in crisi i "padroni dell'acqua"



dal  manifesto
22 Marzo 2006

La crisi dei «padroni dell'acqua»

Si è chiuso a Città del Messico il IV forum mondiale. La ribellione dei
paesi sudamericani mette in crisi il modello neoliberista
Sull'altro fronte, il forum alternativo chiede compatto la gestione
pubblica delle risorse idriche. E progetta mobilitazioni
GIANNI PROIETTIS

CITTA' DEL MESSICO
L'acqua è un bene comune, un diritto umano universale e inalienabile o è
una necessità che va soddisfatta mediante un servizio, soggetto quindi alle
leggi del mercato? Questo dilemma, che ci poniamo raramente quando apriamo
un rubinetto in casa nostra, ha mobilitato decine di migliaia di persone in
questi giorni a Città del Messico. Dalla sua soluzione, tutt'altro che
filosofica, dipende il destino di una parte consistente dell'umanità e
dell'intero pianeta. Il 4° Forum mondiale dell'acqua, che ha riunito
governi, organismi internazionali e imprese, ha mostrato che i «padroni
dell'acqua» giocano in difesa e che il progetto neoliberale di
accaparramento e mercificazione delle risorse idriche mondiali, per quanto
avanzato, non avrà vita facile.
Le Jornadas en defensa del agua, animate negli stessi giorni da accademici,
ecologisti e organizzazioni della società civile, hanno annunciato una dura
battaglia contro le multinazionali del settore e i governi e gli organismi
internazionali che le assecondano. La dichiarazione finale del foro
alternativo, il più qualificato dei due a livello scientifico e di autorità
morale, è stata resa pubblica domenica scorsa e crea un fronte comune, a
cui partecipano attivisti e organizzazioni di più di 40 paesi, per la
difesa del diritto all'acqua. Secondo l'italiano Renato Di Nicola, che ha
partecipato alla stesura del documento, «la dichiarazione è frutto di un
processo democratico, che ha raccolto tutti gli interventi di questi
giorni, in contrasto con il forum ufficiale, che non presentava una
struttura partecipativa».

Intitolata El derecho al agua es posible: gestión pública participativa, la
dichiarazione del foro alternativo presenta una piattaforma unitaria che si
articolerà, a partire da settembre, in una serie di iniziative locali
dirette alla costruzione di un movimento mondiale. Il progetto prevede la
creazione di un quadro normativo internazionale che garantisca la gestione
pubblica delle risorse idriche, una serie di campagne contro
l'appropriazione e la mercificazione dell'acqua oltre alla moltiplicazione
dei tribunali dell'acqua in tutti i paesi. Un altro obiettivo consiste
nell'obbligare imprese e governi a riparare tutti i danni alla salute umana
e agli ecosistemi che provocano e a favorire tecnologie pulite, impianti di
potabilizzazione e riciclaggio così come campagne informative sull'uso
appropriato dell'acqua.

Molto più diviso e confuso del fronte altermundista, il foro ufficiale ha
avuto serie difficoltà per arrivare alla redazione di un documento che
accontentasse tutti i partecipanti e si è trovato a fronteggiare
l'imprevista opposizione di alcuni paesi - fra cui Francia, Spagna,
Venezuela e Messico - capeggiata dal nuovo governo boliviano. Abel Mamani,
ministro dell'acqua di Bolivia, si è rifiutato di firmare qualsiasi
documento che non menzioni chiaramente l'acqua come un «diritto umano. La
Bolivia, di fatto, ha al suo attivo una delle poche battaglie vincenti
nella guerra dell'acqua. Nel 1999, il governo boliviano, seguendo le
ricette della Banca Mondiale, aveva concesso all'impresa Bechtel, un
gigante del settore, la gestione e la distribuzione dell'acqua nella città
di Cochabamba. Questa concessione non solo violentava le forme tradizionali
di distribuzione, ma espropriava i pozzi, sia privati che comunitari, e
incrementava le tariffe.
Una vera e propria sollevazione cittadina, nell'aprile 2000, obbligò il
governo a rescindere il contratto. Con una contromossa che la dice lunga
sul codice di comportamento delle multinazionali, la Bechtel chiese allora
un indennizzo di 25 milioni di dollari per i mancati profitti. Dopo un
lungo iter giudiziario, la richiesta dell'impresa è stata finalmente
bocciata in sede legale.
Dopo la grande manifestazione di giovedì scorso a Città del Messico, la
società civile ha fatto sentire ancora la sua voce: decine di ecologisti e
di rappresentanti di ong hanno fatto irruzione domenica nel Centro Banamex,
che ospitava il foro ufficiale, gridando slogan contro la privatizzazione e
la mercificazione dell'acqua. I manifestanti agitavano bottiglie di
plastica vuote con dentro delle monete. Loïc Fauchon, presidente del
Consiglio Mondiale dell'Acqua, un organismo privato che raggruppa le
maggiori multinazionali del settore, ha tentato di spostare il problema,
mostrando la strategia di ripiego dei neoliberisti. «Oggi il problema
principale - ha affermato - è il cattivo uso della risorsa e non il
conflitto sul fatto che l'acqua deve stare in mani private o pubbliche».

QUANDO L'ACQUA E' UN PROBLEMA

MORTI DI SETE
Nel mondo sono oltre un miliardo e cento milioni le persone che non
dispongono di acqua potabile, tra questi 400 milioni sono bambini africani.
E 34 mila coloro che ogni giorno muoiono non avendo l'accesso a questo bene
essenziale. Oltre due miliardi e mezzo non dispongono nemmeno dei più
comuni servizi igienico-sanitari. Le malattie legate alla cattiva qualità o
alla mancanza di acqua uccidono annualmente oltre 8 milioni di esseri
umani. Nell'Africa sub-sahariana la situazione peggiore: il 42% della
popolazione non può bere acqua potabile e solo il 36% dispone di un
gabinetto. In Asia meridionale e orientale i servizi igienico-sanitari sono
il problema principale di sopravvivenza.

BAMBINI A RISCHIO

Sono però i bambini a pagare il prezzo più alto. Le precarie condizioni
igieniche e le malattie legate al consumo d'acqua contaminata, rivela
l'Unicef, uccidono più bambini sotto i cinque anni di qualsiasi altra
malattia: 4.500 ogni giorno.

ITALIANI SCIALACQUONI

Oltre 50 milioni sono le persone che rischiano quotidianamente la vita
abitando in territori ricchi di falde acquifere inquinate e che vengono a
contatto con pericolose sostanze, come l'arsenico e il fluoro. Il consumo
di acqua potabile per uso domestico varia in media tra 12 e 50 litri al
giorno per abitante nei paesi africani, mentre sale tra 170 e 250 litri in
quelli europei, con gli italiani a guidare questa speciale classifica.

E ANCHE GLI AMERICANI

Gli Stati Uniti sono invece il paese che la utilizza di più al mondo: sono
infatti oltre 700 i litri d'acqua che ogni americano usa quotidianamente.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che al di sotto della soglia
di 50 litri al giorno si può già parlare di sofferenza per mancanza
d'acqua. Si prevede che nel 2020 quasi 3 miliardi di persone non avranno
accesso a questo bene primario.


Dove l'«oro blu» è firmato Coca Cola

Cosa bevono gli indios messicani Nel paese che ha ospitato il forum dieci
milioni di persone non hanno accesso all'acqua potabile. Tra questi
soprattutto gli indigeni. E il mercato è in mano alla Coca Cola, che
imperversa nell'imbottigliamento e nella perforazione di pozzi. Grazie alla
privatizzazione selvaggia cominciata negli anni '80
CLAUDIO ALBERTANI

CITTA' DEL MESSICO
Dopo due decenni di neoliberismo, la parola privatizzare ha perso buona
parte del suo fascino. Lo si è visto al IV Foro mondiale dell'acqua,
conclusosi ieri a Città del Messico, dove tutti - dalla Banca Mondiale a
Michel Camdessus, ex direttore dell'Fmi, da José Angel Gurría, ex ministro
delle finanze del Messico e attuale segretario generale dell'Ocse, ad
AquaFed, l'associazione internazionale degli operatori privati dell'acqua -
hanno negato l'accusa di voler convertire l'acqua in una mercanzia. Di
fronte a un tema politicamente esplosivo, preferiscono parlare di
«partecipazione» e «decentralizzazione». La ricetta però è la stessa:
alzare i prezzi «fino a far male», secondo la formula poco fortunata di un
ex ministro messicano. Molto diversa, invece, è la problematica emersa dai
molteplici fori alternativi che si sono realizzati in differenti punti
della città. Associazioni popolari, comunità indigene, economisti,
scienziati e giuristi si sono trovati d'accordo nell'affermare che il mondo
è sull'orlo di nuovi e sanguinosi conflitti che ruotano intorno alla
questione dell'acqua. Di chi è la colpa? Il verdetto è unanime: delle
grandi compagnie e di politiche di stato irresponsabili. Il caso del
Messico è paradigmatico. Fiumi in secca, manti freatici esauriti, pozzi
inquinati, cambiamenti climatici globali e catastrofi definite naturali
come i terribili uragani della scorsa stagione. Inoltre, più di 10 milioni
di messicani non hanno accesso alla rete pubblica dell'acqua potabile. Nei
cinque stati dove si concentra la popolazione indigena (Chiapas, Guerrero,
Oaxaca, Veracruz e Yucatán) la situazione peggiora. Qui, il 25% dei giovani
(in gran parte di sesso femminile) raggiunge a piedi la fonte più vicina e
trasporta in spalla i secchi d'acqua per uso domestico. Come spiegare una
tale situazione? Le radici del problema risalgono agli anni Ottanta, quando
lo stato smise di essere il principale agente dello sviluppo sociale per
limitarsi ad essere garante del mercato. Secondo gli imperativi
neoliberisti, bisognava inserire l'acqua nel circuito economico,
smantellando i servizi pubblici e le ultime vestigia delle organizzazioni
comunitarie tradizionali. La mercificazione ha seguito molte strade. Una è
la concessione a privati dello sfruttamento di sorgenti, pozzi, acquedotti
e canali, in spregio alla costituzione messicana che lo proibisce. Di
fronte al cattivo stato degli acquedotti e all'inefficienza delle
istituzioni pubbliche, le multinazionali si presentano come un'alternativa
efficiente. L'esperienza, però, è disastrosa.

Quasi a smentire i dogmi neoliberisti, ad Aguascalientes, città dove la
gestione dell'acqua potabile è in mano al gigante Vivendi, si è avuta
un'impennata dei prezzi accompagnata da un peggioramento del servizio. Non
è un caso isolato visto che situazioni analoghe si presentano anche a
Cancún, Navojoa e Saltillo. Di fronte all'esaurimento progressivo delle
sorgenti, un'organizzazione del Chiapas, il Consejo de Médicos y Parteras
Indígenas Tradicionales, denuncia che i signori dell'acqua stanno mettendo
gli occhi sulla selva Lacandona, polmone dell'America Centrale ed ultima
grande riserva idrica del Messico. Come in Europa, un'altra via maestra
della privatizzazione è lo stimolo al consumo di acqua imbottigliata a
detrimento di quella del rubinetto, truffa colossale visto che gli
imbottigliatori non usano acqua di fonte, ma quella della rete pubblica. In
Messico vi sono comunità indigene nelle quali le famiglie spendono in Coca
Cola il 20 per cento delle magre entrate di 40 pesos il giorno (circa tre
euro). Va detto che l'onnipresente Coca Cola possiede in Messico decine di
imprese d'imbottigliamento e perfora pozzi a suo piacimento con concessioni
di 50 anni a prezzi ridicoli. Le ultime barriere sono cadute due anni fa,
quando il Parlamento ha approvato una riforma alla Legge delle Acque
Nazionali che legalizza le concessioni, stimolando i comuni a privatizzare
il servizio a cambio di ottenere finanziamenti per programmi sociali. Il
risultato è che si stanno privatizzando anche i fiumi: nel 2002,
l'imprenditore Rafael Zarco Dunkerley, amico del presidente Fox, ha
ottenuto una concessione di 30 anni per trasportare le acque del fiume
Panico da Tampico fino a Monterrey.

La crisi dell'acqua presenta anche risvolti geopolitici. In Bassa
California, ad esempio, gli agricoltori lottano contro il prosciugamento
del fiume Colorado, il cui delta era fino a pochi anni fa un paradiso
naturale. Il disastro è provocato dalla decisione da parte delle autorità
statunitensi di deviare il suo corso in direzione di Los Angeles e delle
agroindustrie californiane. Un altro gravissimo problema è quello delle
grandi dighe, il miraggio degli anni Cinquanta. Non importa se è ormai
dimostrato che a lungo andare provocano danni irreparabili. Il Messico ne
ha in cantiere 56, gran parte delle quali si trova in territori indigeni,
il che significa un'intensificazione della guerra che da tempo lo stato
messicano conduce contro le comunità. Prendiamo il caso di una diga
idroelettrica in progetto, La Parota, sul fiume Papagayo, a pochi
chilometri dal porto di Acapulco. Se dovesse costruirsi - ed è molto
probabile che succeda - inonderebbe 24 villaggi oltre a una quantità
imprecisata di terre agricole. Da anni, i 25 mila campesinos coinvolti si
trovano sul piede di guerra. Dopo aver fondato il Consejo de Ejidos y
Comunidades Opositoras, hanno dato vita al Movimiento Mexicano de Afectados
por las Presas y en Defensa de los Ríos (Mapder) i cui partecipanti si
dichiarano «in resistenza totale e permanente contro la costruzione delle
dighe nel paese». Il Mapder è un'alleanza legata a livello continentale con
la Red Internacional de Ríos di San Francisco, California, e con il
Movimiento Mesoamericano contra las Presas. Quest'ultimo, che oltre al
Messico comprende i paesi centroamericani, si oppone alla costruzione di
circa 350 dighe nella regione. Il movimento esige che lo stato messicano
ripari i danni arrecati nel passato a più di 100mila persone, il
risanamento degli ecosistemi, la modifica della legislazione in materia
d'acqua e medio ambiente ed il rispetto del diritto delle popolazioni
all'acqua, stabilito dal Trattato 169 dell'Organizzazione Internazionale
del Lavoro, di cui il Messico è firmatario.

Una vera e propria guerra dell'acqua è in corso tra gli indigeni mazahua
della regione del fiume Cutzamala e la Comisión Nacional del Agua. Situato
nel cuore dell'altopiano centrale, il sistema del Cutzamala soddisfa una
parte importante del fabbisogno di Città del Messico. Tuttavia, mentre gran
parte delle comunità mazahua soffre della mancanza d'acqua potabile, circa
il 38% dell'acqua spedita a Città del Messico si disperde a causa del
cattivo stato dell'acquedotto. Negli anni scorsi, sull'onda lunga della
ribellione degli indigeni del Chiapas, le donne mazahua hanno creato un
Ejército zapatista de mujeres en defensa del agua. Armate di rudimentali
fucili di legno, machete e attrezzi agricoli, hanno bloccato in varie
occasioni l'impianto di purificazione. Le donne mazahua denunciano la
politica idraulica del Messico come ingiusta perché «giova solo agli
abitanti delle grandi città», esigendo che il governo provveda la comunità
di acqua potabile e risani le foreste. Per il momento non hanno avuto
successo, però hanno sollevato un'ondata di simpatia nazionale.