Diritto all’apprendimento permanente - proposta di legge di iniziativa popolare



Relazione di accompagnamento alla proposta di legge di iniziativa popolare 
“Diritto all’apprendimento permanente”
 
I sottoscritti cittadini italiani presentano – ai sensi dell’art. 71, comma secondo della Costituzione ed in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352 e successive modificazioni – la seguente proposta di legge:
 
RELAZIONE
Onorevoli Parlamentari,
 
            più volte l’OCSE, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nei suoi rapporti annuali sull’istruzione e anche nel più recente del 2008, Education at glance, ha osservato che in Italia manca un sistema unitario o coordinato di continuing education, “istruzione continua”. Questa espressione ha in italiano diversi equivalenti: educazione o istruzione degli adulti, educazione o istruzione o formazione permanente o ricorrente. La varietà stessa delle denominazioni circolanti segnala la natura parziale e poco o niente coordinata di iniziative che pure vi sono. Nella loro varietà  le espressioni, a parte proposte di specificazione, si riferiscono a istituzioni e processi di apprendimento di adulti e adulte usciti per età dalle ordinarie istituzioni scolastiche di base, secondarie superiori, di formazione professionale regionale, universitarie. La proposta di legge di inziativa popolare che qui si presenta intende sopperire alla tradizionale mancanza di coordinamento e offrire una base normativa e una cornice nazionale unitarie alle iniziative già esistenti o da realizzare coordinandole in un sistema nazionale di educazione degli adulti
            La necessità di un impegno in tale ambito è avvertita e soddisfatta in molte parti del mondo e si dovrebbe avvertire anche in Italia per ragioni assai generali inerenti alla vita e organizzazione delle società contemporanee. Concorrono a ciò tre principali fattori.            
            Anzitutto l’innalzamento della vita media ha dischiuso un lungo periodo di vita dopo l’uscita dalle istituzioni scolastiche e, per quanti vi siano pervenuti, universitarie. Una quantità di persone crescente e auspicabilmente in crescita si trova a dovere utilizzare a quaranta, cinquanta e più anni di distanza quanto ha appreso in età scolastica. Anche le menti più vigili vanno incontro nel tempo  al deperimento di ciò che si apprese entro le istituzioni scolastiche e formative ordinarie, un deperimento  che si è cercato di valutare e viene stimato mediamente e generalmente  intorno ai cinque anni di regressione delle competenze massime acquisite in età giovane. Chi acquisì una laurea torna per dir così ai livelli di uscita dalle secondarie, chi in queste raggiunse il diploma torna ai livelli di competenze raggiunti nella scuola di base, chi si limitò a questo livello regredisce nelle condizioni di inizio del cammino scolare e, spesso, in condizioni di vera e propria dealfabetizzazione. E, in effetti, recenti indagini osservative internazionali meritoriamente promosse da Statistic Canada hanno portato a constatare che sacche cospicue di dealfabetizzazione o, come si dice, di analfabetismo di ritorno si trovano in  tutti i paesi sviluppati, dal Canada ai paesi del Nordeuropa. 
            Deperimento, regressione e dealfabetizzazione incidono tanto più negativante per il contemporaneo insorgere e incalzare di altri due fattori.
            Lo sviluppo impetuoso dei saperi specialistici in ogni campo ha assunto dalla metà del Novecento un andamento che  senza enfasi o sciatteria può correttamente definirsi esponenziale. Per la comune consapevolezza ciò appare con più evidenza in alcuni ambiti scientifici,  biologia, fisica, astrofisica, nelle scienze mediche e dell’ambiente, nell’ingegneria informatica e delle comunicazioni. Ma il fenomeno è generale.  Lo sviluppo dei saperi non ha lasciato indenni neanche settori che si potevano supporre appartati, dalle tassonomie naturalistiche alle scienze del diritto,alle scienze umane, alle matematiche. Non genericamente le persone colte, ma gli stessi specialisti devono fare i conti, per continuare a svolgere le loro ricerche, con masse imponenti di acquisizioni nei rispettivi settori verificatesi negli ultimi venti, dieci, cinque anni. Ciò non riguarda soltanto gli specialisti di particolari settori. Ciò investe la qualità dell’informazione giornalistica corrente, l’assetto degli insegnamenti universitari e mediosuperiori e aspetti non marginali perfino degli insegnamenti e apprendimenti di base. Investe, in definitiva, l’intera circolazione, trasmissione e formazione della cultura intellettuale.
            In nesso con gli sviluppi di ordine conoscitivo altrettanto impetuosamente si sono sviluppate tecniche e tecnologie, che pervadono e innovano sia i modi di produzione, sia gli scambi, sia l’organizzazione e i modi della vita sociale, privata, individuale, anche quotidiana e spicciola. La pervasività e lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono oggi sotto gli occhi di tutti e hanno conseguenze imponenti sulle economie e sull’assetto del vivere, creano opportunità appena ieri non immaginabili, ma espongono a nuovi rischi individui e società: i rischi di nuove forme di esclusione, di nuove povertà misurabili non in moneta ma in mancanza o disponibilità di risorse di capacità conoscitive e tecniche. Affiora la percezione di nuovi diritti e doveri, se si vogliono proteggere le vite private e garantire l’inclusione di tutte le persone nella vita delle società: inclusione come persone responsabili e pari, non come inerti, reietti, sudditi.  . 
            È dunque ragionevole che organismi internazionali come l’OCSE mettano in primo piano l’esigenza generale della continuing education. Senza questa appare difficile orientarsi nella vita delle culture e delle società contemporanee, sono messe in forse diritti umani primari e le possibilità di effettiva partecipazione, di inclusione, infine di democrazia sostanziale.
            Le ragioni generali che dappertutto sollecitano lo sviluppo dell’educazione continua si sposano in Italia  a ragioni e problemi specifici. Le nostre scuole hanno saputo cancellare le eredità più vistose di un lungo passato secolare di rifiuto della scuola e della cultura intellettuale e scientifica. Finito il fascismo, terminata la guerra, a metà Novecento per il 59,2% la popolazione adulta era priva di ogni titolo scolastico, anche la semplice licenza elementare, e in gran parte si confessava analfabeta ai censimenti del 1951 e 1961. Perfino la lingua nazionale era non bene comune, ma privilegio di una minoranza. Non è più così. Gli analfabeti che si autocertificano tali al censimento e le persone senza alcun titolo scolastico toccano ormai meno del 10% della popolazione. Scolarizzazione delle leve giovani e vita sociale nel quadro democratico hanno diffuso un certo grado di possesso della lingua nazionale a più del 90% degli adulti. E tuttavia, usciti dalle istituzioni formative, cittadine e cittadini della Repubblica hanno trovato e non hanno modificato un ambiente assai povero di centri e agenzie capaci di stimolare arricchimento e crescita culturale: non biblioteche territoriali, non teatri e sale da concerto, declinanti i cinema, povera la consuetudine con i libri, con gli stessi giornali, non superiore al 38% l’abitudine di accedere a internet. Così in Italia assai più che negli altri paesi sviluppati la dealfabetizzazione ha colpito e colpisce duramente. Le indagini osservative internazionali su estesi campioni rappresentativi della popolazione italiana in età di lavoro, tra i 16 e i 65 anni, hanno impietosamente messo a nudo la povertà di competenze alfabetiche e numeriche. Il 5% della popolazione ha difficoltà a decifrare o riprodurre una scritta anche assai semplice. Un terzo della popolazione ne è capace, ma ha difficoltà a procedere oltre sulla via della comprensione e produzione di testi scritti relativi alla vita quotidiana e di anche semplici computi numerici. Ben più della metà della popolazione adulta è a rischio di regredire in condizioni di completo analfabetismo. Aspra e amara per chi ha a cuore la sorte del Paese è la conclusione del più recente rapporto in materia: solo meno del 20% degli adulti avrebbe le capacità alfabetiche e numeriche minime indispensabili per orientarsi nella vita di una società contemporanea. Anche se nessuno le ha smentite ci si può augurare che queste cifre pecchino per qualche eccesso. In ogni caso il quadro italiano, nel confronto con quello di altri paesi, esige una presa di coscienza e decisioni e realizzazioni adeguate: a quelle che altrove sono sacche di regressione, nel caso italiano corrisponde uno strato spesso e profondo che rappresenta  una vera   emergenza nazionale. Un’emergenza tanto più grave quanto più sottaciuta o ignorata.
            Analisi economiche dicono che ciò pesa negativamente da vent’anni sulle capacità produttive del Paese, complessivamente in difficoltà  dinanzi a produzioni che sempre più incapsulano conoscenze innovative . Uno sguardo, anche un solo sguardo all’ambiente dice quali guasti e vere catastrofi produce la scarsa diffusione di competenze. Questa pesa negativamente su qualità e circolazione dell’informazione.  La stretta correlazione tra qualità culturale dell’ambiente familiare e l’andamento scolastico di bambini e giovani dice quanto negativamente la condizione regressiva adulta pesa sugli apprendimenti scolastici e sull’efficacia della scuola ordinaria. Si sente sollecitare a tratti uno scatto di moralità della vita collettiva: ma una morale senza conoscenze non sa trovare i punti su cui esercitarsi, rischia sordità e cecità.  Nell’insieme il quadro delle modeste competenze adulte fa intravedere una difficoltà non meno grave per quanto riguarda la capacità di partecipare con piena consapevolezza e responsabilità alle scelte anche morali che il Paese ha dinanzi. L’emergenza della dealfabetizzazione nazionale prefigura il rischio di un’emergenza democratica. .
            Porre mano a un sistema di educazione degli adulti è un compito non dilazionabile, un compito che la Repubblica stessa è chiamata ad assolvere per garantire le condizioni di eguaglianza sostanziale di cittadine e cittadini sancite dall’articolo 3, secondo comma, della Costituzione.
            Nel merito, il provvedimento proposto si pone l’obiettivo di costruire il sistema dell’apprendimento permanente. A questo fine detta i principi generali, le linee guida, le azioni e le misure a sostegno e promozione. Occorre rendere effettivo il diritto all’apprendimento lungo tutto il corso della vita, sostenendo la domanda e potenziando l’offerta, realizzando il coordinamento e l’interazione delle diverse tipologie di offerta, diffondendo i servizi di supporto e le migliori pratiche.
            L’articolo 1 afferma il diritto all’apprendimento permanente quale diritto soggettivo, esigibile da parte di ogni persona. Impegna la Repubblica a riconoscerlo e a promuoverne l’esercizio lungo il corso della vita.
            L’articolo 2 descrive le azioni di promozione del sistema dell’apprendimento permanente: misure a sostegno delle persone, singole o associate, delle istituzioni e delle agenzie formative, dei servizi di supporto. A questo fine valorizza la funzione svolta dalle parti sociali e il contributo specifico dei Fondi Interprofessionali allo sviluppo della formazione permanente.
            Gli articoli 3 e 4 definiscono i concetti relativi all’apprendimento formale, non formale e informale al fine di promuovere le diverse forme di apprendimento permanente in modo complementare e sinergico, valorizzando il contributo specifico di ognuna ed evitando sprechi e sovrapposizioni.
            L’articolo 5 prevede interventi per rimuovere gli ostacoli che impediscono la partecipazione degli adulti all’apprendimento permanente: in particolare gli ostacoli di natura economica e la ristrettezza del tempo disponibile per la formazione. A questo fine sono previsti, oltre alle forme di accesso gratuito, interventi di sostegno alle spese di formazione e per aumentare il tempo disponibile per la partecipazione alle iniziative formative. Sono inoltre previste specifiche misure per sollecitare, attraverso l’informazione e l’orientamento, la partecipazione alle attività formative della domanda debole e inespressa: l’integrazione tra servizi educativi, sociali e sanitari sulla base della Legge 328/200 e la pubblicazione in ogni provincia di un “Albo dell’offerta formativa”.
            L’articolo 6 stabilisce che il Governo emani decreti legislativi per riordinare la disciplina a sostegno dell’apprendimento permanente dei lavoratori e dei pensionati. Per i lavoratori la proposta prevede una base minima per congedi e permessi garantita per legge a tutti i lavoratori indipendentemente dal comparto contrattuale di appartenenza, fermo restando quanto già previsto dalla legge 300/70 e dai contratti nazionali di lavoro, che possono ampliare e migliorare le opportunità garantite dalla legge. La proposta di legge amplia la base minima garantita e migliora le condizioni di fruibilità dei congedi e dei permessi retribuiti per la formazione rispetto a quanto previsto dalla Legge 53/2000: ai fini della maturazione del diritto porta da cinque a tre gli anni di anzianità lavorativa necessari e riduce la consecutività dell’anzianità nella stessa azienda o amministrazione da cinque anni a dodici mesi, amplia il periodo di congedo formativo richiedibile da undici mesi a un anno e garantisce ad ogni lavoratore almeno trenta ore annuali di permesso formativo retribuito, esclude che il datore di lavoro possa non accogliere la richiesta di congedo per la formazione e demanda alla contrattazione collettiva la disciplina delle modalità di fruizione del congedo.
            L’articolo 7 prevede interventi da parte dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali, sulla base delle rispettive competenze, per potenziare l’offerta di formazione permanente e la definizione da parte dello Stato dei livelli essenziali delle prestazioni per l’accreditamento delle strutture formative che realizzano percorsi di apprendimento non formale.
            L’articolo 8 impegna Stato, Regioni ed Enti Locali, per le rispettive competenze, a realizzare su tutto il territorio nazionale servizi di supporto di informazione, orientamento, consulenza individuale, accompagnamento, documentazione, validazione degli apprendimenti, monitoraggio e valutazione.
            Gli articoli 9 e 10 prevedono le misure per garantire a tutti i cittadini la certificazione delle competenze comunque acquisite e per riconoscerle come crediti formativi attraverso apposite procedure di validazione. A questo fine indica nel Repertorio delle professioni, istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, la sede dove ricondurre, definire e aggiornare tutte le figure professionali e i relativi standard professionale, formativi e di certificazione.
            L’articolo 11 impegna Stato, Regioni ed Enti Locali a garantire su tutto il territorio nazionale servizi di orientamento all’apprendimento permanente. A questo fine stabilisce che il Governo emani un decreto per determinare gli standard minimi di qualità dei servizi di orientamento.
            L’articolo 12  prevede un piano di azione nazionale, definito dal governo d’intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni, per la promozione dell’apprendimento permanente finanziato annualmente dalla legge finanziaria. Nei primi tre anni di attuazione della legge il finanziamento deve essere almeno sufficiente a raggiungere, al temine del triennio, l’obiettivo del 12,5% di partecipazione della popolazione adulta alla formazione che, secondo l’agenda di Lisbona, si sarebbe dovuto raggiungere entro il 2010.

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