Re: R: [latina] Guerra in Libia: la rete ha ucciso la piazza?



Caro Rodolfo, grazie per l´iniziezione di ottimismo, di cui abbiamo tutti bisogno. Spero che presto accada qualcosa. Non so cosa... qualsiasi cosa meglio di questa fase di quiete.  Baci. 

Annalisa Melandri 




L'uomo è nato libero ed è ovunque in catene.
J.J. Rousseau

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--- Dom 27/3/11, Rodolfo.ricci <rodolfo.ricci at email.it> ha scritto:

Da: Rodolfo.ricci <rodolfo.ricci at email.it>
Oggetto: Re: R: [latina] Guerra in Libia: la rete ha ucciso la piazza?
A: latina at peacelink.it
Data: Domenica 27 marzo 2011, 23:35

Cara Gaia, cara Annalisa,

io penso che:

 le condizioni di vita aggravatasi dopo la cosiddetta crisi economica mondiale (crisi pilotata per succhiare le residue risorse del welfare in tutti i paesi a sostegno del sistema finanziario globale), ma che erano già andate peggiorando a vista d'occhio negli anni del noliberismo dell'ultimo trentennio;

la mancanza di ogni prospettiva realistica di cambiamento del quadro politico ed economico;

l'inquinamento operato sul piano dell'informazione e di un sistema dei partiti che rappresenta solo il conflitto tra i 2 macroaggregati dei poteri forti (neo-massonico da una parte - P2-P3-mafie varie, Lega e vaticano)  e neo-anglosassone (subalterno cioè alla finanza mondiale in mano ai vari Soros, De Benedetti, ecc.);

la paura concreta di perdere ciò che di pochissimo resta;

l'emergere sulla scena mondiale di miliardi di altre persone che reclamano il giusto e che possono essere vissute come competitive e concorrenziali;

tutto questo ed altro, fa sì che la situazione che stiamo attraversando assomigli molto alla quiete prima della tempesta.

Si tratta di una tempesta storica ed epocale - che si annuncia anche nelle parole di leader non necessariamente "di sinistra"- (vedi quello che dice uno come Tremonti) e rispetto alla quale è del tutto normale che le persone si trovino come dentro un provvisorio incantamento. Mentre altre, con minor spirito critico, sono disposte ad abiurare alla loro storia e a diventare, magari, interventiste.

E' qualcosa che nel corso della storia è già accaduto. Per esempio all'inizio del '900, fino agli anni 20 per quanto riguarda l'Italia e dal '29 a tutti gli anni '30, per altri paesi. Questa volta, la situazione di empasse è ancora più grande perchè si somma a tutto questo anche la sensazione che il modello di civiltà che abbiamo costruito comincia a mostrare in modo evidente le sue crepe paradigmatiche.
Non si tratta cioè solo di politica, ma di qualcosa che per certi aspetti la trascende. Si tratta della coscienza forse ancora non del tutto chiara che un'estetica del mondo e della storia sta terminando.

Quello che in alcuni chiamano impero, si sta contorcendo per trovare vie d'uscita che ne perpetuino l'esistenza, ma la sensazione - anche tra gli addetti ai lavori - è che l'impresa sia addirittura superiore ai suoi sfolgoranti mezzi.

La gente sta cioè aspettando, come nell'attesa di una palingenesi universale che possa essere avvistata in cielo o nella rete, o da qualsiasi altra parte. (Naturalmente sto parlando della gente dell'occidente, quella che ancora può masticare il proprio pezzo di pane).

Penso che il nostro impegno resti quello alla nostra portata, cioè, se ne siamo in grado, quello di forni re strumenti di lettura di ciò che accade, strumenti di costruzione di autocoscienza per il nuovo soggetto che dovrà nascere.

Sembrerà poca cosa, ma il fatto che l'apparato di sondaggi sia costretto a riconoscere che ben oltre il 50% degli italiani sia contro questa ennesima guerra, significa che le persone mantengono un proprio nucleo di autonomia, un nocciolo di razionalità che viene tutelato nell'ottica della resistenza. Dell'autoconservazione..........

Niente è perduto.




--------- Original Message --------
Da: latina at peacelink.it
To: "latina at peacelink.it" <latina at peacelink.it>
Oggetto: R: [latina] Guerra in Libia: la rete ha ucciso la piazza?
Data: 27/03/11 14:17

Cara Annalisa, ti ringrazio per le tue parole sincere che continuo a sperare possano servire d'appiglio anche ad altre persone per cercare di indagare un pò sulla questione che hai sollevato, e che, ribadisco, non mi sembra affatto secondaria...
Comunque, alla manifestazione di ieri eravamo in tanti, e anche il NO all'ipocrita guerra contro la Libia direi che ha avuto una sua rappresentanza, cosa che , trattandosi di un paese addormentato (narcotizzato?) come lo è ora l'Italia, è gia qualcosa...
Un saluto affettuoso a tutti voi
Gaia Capogna

----Messaggio originale----
Da: annalisamelandri at yahoo.it
Data: 26-mar-2011 3 .09
A: <latina at peacelink.it>
Ogg: R: [latina] Guerra in Libia: la rete ha ucciso la piazza?

Grazie Gaia per aver raccolto lo spunto di riflessione che tale assolutamente vuole essere anche per me. Io non so se sia vero o meno peró e´ una cosa sulla quale vado riflettendo da tempo, anche rispetto all´America latina e alla difficoltá osservata in alcune occasioni di mettere insieme numeri rispetto a cosa accadute in quella parte di mondo. Tutto ció ha a che vedere sicuramente con la scomparsa della sinistra nel nostro panorama politico ma credo che ci sia anche dell´altro, una specie di demotivazione, di stanchezza da parte dei militanti, che si percepisce maggiormente quando i temi sui quali militare riguardano la politica internazionale. Evidentemente con la sinistra sta scomparendo anche quella solidarietá internaziona lista che la caratterizzava. Vedrai Gaia e lo spero, ma ne sono anche convinta che la manifestazione domani sará bellissima e piena di gente, anche perché tocca dei temi che ci riguardano direttamente e si sa che quando ci sentiamo direttamente coinvolti tutto é diverso... Il punto é anche questo, la guerra perché non ci coinvolge piú? Perché non la percepiamo abbastanza vicina? Allora é il trionfo dell´individualismo? Lotto contro quello che inquina il mio orticello,di quello  piú in lá non mi importa ? Rispetto a internet quanti di noi non hanno provato la sensazione di sentirsi parte di un tutto per esempio firmando appelli su appelli che poi si dimostrano completamente inutili? Diciamoci la veritá, é stato fatto anche un sito apposito dove creare petizioni... quanti di noi non provavo la sensazione di aver fatto qualcosa di buono nel diffondere e replicare notizie su notizie? Mi chiedevo appunto se non sarebbe meglio per le cause manifestare rabbia e dissenso per le strade che non in quel mondo che poi ai potenti li lascia esattamente dove stanno e non gli cambia la vita un granché. Ovviamente non sto buttando tutto via, ma vorrei che si trattasse di due momenti ben diversi, l´informazione che é una cosa e per cui internet é un mezzo sacrosanto e la manifestazione del dissenso che dovrebbe essere il piú possibile rumoroso, avvertito, espresso, gridato, sbandierato, a volte anche violento...
Grazie Gaia ancora, un abbraccio.


Annalisa Melandri 




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--- Ven 25/3/11, gaia.capogna at tin.it <gaia.capogna at tin.it> ha scritto:

Da: gaia.capogna at tin.it <gaia.capogna at tin.it>
Oggetto: R: [latina] Guerra in Libia: la rete ha ucciso la piazza?
A: latina at peacelink.it
Data: Venerdì 25 marzo 2011, 16:15

Vorrei raccogliere lo spunto di riflessione che ci ha offerto Annalisa Melandri nella seconda parte di questo suo articolo, dove, per esprimermi con parole povere, e se ho ben capito, ci invita a domandarci fino a che punto sia stato un vantaggio la facilità di "comunicazione fra tanti attraverso la rete" se poi, e questo è vero, anche di fronte a fatti gravissimi come lo è una guerra, le piazze rimangono semi vuote, o vuote del tutto, mentre indignzione e ripudio scorrono a fiumi sul web.
C'é una relazione diretta tra le due cose (la grande facilità nel poter comunicare non solo notizie ma anche rabbia, disconformità ecc.. e il non scendere più in piazza a esprimerle insieme a tutti gli altri che pensano e provano le stesse cose)? E se c'è, fino a che punto?
Ammetto che, da quando ho letto questa riflessione di Annalisa Melandri, mi sto ponendo questa domanda, ed anche con un certo disa gio a livello personale. Io personalmente non ho le idee chiare in merito, ma se qualcuno volesse esprimere un parere, dare un'opinione, aprire un piccolo spazio per uno scambio d'idee, credo che potrebbe essere utie e interessante. Personalmente non credo che questo sia "fuori tema" trattandosi di "Latina", in quanto, così come non si va in piazza per l'attacco alla LIbia, non ci si va quando fanno uno spudorato golpe contro l'Honduras, quando si inorridisce per quello che governo e paramilitari fanno in Colombia o in Messico o...la lista è talmente lunga....
Vi saluto tutti sperando in qualche risposta e, per inserire una nota d'ottimismo, sperando anche di essere in tanti, ma proprio tanti, domani a Roma perché l'acqua sia pubblica e per un grande e deciso NO al nucleare. Ciao,
Gaia Capogna
 

----Messaggio originale----
Da: annalisamelandri at yahoo.it
Data: 24-mar-2011 19.41
A: "annalisa melandri"<annalisamelandri at yahoo.it>
Ogg: [latina] Guerra in Libia: la rete ha ucciso la piazza?


La fantasia in piazza nel 2003
 
Guerra in Libia: la rete ha ucciso la piazza?
 di Annalisa Melandri – www.annalisamelandri.it
“E’ con grande piacere che do il benvenuto al ministro Gheddafi al Dipartimento di Stato. Noi attribuiamo grande valore alle relazioni tra gli Stati Uniti e la Libia. Abbiamo grandi opportunità per approfondire e ampliare la nostra cooperazione e personalmente ho la ferma intenzione di consolidare i nostri rapporti. Pertanto, signor ministro, sia il benvenuto tra noi”.   (21 aprile 2009. Mutassim Gheddafi viene ricevuto con tutti gli onori a Washington da Hillary Clinton)

Il mondo è in guerra. L’ennesima guerra neocolonialista-imperialista, questa volta per impossessarsi delle riserve di petrolio della Libia.
L’aggressione  è  stata realizzata tanto velocemente  (il tempo per l’ennesima  ridicola riunione  del Consiglio di Sicurezza dell’ ONU) quanto  evidentemente criticabile da ogni punto di vista, soprattutto da quello dello stesso diritto internazionale con il quale pure vorrebbe legittimarsi.  Non può essere infatti sostanzialmente valida  una risoluzione internazionale emessa ad hoc a legittimare un intervento armato con lo scopo di imporre la democrazia, quando  l’organismo che la emette diventa strumento nelle mani delle potenze mondiali. Perché infatti  non si è mai intervenuto allo stesso modo contro Israele, che continua impunemente, anche in queste ore,  a commettere un vero e  proprio genocidio sistematico contro il popolo palestinese?
Più passano le ore e più,  nel caos e nella confusione di dichiarazioni, smentite, dubbi sui ruoli e finanche sullo scopo,  l’intera operazione si profila come la stessa campagna mediatica che l’ha preceduta: maldestra, confusa, improvvisata e  grossolana.
Con quelle tombe in costruzione fatte passare per fosse comuni, con i bombardamenti inesistenti su Tripoli, smentiti allegramente dall’ambasciatore italiano e dal vescovo di Tripoli che proprio in questi giorni sta parlando  di guerra assurda e sta invocando  la “mediazione per risolvere i conflitti” (non era la stessa cosa che diceva Chávez qualche settimana fa?), bufale colossali, come i 10.000 ribelli morti e gli oltre 50.000 mila feriti, che quasi nemmeno il terremoto e lo tsunami in Giappone. Bufale che  gli stessi ideatori e disinformatori  di professione  hanno dovuto ritirare in fretta e furia  dal mercato di fronte all’evidenza dei fatti.
Campagna mediatica evidentemente  grossolana proprio perché si è reso evidente il fatto che non era necessario uno sforzo disinformativo eccezionale. Si disinforma chi  potrebbe, di fronte all’evidenza dei fatti,  reagire in qualche modo. Chi avrebbe dovuto reagire a questa nuova guerra, e come? L’ opinione pubblica internazionale?
Perché esiste l’opinione pubblica internazionale? Di cosa o chi stiamo parlando? Di quell’“indignazione morale condivisa per infrazioni evidenti del comandamento contro la violenza e per massicce violazioni dei diritti umani”?[1] Dove sta? Dove e come  si esprime? Chávez a l’intera  coalizione dell’Alba,  da  sud tuonano contro le mire neocolonialiste di un pugno di stati che credono che le lancette del tempo siano ancora  ferme al XIX secolo, Putin, da nord  parla di “crociata medievale”… In mezzo c’è l’Europa, confusa politicamente e con la voce del suo popolo, della sua gente completamente assente oggi.
Dove stanno? Dove sono le voci dei popoli? Gli unici a levare proteste contro la guerra sono alcuni presidenti, qualche governo, qualche intellettuale… Dove sono i giovani?  Dove sta il sentimento pacifista che ha animato in passato le strade e le piazze europee e che è stato il fondamento, il pilastro di tutti i movimenti giovanili? Dove stanno le bandiere della pace che hanno colorato le strade e le piazze europee tra il 2002 e il 2003? Si calcola che allora in Italia quasi tre milioni furono  i balconi e le finestre dove il vessillo multicolore indicava che in quella casa, in quell’ufficio, in quella scuola si stava esprimendo  un forte e chiaro NO alla guerra! E le moltitudinarie proteste del febbraio 2003…
Questa è la ricostruzione che fa di quel sabato 15 febbraio 2003 lo storico statunitense J.J. Sheehan[2]: “Sabato 15 febbraio 2003 si tenne la più grande dimostrazione della storia europea, contro la guerra che stava per colpire l’Iraq. A Londra una folla di circa un milione di persone si riversò in Trafalgar Square, riempiendo le strade cittadine dagli argini del Tamigi alla Euston Station; un milione di manifestanti marciò a Barcellona e a Roma, altri 600.000 a Madrid. A sfidare il gelo al Tiergarten di Berlino furono in 500.000, un numero quasi pari ai partecipanti alla Parata dell’Amore che vi si teneva in estate. Si trattava ovunque di folle pacifiche. Ci furono pochi arresti, nessun episodio di violenza. Le dimostrazioni attirarono una ricca varietà di partecipanti: c’erano alcuni adolescenti vestiti in pelle e con l’aria da duri e giovani che indossavano la kefiah palestinese o la sciarpa nera degli anarchici, ma nella stragrande maggioranza dei casi si trattava di cittadini dall’aspetto rispettabile, che indossavano caldi cappotti invernali e scarpe comode – pensionati, accademici di mezza età, membri dei sindacati, studenti delle superiori e universitari. C’erano tante famiglie, genitori e nonni che non partecipavano a una dimostrazione dagli anni Sessanta, bambini che per la prima volta facevano l’espe rienza di quel caratteristico miscuglio di euforia e disagio delle manifestazioni politiche. Un quotidiano tedesco definì l’evento «una rivolta di persone comuni»…. Diversamente da chi in passato aveva manifestato contro la guerra in Vietnam, nessuno mostrava alcuna simpatia per l’altra parte; non c’erano bandiere irachene né ritratti di Saddam Hussein. Per la maggior parte di quelle persone, il vero problema non era chi aveva ragione e chi torto, ma se la guerra potesse essere considerata una risposta.”…In tutte le città coinvolte, guardando al di sopra della marea umana, la scritta che appariva più spesso era composta da una sola parola: «No».
Sicuramente, come si è visto, le proteste nulla hanno potuto contro la guerra, che a distanza di 8 anni continua cruenta ancora oggi. Tuttavia esprimevano un sentire comune, se non dei governanti,  quanto meno dei governati. Esprimevano un sentimento che riuscì anche solo per un breve, anche se inutile momento,  ad uscire dalle pance e a riversarsi nelle strade.
Guardando indietro con gli occhi di oggi, guardando oggi da  questa Europa folle che, nel tentativo di contrastare “l’unilateralismo missionario”  dell’interventismo statunitense di allora, riesce oggi ad essere soltanto una ridicola caricatura di se stessa, vediamo tuttavia che,   l’ottimismo  di alcuni intellettuali  dovuto allora alla  contemporaneità di quelle  moltitudinarie proteste contro la guerra,   appare oggi sicuramente esagerato. Junger Habermas e Jacques Derida nel loro appello dal titolo: Il 15 febbraio: ovvero, ciò che unisce gli europei auspicavano, credendola possibile, “la nascita di un’opinione pubblica europea” proprio a partire da quelle grandi e sentite manifestazioni di pacifismo, le “più grandi dalla fine della seconda guerra mondiale”. Oggi, rispetto ad allora, resta simile soltanto la spaccatura europea rispetto al ruolo della politica estera del continente. E all’interno dei singoli Stati le spaccature sulle posizioni da tenere, rendono tutto il gioco guerrafondaio ancora più sguaiato e meschino. Ai rumori della guerra fa eco il chiasso della politica e tutto intorno il silenzio…
Spostando la visuale, infatti, guardandoci da fuori, noi “persone comuni” del 2003,  dove siamo oggi? Dove sta la nostra rabbia contro la guerra? Dove sono i nostri giovani?
Io lo so e il saperlo mi riempie di tristezza e inquietudine. I nostri giovani stanno tutti al pc. Seguendo giorno per giorno gli avvenimenti. Certo,  partecipando, scrivendo (come sto facendo io stessa in questo momento), dibattendo, insultando questo o quel politico, Berlusconi come Sarkozy, Obama come Cameron, manifestando dissenso e rabbia, esponendo foto e scritte come si fa con gli striscioni in piazza.
Io non credo che sia casuale tutto questo. Io credo, sono fermamente convinta, che la rete sia una grande conquista della comunicazione, che sia una grande opportunità di crescita e di condivisione, di comunicazione e di scambio, di esperienze, di lotte, di battaglie e di informazioni. Credo però anche  che sia mancato uno studio serio e intelligente degli effetti che questo mezzo avrebbe potuto  avere sulla militanza, sulla protesta, sul dissenso. E questo ci ha fr egati. Abbiamo pensato, nelle lunghe giornate d’inverno, o al fresco delle nostre case nelle estati assolate e torride,  che fare e produrre informazione comodamente seduti davanti ad un monitor fosse in qualche modo costruttivo. Abbiamo pensato che scrivere, e scrivere, e condividere notizie, e produrre dibattito,  fosse una maniera  diversa e più acculturata di apportare il nostro contributo alle cause in cui credevamo e crediamo.  Abbiamo pensato che far girare e condividere in migliaia di siti le orrende foto degli eccidi israeliani al fosforo bianco sui bambini palestinesi volesse dire contribuire in quale maniera a quella causa. Abbiamo pensato che mettere la bandiera della pace nelle nostre pagine web o nei nostri avatar fos se come mettercele addosso o esporle alle nostre finestre.
Sbagliavamo. Le piazze si sono svuotate, i cortei si sono fatti più silenziosi e noiosi, i colori sono lentamente sfumati. Nessuno grida più, nessuno torna a casa la sera stanco, sudato e senza voce dopo un corteo, tutti appaiono stanchi invece di tanto sbraitare e urlarsi addosso rabbia virtuale nei social forum.
Il potere ha vinto. La fantasia non è riuscita a dominarlo. In passato soffocata da tonnellate di  droghe gettate addosso alle menti migliori, quelle più fervide e ribelli, poi livellata  con il ventennio uniforme e squallido dell’avvento delle televisioni commerciali (che ha dato il colpo di grazia a cultura e originalità), così oggi, i centri di potere,  dandoci l’illusione della libertà di espressione, facendoci credere di ess ere tutti partecipativi nella creazione globale dell’informazione, con quel mezzo diabolico e terribilmente geniale e seducente che è internet,  hanno controllato, con meno morti e meno diffusione di malattie,  ogni velleità rivoluzionaria dei giovani.
In piazza a Roma la settimana scorsa contro la guerra hanno manifestato una cinquantina di persone, il gruppo in Facebook Fuori l’Italia dalla Guerra in Libia conta 697 persone, il gruppo No alla guerra in Libia piace a 150 persone, No alla guerra contro la Libia piace a 300 persone, Io non voglio la Guerra in Libia piace a 792 persone e così via…
Paradossalmente proprio questi mezzi, internet  e i suoi social Forum Facebook e Twitter, proprio quelli  che hanno contribuito a creare adesione e consenso intorno a tanti militanti di alcuni paesi lontani da noi sia geograficamente che culturalmente , sono stati quelli che li hanno maggiormente isolati, chiudendoli dentro le maglie repressive della rete.
La rete, quella è la vera piazza oggi. Questa è la vera sconfitta. La nostra e del pacifismo, violento o non violento che sia, più educato e rispettoso o sguaiato e rabbioso, non importa il modo o la forma. E’ la sostanza che manca, la grande assente.  Questa,  signori, è la sonora e scottante sconfitta della militanza.


Annalisa Melandri 




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