In ogni giovane apatico si nasconde un combattente



In ogni giovane apatico si nasconde un combattente

Francesco Alberoni - Corriere della Sera 7/3/05


A volte mi cadono le braccia. Ancora vent’anni fa era possibile elencare moltissimi filosofi, storici, sociologi, psicologi che i giovani leggevano con avidità considerandoli dei maestri. Faccio i primi nomi che mi vengono in mente: Levi-Strauss, Lacan, Foucault, Barthes, Braudel, Habermas, Jonas, Berlin. Prendete ora qualsiasi giovane e domandategli quali autori legge abitualmente considerandoli dei maestri. Spesso non ne nominano nemmeno uno. Hanno magari letto le Barzellette di Totti e Il codice da Vinci senza naturalmente aver capito che è un mostruoso imbroglio storico. Ma non possono averlo capito perché non sanno più la storia. Girano il mondo e non sanno localizzare su una carta geografica dove sono gli Stati. Navigano in Internet ma, poiché su Internet ci sono solo frammenti, fanno un minestrone di frammenti che non riescono a ordinare. Molti non leggono più i giornali. Hanno paura della matematica. Tanti arrivano all’università senza saper non solo scrivere, ma nemmeno parlare. E non imparano a farlo neanche lì, perché quasi dappertutto stanno scomparendo gli esami orali, dove discuti con lo studente, gli chiedi di argomentare. Si dedicano alla chiacchierologia ed evitano le materie scientifiche. Li vedi nei banchi apatici, svogliati, sembrano privi di vita, di passioni. Evitano lo sforzo, evitano le sfide, non sono abituati a combattere, cedono alle prime difficoltà. A volte mi cadono le braccia. E come a me a tanti professori. Ed è giusto dirle queste cose, non si possono solo fare elogi ai giovani, ripetere demagogicamente che sono la speranza del futuro. Lo sono se si svegliano. Lo sono se qualcuno riesce a risvegliare in loro la voglia di sapere, di capire, di inventare, di lavorare. Ed è facilissimo farlo. Sì, è facilissimo. Prendete un gruppo di giovani svogliati che sembrano zombie e chiamateli a lavorare con voi su un progetto. Un progetto alto, ambizioso, un progetto difficile in cui c’è da faticare duro. E mettetevi a farlo con loro, in mezzo a loro, con energia, con entusiasmo, coinvolgendoli, dando loro incarichi e responsabilità. Lasciateli sbagliare ma che capiscano lo sbaglio fatto. Siate esigenti, molto esigenti perché devono sentire la durezza del compito e imparare a resistere, a non guardare all’orario, alla fatica ma solo alla meta. Finche non imparano che devono essere esigenti con se stessi. Stimolateli, rimproverateli, elogiateli, gridate, applaudite, festeggiate finché non diventate un gruppo dedicato alla meta. Allora vedrete fiorire delle meraviglie. Perché non sono i giovani che sono apatici, morti, ignoranti, pigri, siamo noi che non abbiamo capito che l’essere umano è, nel profondo, un combattente, che ha al suo interno una spinta irrefrenabile a salire in alto. È questa che bisogna risvegliare. Ma non la si risveglia con il «poverino, poverino» e con la pigrizia. E la si uccide con l’indifferenza. La si risveglia solo additando una meta e dimostrando, con il tuo esempio, che ci credi e che sei pronto a batterti insieme a loro per raggiungerla. Come hanno sempre fatto i grandi educatori, i grandi scienziati, i grandi generali. Cesare dormiva su un lettuccio da campo fra i suoi soldati e si lanciava nella battaglia con loro. E vincevano sempre.

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