pianeta megalopoli



da repubblica.it
 
LUNEDÌ, 13 SETTEMBRE 2010
 
 
Le città sono sempre più grandi. E nel 2050 quelle con oltre 10 milioni di abitanti saranno 27. Ecco come si vivrà nel nuovo mondo 
 
FEDERICO RAMPINI
NEW YORK 

Chongqing e Chennai, Karachi e Lagos, Dhaka e Kinshasa: è ora di cominciare a imparare questi nomi, a situarli sul mappamondo, a fissarli nella gerarchia geopolitica delle nostre notizie. Il pianeta è avviato verso una nuova rivoluzione: il trionfo delle mega-metropoli. Entro i prossimi quarant´anni ci saranno almeno 27 super-concentrazioni urbane, avviate alla soglia dei 20 milioni di abitanti, alcune delle quali oltre i 30 milioni. E´ una trasformazione che avrà ripercussioni in ogni campo: dagli stili di vita ai consumi culturali, dall´energia all´ambiente, fino agli equilibri politici e ai sistemi di governo. Uno studio che sta per uscire negli Stati Uniti, "The World in 2050" dello scienziato Laurence C. Smith, geografo della University of California Los Angeles, getta una nuova luce sulle conseguenze di questa profonda trasformazione.
"The World in 2050", fondato su proiezioni demografiche ormai ad alto livello di precisione, disegna un pianeta dove «non soltanto il baricentro di ricchezza e potere si sposta da Occidente verso Oriente, ma emerge di prepotenza anche il Sud», con l´America latina e una sorprendente Africa. «Cambiano drasticamente la natura e il ruolo dei flussi migratori». E la lotta per le risorse naturali si spingerà verso frontiere sempre più distanti: «La conquista del Nuovo Nord» (per le riserve d´acqua contenute nei ghiacci dell´Artide, e i giacimenti di gas-petrolio sotto la calotta polare) o la sfida per la colonizzazione dello spazio.
 
L´intervista
 
Cesare De Seta, scrittore ed esperto di architettura
 
"Quanti rischi per la salute in quei mostri di cemento"
 
   
VALERIA FRASCHETTI

«Finché continuerà a mancare la cultura della pianificazione tra coloro che le governano, le megalopoli resteranno luoghi inconciliabili con la sostenibilità ambientale e dove la nostra salute sarà sempre più minacciata». Cesare De Seta, scrittore ed esperto di architettura contemporanea, non appare affatto ottimista di fronte allo tsunami urbano in corso sul pianeta, dove già oggi la metà della popolazione vive nelle città.
Professore, è possibile prevedere un´inversione di tendenza?
«Temo di no. Il mestiere del vivere continua ad apparire più facile in città. Nonostante condizioni di vita spesso infernali, i grandi centri urbani non smetteranno di essere dei magneti economici per coloro che vogliono fuggire dalla miseria. Queste spaventose spinte migratorie sono incontrollate e stanno creando delle metastasi urbane. È un fenomeno che va assolutamente controllato»
Come?
«Bisogna creare dei sistemi capaci di accogliere queste masse di cittadini. Ad esempio pianificando una rete di città-satellite, come fecero gli inglesi dopo la seconda guerra mondiale. Grazie alla loro cultura di "planning", acquisita con l´esperimento delle "new towns", crearono una rete urbana che ha evitato di trasformare Londra in una megalopoli sconfinata»
E oggi non vede esempi promettenti nel mondo?
«Purtroppo no. C´è un totale disinteresse da parte dei governi urbani dove, tra l´altro, la cultura della pianificazione è generalmente assente. Basta appunto vedere quello che accade in città, tipo Città del Messico e San Paolo, dove nessuna istituzione si preoccupa di pensare al futuro».
A Vancouver hanno lanciato un progetto di "densificazione urbana" nella convinzione che con più abitanti in città si ridurranno gli spostamenti in auto e quindi le emissioni di CO2. Può funzionare, secondo lei?
«Dipende. Se il traffico in città non verrà né governato né arginato, anche attraverso la creazione di una rete funzionale di trasporti, allora tutto sarà inutile».
Quali sono le conseguenze a livello sociale di quelle che lei chiama "metastasi urbane"?
«Un esempio drammatico è quanto accade a Parigi, che pure è una città ben governata, ma circondata da un anello di miserabili banlieues, dove la marginalizzazione razziale e economica crea insofferenza che periodicamente sfocia in disordini».