C'E' BISOGNO DELLA NUOVA COLOMBIA!



ABBIAMO BISOGNO DELLA NUOVA COLOMBIA!
 
 
Di Iván Márquez, membro del Segretariato delle FARC-EP
 
 
Di fronte al Primo Ministro canadese, e senza che nessuno glie lo stesse chiedendo, il Presidente Uribe ha manifestato di non essere un paramilitare e che nel 2002 le FARC sono state sul punto di prendere il potere.
 
La prima affermazione può nascere soltanto da un uomo, come lui, messo alle strette da quel mostro dello Stato che è il Frankenstein della narco-para-politica. E’ come se divagasse, sospinto dal ripudio internazionale e dalle schiaccianti evidenze.
 
I fatti sono gravi e contundenti. Tutto il vertice dello Stato ne è coinvolto. I suoi ministri più importanti, quello della Difesa, quello delle Finanze, il Vicepresidente della Repubblica, il Comandante dell’esercito, un’ottantina di parlamentari uribisti, diversi governatori, il suo ex capo della sicurezza, l’ex cancelliere, ecc. Tutti sguazzano senza via d’uscita nel pantano del marciume che è la narco-para-politica.
 
Quello colombiano non è un governo affidabile. E Uribe lo deve aver percepito repentinamente di fronte all’illustre ospite. Quando si tratta di relazioni diplomatiche con altri governi, istanze ed organismi internazionali, un governo fuorilegge e manipolatore non può ispirare fiducia. Qualcosa deve motivare i senatori democratici (degli USA, N.d.T.) a lasciare nel limbo i rapporti con Uribe fintanto che non risolverà la questione della para-politica e dei diritti umani.
 
Il fatto è che si tratta di un governo messo in piedi su migliaia di fosse comuni, milioni di sfollati, motoseghe paramilitari, distorsioni della Costituzione, brogli elettorali e denari del narcotraffico.
 
Quel “io non sono paramilitare” sfuggito senza convinzione dalle labbra di Uribe, fa parte di quella testarda abitudine, di cui è prigioniero, di contraddire la sua coscienza.
 
E per quel che concerne l’imminenza della caduta del governo e della presa del potere da parte delle FARC, azione frustrata da Uribe soltanto nella sua immaginazione, dobbiamo dire che è un tema di ben altre profondità e magnitudini.
 
E’ vero che in quel periodo avevamo in nostro potere circa 500 prigionieri di guerra, tutti catturati in combattimento, che avevamo assestato colpi demolitori alle truppe ufficiali in diversi punti del paese, che se avessimo preso un battaglione si sarebbe sgretolato il morale dell’esercito e che esistevano condizioni oggettive per la presa del potere. Ma non c’erano condizioni soggettive che lanciassero il popolo in piazza, alle barricate ed all’insurrezione con quella determinazione propria dei popoli che in un momento determinato della storia li spinge a non lasciarsi più governare dagli oppressori, e che è un ingrediente essenziale del Piano Strategico delle FARC che chiamiamo anche “Campagna Bolivariana per la Nuova Colombia”.
 
Ciò che teme maggiormente questa oligarchia, come il diavolo l’acqua santa, è l’esplosione sociale in presenza di un esercito guerrigliero, bolivariano come le FARC, sulle montagne. Essa sa che nella confluenza, nell’incontro di queste due forze demolitrici sta la chiave della vittoria popolare. E non solo. Sa molto bene che allora si solleverebbe nel nord del Sudamerica la grande onda della rivoluzione continentale e la possibilità della nascita in questo emisfero della Patria Grande sognata dal Libertador.
 
E’ questa prospettiva a muovere la Casa Bianca nell’escalation del suo intervento militare nel conflitto interno della Colombia. Il Plan Patriota -componente militare della “Sicurezza Democratica”- disegnato dagli strateghi del Comando Sud dell’esercito degli Stati Uniti, cerca di scongiurare questa possibilità proponendosi la sconfitta militare della guerriglia, o quanto meno di incrinare la sua volontà per portarla in ginocchio al tavolo dei negoziati.
 
La graduale trasformazione della base aerea di Tres Esquinas e della postazione di comando di Larandia, nel Caquetá, in enclavi o basi militari statunitensi, fa parte di questa intricata partita a scacchi militare. I gringos, con la loro tecnologia d’avanguardia, i loro satelliti, i “predators” e gli elicotteri Chinook, non sono venuti nel sud della Colombia soltanto per ammazzare i moscerini nel tedio del mezzogiorno della selva amazzonica.
 
La verità è che questo nuovo tentativo di annichilire la resistenza si protrae da oltre cinque anni, ma non ci sono riusciti. Il Plan Patriota è un fallimento, e lo riconoscono Tiri e Troiani. Come avevano pianificato, hanno occupato il “cuore della ribellione”, hanno battuto la selva ed hanno scandagliato le cordigliere, senza però poter presentare risultati consistenti. Sembrano non capire che affrontano una guerra di guerriglia mobile, che non cessa di mettere effettivi fuori combattimento e procurargli sorprese ed ancora sorprese. Contrariamente ai loro propositi, ciò che si sta spezzando è la volontà di combattere delle truppe ufficiali. Come dice il generale Tapias, la guerriglia si è abituata al concetto delle forze di spiegamento rapido, delle unità mobili e dell’appoggio aereo. Dal fragore dei combattimenti sta nascendo il guerrigliero dell’offensiva finale, che sa di contare sull’amore del popolo perché questa lotta ha le più profonde radici sociali e politiche.
 
Il Plan Patriota non ha modificato sostanzialmente lo spiegamento strategico della nostra forza, stipulato nel piano generale delle FARC. Si avanza, come in qualunque progetto, con gli alti e bassi imposti dalla realtà. Quando sono raggiunti gli obiettivi di una fase si passa a quella successiva, e così via fino a quando si considererà arrivato il momento dell’offensiva finale, e del governo di coalizione o, a seconda di come vi si acceda, di quello rivoluzionario.
 
Desideriamo la soluzione politica, ma i governi dell’oligarchia vogliono esclusivamente la resa e la consegna delle armi, senza cambiamenti strutturali, senza cedere i loro privilegi, senza discutere la questione della formazione delle Forze Armate, senza giustizia sociale e senza aprire il cammino ad un nuovo Stato. Tutti hanno seguito quella strada. Pastrana mente quando afferma che il processo del Caguán è fallito per colpa delle FARC. E’ fallito perché quel Presidente è scappato dalla discussione sulla disoccupazione ed il sistema economico; e soprattutto perché aveva bisogno di guadagnare tempo allo scopo di concludere quella che è stata definita la reingegneria dell’esercito, finalizzata ad inseguire cocciutamente la chimera della sconfitta militare della guerriglia. Adesso Pastrana tira il petto in fuori dicendo che, nell’accordo umanitario siglato con la guerriglia, era riuscito ad ottenere la liberazione di circa 400 militari. Ma in virtù dell’accordo umanitario furono liberati soltanto 13 guerriglieri e 47 militari; il resto, 305 militari e poliziotti prigionieri, vennero rilasciati come gesto unilaterale delle FARC. E’ meglio che si cerchi un altro cavalluccio di battaglia, e che abbandoni la ridicola pretesa di guadagnarsi indulgenze con paternostri altrui.
 
Nella ricerca di una soluzione del conflitto per la via politica e diplomatica, innalziamo la bandiera della piattaforma bolivariana per la Nuova Colombia, di 12 punti, e l’Agenda Comune del Caguán, ed al popolo la proposta di organizzarsi nel Partito Clandestino e nel Movimento Bolivariano.
 
I dialoghi di pace con le FARC devono darsi in Colombia, di fronte al paese, con la partecipazione di organizzazioni politiche e sociali e con un territorio smilitarizzato.
 
Nel frattempo, il Piano Strategico delle FARC continuerà ad andare avanti sui suoi due versanti: quello dell’accordo nazionale per la soluzione politica, e quello della via armata.
Uribe non sta vincendo la guerra, che nega con la sua mentalità di struzzo. Costui, che riceve ogni sorta di aiuti bellici a mo’ d’ingerenza dagli Stati Uniti, adesso si strappa le vesti perché nel fraterno Ecuador un’organizzazione politico-sociale ha deciso di solidarizzare con gli sforzi dell’insorgenza colombiana e con le forme di lotta assunte dai popoli. Ci mancava solo questo: che i torquemada della destra e del fascismo, che hanno preso d’assalto il Palazzo di Nariño, adesso vogliano impiccare e bruciare sul rogo i dirigenti sociali dell’America Nostra. Ciò spiega le barbarie che hanno commesso contro i dirigenti popolari del paese, oltre a confermare che qui hanno applicato il delitto d’opinione.
 
Non si vede perché il paese debba seguire un presidente irrazionale, smisurato, i cui capelli si rizzano e che entra in una trance convulsiva di fronte alla parola “FARC”. Ciò che non ha ottenuto col Plan Patriota non potrà raggiungerlo con raffiche di aggettivi. Negare la spesa sociale per metterla al servizio della voracità della guerra, come fa Uribe, non accelererà la vittoria militare dello Stato, bensì la sollevazione popolare generalizzata. Abbiamo bisogno in fretta della Nuova Colombia.
 
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