TUTTI CONTRO URIBE!!!



TUTTI CONTRO URIBE!
 
Articolo pubblicato sul n. 83 di Resumen Latinoamericano (edizione italiana)
 
In Colombia, negli ultimi mesi del 2005 e nei primi di quest’anno, si è esteso e consolidato l’amplio e variegato movimento di massa contro la rielezione del presidente narco-paramilitare Uribe Vélez. Questo spettro, che va dai sindacati alle organizzazioni contadine, dal Polo Democratico Alternativo (coalizione socialdemocratica) a candidati indipendenti come Alvaro Leyva Durán (convinto assertore della necessità di uno scambio di prigionieri di guerra e di una soluzione politica al conflitto sociale ed armato), dal movimento studentesco ai comitati di difesa dei diritti umani, dalle comunità afrocolombiane ed indigene all’insorgenza rivoluzionaria, è accomunato dalla cristallina consapevolezza del fatto che, in caso di vittoria di Uribe alle elezioni presidenziali del 28 maggio 2006, sarebbero altri quattro anni di guerra totale contro il popolo e di totale sottomissione agli imperativi di Washington e del Pentagono.
Il bilancio del governo Uribe dall’agosto 2002 -quando cioè questo miniführer si è insediato- ai giorni nostri non potrebbe essere più sciagurato. Relativamente all’educazione pubblica, il tentativo della Casa de Nariño di smantellarla è sotto gli occhi di tutti: il taglio della spesa sociale per finanziare le politiche guerrafondaie del regime ha prodotto un’emorragia nei bilanci delle università, con il conseguente aumento esponenziale delle tasse per gli studenti, che si vedono obbligati ad abbandonare i più diversi corsi di laurea. Tra le università più colpite da questa politica di abbandono e privatizzazione menzioniamo, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, quella dell’Atlantico, quella del Chocó e la Nacional. Come se non bastasse, oltre 300.000 bambini in più si trovano esclusi dall’educazione elementare, ed il 95% dei giovani non riesce ad accedere a quella superiore.
Stesso discorso per quanto concerne la salute: privatizzazione (ben 30 casi!) o chiusura tout court degli ospedali, logorati da anni di tagli ai finanziamenti statali, e smantellamento degli ambulatori e dell’ISS, il locale istituto di previdenza sociale.
In materia di condizioni sul lavoro, l’attacco ai già esiguissimi diritti dei lavoratori è stato devastante: la fine della giornata lavorativa è stata spostata dalle 18.00 alle 22.00, con la conseguente eliminazione del pagamento degli straordinari nella suddetta fascia oraria; il salario minimo è stato ulteriormente compresso in rapporto all’inflazione reale, e le pensioni minime stabilite al di sotto della sua soglia. L’età pensionabile è stata portata a 65 anni per gli uomini e 60 per le donne (in un paese ed in un contesto socio-economico in cui la longevità ed una serena “terza età” sono chimere), ed ai pensionati è stata decurtata una mensilità. Mentre il tasso di disoccupazione ha sfondato il tetto del 30%, la sottoccupazione ed il lavoro nero affliggono ogni giorno di più la popolazione economicamente attiva.
Sempre in riferimento alle politiche sociali e dei prezzi, Uribe ha aumentato per ben 15 volte quello al dettaglio della benzina e dei combustibili, riducendo però al contempo il prezzo del barile di petrolio venduto alle multinazionali statunitensi (10 dollari, a fronte degli oltre 60 sul mercato internazionale!) Invece di aumentare la pressione fiscale sui ricchi, corrispondenti a meno del 5% della popolazione totale, ha esteso l’IVA alla maggior parte dei prodotti del paniere familiare, di largo consumo popolare; inoltre, ha creato nuove forme di tassazione diretta ed indiretta che combinano la penalizzazione delle classi meno abbienti con il finanziamento di megaprogetti e politiche pensate -ed imposte manu militari- in funzione degli interessi dell’oligarchia e del gran capitale finanziario transnazionale.
Questo governo, che nella più assoluta impunità ha fascistizzato la sovrastruttura istituzionale e legalizzato il paramilitarismo attraverso la farsa circense dei cosiddetti “dialoghi del Ralito”, onde poter riciclare i paramilitari negli organi repressivi del regime ed i loro narcocapitali nelle casse dell’oligarchia e dei paradisi fiscali (messi in piedi e gestiti da chi sappiamo), persegue ciecamente l’obiettivo irraggiungibile di una sconfitta militare del movimento guerrigliero. La follia di questo sogno ad occhi aperti dell’establishment ha fatto di Uribe un asservito esecutore del Plan Patriota, quale accelerazione del Plan Colombia e dell’intervento militare USA in questo paese andino-amazzonico. Ma migliaia di mercenari ed assessori militari gringos a capo di quest’offensiva contro le FARC, i palloni aerostatici sospesi sulla selva per raccogliere informazioni in tempo reale, nuovi ed equipaggiatissimi battaglioni speciali di contro-guerriglia addestrati dagli USA (20.000 uomini solo in una parte del sud del paese), elicotteri Black Hawk e bombardieri d’ogni tipo, sono stati ripetutamente ridicolizzati dalla contundente risposta dell’Esercito del Popolo, capace nel febbraio scorso di paralizzare oltre un terzo del paese e d’infliggere migliaia di perdite al nemico. Inutile dirlo, Uribe gioca alla guerra (che sta perdendo) ma si guarda bene dal mandare i propri figli e quelli dell’oligarchia a combattere… A farne le spese sono quasi sempre i poveracci, per la gioia del complesso militare-industriale nordamericano.
Sul piano continentale, questo governo ha svolto un ruolo estremamente prezioso per la geopolitica di Washington. Servile nei confronti dell’ALCA e del recentemente sottoscritto Trattato di Libero Commercio, ha trasformato la Colombia in una piattaforma d’aggressione contro la Rivoluzione Bolivariana del Venezuela, fino ad ora neutralizzata e disinnescata anche grazie a quel grande muro di contenimento rappresentato -come sempre più analisti ed organizzazioni di tutto il mondo riconoscono- dalle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia. Come se non bastasse, Uribe ha riesumato il famigerato Plan Condor, con una caccia alle streghe nei confronti di militanti popolari e rappresentanti dell’insorgenza in diversi paesi latinoamericani, calpestando la loro sovranità e le più elementari norme del diritto internazionale. La sfacciataggine con cui viola lo spazio aereo e terrestre del Venezuela e dell’Ecuador è accompagnata dalla boria e dalle montature con cui accusa i processi bolivariani nel continente e da rifugio ai golpisti (vi ricordate di Carmona, golpista venezuelano ora ospite e frequentatore d’eccezione dei salotti bogotani?)
Aldilà dei risultati delle elezioni presidenziali di maggio (e giugno, in caso di ballottaggio), le mobilitazioni e le diverse forme di lotta adottate dal popolo colombiano e dalle sue organizzazioni sono destinate a crescere e rafforzarsi. In un paese in cui basta il 25% del quorum per sancirne la validità, ed in cui bastano le dita di una mano per contare i milioni di voti ottenuti al fine di risultare eletti presidenti (con brogli di ogni sorta, voti estorti dai paramilitari e consensi comprati con i soldi del narcotraffico), il processo elettorale non può essere e non sarà l’unico né l’ultimo momento in cui il traballante esecutivo fascista verrà messo duramente alle corde dal movimento popolare colombiano. Chiunque risulti eletto presidente, dovrà fare i conti con questo sempre più fragoroso torrente in piena di lavoratori, studenti, contadini, sfollati e combattenti bolivariani disposti a lottare senza cedimenti per la seconda e definitiva indipendenza. L’ineludibile dovere del movimento italiano contro la guerra e l’imperialismo è quello di sostenere, amplificare ed accompagnare questo inarrestabile torrente.
 
Max Lioce
Associazione nazionale Nuova Colombia 
 

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