i 147 padroni del mondo



da democrazia km 0

I 147 padroni del mondo

— 18 gennaio 2012 

di MARIO AGOSTINELLI

La crisi peggiore degli ultimi cento anni è descritta con metafore che provengono dal mondo della navigazione: rotta, tempesta, naufragio si sprecano all’interno di ogni commento. Nei fatti, ci stiamo abituando ad una autentica battaglia navale in cui singole corazzate con bandiere nazionali ed equipaggi indifferenziati – dagli operai ai pensionati, agli industriali, ai banchieri – muovono a contendere lo spazio a quelle “nemiche” che incrociano sui propri mari (o in zone limitrofe che diventeranno presto campo di battaglia) apparentemente senza regia e con navigazione a vista. Con la politica che ha perso la bussola, che esibisce capitani senza spessore e autorevolezza e sempre più lontani dagli equipaggi, e che va cedendo i ponti di comando a tecnici di lungo corso, esperti – sembrerebbe – dei mari, le cui tempeste non hanno saputo domare quando dovevano far funzionare i fari e mandare a tempo avvisi ai naviganti. E’ il caso della Grecia e dell’Italia ed è quanto sta alle spalle della coppia Merkel-Sarkozy, a cui basta una nota di S&P per perdere completamente l’orientamento.
Al di là di questi richiami suggestivi, siamo di fronte al crollo più rovinoso delle democrazie storiche e al crescente dominio della finanza e del capitale industriale, oggi impegnato nella speculazione, a dispetto della sovranità popolare costituzionalmente ribadita, ma materialmente bloccata. In verità, è in atto il più profondo mutamento nel sistema di potere a livello globale, che percepiamo a naso, ma raramente qualifichiamo e quantifichiamo.
In uno studio del settembre 2011 (http://arxiv.org/abs/1107.5728) un gruppo di matematici dell’Università di Losanna rivela empiricamente la rete capitalista che domina il  mondo. Partendo da una base di dati di 37 milioni di imprese e investitori, vengono identificate 43.060 grandi imprese transnazionali che praticamente controllano l’universo sottostante dei 37 milioni. Raffinando ancora di più i dati, il modello finale ha rivelato un nucleo centrale di 1.318 grandi imprese con 20 connessioni – in media – con altre imprese e con un potere economico che, sebbene concentri solo il 20% dei redditi globali di vendita, detiene la maggioranza delle azioni delle principali imprese del mondo – le cosiddette blue chips – detentrici del 40% della ricchezza mondiale.
Ma l’analisi si è spinta oltre, focalizzandosi per la prima volta non sui singoli fatturati, ma sul valore aggregato delle partecipazioni azionarie intrecciate di singoli capofila. Si è così penetrati anche nelle zone dei cosiddetti “trust” , ammessi dal diritto anglosassone, che consentono di nascondere capitali anonimi. Ci si riduce così alla fine a 147 imprese intimamente interrelazionate, la cui  maggioranza sono banche (enumeriamo qualche caso a tutti noto tra le prime 50; banche oltreoceano: JP Morgan, Chase & Co, Merrill Lynch, Goldman Sachs, Bank of America; banche europee: UBS , Deutsche Bank, Crédit Suisse, Unicredito Italiano, BNP Paribas), assicurazioni (Allianz LLoyds), multinazionali dell’acqua e del petrolio (Société Générale des eaux, China Petrochemical Group), fino a poche finanziarie industriali dei trasporti, del nucleare e dell’elettronica (Mitsubishi, UFJ Financial Group Inc. Dodge & Cox).
Dice niente questa mappa  di “piovre” che detengono un potere sproporzionalmente elevato sull’economia globale e che indirizzano lo spostamento di enormi riserve pubbliche statali alle banche e agli armamenti, sostengono la decadenza dello stato sociale pubblico a favore dei sistemi assicurativi, la privatizzazione dell’acqua e il rilancio del binomio auto-petrolio contro le rinnovabili e la mobilità sostenibile? Come il mondo ha visto durante la crisi del  2008, queste reti sono molto instabili: basta che un nodo abbia un problema serio che questo si propaga automaticamente a tutta la rete, trascinando con sé l’economia mondiale come un tutto.
Si tratta comunque di reti ad alta conservazione e con relazioni e punti di comando affidati a tecnici e managers che costituiscono un olimpo internazionale, che agiscono fuori dall’interesse generale e non sono sottoposti ad alcun controllo democratico. Siedono invece in istituzioni private poco trasparenti, (Trilateral, Bilderberg, Aspen Institute) costruite per inviti e cooptazioni da grandi potentati economici (Rockefeller, Goldman Sachs, Unilever, Ford) e allargate a politici e intellettuali, dove si decidono strategie internazionali a danno della partecipazione e dell’uguaglianza che, in fondo, stanno alla base delle richieste del 99% che si indigna. Sulla tolda delle nostre corazzate in lotta di sopravvivenza, stanno salendo queste figure (lascio ai lettori le indagini di verifica anche attraverso Wikipedia) con un sostanziale accordo di fondo, ma con gli elicotteri già a loro disposizione nel caso in cui ci fossero naufragi…