ambiente ed equità sociale una storia di crescita



da Aprile Quotidiano per la sinistra
25 settembre 2007
 
Una storia di crescita
 Franco Bianco,  24 settembre 2007

 Ambiente e equità sociale      I dati ultimi pubblicati dal "Living Planet Report", che raccoglie dati semestrali sull'impronta ecologica di oltre 150 nazioni, mostrano che l'impronta ecologica globale è già attestata sul 120% ( ! ) della capacità di carico del pianeta. Il mondo sfrutta ogni anno, in base al numero degli abitanti, oltre 2 miliardi di ettari più di quanti ne disponga. Eppure, le società attuali continuano a perseguire la crescita come imperativo categorico

Nell'anno 1650 la popolazione mondiale contava circa mezzo miliardo di persone, e cresceva ad un tasso annuo di circa lo 0,3%, al quale corrispondeva un "tempo di raddoppio" di 240 anni. La popolazione mondiale era, nel 1900, giunta a circa 1.600 milioni di persone, e presentava un tasso di crescita di circa lo 0,8% all'anno; nel 1965 era diventata  circa 3.300 milioni, ed il tasso di crescita annuo era aumentato al 2%; nel 2000 la popolazione mondiale contava 6.067 milioni, ed il suo tasso di crescita era diminuito all'1,3%, che però, in termini assoluti, comporta ancora un aumento di 75 milioni di persone all'anno; se il tasso annuo dell'1,3% venisse mantenuto, la popolazione mondiale si raddoppierebbe, rispetto a quella del 2000, in circa 55 anni (Nota: una facile regola per calcolare il tempo di raddoppio di un qualunque stock, corrispondente ad un tasso di incremento annuo composto dell'x%: basta dividere il numero fisso 72 per x. Esempi: al tasso dello 0,3%: 72:0,3=240; al tasso dello 0,8%: 72:0,8=90; all'1,3%: 72:1,3= 55 circa).
Fra il 1900 ed il 2000 il prodotto industriale mondiale è aumentato di oltre 30 volte; i beni di consumo pro-capite di circa 8 volte in valore totale. E' evidente che, dato l'aumento della popolazione nel frattempo intervenuto, il valore pro-capite medio era aumentato in misura molto inferiore, pari a circa il doppio nel 2000 rispetto al 1900. E' altresì evidente che il valore medio è definito come se la distribuzione fosse uniforme, il che è assolutamente lontano dalla realtà. Tuttavia, in tutta questa trattazione faremo sempre riferimento, salvo esplicito avvertimento diverso, ai valori globali, senza affrontare i problemi della disuniformità della distribuzione, e dei conseguenti problemi di mancanza di equità, ai quali dedicheremo solo cenni specifici.
Fra il 1950 ed il 2000 la popolazione mondiale è aumentata di 2,4 volte (da 2.520 a 6.067 milioni); il numero di veicoli immatricolati di oltre 10 volte (da 70 a 723 milioni, benché non più dell'8% - !!! - degli abitanti del pianeta possegga un'automobile); il consumo di petrolio di oltre 7 volte (da 3.800 a 27.635 milioni di barili l'anno); la capacità di generazione di energia elettrica di circa 21 volte (da 154 a 3.240 milioni di KW); la produzione di mais, frumento e riso di circa 4 volte.
Dai dati sommari aggregati esposti si evince che la crescita è stata continua, come tendenza complessiva e come risultati (a parte i declini temporanei dovuti ai conflitti mondiali), dal 1900 ad oggi. E la "ideologia della crescita" continua ad essere un imperativo della società contemporanea. "Oggi sappiamo che la crescita è il motore del cambiamento", proclamava George W. Bush nel 1992. Si sostiene che i problemi vitali come la miseria e la disoccupazione possono trovare soluzione solo nella crescita. Chi si avventura a cercare di mettere in discussione il valore intrinseco che viene attribuito alla crescita - o anche a distinguere fra crescita e sviluppo - rischia di essere (ed è, il più delle volte) ignorato, marginalizzato e perfino ridicolizzato.
Eppure non possiamo non porci domande che investono la mentalità della crescita, e della possibilità di continuare a perseguirla senza che questo comporti rischi per le popolazioni attuali e per quelle future. Non possiamo non chiederci se non esistano dei "limiti (o vincoli) globali", e di quale tipo essi possano eventualmente essere, e quali conseguenze per l'umanità possa comportare il loro superamento, temporaneo o permanente. Non possiamo non chiederci se la crescita illimitata sia "sostenibile" - e vedremo qual è il significato preciso di questo termine - sia sul piano ambientale globale che su quello sociale. C'è come una rimozione collettiva ad associare le tematiche ambientali a quelle sociali: eppure esse sono strettamente legate, basta qualche riflessione per rendersene conto. Vi accenneremo più avanti.
Avvertimenti e grida di allarme sono stati lanciati da tempo da persone, istituzioni e collettività di assoluto valore: ne citiamo qualcuno.
- Nel 1969 l'allora Segretario generale dell'ONU, U-Thant, scrisse: "I Paesi membri dell'ONU hanno a disposizione a malapena dieci anni per impegnarsi in un programma globale di risanamento dell'ambiente e di controllo dell'esplosione demografica, orientando i propri sforzi verso la problematica dello sviluppo. In caso contrario, c'è da temere che i problemi menzionati raggiungeranno dimensioni tali da porli al di fuori di ogni nostra capacità di controllo". 1969.
- Nel Giugno 1972 si tenne a Stoccolma, con la partecipazione di 110 Paesi, una Conferenza dell'ONU che si concluse con una "Dichiarazione sull'ambiente umano". Essa recitava: "Noi dobbiamo condurre le nostre azioni in tutto il mondo con più prudente attenzione per le loro conseguenze sull'ambiente, la cui difesa ed il cui miglioramento sono divenuti uno scopo imperativo per tutta l'umanità". La Dichiarazione elencava quindi 26 principi, che sono a tutt'oggi integralmente validi, purtroppo tuttora disapplicati o rispettati in misura insufficiente. Di questo si parla.
- Alla fine degli anni '60 fu fondato da Aurelio Peccei (1908-1984, grande imprenditore e manager industriale - fra le tante cose che fece, fu fondatore di Alitalia e di Italconsult, un'organizzazione non-profit alla quale diede il compito di aiutare lo sviluppo delle popolazioni del terzo mondo, memore delle situazioni estremamente disagiate in cui vivevano - nonché abilissimo organizzatore culturale) e dallo scienziato scozzese Alexander King, insieme a premi Nobel, leader politici e intellettuali, quello che divenne poi famoso come "Club di Roma" (il nome del gruppo nacque dal fatto che la prima riunione si svolse a Roma, presso la sede dell'Accademia dei Lincei), un gruppo di ricercatori e scienziati provenienti da tutto il mondo per sviluppare un progetto ed un programma per la previsione ed il monitoraggio dello sviluppo con l'intuizione fondante che il globo terrestre è finito (nel senso di non infinito) e che conseguentemente esistessero limiti fisici per lo sviluppo. Nel 1972 il Club di Roma dette alla stampa il volumetto tradotto come      "I limiti dello sviluppo", dove si presentavano i risultati della ricerca. Il titolo originale del libro era "The limits to growth", quindi era orientato a ciò che oggi, più correttamente, definiamo "crescita", poiché lo sviluppo è inteso come cosa diversa dalla crescita. Il Rapporto, che ebbe enorme risonanza, fu tradotto in molte lingue e fu venduto in milioni di copie, prediceva che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente petrolio. Gli stessi autori di quel Rapporto pubblicarono nel 1992 un'edizione riveduta, intitolata "Oltre i limiti dello sviluppo"; poi, nel 2004, hanno pubblicato (tradotto in Italia nel 2006), "I nuovi limiti dello sviluppo". In entrambi i due libri successivi al primo rilevano che ciò che nel 1972 era un pericolo latente è ormai divenuto realtà: il mondo ha ormai superato, non di poco e non da poco, i limiti della capacità di sostentamento della terra. Ed a nulla sono serviti i vertici mondiali su "ambiente e sviluppo" di Rio de Janeiro (1992) e di Johannesburg (2002, detto perciò " Rio + 10 ").
- Nel 1987 una commissione dell'ONU, detta Commissione Brundtland dal nome della sua presidente, ex primo ministro della Norvegia, introdusse il concetto di "sostenibilità": "Una società sostenibile è una società che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri".
- Nel 1988 fu costituito l'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), un comitato scientifico formato da due organismi dell'ONU (il WMO e l'UNEP) allo scopo di studiare il riscaldamento globale; i suoi rapporti sono alla base di accordi mondiali riguardanti i cambiamenti climatici (come il "Protocollo di Kyoto").
- Nel Novembre 1992 venne pubblicato un "Avvertimento degli scienziati all'umanità", sottoscritto da oltre 1600 scienziati di 70 Paesi, fra i quali 102 premi Nobel. Si leggeva fra l'altro: "Gli esseri umani ed il mondo naturale sono in rotta di collisione. Molte delle pratiche correnti mettono in serio pericolo il futuro per la società umana e per i regni vegetali ed animali. Chiediamo l'aiuto delle genti del mondo. Invitiamo tutti ad unirsi a noi in questo compito".
- Nel 1996, come accennato nell'articolo precedente, fu introdotto il concetto di "impronta ecologica".
- Nel Dicembre 1997 fu sottoscritto (NON ratificato) da più di 160 Paesi il "Protocollo di Kyoto", un trattato internazionale riguardante il riscaldamento globale e la riduzione del biossido di carbonio (anidride carbonica) e di altri cinque "gas serra" che concorrono al riscaldamento globale. Nel Febbraio 2005 l'accordo raggiunse, con la ratifica del Novembre 2004 da parte della Russia, le maggioranze richieste per diventare operativo. Gli USA, che avevano dapprima ratificato il Trattato con Clinton, se ne ritrassero con Bush, ed ancora oggi non lo hanno ratificato (gli USA, con il 5% della popolazione mondiale, sono responsabili del 36% delle emissioni complessive). Gli obblighi assunti con la ratifica cominceranno a decorrere dal 2008 e fino al 2012. Ma già dal 2005 sono ripartite le trattative relative al cosiddetto "secondo periodo" del Protocollo di Kyoto, che inizierà dal 2013, che riguardano l'impegno a ridurre ulteriormente le emissioni, poiché esistono stime secondo le quali entro il 2050 sarà necessaria una riduzione dal 45 al 60 percento delle emissioni globali di anidride carbonica, ed i limiti fissati dal "Kyoto 1" sono ben al di sotto di questi valori. Gli accordi attuali, come le cifre citate rendono evidente, sono del tutto insufficienti in sé (ciò non evita che essi non siano rispettati); inoltre, il "Kyoto 1" non prevede restrizioni per i paesi emergenti (per dare loro maggior respiro per le spese di riconversione), ma ormai già soltanto le emissioni di quei paesi superano la capacità di assorbimento dell'atmosfera. Vedremo più avanti quali sono le ipotesi in campo.
- Ancora nel 2001 un rapporto elaborato dalla Banca Mondiale scriveva: "Il tasso di degrado ambientale è allarmante, e, in taluni casi, in via di accelerazione. Nei Paesi in via di sviluppo, i problemi ambientali impongono pesanti costi umani, economici e sociali e minano le fondamenta su cui poggia la crescita e, in ultima analisi, la sopravvivenza".
Insomma, a distanza di quasi quarant'anni dall'allarme di U-Thant il mondo non ha cambiato rotta. I dati ultimi pubblicati dal "Living Planet Report", che raccoglie dati semestrali sull'impronta ecologica di oltre 150 nazioni, mostrano che l'impronta ecologica globale è già attestata sul 120% ( ! ) della capacità di carico del pianeta. Il valore sostenibile pro-capite sarebbe oggi di circa 1,8 ha (ettari), laddove sono stati misurati i seguenti valori di impronta ecologica media (dati WWF 2006): mondo 2,23 ha; paesi industriali 6,60 ha; paesi in via di sviluppo 1,5 ha come valore medio (in realtà varia da 2,52 ha per quelli più ricchi a 0,88 ha per quelli più poveri).
Il mondo sfrutta ogni anno, in base al numero degli abitanti, oltre 2 miliardi di ettari più di quanti ne disponga. Eppure, le società attuali continuano a perseguire la crescita come imperativo categorico. Una vera follia collettiva: danziamo tutti sul Titanic, ed abbiamo anzi prenotato i posti per i nostri figli e nipoti.