[Economia] Perché votare SI’ al referendum contro la durata illimitata delle concessioni estrattive a mare entro le 12 miglia marine dalla costa. | Gruppo d'Intervento Giuridico onlus




Perché votare SI’ al referendum contro la durata illimitata delle concessioni estrattive a mare entro le 12 miglia marine dalla costa.
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aprile 10, 2016
Gruppo d'Intervento Giuridico 


Si avvicina la data del 17 aprile 2016 del referendum contro la durata illimitata delle concessioni estrattive a mare già esistenti entro la fascia delle 12 miglia marine dalla costa.

Questo il quesito referendario: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale’?”

Indubbiamente una formulazione tecnica, non facilmente comprensibile, ma si è sentito e si sente di tutto per invitare gli italiani a non andare a votare. E per disinformarli.

Da ultimo, al di là dei toni cordiali, anche il Presidente della Regione autonoma della Sardegna Francesco Pigliaru.

Attualmente (dati Ministero dello Sviluppo economico, 2016) vi sono 69 concessioni estrattive a mare, 44 concessioni delle quali entro le 12 miglia marine dalla costa (il 63,8% del totale): 25 di queste producono esclusivamente gas, 1 solo olio, 4 producono olio e gas e 14 sono al momento non produttive. In totale producono 4,5 miliardi di metri cubi di gas e 750 mila tonnellate di olio greggio. Le rimanenti concessioni sono esterne al limite delle 12 miglia.

Complessivamente nei mari italiani, nelle 69 concessioni di coltivazione mineraria esistenti, sono presenti 131 piattaforme di produzione. Alle piattaforme sono collegati 726 pozzi di cui circa la metà sono al momento eroganti (cartografia).

Sapete perché si vuol mantenere la durata illimitata delle concessioni estrattive sotto costa, introdotta dal decreto Sblocca Italia e poi confermata dalla Legge di Stabilità 2016?[1]

Sapete perché conviene continuare a estrarre petrolio e gas naturale in Italia, nonostante la scarsità di giacimenti[2], la chimera dell’autonomia energetica e, soprattutto, il prezzo internazionale sotto i 30 dollari al barile?

Fondamentalmente per ragioni economiche e fiscali.

In Italia dal 2010 per le estrazioni in terraferma la royalty è del 10% per il petrolio e il gas naturale, mentre in mare dal 2012 ci sono due diverse aliquote: 10% per il gas naturale7% sul petrolio, mentre si va dal 10% della Croazia al 25% della Guinea all’80% di Norvegia e Russia.  Complessivamente nel 2012 sono stati incassati 333.582.603 euro di royalties.

Italia – royalties per estrazione di olio greggio e gas naturale, ripartizione (2012)

Però potrebbero e dovrebbero esser molti di più, se vi fosse reale attenzione agli interessi pubblici.

Infatti, vi sono anche vantaggiosissime franchigie. Le società titolari di concessioni estrattive di petrolio e gas naturale non pagano le royalties se estraggono meno di 20 mila tonnellate di petrolio a terra e meno di 50 mila tonnellate a mare. Ovviamente vendono, però, il petrolio senza alcun pensiero. E se le soglie sono superate, scatta un’ulteriore detrazione di circa 40 euro a tonnellata.

Così il 7% delle royalties di legge viene pagato solo dopo le prime 50 mila tonnellate di greggio estratto e neppure per intero. In Italia, inoltre, sono esentate dal pagamento le produzioni in regime di permesso di ricerca. Ecco perché per chi estrae è fondamentale quella “durata di vita utile del giacimento“, indicata dal decreto Sblocca Italia e poi dalla Legge di Stabilità 2016.

Se, per esempio, vi fosse in Italia la royalty del 50%, lo Stato avrebbe incassato 1,9 miliardi di euro nel 2014.

Inoltre, dismettere un impianto comporta costi molto alti per le società concessionarie: meglio estrarre il minimo per il maggior tempo possibile. Tanto non c’è alcun obbligo giuridico di estrarre tutto e subito.

Governo e Parlamento dovevano intervenire sul piano normativo e non l’hanno fatto, ora possono farlo i cittadini con il referendum del 17 aprile 2016.

Sarà anche un aspetto marginale quello della durata delle concessioni estrattive a mare, riguarderà soltanto 44 concessioni, ma voi lascereste all’affittuario di casa vostra la libertà di pagare il canone che vuole e quando vuole?

Perché non mettere a bando le concessioni una volta scaduto il termine ultimo e rimanesse ancora gas naturale o petrolio da estrarre?  Perché non ottenere condizioni più vantaggiose per gli interessi pubblici?

Il succo del referendum è questo.

Se si raggiungerà il quorum elettorale (50% degli elettori + 1) e vinceranno i “sì”, la materia dovrà essere certamente rivista in senso favorevole agli interessi pubblici e all’ambiente, altrimenti continueranno a farla da padrone le società energetiche.

E per questo votiamo e facciamo votare SI’ al referendum del prossimo 17 aprile!

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

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[1] L’art. 6, comma 17°, del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i. ora stabilisce:

“17. Ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonchè di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia marine dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, oltre che per i soli idrocarburi liquidi nella fascia marina compresa entro cinque miglia dalle linee di base delle acque territoriali lungo l’intero perimetro costiero nazionale. Per la baia storica del Golfo di Taranto di cui all’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1977, n. 816, il divieto relativo agli idrocarburi liquidi è stabilito entro le cinque miglia dalla linea di costa. Al di fuori delle medesime aree, le predette attività sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti del presente decreto, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività di cui al primo periodo. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano ai procedimenti autorizzatori in corso alla data di entrata in vigore del presente comma. Resta ferma l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla stessa data. Dall’entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente comma è abrogato il comma 81 dell’articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239”.

[2] attualmente In Italia sono prodotti circa 7 miliardi di meri cubi di gas pari all’11,55% del fabbisogno nazionale e circa 5,5 milioni di tonnellate di olio pari al 9,67% del fabbisogno nazionale e si è passati dagli 80 pozzi di petrolio del 1991 ai 18 del 2014. L’80% di tutto il gas naturale che viene prodotto in Italia (e che soddisfa circa il 10 per cento del fabbisogno nazionale) viene estratto dal mare, così come circa il 25% di tutto il petrolio estratto in Italia.