la decadenza delle città e le balorde architetture




Quella speculazione alla fiera di Milano
Data di pubblicazione: 19.01.2007
Autore: Gregotti, Vittorio

La decadenza della città provocata dalle balorde architetture che incantano i decisori stupidi. Da la Repubblica del 18 gennaio 2007

Alla vicenda della speculazione edilizia dell’area storica della Fiera di Milano è stata dedicata un’attenzione distratta e locale. Dopo il mio primo, isolato testo sul Corriere della Sera (giugno del 2004), la stampa si è poco interessata della questione, tutta affidata alle proteste della popolazione circostante il futuro insediamento ed alla coraggiosa battaglia condotta dall’architetto Sergio Brenna e dal suo gruppo. Solo di recente le pagine milanesi di Repubblica hanno ospitato alcuni articoli di severo e giusto giudizio di Beltrami Gadola, che ha scritto «dell’eccellenza del peggio».
Si è parlato anzitutto delle scandalose procedure di concorso ed istituzionali che hanno segnato il destino della più grande area centrale disponibile della città di Milano. Purtroppo il caso Fiera non è isolato ed a Milano altre decisioni su grandi aree sono state prese negli ultimi anni con una sottomissione acritica alle mode e con una totale indifferenza alla storia urbana della città.
Ma il problema ha risvolti che meriterebbero un’attenzione più ampia da parte del governo stesso ed in particolare del ministro per i Beni e le attività culturali. Non basta la giusta battaglia per la difesa delle città d’arte se poi si consentono errori duraturi che consegneranno ai posteri la testimonianza della nostra capacità di costruire immagini urbane rappresentative solo di una cultura mercantile.
Sappiamo bene che, nonostante l’Italia si vanti di essere il paese dei monumenti e degli artisti, la cultura della forma urbana conta assai poco (quando è separata dalla rendita turistica) e che il destino della qualità morfologica e di uso delle sue città e del suo territorio sembra essere l’ultimo dei pensieri che preoccupano la collettività. Anzitutto, credo, perché istituzioni e politici sono attraversati, per quanto riguarda l’architettura, da dubbi ed ignoranze tanto ampi da rendere i loro giudizi molto incerti e quindi indifesi rispetto alle pressioni delle convenienze finanziarie, alle opinioni dei falsi competenti ed alle celebrazioni multimediali. Ancor più perché la stessa connessione tra pensiero politico e pensiero culturale è andata perduta, coperta dall’idea di libertà dell’artista come pura assenza di limiti ancorché come progetto critico.
Sembra che basti vincere qualche ridicola sfida come l’accumulo in altezza delle costruzioni o un «Guinness dei Primati» per l’edificio più inutilmente strampalato per affermare che la modernità globalizzata, cioè in realtà la sua provinciale imitazione, ha finalmente raggiunto la città più laboriosa d’Italia.
Naturalmente vi è anche l’aspetto, niente affatto secondario, delle critiche specifiche che al progetto dell’area Fiera sono state fatte; non solo alla frammentazione che rende insignificante il verde pubblico, alla totale astrazione dei principi ordinatori del nuovo insieme rispetto al contesto urbano, o all’estetismo privo di qualsiasi necessità delle forme inutilizzate con un puro obiettivo di marketing, ma anche a causa dell’indifferenza con la quale gli stessi responsabili della cultura si rendono complici, con evidente superficialità, di una posizione che vuole ridurre la pratica artistica dell’architettura a pura immagine comunicativa, rappresentazione iperrealista dello stato delle cose come il migliore dei mondi possibili.
L’assenza di ogni distanza critica, o meglio la sua trasformazione in estetica generalizzata, fa inesorabilmente decadere non solo le pratiche artistiche eccellenti ma anche il livello dell’onesto mestiere, lo trasforma nella cattiva coscienza dell’efficienza in sé o nella frustrazione, fatale per l’architetto di oggi, dell’assenza di successo mediatico, mentre trasforma l’architettura stessa in una forma di intrattenimento visivo.
Credo che tutto questo non interessi solo chi pratica la nostra disciplina, preoccupato del suo stato di corruzione ogni volta ingentilito da ingannevoli rappresentazioni pubblicitarie dove l’estetica diffusa delle mode trionfa. E quando tutto questo è estetico il giudizio può dissolversi. Ma purtroppo non si dissolvono né a Milano ma anche nel resto del paese, gli edifici durevolmente costruiti a partire da queste ideologie.