caccia all'albero



1966, Caccia all'Albero
Data di pubblicazione: 14.02.2011

Autore: Cederna, Antonio

In un articolo da l'Espresso, 30 ottobre 1966, si anticipano, pressoché
identici i temi sollevati dalle recente sentenza sul Codice della Strada e
le alberature da abbattere per la nostra "sicurezza"

(il testo è oggi ripubblicato anche in Brandelli d'Italia. Come distruggere
il bel paese, Roma, Newton Compton editori, 1991, pp. 183-85)

La guerra agli alberi che fiancheggiano le strade italiane non si farà più,
o almeno sarà condotta con criteri meno micidiali di quelli impiegati
finora. Una circolare firmata dal ministro dei Lavori Pubblici e inviata all'ANAS,
alle province ai comuni, alle prefetture e ai vari ministeri interessati
mette un freno agli indiscriminati abbattimenti e prescrive le norme per
garantire la "salvaguardia del patrimonio arboreo in rapporto alla sicurezza
della circolazione": non solo, ma per la prima volta in un documento
ufficiale si parla della necessità di realizzare, anche nelle strade di
nuova costruzione, un vero e proprio "paesaggio stradale".

La condanna degli alberi era stata annunciata alla conferenza di Stresa del
1959, e la strage segnò la massima punta tra il 1962 e l'inizio del 1965:
più di centomila alberi tagliati di cui oltre 23.000 solo negli ultimi mesi
del '64. La strage avrebbe dovuto estendersi ai settecentomila alberi
esistenti lungo i trentaseimila chilometri di strade statali a partire dall'agosto
del '64, quando l'ANAS decise di eliminare quelli che sorgevano a meno di
150 metri dalle curve e ameno di 80 centimetri dal ciglio della carreggiata,
per il resto risparmiando un albero ogni trenta metri. Fu quello il momento
in cui l'ANAS mostrò tutta la sua arretratezza tecnica: da un lato
pretendeva di adeguare la rete stradale italiana al traffico crescente
rubacchiando qualche centimetro a destra e a sinistra a spese degli alberi;
dall'altro mostrava di ignorare completamente sia i dati sulla minima
responsabilità degli alberi negli incidenti, sia il parere di paesaggisti,
naturalisti ed esperti in comportamento stradale circa l'utile funzione
degli alberi proprio agli effetti della sicurezza di guida.

Fin dal 1959, infatti, il presidente dell'Automobile Club aveva dichiarato
che, in base a un'indagine su settemila chilometri di strade statali, "solo
in pochissimi casi si era potuto identificare nell'albero la causa vera e
propria dell'incidente". Nel 1961 "Medicina sociale" riportava una
statistica in base alla quale gli urti contro ostacolo fisso (tra cui gli
alberi) risultavano pari all'1,8 per cento del totale degli incidenti. Alla
conferenza di Stresa del 1964 veniva reso noto che, su settemila incidenti
del 1960, gli urti contro ostacolo fisso erano apri ad appena lo 0,8 del
totale. L'anno dopo "Italia Nostra" calcolava che nel 1963 gli urti contro
ostacolo fisso non avevano superato il 4 per cento degli incidenti: infine,
da una statistica della polizia stradale risultava che nel 1964 gli urti
contro alberi erano pari al 2,13 per cento del totale degli incidenti.

L'albero appariva dunque come l'ultimo elemento da prendere in
considerazione nella casistica degli incidenti le cui cause vere, come è
ovvio, risiedono nell'incoscienza dei guidatori e nell'imperfezione tecnica
delle nostre strade. Ci si domandava infatti che senso avesse prendersela
con gli alberi, quando si tollerava la presenza, ai lati delle strade, di
paracarri, pali, muri di cinta, fossati, cunette e l'assenza di fasce di
rispetto, di aree di parcheggio e riposo, di corsie pedonali, e via dicendo;
quando nessuna norma urbanistica vieta ancora il sorgere di costruzioni a
tre metri dal ciglio, così che le strade statali si trasformano in strade
urbane, moltiplicando all'infinito le possibilità di incidenti. E ancora:
quale diritto aveva l'ANAS di prendersela con gli alberi lungo le vecchie
strade, quando sulle stesse autostrade di nuova costruzione si era incapaci
di adottare efficaci misure di sicurezza, come dimostrano le scarpate dei
rilevati, la collocazione dei pilastri dei viadotti, la minima misura dello
spartitraffico, il più stretto d'Europa, causa di continue, mortali
fuoriuscite a sinistra?

D'altra parte si sottolineava la funzione positiva delle alberature: esse
sono un invito alla moderazione della velocità, stimolano l'attenzione
contro la sonnolenza, favoriscono la "guida ottica" (mostrano cioè a
distanza e in anticipo l'andamento e il tracciato della strada), formano un
ambiente vario e riposante, evitano i "colpi di luce", causa di disturbi di
vario genere.

Indifferente alle statistiche e al parere degli esperti, l'ANAS tirava
diritto. Organizzò anche, nel corso delle periodiche rilevazioni del
traffico nazionale, uno strano referendum fra gli automobilisti,
distribuendo una scheda con tre domande: gli alberi sono un elemento di
pericolo? costituiscono un elemento paesaggistico essenziale? desiderate che
siano eliminati? E fece gran caso del fatto che il 56 per cento aveva
risposto affermativamente alla prima, il 51 per cento negativamente alla
seconda, e il 54 per cento affermativamente alla terza. Si trattava però di
un referendum senza senso: il problema era stato posto in maniera rozza,
presentato senza alternative e in modo da sollecitare la risposta
desiderata; né poteva essere altrimenti, dal momento che era stato indetto
da chi era interessato a una determinata soluzione, anziché da un ente
neutrale e specializzato in sondaggi di pubblica opinione. Restava dunque
ancora da dimostrare quale fosse l'atteggiamento degli automobilisti nei
confronti degli alberi: l'unico referendum attendibile era stato promosso
dalla rivista "L'Automobile" nel 1962, e si era risolto, tra la sorpresa
generale, con la maggioranza di risposte favorevoli alla conservazione degli
alberi; e così un successivo sondaggio fra i soci del Touring Club. Come
dire che la gente comune, in certi casi, è assai meglio di tanti persuasori
occulti e palesi.

Finalmente, preoccupato delle dimensioni che il fenomeno andava assumendo e
delle proteste sempre più energiche degli enti di cultura, alla fine del
1964 il ministro Mancini nominava una commissione, della quale facevano
parte anche urbanisti e paesaggisti, col compito di studiare il problema con
argomenti che non fossero soltanto le seghe a motore dell'ANAS. Si dovette
arrivare al marzo del 1965 perché venisse preso l'ovvio provvedimento della
sospensione di tutti i tagli in attesa che la commissione concludesse i suoi
lavori: le vecchie abitudini contratte dall'ANAS negli anni facili
costituivano un serio ostacolo, e la fissazione di tagliare gli alberi ebbe
la sua parte nei motivi che portarono, nel novembre di quell'anno, all'allontanamento
del direttore generale Giuseppe Rinaldi.

I lavori di quella commissione hanno portato alla circolare cui abbiamo
accennato in principio. In essa si parla, come di cosa essenziale, del
rispetto per "le alberature, i boschi, la flora esistenti", e si mette in
rilievo la necessità di "assumere un più sensibile atteggiamento" di fronte
ai problemi del paesaggio. Il taglio degli alberi viene considerato come un'eccezione,
da limitare "ai soli casi strettamente necessari" (per lavori di
sistemazione e adeguamento di "tratti" stradali, per ragioni di visibilità
presso gli incroci, curve, passaggi a livello ecc.), mentre si riconosce,
"per altrettanto validi motivi", cioè per il loro "interesse culturale", l'esigenza
di salvaguardare i complessi arborei esistenti. Il taglio, in quei "casi
strettamente necessari", viene sottoposto a una serie di controlli per cui l'ente
proprietario è tenuto a chiedere il parere della Soprintendenza, dell'Ispettorato
forestale, dell'Ente provinciale del turismo, dell'osservatorio
fitopatologico, ecc. Si raccomanda il trapianto degli alberi rimossi, si
accenna a servitù ed espropri di terreni in fregio alle strade, si
raccomanda alle amministrazioni di prevedere nei bilanci stanziamenti per
"sostituzione, reintegro o impianto di piantagioni". Per le strade di nuova
costruzione, si esigono progetti dettagliati e si danno le norme per le
distanze minime, a seconda del tipo di strada e delle piantagioni da
sistemare.

È, in sostanza, la prima volta che l'autonomia dell'ANAS viene sottoposta a
una serie di controlli; e che la creazione del paesaggio stradale viene
considerata un elemento integrante della progettazione, come da gran tempo
avviene in tutti i paesi civili. C'è tuttavia da rammaricarsi di tre lacune:
primo, manca una disposizione che, in caso di necessario allargamento della
strada, obblighi, in linea di principio, alla conservazione dei filari e
alla creazione di una carreggiata interamente nuova; secondo, la scelta dei
casi "strettamente necessari" è ancora lasciata all'ANAS e quindi soggetta
agli umori dei suoi funzionari, anziché a un organismo permanente,
culturalmente e tecnicamente preparato; terzo, non si fa cenno alla funzione
che le vecchie strade devono svolgere nel quadro della viabilità nazionale:
è chiaro che nell'età delle superstrade e delle autostrade, le vecchie vie
alberate non sono più fatte per le grandi velocità e le lunghissime
percorrenze, ma devono servire ai traffici locali, o trasformarsi
gradatamente in strade turistiche; di qui, ancora una volta, l'inutilità,
anzi il danno, dell'abbattimento degli alberi. Comunque sia, siamo lontani
dai tempi in cui l'ANAS annunziava "la sistematica abolizione delle
alberature poste ai margini delle strade" e pensava di importare dalla
Malesia alberi "elastici".

Nota: su eddyburg a proposito della sentenza 2011 sul Codice della Strada
che imporrebbe di eliminare gran parte delle alberature stradali italiane si
vedano anche l'articolo di Fabrizio Bottini e quello di Alberto Cudstodero
dal Corriere della Sera