[Latina] Fwd: Processo di estradizione del cittadino italo/brasiliano Henrique Pizzolato





Inizio messaggio inoltrato:

Da: Serena Romagnoli <md1042 at mclink.it>
Oggetto: Processo di estradizione del cittadino italo/brasiliano Henrique Pizzolato
Data: 16 febbraio 2015 12:53:43 CET

Al Ministro della Giustizia, Andrea Orlando

Noi cittadini italiani amici del Brasile, che seguiamo da anni le sue vicende politiche e le sue lotte sociali, siamo stati sollecitati dai movimenti sociali brasiliani a sostenere le ragioni della innocenza di Henrique Pizzolato e a chiedere che il governo italiano rifiuti la sua estradizione dall’Italia. 
"Noi dei movimenti sociali brasiliani siamo testimoni che il processo non ha garantito la libertà di difesa e che Pizzolato non ha commesso nessun crimine. Pizzolato, dirigente sindacale dei Bancari e presidente della CUT dello stato del Parana, ha assunto tutte le decisioni  al Banco do Brasil  collegialmente, cosa della quale il potere giudiziario non ha mai voluto prendere atto. Pertanto è stata una ingiustizia la condanna a 12 anni di prigione in Brasile. E per questo riteniamo giusta la sua decisione di vivere in Italia. 
In ottobre la giustizia italiana ha permesso che lui restasse, ma l’11 febbraio, alla Corte di appello di Roma, il potere giudiziario ha ottenuto la revoca della decisione precedente e il mandato di espulsione. E Pizzolato è stato nuovamente arrestato”.
Ci rivolgiamo quindi al Ministro della Giustizia italiano perchè neghi l’estradizione del cittadino italo-brasiliano Henrique Pizzolato

Cladia Fanti,  Serena Romagnoli,  Antonio Lupo
Amig@s Movimento Sem Terra /Italia




QUI SOTTO INTERVISTA A PIZZOLATO DI BRASIL DE FATO
APPELLO DI PIZZOLATO DOPO LA SENTENZA DELL’11 FEBBRAIO







INTERVISTA A HENRIQUE PIZOLATTO, SINDACALISTA BRASILIANO, RIFUGIATO IN ITALIA
 
Roma,  gennaio 2015, Agenzia Brasil de fato (SP)
 
Agência Brasildefato (BDF): La stampa borghese brasiliana l’ha accusata di essere responsabile di una truffa in qualità di dirigente del Banco do Brasil (nell’ambito del processo del mensalão, come è stato chiamato lo scandalo che ha coinvolto alcuni dei più alti dirigenti del Pt, accusati di aver organizzato pagamenti mensili allo scopo di assicurare il voto di deputati a favore del governo Lula, ndt). Ma pochi conoscono il suo percorso di militanza sociale. Che tipo di impegno ha svolto negli ultimi anni?
Ho lavorato per più di 30 anni al Banco do Brasil, senza che sia mai stata riscontrata la minima irregolarità. Nel corso della mia vita, tra molte altre cose, ho partecipato alla lotta contro la dittatura militare, sono stato dirigente e per due volte presidente della CUT (Centrale Unica dei Lavoratori) e ho fatto parte del PT (Partito dei lavoratori), da cui sono stato anche candidato alla carica di governatore del Paraná. Ma ho militato anche nella Pastorale Operaia, nella Pastorale della Terra, nelle Pastorali Sociali e sono stato coordinatore nazionale, insieme  a Betinho e a dom Mauro Morelli, della Campagna nazionale contro la Fame (Fome Zero), la Miseria e la Disoccupazione.
 
BDF: Di cosa è stato accusato dal Supremo Tribunale Federale? E come spiega tali accuse?
Sono stato accusato di peculato, corruzione passiva e riciclaggio di denaro. Sono accuse completamente infondate, per diversi motivi. Il mio caso è molto simile a quello di Enzo Tortora, in Italia: una grande ingiustizia, trasformata in spettacolo mediatico con la complicità dell’organo giudiziario. 
- Il peculato è un crimine riguardante i funzionari pubblici e io non sono mai stato un funzionario pubblico. Sono stato funzionario vincitore di concorso, con un contratto di lavoro privato, in un’impresa a economia mista, il Banco do Brasil.
- Il peculato esiste solo nel caso di risorse pubbliche. Io sono stato accusato di sviare risorse che provenivano da un’impresa privata (VISANET, controllata dalla VISA internazionale) e che erano quindi denaro privato.
- Le decisioni, nel Banco do Brasil, erano assunte da comitati composti da un minimo di 8 funzionari, il che esclude che io abbia adottato una qualsivoglia decisione da solo.
- Il Banco do Brasil ha nominato un amministratore responsabile rispetto alla VISANET. Tutti i documenti relativi alle risorse della VISANET sono stati firmati da questo amministratore. Non esiste alcun documento o atto firmato da me per la VISANET
- L’indagine realizzata dalla polizia federale su richiesta del Ministro Relatore, Joaquim Barbosa, dimostra che io non ero responsabile delle risorse della VISANET. Il responsabile era l'amministratore del Banco insieme alla  VISANET: Léo Batista dos Santos (non iscritto al  PT);
- Sono stato l’unico funzionario del Banco do Brasil a essere denunciato. Nessun altro lo è stato, tra tutti i funzionari che, secondo il Lodo della Polizia federale, erano i responsabili del Banco do Brasil rispetto alla VISANET e tra tutti gli altri dirigenti del Banco do Brasil (presidente, vice-presidenti, 28 direttori).
- Sono stato denunciato perché ero l’unico direttore del Banco do Brasil iscritto al PT e perché la mia storia di lotta nel movimento sindacale è legata strettamente a quella del presidente Lula, il vero bersaglio di tutta la trama politica del “mensalão”.
- Il Banco do Brasil e la VISANET  hanno informato il Ministro Relatore Joaquim Barbaosa, negli atti del processo, che non era stata rilevata la mancanza di un solo centesimo nei loro conti e che le risorse  della VISANET erano state utilizzate esattamente come previsto nei regolamenti del Banco e della VISANET;
- Non essendoci stata alcuna distrazione di denaro, le accuse di corruzione passiva e di riciclaggio sono totalmente  ingiustificate. Il crimine di corruzione presuppone uno scambio, ma io non avevo il potere neanche di sollecitare che la VISANET effettuasse pagamenti, né di promettere/garantire che la VISANET avrebbe pagato.
- Secondo le denunce, io avrei mandato un fattorino a ritirare 320.000 reais in un’agenzia bancaria. Ma io non ho mai saputo che il fattorino avesse ritirato denaro, perché quel che mi era stato chiesto è che il fattorino andasse a ritirare materiale pubblicitario da consegnare poi al PT, il che è stato fatto. Né io né il fattorino sapevamo o siamo stati informati che si trattava di denaro.
- L’Agenzia delle Entrate ha informato il Ministro Relatore e il Pubblico Ministero che tutti i miei beni  derivavano dai miei stipendi, debitamente documentati, e che non era stata riscontrata alcuna irregolarità nel mio patrimonio e nei redditi percepiti negli ultimi 20 anni.
 
BDF: Perché non ha avuto diritto alla difesa?
Perché sono stato giudicato da un tribunale incompetente, in un processo illegale, con un unico livello di giudizio. Non ho avuto diritto a un processo in un tribunale di prima istanza, come prevede la legge brasiliana. Sono stato giudicato direttamente dal Supremo Tribunale Federale, tribunale competente a giudicare solo chi sta esercitando un mandato o svolge un incarico politico, che non era il mio caso. La Costituzione brasiliana prevede per ogni cittadino il diritto al ricorso, diritto che mi è stato negato.
E in più sono stati nascosti documenti che dimostravano la mia innocenza tra le carte di un altro processo i cui materiali sono stati secretati.
 
BDF: Perché è venuto a vivere in Italia?
È stato un gesto disperato per salvarmi la vita! Sapevo infatti che l’obiettivo di chi mi ha ingiustamente condannato era farmi morire nelle carceri brasiliane, come è assai comune in Brasile, occultando in tal modo tutte le trame e le cospirazioni che hanno portato al processo del “mensalão”. Tra gli esponenti del PT condannati, io sono quello che ha ricevuto la pena maggiore (e non facevo neanche parte della direzione del PT, né ricoprivo un incarico politico). Il fatto che io sia ancora vivo rappresenterà sempre una minaccia: il pericolo che la questione possa riaprirsi e la verità venire a galla.
Sono venuto in Italia perché sono cittadino italiano. E sono venuto in Italia come ultima possibilità di ristabilire la giustizia e la verità in un processo giusto, in cui l’organo giudiziario sia indipendente e non ostaggio di contrattazioni né di grandi gruppi mediatici e il giudizio possa essere imparziale, basato su prove e documenti, non sui sondaggi di opinione.
 
 BDF:  Si considera un rifugiato politico?
Sì, mi considero un rifugiato politico, una vittima di accordi politici illeciti, di un tentativo di colpo di Stato contro il governo del primo operaio eletto presidente nella storia del Brasile. Di un processo illegale, ingiusto, menzognero e spettacolarizzato, in cui la giustizia è stata messa da parte e tutto si è trasformato in uno show ad uso e consumo dei media.
Sì, sono un rifugiato politico, perché sono stato condannato per il fatto che appartengo al PT e al sindacato, in un processo politico, in cui le prove che dimostravano la mia innocenza sono state messe da parte e nascoste.
 
BDF: Che si aspetta dalla giustizia italiana?
Spero che la giustizia italiana non permetta che questa farsa vada avanti. Spero che le prove e i documenti siano esaminati in maniera che la verità e la giustizia vengano ristabilite, in nome della difesa dei diritti umani, contro la prepotenza, l’arroganza, la violenza e la brutalità dei potenti.
 
BDF: Cosa si attende dai movimenti sociali italiani e dalle organizzazioni dei diritti umani?
Spero che, venendo a conoscenza dei fatti (così come realmente sono avvenuti), reagiscano, come storicamente hanno reagito di fronte alle menzogne, alle ingiustizie, alla prepotenza, alle violazioni dei diritti umani, aiutandoci a ristabilire la verità e la giustizia, lottando con tutti i mezzi con cui storicamente hanno sostenuto le lotte dei deboli, dei lavoratori, degli oppressi e delle vittime di ingiustizie.
 
BDF: Chi in Brasile potrebbe testimoniare a suo favore? Non sarebbe il caso che la giustizia italiana potesse ascoltarli?
Potrebbero testimoniare a mio favore, in Brasile, leader sindacali, dirigenti dei movimenti sociali e popolari, uomini di chiesa, colleghi di più di 30 anni di lavoro al Banco do Brasil, politici, avvocati, giuristi e giornalisti che hanno denunciato le menzogne e la farsa della mia condanna nel processo  del  “mensalão”. 
 
BDF: Con cosa vive, ora, e che pensa di fare in futuro, qui in Italia?
Oggi vivo umilmente in Italia con una piccola pensione privata i cui contributi ho pagato personalmente durante 32 anni di lavoro. Posso contare anche sull’aiuto di parenti che mi sostengono nei momenti di emergenza. Non appena sarò libero da questa persecuzione e da tutto questo tormento, ho intenzione, qui in Italia, di dedicarmi al volontariato. È quello che ho sempre fatto durante la mia vita. Penso di poter essere utile e di recuperare la pace, di tornare ad essere felice e di restituire un po’ di tutto quello che ho sempre ricevuto da chi lotta per la giustizia e per la difesa dei diritti dei più deboli.
 

APPELLO DI HENRIQUE PIZZOLATO
L’ITALIA CONSENTIRÀ L’INGIUSTIZIA?
Henrique Pizzolato, cittadino italo-brasiliano, è nuovamente in carcere nella Casa
Circondariale di Modena, poichè la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte
d’Appello di Bologna, accogliendo così la richiesta di estradizione da parte del governo
brasiliano.
E’ molto difficile comprendere le ragioni che hanno portato la Suprema Corte italiana
a prendere questa decisione, in quanto il trattato di estradizione italo-brasiliano prevede
che l’estradizione non debba essere concessa nel caso in cui la condanna pronunciata dallo
Stato richiedente sia stata emessa in violazione dei diritti di difesa e quando vi sia fondata
ragione che la persona  possa subire, nelle carceri del Paese richiedente, trattamenti
inumani che violino i diritti fondamentali dell’uomo.
Henrique Pizzolato è stato coinvolto in processo politico e mediatico in Brasile, del
tutto ingiusto, perchè le accuse attribuite a lui non sono supportate da documenti e prove e,
tra le altre irregolarità giudiziarie, perchè è stato processato da un solo Tribunale che non gli
ha concesso il diritto di impugnare la sentenza; quindi il diritto al doppio grado di giudizio che
garantisce qualsiasi imputato dall’errore giudiziario è stato violato.
Quanto alla situazione delle carceri brasiliane, sono stati documentati, attraverso
reports di autorevoli organizzazioni internazionali (Amnesty International, HRW) di
autorevoli organismi internazionali (ONU, Corte Interamericana dei Diritti Umani) ed anche
di istituzioni dello stesso Stato brasiliano i trattamenti disumani e degradanti subiti dai
detenuti, ma soprattutto è stato documentato che lo Stato brasiliano non è in grado di
garantire la sicurezza personale dei detenuti. La Pastorale carceraria brasiliana, organismo
legato alla Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB), particolarmente attiva nella
tutela dei diritti dei detenuti, afferma che: “da nord a sud del paese, i diritti iscritti
nei trattati internazionali, nella costituzione federale e nelle leggi sono sistematicamente
violati per tutti i detenuti, mentre le denunce di torture e maltrattamenti proliferano,
sfociando in sommosse e ribellioni”.
Le carceri brasiliane sono in mano ad organizzazioni criminali che non esitano ad
uccidere detenuti che non cedono alle loro pretese estorsive.

L’avvocato di Pizzolato ha manifestato stupore per questa decisione della Corte di
Cassazione che ha ribaltato la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, senza che
intervenissero fatti nuovi o cambiamenti delle condizioni nelle carceri brasiliane.
La condizione di degrado e di insicurezza delle carceri brasiliane è nota anche ai
politici italiani, tanto che è giacente nel nostro Parlamento un Disegno di Legge perché i
detenuti italiani nelle carceri brasiliane possano scontare la pena nel loro Paese d’origine,
poichè: “le condizioni umane e carcerarie dei nostri connazionali e dei detenuti di altre
nazionalità nelle carceri brasiliane sono intollerabili e offensive per la dignità dell’uomo.”
Il Brasile, al contrario dell'Italia, non emette sentenze di estradizione per cittadini
brasiliani, pertanto non può offrire reciprocità, né rispettare il trattato di estradizione, nel
caso in cui l’Italia richieda l’estradizione di un brasiliano. Circa questo argomento,
dell’inesistenza di reciprocità, il Ministro della Giustizia italiano, ha già negato al Brasile
l’estradizione di un cittadino italo-brasiliano.
In Brasile, un cittadino italiano ha avuto garantito lo status di rifugiato politico dal
Ministro della Giustizia brasiliano e l’estradizione è stata negata all’Italia, con
l’argomentazione che, in Italia, i suoi diritti erano stati violati nel processo e la sua
vita sarebbe stata  a rischio nelle carceri italiane.
In Italia, nel caso di un cittadino olandese la cui  estradizione è stata richiesta dal Brasile, la
Corte di Cassazione (ottobre 2013) ha affermato che “l’inaccetabile condizione di
sovraffolamento (nelle carceri italiane) che ha causato i recenti rilievi mossi dalla Corte
EDU non sembra sia lontanamente comparabile con quella di grave offesa alla dignità
umana che emerge dai rapporti degli organismi internazionali a proposito della situazione
del Brasile”; “è appunto una “scelta di fatto” quella (del Brasile) di conoscere lo stato di
degrado in cui versano da tempo le proprie carceri senza approntare le misure
(edilizie, igieniche, sanitarie, educative, di polizia interna) idonee ad garantire la sicurezza dei detenuti.
Il Giudice brasiliano dichiara che i detenuti che non appartengono, al momento del loro ingresso in
carcere, a nessuna gang sono  costretti, spinti dagli stessi  agenti carcerari, ad aderire ad una
gang. Appena entrati i detenuti  ricevono immediatamente ordini  per procurarsi  soldi, telefonini e
droga, chiedendo aiuto ai familiari. Se non ottemperano a tali ordini vanno incontro a punizioni
severissime, come il video che  mostra l’agonia di un uomo con la pelle separate dalla gamba e
torturato a morte. le condizione per ragguagliare il loro trattamento a minime esigenze di rispetto della dignità
umana.”
Inspiegabilmente, il 12 febbraio, la stessa Corte di Cassazione italiana ha
deciso di inviare Pizzolato in questo carcere del Brasile.
Chi sa se è meno terribile per Pizzolato mettere in atto ciò che dice lo stesso Ministro
della Giustizia brasiliano, cioè: “preferirei morire piuttosto che scontare la pena per anni in
un penitenziario brasiliano”.
Il futuro e la vita di Pizzolato sono, ora, nelle mani del Ministro della Giustizia italiano
che prenderà una decisione nei prossimi giorni.
Speriamo che non sia la sentenza di morte.



Allegato Rimosso