caos clima e diritti



DIRITTO DI CLIMA
_Wolfgang Sachs_

Tulun e Tafcuu, due piccole isole al largo delle coste di Papua Nuova Guinea, stanno per essere ingoiate dall'Oceano Pacifico, vittime dei cambiamenti globali del clima. Il governo ha inviato aiuti alimentari alle isole, da quando gli abitanti sono stati obbligati a nutrirsi solo di pesce e noci di cocco a causa dell'infiltrazione di acqua salata nei campi coltivati. Molti temono che una particolare cultura sparirà se la gente di Tulun e Takuu sarà costretta a lasciare la propria terra d'origine.
Chi sono i vincitori e chi i perdenti rispetto al caos climatico imminente? Bruciare carburanti fossili (come tagliare le foreste) produce sia elevati benefici che gravi oneri. In primo luogo, l'accesso ai combustibili fossili comporta un potere economico, quindi assistiamo a negoziati fra le nazioni per l'accordo sul dopo Kyoto, che si affrettano a permettere l'uso dell'atmosfera come discarica per i gas serra. La giustizia del clima, a questo proposito, significa equità tra le nazioni. In secondo luogo, tuttavia, riempire la discarica produce un incremento di numerose minacce climatiche, forse un'alta probabilità che diritti fondamentali vengano violati.
La giustizia del clima, in questo caso, ha a che fare con la dignità umana. Come ben si sa, la Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici del 1992, richiama alla stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra a un livello che «possa prevenire pericolose interferenze sul sistema climatico prodotte dalle attività umane» (Art. 2). Tuttavia, quale aumento nelle temperature medie globali è tollerabile? Fino a oggi gli accordi sul clima si sono astenuti dal definire in che cosa consistano le pericolose interferenze sul sistema climatico prodotte dalle attività umane. Che tipo di minaccia può essere classificata come «pericolosa»? Un incremento del livello del mare di 20 centimetri oppure di un metro? Un grado di aumento della temperatura globale o tre gradi? E in quale arco di tempo, in 20 anni o in 80 anni?
Queste questioni in apparenza tecniche, in realtà sono politiche. Ciò che si nasconde dietro queste domande sono fondamentali decisioni relative alla convivenza dei popoli e delle nazioni sulla terra. Perché diversi impatti sono associati a differenti livelli dell'incremento delle temperature, chi ne sarà influenzato, come, e con quale intensità dipende da quanto lontano si permetterà che vada il riscaldamento globale. L'effetto peggiore dei cambiamenti climatici sarà l'aumento della povertà globale e un approfondimento delle differenze sociali; tutto ciò ha effetto maggiormente sui poveri che sui ricchi. In particolare i paesi del Sud, specialmente i gruppi rurali che dipendono direttamente dalla natura, sentiranno gli effetti destabilizzanti del riscaldamento globale molto più brutalmente dei paesi industrializzati e delle popolazioni urbane.
Qualsiasi decisione su ciò che debba essere considerato un pericoloso livello di impatto è chiaramente una questione politica ed etica. Questo essenzialmente implica due valutazioni; Che tipo di pericolo è accettabile? E che tipo di pericolo è accettabile per chi? E' la risposta alla seconda domanda che determina il livello di ingiustizia ambientale correlato alla politiche sul clima.
Quando l'atmosfera della terra inizia a riscaldaci, la -.....-. Non è più a lungo possibile fare affidamento sulle piogge, il livello delle falde acquifere, le temperature, i venti o le stagioni
- tutti fattori che, da tempo immemorabile, hanno creato biotopi ospitali per piante, animali ed esseri umani. E' probabile che i maggiori impatti riguardino gli assetti naturali che sostengono l'esistenza umana

Analogamente, l'espulsione di popoli dalla loro terra, l'assalto al loro benessere fisico e l'azzeramento dei loro mezzi di sussisten-za sono stati da sempre gli strumenti per  l'esercizio repressivo del potere. Ma solo
dell'inizio dalla metà del XX secolo si è considerato
che questo modo di tenere in così poco conto gli altri avesse a che vedere con i di-
ritti umani. Nel mondo d'oggi esiste un consenso internazionale attorno all'idea che i casi di umiliazione e impoverimento debbano essere misurati in relazione alle norme che garantiscono i fondamentali diritti di ogni essere umano. Per diritto di nascita, le persone sono considerare depositarie di diritti che proteggono la loro dignità, a prescindere dalla loro nazionalità o appartenenza culturale. Tali diritti sono equi, cioè ognuno gode degli stessi diritti; sono inalienabili, cioè non sono disponibili; e sono universali, quindi ogni essere umano è depositario dei diritti fondamentali. Specialmente in un tempo di globalizzazione come il nostro, è lo sviluppo del discorso sui diritti umani che stabilisce i termini di  
riferimento per i conflitti fra il potere e le sue vittime. (...)
L'Accordo Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali stabilisce che «gii Stati firmatari del presente accordo riconoscono il diritto di ognuno ad un adeguato standard di vita per sé e per la sua famiglia, incluso cibo, vestiario e abitazione» (art. 11) e «il diritto ad elevati standard di salute fisica e mentale» (art.12). Sotto l'influenza di questa formulazione - che echeggia l'art.25 della Dichiarazione Universale per i Diritti dell'Uomo - il dibattito sullo sviluppo ha cambiato tono nei decenni successivi; sconfiggere la fame, le malattie e la povertà non è più visto come un problema di solidarietà e carità, bensì come un problema di diritti umani. L'approccio allo sviluppo fondato sui bisogni è così stato ampiamente sostituito da un approccio fondato sui diritti. (...) Gli impatti negativi dei cambiamenti climatici saranno probabilmente maggiormente concentrati in aree dell'Africa, Sud America e Asia. (...) la maggiore fragilità deriva dal fatto che in molti luoghi a rischio un gran numero di persone già vive in fragili condizioni economiche e di salute. (...) Questo non significa che le minacce all'integrità fisica dell'uomo legate al clima in condizioni di maggior benessere, possano non costituire una violazione dei diritti umani, ma i loro impatti nelle regioni povere spesso si sommano ad una situazione di qualità della vita già precaria; l'effetto combinato dell'insicurezza economica e dello stress climatico per un gran numero di persone ruota attorno alla questione su quanto cambiamento climatico è consentito in un problema di diritti umani.
Ai diritti umani legati al clima corrispon-dono solo doveri imperfetti. Così come una violazione del diritto al cibo, alla salute o ad un rifugio spesso non sono collegabili immediatamente all'azione di un chiaramente identificabile portatore di doveri, allo stesso modo gli effetti del clima non possono essere attribuiti a colpevoli con nomi e cognomi. In ogni caso, l'assenza di colpevoli e giudici non annulla i diritti. Una concezione strettamente giuridica, che ritenesse che non vi siano diritti se non
sono giudicabili, perderebbe di vista la natura universalistica dei diritti umani.
Inoltre, i cambiamenti climatici reclamano una responsibilità extra-territoriale. 1 turbamenti climatici chiaramente superano la giurisdizione dei singoli Stati, sono in effetti un chiaro esempio del carattere transnazionale delle minacce in un mondo altamente interdipendente. (...). Come ha stabilito il Rapporto Speciale della Commissione sui Diritti Umani per il Diritto al Cibo «I governi devono riconoscere i loro obblighi extraterritoriali nei riguardi del diritto al cibo. Dovrebbero astenersi dall'imple-mentare politiche o programmi che possono avere effetti negativi sul diritto al cibo di popolazioni che vivono fuori dal loro territorio di competenza» (UNCHR, 2005). Quando il diritto al cibo è minacciato dai cambiamenti climatici, il principio della responsabilità extraterritoriale diviene ancor più rilevante, dato che i paesi ricchi hanno maggiori responsabilità per i cambiamenti climatici dei paesi poveri. (...).
Questa responsabilità è in primo luogo di tipo negativo, richiede di evitare azioni negative piuttosto che interventi per garantire condizioni per una vita integra. Sotto la giurisdizione dei diritti umani, ai governi è richiesto un triplice compito in ordine al diritto al cibo, alla salute e alla casa: hanno il dovere di rispettarli, di tutelarli e di realizzarli. Dovrebbe di conseguenza seguire l'applicazione della stessa gerarchia di obblighi ai diritti climatici; il diritto di vivere liberi da perturbazioni climatiche indotte dalle attività umane dovrebbe in primo luogo essere rispettato evitando emissioni dannose sul piano nazionale; deve essere tutelato dalle emissioni di paesi terzi o di multinazionali attraverso la cooperazione intemazionale e, in terzo luogo, deve essere realizzato sviluppando la capacità delle popolazioni di affrontare efficacemente i cambiamenti climatici mediante misure di adattamento, come la costruzione di di-gite, ridislocazione di insediamenti, redistribuzione di terreni. (...)
Dal punto di vista dei diritti umani, le classiche risposte ai pericolosi cambiamenti climatici, mitigazione e adattamento, assumono una ulteriore urgenza. Per la miti-
gazione, il punto di vista dei diritti umani necessita di entrare in merito alia definizione di cosa costituisca un pericoloso cambiamento climatico. (...) Una valutazione dei possibili impatti (Exeter Conference, 2005) suggerisce che per evitare una minaccia sistematica ai diritti umani, è necessario mantenere l'incremento medio della temperatura globale al di sotto dei 2°C sopra i livelli pre-industriali. Un obiettivo che richiede impegni per la mitigazione ben più severi di quelli del Protocollo di Kyoto. Nel 2005 la Conferenza degli Inuit sottopose un appello legale alla Commissione interamericana per i Diritti umani richiedendo che gli Stati uniti d'America riducessero le emissioni. Questa iniziativa costituisce la prima azione legale contro una nazione ad alta intensità di emissioni in difesa di diritti umani, economici, sociali e culturali.!...)
Infine, il punto di vista dei diritti umani richiede misure vigorose per facilitare l'adattamento agii inevitabili cambiamenti climatici. Poiché le mitigazioni sono insufficienti, il principio «chi inquina, paga» richiede che le nazioni ad alta intensità di emissioni prevengano le violazioni dei diritti e offrano compensazioni per i danni. (...)
Finanziamenti compensativi sono necessari, ma lasciano intoccate le cause dell'inquinamento. Riduzioni nell'uso dei combustibili fossili sono un imperativo non solo per proteggere l'atmosfera ma anche per proteggere i diritti umani. Fin da quando fu ottenuta la Bill of Rights durante la "Gloriosa Rivoluzione" inglese, la sicurezza rispetto alla integrità fisica è stata il cuore del canone giuridico di base cui gli Stati sono obbligati ad attenersi. Ciò nonostante milioni di persone stanno perdendo questo fondamento dei diritti civili: acqua, cibo, rifugio ed un ambiente sano. Solo che qui la minaccia all'integrità fìsica proviene non dagli Stati ma dagli effetti, cumulati in un lungo periodo, del consumo energetico nelle parti ricche del mondo. La necessità di economie a bassa emissione nel Sud e nel Nord del mondo è quindi non più una questione di appello morale; è, invece, la domanda fondamentale di una politica cosmopolita. Cosi la protezione dai cambiamenti climatici non riguarda semplicemente colture di piante o barriere coralline, ma fondamentalmente attiene ai diritti umani.

Questo articolo è stato pubblicato per in-terosuln.51 della rivista Development, della Società per lo Sviluppo intemazionale
www.sidint.org/development