la costituzione e i beni pubblici



La Costituzione e i beni pubblici
Data di pubblicazione: 24.08.2010

Autore: Settis, Salvatore

Abbiamo individuato la banda dei predoni che saccheggia il nostro
patrimonio. Siamo più di loro, se non riusciamo a cacciarli è colpa nostra.
La Repubblica, 24 agosto 2010


Nel duro scontro fra interessi privati e bene comune dei cittadini, c’è un
dato da cui partire: il più robusto schieramento italiano è il "partito
della Costituzione". 

Lo mostra l’eloquenza dei numeri: nelle elezioni del
2008, il maggior partito italiano (il Pdl) ebbe 13.629.464 voti, pari al
37,3% dei voti espressi; nel referendum del 2006, la riforma costituzionale
varata dal centro-destra fu bocciata da 15.791.293 italiani (il 61,3 % dei
voti espressi).

La percentuale dei votanti fu assai diversa nei due casi
(52,3% nel 2006, 80,4% nel 2008), ma quel che conta (anzi, conta ancor di
più) è il dato in cifra assoluta: a difesa della Costituzione, contro una
riforma che somiglia anche troppo all’insussistente "Costituzione materiale"
invocata dall’onorevole Bianconi contro il Capo dello Stato, votarono allora
oltre due milioni di cittadini più degli elettori Pdl di due anni
dopo.

Come ha osservato il Presidente emerito Scalfaro, i vincitori del
referendum del 2006 non seppero trarre le conseguenze di quel risultato, ma
è oggi il momento di ricordarsene. Oggi, mentre il Paese è in preda a una
schizofrenia di cui gli osservatori stranieri sembrano accorgersi molto più
di noi.



Il tema dei beni pubblici, che Rodotà ha affrontato in queste pagine il 10
agosto, è un’ottima cartina di tornasole: nella stessa Italia nascono oggi
da un lato avanzatissime proposte, dall’altro sgangherate devoluzioni. L’Accademia
dei Lincei ha appena pubblicato un bel volume (a cura di Ugo Mattei, Edoardo
Reviglio e Stefano Rodotà) sui Beni pubblici dal governo democratico dell’economia
alla riforma del Codice Civile. Sono gli atti di un convegno (aprile 2008)
sui lavori della Commissione Rodotà sui Beni Pubblici, che ha lavorato dal
giugno 2007 al febbraio 2008. 

Dato che lo statuto dei beni pubblici è
«disperso in mille rivoli, in classificazioni formalistiche del Codice
Civile, nonché in una miriade di leggi e leggine speciali», quella
Commissione provò a metter ordine, usando come guida i valori della
Costituzione, poiché «il regime giuridico dei beni pubblici costituisce il
fondamento economico e culturale più importante per la realizzazione del
disegno di società contenuto nella Costituzione stessa» (le citazioni da U.
Mattei).

Sono state così individuate alcune categorie fondamentali, a cominciare dai
beni comuni, «che si sottraggono alla logica proprietaria tanto pubblica
quanto privata, per mettere al centro una dimensione collettiva di fruizione
diretta di lungo periodo» e dai beni ad appartenenza pubblica necessaria,
«che appartengono alla stessa essenza di uno Stato sovrano». Vi sono poi i
beni pubblici sociali, «fortemente finalizzati, attraverso un vincolo di
scopo, agli aspetti misti e sociali del nostro disegno costituzionale», e i
beni pubblici fruttiferi, sostanzialmente disponibili, ma con «un caveat
generale, molto importante»: questi beni «fanno pur sempre parte del
patrimonio per così dire "liquido" di tutti noi». Tutti i cittadini italiani
«sono titolari pro quota di beni pubblici», onde eventuali alienazioni
comportano garanzie e compensazioni per tutti i titolari di tale portafoglio
collettivo di proprietà.

In luogo di questa concezione dei beni pubblici,
che rispetta la Costituzione e l’interesse dei cittadini come collettività e
come singoli, si è avviato un processo diametralmente opposto, che sotto l’etichetta
di "federalismo demaniale" borseggia il portafoglio proprietario della
cittadinanza (e di ciascuno di noi), e lo ridistribuisce a Regioni ed enti
locali, utilizzandolo come una sorta di salvadanaio di terracotta, da fare a
pezzi per prelevarne ogni spicciolo e gettarlo al vento.

In base alla legge Calderoli, lo Stato cede 19.005 unità del proprio
demanio, per un valore nominale di oltre tre miliardi. Passano a Comuni,
Province e Regioni beni del demanio idrico e marittimo, caserme e aeroporti,
catene montuose, e così via. Il trasferimento comporta che una parte di
questi beni diventerà immediatamente disponibile alla vendita. Un’altra
porzione passerà invece al demanio degli enti locali e delle Regioni, cioè
resterà inalienabile sulla carta: ma la stessa legge prevede una forma
strisciante di privatizzazione, e cioè il versamento gratuito di beni
pubblici (anche demaniali) in fondi immobiliari di proprietà privata (purché
i privati versino nello stesso fondo beni di proprietà equivalente). 

Si
capisce così come mai il monte Cristallo sia stato valutato 259.459 euro, e
le intere Dolomiti 866.294 euro [Il Gazzettino, 4 agosto 2010]: perché sono
destinate a fondi immobiliari, in cui i privati verseranno proprietà di
valore "equivalente" onde assumerne il pieno controllo. Fu dunque per questo
che quasi 700.000 italiani d’ogni provincia (età media 25 anni) morirono sul
fronte della I guerra mondiale.



Il "federalismo demaniale" è stato reclamizzato dal presidente della Regione
Veneto Zaia come la «restituzione ai legittimi proprietari» di beni
indebitamente sottratti da uno Stato-ladrone: un argomento che ha convinto l’"opposizione",
tanto è vero che l’Idv ha votato a favore, il Pd si è astenuto.

Tanta
concordia non è dovuta a distrazione: evidentemente non solo a destra si
condivide il disegno di utilizzare i beni pubblici, come dice la legge
Calderoli, «anche alienandoli per produrre ricchezza a beneficio della
collettività territoriale», cioè non di tutti gli Italiani, nel cui
portafoglio proprietario quei beni erano fino a ieri.

"Produrre ricchezza" vuol dire svendere, visto lo stato disastrato delle
finanze locali (la manovra Tremonti 2010 ha tagliato a Regioni ed enti
locali altri 15 miliardi nel triennio), e visto che secondo leggi recenti i
Comuni devono allegare al bilancio ogni anno un «piano di alienazioni
immobiliari». Come ha scritto efficacemente Galli della Loggia (Corriere
della Sera, 2 agosto), «fino ad oggi gli italiani potevano pensare di
essere, in quanto tali, padroni del proprio Paese. Ora non più. Dobbiamo
aspettarci la rovina definitiva del paesaggio e del patrimonio naturalistico
del nostro Paese, la sua totale mercificazione-cementificazione».


Contro queste ed altre schizofrenie che viviamo, contro quello che si scrive
"federalismo" e si legge "secessione", contro la strategia perdente di
inseguire la Lega sul suo terreno, la Costituzione è il massimo baluardo.


La Costituzione scritta, quella che quasi sedici milioni di italiani
difesero nel 2006 col loro voto. La sola Costituzione esistente, quella di
cui il Presidente della Repubblica è e deve essere garante supremo.