Ciad, non si placa l'emergenza a Est



 COMUNICATO STAMPA



NON SI PLACA L’EMERGENZA NELL’EST CIAD



A rischio anche il personale umanitario, alcuni profughi ciadiani in fuga
verso il Darfur



Milano, 13 dicembre 2006 – Peggiorano gravemente le condizioni di sicurezza
nell’est del Ciad. La militarizzazione delle zone che accolgono i rifugiati
e le persone sfollate - caratterizzate dalla mobilità degli attacchi dei
ribelli, e dalle controffensive governative degli ultimi giorni - ha
costretto molte agenzie umanitarie a evacuare parte importante del loro
personale espatriato, riducendo l’aiuto ai servizi essenziali.



COOPI – Cooperazione Internazionale (<http://www.coopi.org/>www.coopi.org)
è presente a Goz Beida, nell’Est Ciad, con uno staff medico di 9
espatriati. “La sensazione che si prova è quella di terra bruciata, come se
l’obiettivo fosse svuotare la zona orientale del Paese” racconta Antonella
Girardi, infermiera di COOPI. “Nell’ultimo mese gli attacchi sono diventati
più intensi e violenti: circa 80 villaggi incendiati finora, con oltre 300
tra morti e feriti, la distruzione del raccolto e terre inaccessibili”.



COOPI sostiene l’ospedale di distretto di Goz Beida fornendo farmaci,
materiale sanitario e personale, oltre a garantire la presenza 24 ore su 24
di un chirurgo espatriato. “Settimana scorsa è arrivata una donna ferita
alla spalla” continua A. Girardi, “al momento dell’attacco aveva suo figlio
a dorso, com’è usanza da queste parti; la pallottola che l’ha ferita è poi
uscita e ha preso la testa del piccolo, deceduto all’istante.”



Goz Beida è una città di 3.000 persone, dove attualmente sono presenti
15.000 rifugiati sudanesi, 10.000 profughi interni arrivati a marzo-aprile,
e 7.500 arrivati recentemente. A questi si aggiungono i “3.000 militari
governativi che hanno abbandonato Daguessa e Ade, due zone alla frontiera
Ciad-Sudan, e hanno ripiegato su Goz Beida con le loro famiglie, che
gravano ora sulla già scarsissima disponibilità d’acqua nella città. Con i
problemi di abbassamento drastico della falda sarà davvero dura” conclude
A. Girardi.



Con questa situazione, alcune persone dei villaggi ciadiani più vicini al
confine hanno deciso di rifugiarsi in Sudan, nel Darfur, generando un
movimento opposto ai profughi sudanesi che arrivano da quelle regioni. “E’
come se la frontiera ciadiana si fosse ritirata di 50 km, sulla linea di
Goz Beida” aggiunge Giacomo Franceschini, che segue dall’Italia gli
interventi di COOPI nel Paese. “Venerdì scorso sono inoltre giunti in città
mezzi blindati dell’esercito regolare”.



Le agenzie umanitarie hanno intanto deciso di continuare a distribuire
farmaci e scorte alimentari sia per svuotare i magazzini, esposti al
rischio di saccheggio, sia per rendere autonome le famiglie in caso di
nuovi attacchi.

“Oggi COOPI prosegue la propria assistenza sanitaria e nutrizionale al
100%”, spiega G. Franceschini. “Stiamo inoltre cercando di ridurre al
minimo il personale locale per mettere al sicuro il maggior numero di
persone. Tuttavia se la situazione dovesse peggiorare, stiamo valutando
l’ipotesi di diminuire anche il personale espatriato, ma nell’ottica di
continuare a garantire almeno i minimi servizi essenziali”.



COOPI – Cooperazione Internazionale è un’associazione laica e indipendente
che dal 1965 promuove l’accesso all’acqua, il diritto alla salute e
all’istruzione e il rispetto dei diritti umani delle comunità più povere
nel Sud del mondo. In 41 anni ha realizzato oltre 700 interventi in 50
paesi, coinvolgendo 50 mila operatori locali e assicurando un beneficio
diretto a 60 milioni di persone. In Italia COOPI realizza iniziative per
favorire la conoscenza e lo scambio tra le diverse culture.



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