scuola fra società della conoscenza e leggi del mercato



La scuola in trappola
TRA "SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA" E LEGGI DEL MERCATO
di Riccardo Petrella*, da Le Monde Diplomatique, ottobre 2000

La scuola, a cui viene ingiunto di affrontare da sola la sfida della
promozione sociale, viene progressivamente screditata e sottoposta ai
desiderata del mercato del lavoro. Nella "società della conoscenza" - dove
la promozione delle nuove tecnologie ha sostituito il pensiero - la scuola
ormai non è altro che lo strumento di legittimazione di una divisione
sociale che favorisce le ineguaglianze. Questa visione riduttiva dimentica
che la scuola è prima di tutto il luogo dove si costruiscono i legami
sociali, in cui deve elaborarsi la "democrazia della vita".
Sono cinque le principali trappole che oggi minacciano la sfera
dell'istruzione.
A costruirle sono stati i cambiamenti politici, sociali ed economici degli
ultimi trent'anni, che hanno visto imporsi un modo di vita incentrato
sull'iperconsumo e sulla mercificazione generalizzata di ogni bene e
servizio, mentre esplodevano le nuove tecnologie e la globalizzazione
liberista.
La prima trappola è rappresentata dalla crescente strumentalizzazione della
scuola al servizio della formazione delle "risorse umane".
Questa funzione ha progressivamente la meglio sull'educazione per la
persona e attraverso la persona. Trae origine dalla riduzione del lavoro a
una "risorsa" organizzata, declassata, riciclata e, all'occorrenza,
abbandonata in funzione della sua utilità per l'impresa.
Come qualsiasi altra risorsa materiale e immateriale, la risorsa umana
viene considerata una merce economica che deve essere ovunque disponibile
(1). Non conosce né diritti civili né di altro tipo, politici, sociali o
culturali, dal momento che i soli limiti al suo sfruttamento sono di natura
finanziaria (i costi). Il diritto all'esistenza e al reddito dipende
dall'efficienza e dalla redditività. La "risorsa umana" deve dimostrare di
essere "impiegabile", il che porta alla sostituzione del "diritto al
lavoro" con un nuovo obbligo: dimostrare la propria "impiegabilità".
Alcuni dirigenti la chiamano "politica sociale attiva del lavoro", in base
alla quale il ruolo centrale ancora riconosciuto alla scuola si misura in
rapporto a questo obbligo di "impiegabilità". E per tutta la durata della
vita, grazie alla formazione continua, "permanente", la cui funzione è di
mantenere sempre utilizzabili e redditizie le risorse umane del paese. In
questo modo il lavoro ha cessato di essere un soggetto sociale.
La seconda trappola è costituita dal passaggio della scuola dall'ambito non
mercantile al mercato. Dal momento in cui il compito principale che le
viene assegnato è quello di formare le risorse umane al servizio
dell'impresa, non c'è da stupirsi se la logica mercantile e finanziaria del
capitale privato intende imporle la definizione delle proprie finalità e
priorità. La scuola è trattata sempre più come un mercato (2).
In America del nord, si parla in permanenza di "mercato dell'istruzione",
di "business dell'istruzione", di "mercato dei prodotti e dei servizi
pedagogici", di "imprese educative", di "mercato dei professori e degli
allievi". Non è di poco conto che il primo Mercato mondiale dell'istruzione
(World Educational Market) si sia svolto dal 23 al 27 maggio 2000 a
Vancouver, in Canada. Per la grande maggioranza degli interessati, pubblici
e privati, presenti sul posto (3), la mercificazione dell'istruzione non
solleva nessun dubbio, e la questione principale è di sapere chi venderà
cosa sul mercato mondiale e secondo quali regole. Il "chi" comincia ad
essere sempre più chiaro: si tratta degli editori dei prodotti
multimediali, degli ideatori e fornitori di servizi on line o di
teleinsegnamento, degli operatori delle telecomunicazioni, delle imprese
informatiche. Tutti settori dove le fusioni, le acquisizioni e le alleanze
si sono succedute a un ritmo frenetico negli ultimi anni. Queste imprese
hanno già investito molto nel "cosa": molte di esse possiedono un catalogo
di programmi di formazione chiavi in mano da proporre on line. Le
"università virtuali" si moltiplicano, crescono come funghi oltre le
frontiere "nazionali". Secondo le previsioni della banca d'affari
statunitense Merrill Lynch (4), il numero dei giovani che seguiranno studi
superiori nel mondo salirà a circa 160 milioni verso il 2025. Attualmente
sono 84 milioni, 40 dei quali già seguono un insegnamento on line. È facile
immaginare cosa sarà diventato tra un quarto di secolo quest'ultimo
mercato.
In tutti i paesi "sviluppati", la tendenza spinge verso un sistema di
istruzione organizzata su base individuale, a distanza (via Internet),
variabile nel tempo, lungo tutta la vita e personalizzato (5). Quanto alle
regole, il fallimento dei negoziati del Millenium Round dell'organizzazione
mondiale del commercio (Wto), a Seattle, nel dicembre 1999, ha impedito,
per il momento, di applicare anche all'istruzione i principi del libero
commercio: infatti, questo programma era nell'agenda dell'Accordo generale
sul commercio dei servizi (Scga). Poiché i negoziati sui servizi sono
ripresi al Wto a Ginevra, nulla garantisce che la liberalizzazione e la
deregulation del settore educativo non siano messi di nuovo all'ordine del
giorno.
Sempre più numerosi sono in effetti i politici dei paesi sviluppati pronti
ad accettare che sia il mercato a decidere sulle finalità e
l'organizzazione dell'istruzione. Le organizzazioni sindacali (in
particolare l'Internazionale dell'istruzione), le organizzazioni (non)
governative e i movimenti dei cittadini dovrebbero raddoppiare gli sforzi
per contattaccare (6).
Terza trappola: l'istruzione viene presentata come lo strumento-chiave per
garantire la sopravvivenza agli individui e ai paesi nell'era della
competizione mondiale. In questo modo, la sfera educativa tende a
trasformarsi in un "luogo" dove si impara una cultura di guerra (ognuno per
sé, riesci meglio degli altri e al posto loro) piuttosto che una cultura di
vita (vivere insieme agli altri, nell'interesse generale). Le università, i
poteri pubblici, gli studenti, le famiglie e persino molti sindacati,
hanno - in generale - accettato questa cultura della competizione. Malgrado
gli sforzi di buona parte degli educatori, il sistema è stato così spinto a
privilegiare la funzione di selezione dei migliori, piuttosto che la
funzione di valorizzazione delle capacità specifiche di ogni allievo.
Il nuovo proletariato. Quarta trappola: la subordinazione dell'istruzione
alla tecnologia.
La classe dirigente, che fin dagli anni '70 ritiene la tecnologia il
principale motore dei cambiamenti della società, ha imposto la tesi del suo
primato e dell'urgenza di adattarsi ad essa. Qualunque sia il campo di
applicazione (l'energia, la comunicazione, la sanità, il lavoro) domina la
tendenza a considerare inevitabile e irresistibile ogni cambiamento
economico e sociale legato alle nuove tecnonologie, poiché le innovazioni
da esse introdotte sono considerate un contributo al progresso dell'uomo e
della società.
Per la grande maggioranza dei dirigenti, l'attuale globalizzazione è figlia
del progresso tecnologico. Opporvisi è insensato. Il ruolo principale
dell'istruzione sarebbe quindi quello di dare alle nuove generazioni la
capacità di capire i cambiamenti in corso e gli strumenti per adattarvisi.
Quinta trappola: l'uso del sistema educativo come mezzo di
legittimizzazione di nuove forme di divisione sociale. A credere ai
discorsi dominanti, le economie e le società dei paesi sviluppati sarebbero
passate dall'era industriale, fondata su risorse materiali e capitali
fisici (la terra, l'energia, l'acciaio, il cemento, la ferrovia) all'era
della conoscenza, fondata principalmente su risorse e capitali immateriali
(i saperi, l'informazione, la comunicazione, la logistica).
La conoscenza sarebbe diventata la risorsa fondamentale della nuova
economia nata dalla rivoluzione multimediale, dalle reti digitali, dai loro
derivati: l'"e-commercio", l'"e-trasporto", la "e-istruzione",
l'"e-lavoratore" (7). In quest'ottica, l'impresa è vista come il soggetto e
il luogo principale della promozione, organizzazione, produzione,
valorizzazione e diffusione della "conoscenza che conta".
Promuovere la diffusione di uno spirito imprenditoriale negli ambienti
scientifici e negli istituti scolastici secondari e superiori e
ri-dinamizzare il sistema educativo per trasformarlo in terreno
privilegiato della formazione delle giovani generazioni alla costruzione
della "società della conoscenza"; questo soprattutto prescrivono oggi le
politiche pubbliche della ricerca e dell'insegnamento. Questa prescrizione
viene introdotta nel momento in cui, dappertutto nel mondo, si sta
instaurando una nuova divisione sociale tra i "qualificati" (coloro che
hanno accesso alla "conoscenza che conta") e i "non qualificati" (gli
esclusi da questo accesso o che non riescono a mantenerlo aperto).
Una divisione che aggrava quelle precedenti e, tra le altre, le
disuguaglianze di accesso all'alfabetizzazione di base. La conoscenza
diventa il principale materiale di costruzione di un nuovo muro (il "muro
della conoscenza") tra le risorse umane nobili (organizzate nelle nuove
corporazioni professionali planetarie) e le risorse umane del popolo, nuovo
proletariato del capitale mondiale.
È difficile che gli europei, con scelte come quella fatta dai capi di stato
e di governo dei Quindici al consiglio europeo di Lisbona nel marzo 2000,
possano disinnescare queste cinque trappole. Tale scelta, tradotta poi in
Piano di azione dal consiglio europeo di Feira nel giugno 2000, assicura
come grande priorità dei prossimi quindici anni la costruzione della
"e-Europa", perché diventi nel 2015 la "e-economia" più competitiva al
mondo.
A questo scopo, l'obiettivo fondamentale è dare a tutti gli europei, fin
dall'asilo e dalle elementari, l'accesso all'alfabetizzazione digitale,
perché tutti diventino "risorse umane" in grado di competere con quelle
dell'America del nord, che sarebbe in anticipo di una decina d'anni
rispetto a noi (8).
Su questo, il consenso è grande tra i leader europei. Non hanno ancora
capito, dopo vent'anni di politiche funzionali a una competitività alla
mercè dei mercati, che in questa logica pochi sono i vincitori, in tutti i
campi, compreso quello dell'istruzione? Come possono ignorare che gli Stati
uniti, il paese più "sviluppato" al mondo nelle tecnologie
dell'informazione e della comunicazione, nel multimediale, in Internet...
hanno un livello di istruzione particolamente deplorevole, come afferma
anche uno studio dell'Organizzazione di cooperazione e di sviluppo
economico (Ocse)? (9) Perché chiudono gli occhi di fronte allo stato
pietoso dell'istruzione di base e alle crescenti disuguaglianze sociali che
caratterizzano oggi l'accesso all'insegnamento superiore in Gran Bretagna?
Come possono ignorare i risultati di anni di ricerche multidisciplinari
sullo sviluppo dei bambini che mostrano come questi ultimi abbiano un
fondamentale bisogno di legami personali profondi con gli adulti e che
mettere l'accento sui computer a scuola fin dalla più tenera età può
privarli di questi legami essenziali? (10) Proposte pertinenti e realiste
per un'altra politica educativa non mancano. Ci sono, ad esempio, quelle
avanzate da Oxfam International e dall'Internazionale dell'istruzione nel
marzo 1999 per "Una istruzione pubblica di qualità per tutti" (11).
Imparare a salutare il proprio vicino rappresenta un punto di partenza
decisivo per un'"altra" scuola.
Questo significa che lo scopo primario del sistema educativo è che ogni
cittadino apprenda a riconoscere l'esistenza dell'altro come base
fondamentale della propria esistenza e del vivere insieme.
Dialogare direttamente da persona a persona vuol dire apprendere la
centralità dell'alterità nella storia delle società umane, nate dalle
tensioni creatrici e conflittuali tra l'unicità e la molteplicità,
l'universalità e la specificità, il globale e il locale. Dialogare
significa anche apprendere la democrazia e la vita, la solidarietà, la
capacità di riconoscere il valore dei contributi al vivere insieme di tutti
gli esseri umano - anche di quelli che i criteri di produttività e
redditività considerano poco qualificati.
È partendo da questo principio generale che una politica dell'istruzione
basata sullo sviluppo, la salvaguardia e la condivisione dei "beni comuni"
(12) rappresentati dalle conoscenze e dai saperi, potrebbe condurre a uno
sviluppo mondiale, solidale sul piano economico, efficace sul piano sociale
e democratico sul piano politico. Applicata alla "e-Europa", darebbe
priorità alla formazione di una generazione di cittadini con le competenze
e le qualifiche richieste dalle nuove logiche: quelle dell'economia
sociale, dell'economia solidale, dell'economia locale, dell'economia
cooperativa.
Darebbe anche un'importanza fondamentale alla cooperazione con le altre
comunità, regioni e popoli del mondo, in modo da indebolire la tendenza
attuale di appropriazione privata delle conoscenze, per metterle invece al
servizio della promozione di un welfare state mondiale che assicuri a tutti
il diritto alla vita.