessante esempio di utilità dell'analisi del flusso di
materiali e di energia associato alla produzione e all'uso di merci e
servizi riguarda l'applicazione delle imposte ecologiche. Sempre più spesso,
per diminuire l'inquinamento, vengono proposte e ormai anche applicate
imposte proporzionali alla quantità fisica dei materiali in gioco: alla
quantità di anidride carbonica emessa dagli impianti di combustione, alla
quantità di ossido di azoto e zolfo emesse durante la combustione e i
processi produttivi; proporzionali alla quantità di rifiuti solidi prodotti,
eccetera.
Infine la conoscenza dei flussi materiali è richiesta dalle procedure che
richiedono una misura e valutazione del cosiddetto "impatto ambientale"
l'effetto delle attività produttive sull'ambiente. Per poter giudicare se
una località è adatta ad ospitare un impianto produttivo viene (dovrebbe
essere) richiesto un bilancio dei materiali in gioco.
Inutile dire che, a parte le reali difficoltà tecnico-scientifiche di
misurare le grandezze richieste, la procedura è quanto mai inefficace per la
resistenza dei produttori a indicare quello che effettivamente trattano, le
esatte quantità di scorie prodotte, il pericolo dei processi e dei prodotti.
Infine la ricerca delle nuove scale "naturali" del valore è di grande
utilità anche per misurare e pianificare il funzionamento di quel tipico
ecosistema artificiale che è la città umana (12).