La nonviolenza e' in cammino. 804



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 804 del 9 gennaio 2005

Sommario di questo numero:
1. Benito D'Ippolito: Ci verra' chiesto conto
2. Per agevolare il rientro e la partenza degli immigrati residenti in
Italia e originari dei paesi colpiti dal maremoto
3. Enrico Peyretti: Molti Schindler: dunque si poteva resistere al nazismo
(parte seconda e conclusiva)
4. Lidia Menapace: Alle radici della crisi della sinistra
5. Letture: Amnesty International, Repubblica Democratica del Congo. La
guerra dimenticata
6. Letture: Oswald Ducrot, Jean-Marie Schaeffer, Nouveau dictionnaire
encyclopedique des sciences du langage
7. Riletture: Rosa Rossi, Giovanni della Croce. Solitudine e creativita'
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. BENITO D'IPPOLITO: CI VERRA' CHIESTO CONTO
[Ringraziamo il nostro amico Benito D'Ippolito per questo intervento]

Ci verra' chiesto conto.

Del perche' non abbiamo accolto e soccorso
chi fuggiva da guerre, da fame, da morte.
Cosi' come noi chiediamo conto a chi fu
complice dei nazisti.

Ci verra' chiesto conto.

Degli accordi razzisti e assassini
di Schengen, delle leggi  che hanno riaperto
in Italia i campi di concentramento.
Ci verra' chiesto conto. A noi tutti.

Delle persone che abbiamo lasciato morire.

In quel tribunale
ove non si corrompe, non si mente, non si sfugge
ci verra' chiesto conto.

2. APPELLI. PER AGEVOLARE IL RIENTRO E LA PARTENZA DEGLI IMMIGRATI RESIDENTI
IN ITALIA E ORIGINARI DEI PAESI COLPITI DAL MAREMOTO
[Da molte associazioni e persone amiche abbiamo ricevuto il seguente
appello, sottoscritto da varie organizzazioni, movimenti e personalita'
istituzionali, a cui ci associamo. Per adesioni: senzaconfine at libero.it]

Le cifre crescenti di morti e dispersi che giungono dall'Asia meridionale
danno, via via che i giorni passano, la misura di una tragedia impensabile
fino a qualche giorno fa, e che ha coinvolto cittadini di vari paesi del
mondo; da qui possiamo solo immaginare le enormi difficolta' in cui versano
ora i sopravvissuti, spesso lasciati senza soccorso e ancora intenti a
seppellire i corpi dei loro cari morti.
Parenti e amici di quelle persone lontane colpite da morte e distruzione
vivono e lavorano intorno a noi, nelle nostre citta': piu' numerosi gli
immigrati da Sri Lanka e India, ma sicuramente anche provenienti dagli altri
Paesi coinvolti.
Anch'essi si trovano ad affrontare - oltre allo shock della distruzione del
proprio Paese e della perdita di parenti e amici - ostacoli legati alle
leggi sull'immigrazione, se recatisi in patria per le vacanze di fine anno
ora debbano rientrare e magari abbiano perso tutto nella tragedia, o se per
gravi motivi intendano recarsi la' in questi giorni.
Come segno tangibile di sostegno nei loro confronti, e nello spirito delle
dichiarazioni del ministro Pisanu, il quale ha dichiarato di voler agevolare
il rientro degli immigrati da quei Paesi, proponiamo, come comunita' di
immigrati qui residenti, come associazioni antirazziste e di solidarieta',
come partiti e come societa' civile, i seguenti atti, da adottare
rapidamente vista la gravita' della situazione:
- una proroga oltre la data del 15 febbraio indicata dalla circolare del
prefetto Pansa per il rientro degli immigrati muniti di ricevuta di rinnovo
del permesso di soggiorno, e che si trovavano nei loro Paesi al momento
della tragedia, o che vi si stanno recando in questi giorni per il
riconoscimento delle vittime o per prendersi cura dei familiari
sopravvissuti;
- consentire il rientro in Italia degli immigrati che hanno perso i propri
documenti durante il grave disastro, dando disposizioni alle autorita' di
frontiera italiane, alle ambasciate italiane nei paesi colpiti e a qualunque
altra organizzazione umanitaria presente sul posto di accertare il diritto
al rientro, e alle compagnie aeree di accettare autocertificazioni
riguardanti i propri titoli di soggiorno in Italia;
- istituire uno sportello dedicato presso l'ufficio stranieri di Roma e
delle principali questure interessate dalla presenza di cittadini
provenienti dai Paesi colpiti dal maremoto, per coloro che volessero recarsi
nei Paesi di origine per i gravi motivi familiari di cui sopra, e avendo il
permesso di soggiorno in scadenza non sono riusciti ancora ad avere un
appuntamento per il rinnovo presso il commissariato di competenza, e non
sono pertanto in condizioni di mostrare la ricevuta di richiesta rinnovo;
- preso atto della situazione senza precedenti, emettere un provvedimento
speciale ad hoc per permettere il rientro in Italia anche a quegli immigrati
non regolarmente presenti che abbiano avuto vittime tra i loro familiari nel
Paese di origine, rilasciando loro un permesso di soggiorno straordinario
per motivi umanitari.
Chiediamo dunque un incontro urgente con il Dipartimento liberta' civili e
immigrazione del Ministero dell'Interno al fine di sottoporre i punti sopra
indicati, giudicati i piu' urgenti ed importanti da affrontare al momento
per agevolare gli immigrati presenti in Italia provenienti dai Paesi colpiti
dall'immane tragedia, per dare un segnale concreto della solidarieta'
dell'Italia e dell'attenzione alla loro sofferenza in questi tragici
momenti.
*
Seguono numerose firme.

3. MATERIALI. ENRICO PEYRETTI: MOLTI SCHINDLER: DUNQUE SI POTEVA RESISTERE
AL NAZISMO (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci
messo a  disposizione questo suo scritto fin qui inedito e piu' volte
aggiornato. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo
foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace
e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella rete telematica la
sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia
storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente
edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il
principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha
curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e'
nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei
siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei
principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di
questo notiziario]

3.  Gli "altri Schindler"
Veniamo ora a quelli che fecero come Schindler, o magari anche di piu', se
consideriamo il numero di ebrei salvati e le condizioni in cui i salvatori
agirono. Ci sono, questi "altri Schindler", ci sono. Con questo nome ci
riferiamo unicamente a chi, dentro e contro la persecuzione razziale, salvo'
ebrei. Non ci riferiamo ad altre azioni di protezione e aiuto dato a
popolazioni occupate, o azioni di resistenza ad altre forme di violenza.
Essi sono tedeschi - anche militari - e non tedeschi, operarono in zone
sotto dominio nazista, oppure sotto la sua minaccia, oppure resistettero con
forza agli effetti di quella violenza razzista, che arrivavano anche in
paesi neutrali. Il grande interesse dell'opinione pubblica attorno al film
di Spielberg ha fatto ricordare storie simili o scoprirne di nuove. Non
faccio altro che presentare alcune schede sintetiche, in ordine casuale,
rinviando alla stampa anche non specialistica che, in questa occasione, ne
ha parlato. Ringrazio gli amici che mi hanno fornito parte delle fonti
d'informazione. Infine, presento alcuni dati generali.
- Giorgio Perlasca (1910-1992), italiano, agi' a Budapest, spacciandosi per
il console spagnolo, che era fuggito. Salvo' cosi' da 5.200 a 6.000 ebrei
riparandoli nella "casa rifugio" extraterritoriale, sfornando documenti
falsi, trovando cibo per tutti, strappando ragazzi dal "treno della morte".
Era stato fascista e aveva combattuto in Spagna da quella parte. Divenuti
noti i fatti dopo quasi mezzo secolo, e' stato riconosciuto "uomo giusto" in
Israele (7).
- Gino Martinoli, italiano (di cui parla Natalia Ginzburg in Lessico
famigliare), ingegnere dirigente della Olivetti di Ivrea, sottrasse al
carcere e alla deportazione 800 antifascisti, tra cui molti ebrei, facendoli
passare per impiegati della Olivetti (azienda protetta perche' lavorava per
i tedeschi). Nato nel 1901, ha ricoperto molti importanti incarichi
industriali, e' morto il 26 dicembre 1996 (8).
- Paul Grueninger, svizzero, gendarme alla frontiera con l'Austria, chiusa
dalla Svizzera agli ebrei in fuga dopo l'Anchluss, nel 1938, perche' -
dissero - "la barca e' piena". Grueninger lascio' entrare illegalmente in
poche settimane 3.000 ebrei. Fu aiutato dalla complicita' di alcuni
colleghi, ma si assunse tutta la responsabilita'. Condannato, perse il
lavoro e la pensione. Fu riabilitato politicamente solo dopo la morte, nel
1993 (9).
A questo proposito merita segnalare il discorso tenuto dal Presidente della
Confederazione Elvetica, Kaspar Villiger, davanti alle Camere federali, il 7
maggio 1995, in occasione del cinquanesimo anniversario della fine della
guerra (10). Il Presidente svizzero riconosce che "neppure la Svizzera ha
sempre agito come avrebbero richiesto i suoi ideali", ammette che la piccola
Confederazione si salvo' con cooperazioni e concessioni parziali alla
Germania (successivamente, fra il 1996 e il 1997, sono emerse rivelazioni
sulla ricettazione compiuta da banche svizzere di denaro e beni sottratti
dai nazisti agli ebrei). "Malgrado tutta la comprensione per le difficili
circostanze di allora, non possiamo ignorare che anche la Svizzera si e'
macchiata di colpe". In particolare, c'e' un fatto che si sottrae a
qualunque giustificazione: "Si tratta dei molti ebrei che, respinti alla
frontiera svizzera, andarono incontro a morte certa. La barca era veramente
piena?". Questa domanda e' sviluppata da Villiger in un vero esame di
coscienza nazionale. Poi il presidente, dopo aver ricordato che "molte
svizzere e molti svizzeri contribuirono a salvare migliaia di profughi
ebrei, assumendosi il rischio di conseguenze personali", sembra alludere non
solo a Grueninger, ma ad altri casi analoghi, quando dice: "Alcuni di loro
furono addirittura puniti per questo, ma seguirono valori etici che piu'
tardi sono diventati fondamenti del diritto internazionale e svizzero
d'asilo". Su questi casi Villiger conclude: "Non possiamo piu' correggere
sentenze che ai nostri giorni sembrano incomprensibili: possiamo pero'
offrire alle persone interessate il riconoscimento morale che e' loro
dovuto". Abbiamo detto della riabilitazione politica. Successivamente, si e'
avuta notizia che il processo per la riabilitazione giuridica si e'
celebrato in pochi giorni e concluso il 30 novembre 1995 (due anni dopo la
morte di Grueninger): il presidente del tribunale del distretto di San Gallo
ha sentenziato che "Paul Grueninger ha salvato numerose vite e dunque non ha
violato alcuna legge" (11).
- Karl de Bavier, svizzero, console a Milano, concesse il visto d'ingresso a
1.600 ebrei, prima che lo fermassero (12).
- Imhof, svizzero, console a Venezia, diede lo stesso aiuto ad almeno 500
ebrei (13).
Hans Georg Calmeyer, tedesco, si fece assumere nell'amministrazione civile
tedesca nell'Olanda occupata e arrivo' proprio a capo di un ufficio per gli
affari razziali, allo scopo di sabotare la persecuzione degli ebrei, che
aiuto' in molti modi. Sono documentati 2.899 casi di ebrei da lui salvati,
ma probabilmente furono quasi 5.000. Provo' rimorso per non aver fatto di
piu'. Nella Germania democratica soffri' isolamento e disprezzo, mentre
vedeva i persecutori di ebrei ritrovare agiatezza e ruoli sociali (14).
- Anton Schmid, tedesco, maresciallo della Wehrmacht, responsabile dei
lavoratori forzati ebrei, pare che si facesse pagare dagli ebrei che
salvava. Probabilmente quei soldi gli occorrevano per corrompere, come
faceva Schindler. Fu riconosciuto "giusto" dallo Jad wa-Schem di Gerusalemme
dopo lunga esitazione, ma era stato fucilato dai nazisti come traditore il 2
aprile 1942 (15).
- Maria Helena Francoise Isabel von Maltzan, contessa tedesco-svedese,
personalita' anticonformista, di famiglia nazista, fu attiva nella
resistenza antinazista a Monaco. Nascose, nutri' e curo' piu' di 60 ebrei in
casa propria a Berlino. Vissuta in difficolta' nella Germania democratica,
aveva 85 anni nel 1994 (16).
- Donata e Eberhard Helmrich, coniugi tedeschi, lui ufficiale della
Wehrmacht, aiutarono gli ebrei fin dalla "notte dei cristalli" del 9
novembre 1938. In vari modi ne salvarono almeno 100. Anche per loro il
dopoguerra fu amaro, mentre tornavano sulla scena tanti vecchi nazisti (17).
- Berthold Beitz, tedesco, ha vissuto la storia piu' simile a quella di
Schindler: anche lui dirigeva una fabbrica in Polonia e impiegava lavoratori
ebrei che proteggeva per semplice umanita'. Arrestato nel '43, scampo' alla
condanna a morte per un colpo di fortuna. Unico tra questi "eroi
silenziosi", ha fatto carriera dopo la guerra, fino a divenire presidente
della Fondazione Krupp, il colosso dell'acciaio (18).
- Raoul Wallenberg, giovane diplomatico svedese, salvo' 100.000 ebrei
ungheresi (19). Questo risulta il numero piu' alto, per quel che cio' puo'
significare. Anche a lui e' stato dedicato un film, presentato nel 1992 a
Berlino. Wallenberg scomparve misteriosamente in qualche parte dell'Unione
Sovietica. Si puo' giustamente definirlo il primo martire del diritto
d'ingerenza umanitaria (20). Operando col piu' ampio mandato del suo governo
e disponibilita' di mezzi anche di fonte statunitense, precisamente allo
scopo di salvare gli ebrei, proprio a Budapest dove imperversava addirittura
Eichmann per sterminarli, Wallenberg adempi' il compito che con slancio
aveva accettato, con una determinazione, un coraggio fisico, una inventiva
inarrestabile, un'astuzia inesauribile e romanzesca, un'abilita' di manovra
fra ungheresi e tedeschi, una franchezza assai poco "diplomatica", una
totale assenza di rassegnazione all'eliminazione anche di un solo ebreo, una
liberta' e spregiudicatezza nel far prevalere del tutto le ragioni umane
sulle regole politiche e diplomatiche, tutte doti tali che riempiono di
grande ammirazione. La sua azione principale consistette nel rilasciare
migliaia e migliaia di passaporti svedesi di protezione a qualunque ebreo, e
nel difenderne accanitamente il valore, arrivando a strappare fisicamente
dai treni della deportazione quanti piu' ebrei poteva. La sua determinazione
riusci' a far revocare, alla vigilia dell'arrivo dell'armata rossa, l'ordine
di distruzione del ghetto dato dal comando tedesco. Si calcola cosi' che,
tra il suo arrivo a Budapest (9 luglio 1944) e la liberazione della citta'
ad opera dei russi (12 gennaio 1945), Wallenberg abbia salvato la vita di
circa 100.000 ebrei. L'ammirazione e' piu' grande se si pensa che, mentre
aveva salvato dallo sterminio i condannati con migliaia di passaporti, non
penso' a salvare se stesso e all'arrivo dei russi non aveva predisposta una
documentazione che lo proteggesse. Cadde quindi in sospetto di
collaborazionismo, agli occhi dei sovietici, perche' aveva promesso
ripetutamente il riconoscimento svedese al governo ungherese che cercava di
sottrarsi alle pressioni naziste, allo scopo di averne l'aiuto, che infatti
piu' volte ottenne, nel salvataggio degli ebrei. La sua scomparsa
all'interno dell'Unione Sovietica (ucciso? impazzito? morto naturalmente?),
senza che sia mai venuto un chiarimento convincente, costituisce un mistero
internazionale, indagato da Vecchioni nella seconda parte del suo libro.
- Chiune Sugihara, console giapponese a Kaunas, in Lituania, con azione
simile a quella di Perlasca e di Wallenberg, salvo' almeno 6.000 ebrei
(qualcuno calcola anche 10.000) tra la fine di luglio e la fine di agosto
1940, rilasciando, contro l'eplicito e ripetuto divieto del proprio governo,
visti di transito ad ebrei polacchi in fuga, dopo l'occupazione nazista del
loro paese (21). Bisogna dire che la Lituania non era soggetta all'impero
nazista, ma indipendente, finche' non fu occupata e annessa all'Unione
Sovietica proprio in quelle settimane, il 3 agosto. Pero' il Giappone era
alleato della Germania ed ogni aiuto agli ebrei era un atto ostile allo
stato nazista. Percio' l'azione di Sugihara, che segui' la coscienza contro
l'ordine del suo governo, era un'autentica resistenza alla violenza
razziale. Scrive la moglie: "Egli diceva che quello che deve primeggiare tra
gli uomini e' l'amore e l'umanita'. Per conformarsi a questi ideali, egli
disobbedi' al suo governo". E rischio' non poco: "Mio marito ed io sapevamo
perfettamente che un'azione come questa rischiava di attirare su di noi la
Gestapo". Espulso dai sovietici, il primo settembre parte con la famiglia
per Berlino e arriva infine in Romania, come console. Finita la guerra e
rientrato dopo un penoso periplo in Giappone, e' subito dimesso con disonore
dal servizio diplomatico, per aver disobbedito. Vive di vari mestieri. Nel
1968 e' riconosciuto da uno degli ebrei salvati, consigliere nell'ambasciata
di Israele a Tokio. Nel 1985 il governo israeliano gli conferisce la
medaglia di "giusto tra le nazioni", titolo riconosciuto per la prima volta
ad un giapponese. Ma Sugihara e' malato e muore il 31 luglio 1986. Un busto
in suo onore e' eretto nel parco della sua citta' natale, Yaotsu; una via e'
dedicata al suo nome nella citta' lituana di Vilnius; a questo punto il
governo giapponese, in fretta e in tono minore, riabilita Sugihara, senza
una parola di scuse. Non era gradita all'ufficialita' la memoria di un uomo
che aveva reso onore al suo paese con la disubbidienza.
- Non includiamo in questo elenco aperto le azioni collettive di difesa
degli ebrei perseguitati dai nazisti (22), per limitarci agli "altri
Schindler", come ci siamo proposti. Ma, nel quadro dell'assistenza dei
danesi agli ebrei, merita un cenno Georges Ferdinand Duckwitz, tedesco,
addetto all'ambasciata in Danimarca. Saputo del progetto di cattura degli
ebrei danesi, Duckwitz, dopo aver tentato di impedirla con interventi in
Danimarca, in Germania, in Svezia, avviso' segretamente i dirigenti della
Resistenza danese (23). E' pur vero che altri tedeschi giudicavano un errore
quell'operazione, data la rischiosa tensione tra popolazione danese ed
occupanti, e percio' non e' chiaro se la motivazione di Duckwitz fosse
principalmente umanitaria, in disobbedienza al suo governo, o addirittura
concordata col plenipotenziario Werner Best (24). Il contatto con la
Resistenza fu comunque un atto illegale, rischioso e coraggioso, che salvo'
molti ebrei.
- Infine, diversi nomi, anche molto noti, alcuni dei quali pagarono con la
vita, come Dietrich Bonhoeffer, il grande teologo luterano, vengono
ricordati dallo storico della Resistenza tedesca Peter Hoffmann come
organizzatori di una rete clandestina di solidarieta' con gli ebrei o con
altri perseguitati, che venivano aiutati a fuggire dal paese (25). Registro
qui con tristezza il fatto, testimoniato a Torino il 17 ottobre 1996 da
Jacques Semelin, reduce da un giro di conferenze in Germania: Dietrich
Bonhoeffer, a quella data, non era stato ancora riabilitato nel suo Paese.
*
Questo modesta raccolta e' di natura sua incompleta, per fortuna. E' bastata
la proiezione televisiva su Raiuno del film Schindler's List, la sera del 5
maggio 1997, visto da 12 milioni di spettatori, perche' sui giornali
comparisse notizia ancora di "altri Schindler".
"La Stampa" del 7 maggio da' questa notizia (con piccolissima evidenza):
"Due Schindler italiani", cioe' due preti salesiani, don Francesco Antonioli
e don Armando Alessandrini, sono stati premiati, alla memoria,
dall'ambasciatore d'Israele a Roma per l'accoglienza che dettero a giovani
ebrei durante l'occupazione nazista nella scuola di cui erano responsabili.
Nello stesso giornale, lo stesso giorno, compare una intervista di Guido
Davico Bonino a Nuto Revelli. Lo scrittore annuncia che sta preparando un
libro su un prete cuneese, Raimondo Viale (1907-1984), antifascista, condann
ato al confino, partigiano, che si prese cura di circa 350 ebrei polacchi,
francesi, tedeschi, sconfinati dalla Francia nelle montagne cuneesi, e li
protesse uno ad uno. Il libro di Revelli e' poi uscito dall'editore Einaudi
nel 1998 (26).
Un altro caso emerge col tempo: nel 1998 esce il libro di Gabriele Nissim,
L'uomo che fermo' Hitler, edito da Mondadori (una anticipazione su "La
Stampa", 7 aprile 1998, in un articolo di Gustaw Herling; una intervista
all'autore di Carmela Marsibilio su "Il Segno", settimanale di Bolzano 21
novembre 1998). Il libro racconta la vicenda di Dimitar Peshev, ministro
della Giustizia e poi vice-presidente del Parlamento bulgaro, uomo di destra
(come Giorgo Perlasca), che condusse un'offensiva politica nel Parlamento e
nel paese contro il piano segreto del re Boris e del governo di Filov,
antisemita, di accondiscendere alle pressioni tedesche per la deportazione
dei cinquantamila ebrei bulgari, benvoluti nella societa' e difesi dalla
Chiesa ortodossa. Peshev perdette la sua carica politica, ma svento' la
deportazione. Fu condannato dai sovietici che occuparono la Bulgaria come
politico reazionario (vedi l'analoga sorte di Raoul Wallenberg) a quindici
anni di prigione, ridotti ad un anno e mezzo, e mori' povero ma libero.
Nissim sottolinea che Peshev "e' stato l'unico personaggio politico di un
paese filotedesco che, dopo essersi fatto abbagliare dal nazismo e avere
sottoscritto le leggi razziali, ha capito l'insensatezza di quel regime e ha
compiuto uno di quei miracoli che hanno cambiato la storia" (27).
L'azione personale di Peshev e' innegabile, ma si inserisce in una molto
significativa azione di massa della popolazione bulgara in difesa degli
ebrei, come risulta dalle pagine dedicate da Jacques Semelin al caso bulgaro
nella sua opera specifica Senz'armi di fronte a Hitler (pp. 172-175), gia'
citata (si veda qui la nota 22).
E' significativo che si continui a scoprire persone che, a loro rischio,
aiutarono gli ebrei contro i piani nazisti di sterminio. "La Stampa" del
primo luglio 1999 da' qualche notizia su Bill Barazetti, cittadino svizzero,
che aveva studiato ad Amburgo all'inizio del periodo nazista. Avendo capito
le intenzioni di Hitler, si dedico' ad aiutare gli ebrei a fuggire dalla
Germania, mentre lavorava come spia per conto della Cecoslovacchia
minacciata. Catturato, quasi ucciso a percosse, riusci' avventurosamente a
fuggire in Polonia, quindi in Cecoslovacchia. Qui, nel 1938, organizzo' un
treno per l'Inghilterra di 663 bambini e giovanetti ebrei, protetti da
documenti perfettamente falsificati, procurati da Barazetti. I bambini si
salvarono tutti. Barazetti non parlo' mai a nessuno, neppure ai suoi quattro
figli, di quella sua impresa. Solo nel 1992 una studiosa, quasi per caso,
scopri' la parte da lui avuta in quel salvataggio. Nel 1999 Barazetti aveva
85 anni, viveva malato e povero a Horn-Church, nell'Essex, Inghilterra. Si
e' fatto vivo per chiedere aiuto ad uno dei bambini allora salvati, Hugo
Marom, ex-pilota da caccia, il quale si e' messo alla ricerca degli altri
bambini di allora, dai quali raccogliere fondi per sostenere la vecchiaia
del loro salvatore (28).
Il francescano polacco Massimiliano Kolbe, ucciso ad Auschwitz il 14 agosto
1941, e' molto noto per essersi offerto di morire in luogo di altri
selezionati per la morte, padri di famiglia. Meno noto e' il fatto che fu
arrestato a Niepokalanow per aver dato rifugio a centinaia di ebrei
destinati al campo di sterminio (29).
Giovanni Palatucci, poliziotto ricco di sensibilita' umana, responsabile
dell'ufficio stranieri della questura di Fiume, tra il 1937 e il 1944 salvo'
da tremila a cinquemila ebrei, falsificandone i documenti. Scoperto da
Herbert Kappler e deportato a Dachau, matricola 117826, vi mori' nel 1945 a
trentasei anni. Il libro che narra la sua storia ci da' anche i nomi di
alcuni suoi collaboratori: Americo Cucciniello, Alberino Palumbo, Feliciano
Ricicardelli, ma tace sui tanti funzionari di polizia che, nella repubblica
di Salo', collaborarono coi tedeschi (30).
Un altro libro di Gabriele Nissim, racconta la storia di Moshe Bejski, lui
stesso ebreo salvato da Schindler, che e' stato dal 1970 al 1985 presidente
della Commissione dei Giusti dello Jad wa-Schem, ed ha abolito la
graduatoria morale che prima veniva stabilita tra i Giusti, salvatori di
ebrei, ricordati a Gerusalemme. Fu lui a fornire al regista Spielberg i
documenti su Schindler e a perorarne l'inclusione tra i Giusti, nonostante
qualche sregolatezza personale (31). Un quotidiano, nel darne notizia,
ricorda altri nomi di salvatori di ebrei, rintracciati e registrati da
Bejski, qui non ancora menzionati: Aristide Sousa Mendes, console portoghese
a Bordeaux nel '40, cacciato senza pensione per avere stampato migliaia di
visti; Armin Wegner, intellettuale tedesco, che nel '33 scrisse a Hitler
rimproverandogli la persecuzione degli ebrei, quindi imprigionato, frustato
per cinque mesi, abbandonato da tutti; una prostituta polacca, che andava
coi nazisti, ma nascondeva in casa alcuni ebrei (32).
Il film Il pianista, di Roman Polanski, in programmazione nel 2002 e 2003,
racconta una storia vera: nella Varsavia occupata e violentata, sul finire
della guerra, un capitano dell'esercito tedesco scopre Wladyslaw Szpilman
(protagonista del film), famoso musicista ebreo di radio Varsavia, sfuggito
alla deportazione e nascosto in una soffitta. Il capitano gli chiede di
suonare, e' commosso dalla sua musica, lo aiuta a sopravvivere fino
all'arrivo dei russi. Il capitano tedesco si chiama Wilm Hosenfeld, e
morira' nel 1952 in un campo di prigionia sovietico. Il libro, scritto nel
1946 dallo stesso Szpilman (33), nell'edizione italiana contiene diciotto
pagine di estratti dal diario del capitano Hosenfeld (pp. 209-226), tra il
gennaio 1942 e l'agosto 1944, in cui egli registra senza mezzi termini le
violenze naziste su oppositori politici interni e su popolazioni occupate,
parla con precisione, gia' nell'aprile '42, di cio' che avviene ad
Auschwitz, non crede alla vittoria tedesca perche' "l'ingiustizia alle
lunghe non puo' prevalere" e perche' "ora noi abbiamo sulla coscienza
sanguinosi crimini a causa delle orribili ingiustizie commesse
nell'assassinare i cittadini ebrei". Sente riferire questi fatti, a cui non
partecipa direttamente, ma stenta a credervi. Se questo e' vero, considera
un disonore essere un ufficiale tedesco. Chiama pazzi, canaglie, bestie, i
tedeschi che fanno queste cose. "Come siamo codardi a pensare innazitutto a
noi stessi e a permettere che cio' accada. Dovremmo essere puniti per
questo. (...) Noi permettiamo che vengano commessi simili crimini,
rendendocene complici". Attribuisce queste crudelta' all'allontanamento da
Dio. Apprende e descrive con orrore i particolari delle deportazioni a
Treblinka. E' a conoscenza di parecchi ebrei nascosti in Varsavia. "Ho
capito con assoluta certezza che avremmo perso la guerra perche' ormai non
aveva piu' senso" e ritiene che sia ormai "una guerra totalmente condannata
dall'intera nazione". Riferisce tra virgolette la testimonianza (l'ha avuta
personalmente?) di un ebreo sulle violenze subite. E' "un'onta che non
potra' mai essere cancellata, e' una maledizione dalla quale non ci
libereremo mai. Non meritiamo alcuna pieta'. Siamo tutti colpevoli. Provo
vergogna ad andare in citta'. Qualsiasi polacco ha il diritto di sputarci
addosso. (...) Ogni giorno che passa mi sento peggio". Si pone la stessa
domanda che si ponevano gli ebrei nei lager: "Perche' Dio non interviene?" e
risponde che l'umanita' e' abbandonata al male perche' ha abbracciato il
male. "Quando i nazisti sono saliti al potere non abbiamo fatto nulla per
fermarli. Abbiamo tradito i nostri ideali (...) e ora noi tutti dobbiamo
accettarne le conseguenze". Registra le disfatte militari e la
demoralizzazione. Ma la popolazione tedesca, che egli crede in maggioranza
ormai contraria al regime, e' impossibilitata a ribellarsi, e l'esercito "e'
disposto a lasciarsi condurre alla morte". "Abbiamo usato metodi mostruosi
(...) tutto e' andato perduto".
La personalita' di Hosenfeld, il suo animo e la sua azione risultano
illustrati nel libro meglio che nella breve parte finale del film. Il
capitano insegna a Szpilman come meglio nascondersi, gli dice che si
vergogna di essere tedesco. Szpilman lo definisce "l'unico essere umano con
indosso l'uniforme tedesca che io abbia mai conosciuto".
Nell'appendice al libro (pp. 227-239), scritta di recente da Wolf Biermann,
si apprende che Hosenfeld, che aveva gia' fatto la prima guerra mondiale,
era nella vita civile un insegnante elementare generoso, gentile, tenero coi
suoi alunni, affettuoso e materno con i bambini in difficolta'. In Polonia
aveva gia' salvato un ragazzino dalla fucilazione, rischiando la propria
vita; poi un giovane ebreo, Leon Warm, fuggito dal treno dei deportati,
assumendolo sotto falso nome al proprio servizio. Aveva anche comperato
scarpe e cibo per i bambini polacchi. All'inizio dell'occupazione tedesca,
Hosenfeld, pregato dalla moglie di Stanislaw Cieciora, soldato polacco fatto
prigioniero, lo aveva fatto liberare ed era diventato amico di questa
famiglia, che frequento', andando anche a messa insieme a loro. Salvo' anche
un prete loro parente, impegnato nella resistenza polacca, e cosi' un loro
conoscente, il signor Koschel. Hosenfeld, dalla prigionia russa, dopo la
guerra, scrisse alla moglie un elenco di ebrei e di polacchi da lui salvati,
in cui il quarto nome era quello di Szpilman. Warm, andato in visita dalla
moglie di Hosenfeld, ebbe questo elenco e, tramite Szpilman, lo fece
trasmettere dalla radio polacca.
A Biermann, autore di questa appendice, Szpilman racconta di avere tentato,
nel 1950, di aiutare Hosenfeld, quando seppe che si trovava prigioniero dei
sovietici. Si umilio' ad elemosinare l'intervento di Jakob Berman, potente e
odiato capo della polizia comunista polacca, al quale racconto' come il
capitano tedesco aveva salvato la vita di moltissime persone. Berman
effettivamente si attivo', ma gli dovette rispondere che i sovietici non
volevano liberarlo perche' il suo reparto aveva avuto a che fare con lo
spionaggio.
Nella prima edizione polacca del libro (peraltro subito tolto dalla
circolazione), nel 1946, Szpilman si vide costretto a far passare il
capitano Hosenfeld per austriaco, invece che tedesco, perche' in quel
momento in Polonia non era possibile rappresentare un ufficiale tedesco come
buono e generoso.
Nel 1995 il nome di Wilm Hosenfeld non compariva ancora nel Viale dei
Giusti, a Gerusalemme. Wolf Biermann si augurava che a piantarlo fosse
Wladyslaw Szpilman. Il quale e' morto novantenne nel 2001. Non sappiamo al
momento se l'albero per Hosenfeld sia stato piantato.
Sulle donne tedesche della Rosenstrasse, abbiamo parlato al momento
dell'uscita del film omonimo di Margarethe von Trotta, dei suoi meriti e dei
suoi limiti.
*
4.  I "baciaebrei" tedeschi noti ed ignoti
Ripetiamo che questa "lista" di altri Schindler e' aperta e incompleta. E'
triste dover annotare che Calmeyer, la contessa Maria Helena, i coniugi
Helmrich, dopo la fine della guerra e del nazismo, soffrirono in patria non
solo delusione, ma anche disprezzo. Cosi' tocco', del resto, anche a
Schindler: quando la sua storia fu resa nota dalla stampa, "gli fischiarono
dietro per le strade di Francoforte, gli gettarono delle pietre, un gruppo
di operai lo scherni' e gli grido' che avrebbero dovuto cremarlo insieme
agli ebrei. Nel 1963 prese a pugni un operaio che lo aveva chiamato
'baciaebrei'". Per questo fatto Schindler fu condannato da un giudice locale
a pagare i danni. "Mi ucciderei - egli scrisse ad un amico americano - se
non sapessi di dar loro una soddisfazione" (34).
L'insulto "baciaebrei" tocco' anche, a Vienna, a Raimund Titsch, austriaco
cattolico che, nello stesso lager in cui opero' Schindler, aveva anche lui
protetto gli ebrei e raccolto documentazione fotografica sui maltrattamenti
per futura memoria (35).
*
5.  Berlino "judenfrei"
Lo scrittore e regista Marek Halter ha girato un documentario di quattro
ore, dal titolo Tzadek (giustizia e carita', in ebraico), sui "Giusti", i
salvatori di ebrei. Ne ha rintracciati e intervistati 36 nel mondo. Questi
coraggiosi solitari vanno distinti da chi opero' in organizzazioni, come i
congiurati contro Hitler e il gruppo della Rosa Bianca (36).
I "Giusti fra i popoli" onorati a Jad wa-Schem sono 18.240. Di questi, i
"Giusti fra i tedeschi" sono 358 (37). Questi, piu' quelli ancora ignoti,
sono gli "altri Schindler" tedeschi. Quanti potranno essere stati in tutto?
Al Centro per le ricerche sull'antisemitismo dell'Universita' tecnica di
Berlino si calcola che quando, il 19 maggio 1943, il governo nazista
dichiaro' Berlino "judenfrei", cioe' "liberata dagli ebrei", vivessero nella
citta' almeno 1.400 ebrei clandestini, i cosiddetti "U-Boote"
(sommergibili), nascosti ed aiutati da tedeschi non ebrei. Poiche'
l'esistenza di un clandestino era conosciuta in media da 4-5 persone, si
conclude che, nella sola Berlino, almeno 6-7.000 tedeschi sfidavano la morte
per proteggere gli ebrei. In tutta la Germania i "sommergibili" dovevano
essere circa 4.000. Percio' alcune decine di migliaia di tedeschi
proteggevano gli ebrei a loro rischio.
Calcolando anche i casi in cui l'aiuto falli', il Centro berlinese stima che
siano stati fra 50 e 80.000 i tedeschi impegnatisi ad aiutare gli ebrei. Il
numero e' considerevole, confrontato con l'immagine prevalente di una
Germania tutta passiva di fronte alla crudelta' nazista, quando non
complice. Di tutte queste "storie di ordinario eroismo" non piu' di qualche
centinaio sono note. Pochissimi dei loro protagonisti hanno avuto un
riconoscimento in Germania. In occasione dell'uscita di Schindler's List, i
giornali tedeschi hanno raccontato alcune di queste storie. Altre sono
raccolte nel libro Sie waren stille Helden (Furono eroi silenziosi), uscito
alla fine del 1993 (38). Qui abbiamo nominato alcune decine di "altri
Schindler", di cui una decina tedeschi.
Dunque, 50-80.000 tedeschi aiutarono coraggiosamente gli ebrei. Sui circa 70
milioni di tedeschi - tale era la popolazione nel 1940 - essi rappresentano
l'1 per mille (senza contare la diminuzione della popolazione per i molti
morti in guerra, che accresce la percentuale). Avviciniamo a questi il
numero degli oppositori interni al nazismo: da uno (secondo Salvadori) a tre
milioni (secondo Vaccarino) si contano i tedeschi imprigionati nei lager per
ragioni politiche, non razziali. Furono tanti? Pochi? Vorremmo evitare la
questione quantitativa, sebbene non priva di significato e interesse, per
concludere con l'indicazione sostanziale che qui ci inporta: anche nella
Germania dominata dallo hitlerismo era possibile resistere, sabotare,
disobbedire agli ordini, proteggere i minacciati. Chi lo fece salvo' vite
umane, e il significato del mondo. Era possibile. Dunque e' possibile, anche
in situazioni difficilissime quanto altre mai, comportarsi da umani, salvare
l'umanita', la qualita' umana di chi cade e di chi sopravvive.
*
Note
7. Quello di Perlasca e' il caso piu' noto in Italia. Cfr. Enrico Deaglio,
La banalita' del bene. Storia di Giorgio Perlasca, Feltrinelli, Milano 2002.
La Rai trasmise il 30 aprile 1990 un documentario-intervista seguito da
quattro milioni di spettatori, Omaggio a Giorgio Perlasca. Nel periodo del
film su Schindler, i quotidiani tornarono a parlarne, per esempio "La
Stampa", 11 marzo 1994, p. 23, e "la Repubblica", 10 marzo 1994.
8. Cfr. "Avvenire", 8 aprile 1994, e "Il Risveglio Popolare", settimanale di
Ivrea, 11 aprile 1994, p. 3 sull'azione di Martinoli per gli ebrei. Sulla
sua vita, all'indomani della morte: "La Stampa", 27 dicembre 1996, p. 23, e
"Il Risveglio Popolare", 9 gennaio 1997 e 27 giugno 1997. Dieci giorni prima
di morire, Martinoli presento' egli stesso al pubblico, nell'Universita' di
Torino, il suo libro sul Novecento Un secolo da non dimenticare, Mondadori,
Milano 1996.
9. Biografia di Stefan Keller, Grueningers Fall, ora in francese col titolo
Delit d'humanite'. Cfr. "Corriere della Sera", 16 febbraio 1994, p. 27; "La
Stampa", 11 marzo 1994, p. 23; "la Repubblica", 10 marzo 1994.
10. Kaspar Villiger, A 50 anni dalla fine della guerra, in "Dialoghi di
riflessione cristiana", Locarno, giugno-luglio 1995.
11. Cfr. "l'Unita'", 28 novembre 1995, e "la Repubblica", 1 dicembre 1995.
12. Cfr. "Corriere della Sera", citato.
13. Cfr. "Corriere della Sera", citato.
14. Cfr. "Avvenimenti", 25 maggio 1994, pp. 22-23.
15. Cfr. "Avvenimenti", citato, p.23.
16. Cfr. "Avvenimenti", citato, p. 23, e "l'Unita'", 21 aprile 1994, p. 13.
17. Cfr. "l'Unita'", citato.
18. Cfr. "l'Unita'", citato.
19. Cfr. "La Stampa", 11 marzo 1994, p. 23, e "la Repubblica", 10 marzo
1994. Si veda soprattutto Domenico Vecchioni, Raoul Wallenberg, l'uomo che
salvo' 100.000 ebrei, Prefazione di Giovanni Spadolini, Eura Press Edizioni,
Milano 1994.
20. D. Vecchioni, op. cit., p. 126.
21. Ho trovato le prime informazioni su Sugihara in "Internazionale", 5
novembre 1994 (articolo di Uwe Schmitt su "Frankfurter Allgemeine", che
annuncia un libro del sociologo americano Hillel Levine, Sulle tracce di
Sugihara: la banalita' del bene), poi altre piu' precise negli articoli di
Jean-Francois Riviere, Chiune Sugihara, un "juste", in "Non-violence
actualite'", ottobre 1995, e di Giovanna De Stefani, La "lista" di Sugihara,
in "Avvenire", 26 luglio 1995. Questi due articoli (specialmente l'ultimo)
attingono al libro della moglie di Sugihara, Yukiko Kikuike, tradotto in
francese, Visas pour 6.000 vies (Visti per 6.000 vite), Ed. Picquier, Arles
1995 (in preparazione la traduzione inglese).
22. Tra queste azioni collettive, con intere popolazioni per protagoniste,
sono da ricordare in primo luogo quelle che in Danimarca e in Bulgaria
salvarono la gran parte degli ebrei. Cfr. Jacques Semelin, Senz'armi di
fronte a Hitler, Sonda, Torino 1993, pp. 160, in particolare per la
Danimarca pp. 183-186, per la Bulgaria pp. 172-175. Sulla Bulgaria v. anche:
Olivier Maurel, Comment furent sauves les Juifs bulgares, in "Non-violence
actualite'", dicembre 1995. Ricordiamo anche la protezione degli ebrei
attuata con metodo e coraggio dalla popolazione del villaggio di Chambon sur
Lignon (narrata in un capitolo inedito Un villaggio nella Resistenza, di
Sergio Albesano), e il rifugio dato a cento ragazzi ebrei, di vari paesi
europei, la maggior parte sotto i 14 anni, dato da tutti gli abitanti di
Nonantola (Modena), nelle loro case, fino a quando riuscirono a portarli
tutti in salvo in Svizzera (cfr. Simonetta Pagnotti, I ragazzi dell'Orsa
Maggiore. Una rievocazione inedita di Resistenza civile 1942-1943, Edizioni
Paoline, 1995. Su una iniziativa attuale di solidarieta' tra i popoli a
Nonantola ispirata a quell'azione, vedi il mensile "Confronti", settembre
1996, pp. 24-25).
23. Cfr. Semelin, op. cit., p. 184; Jorgen H. Barfod, Danmark 1940-1945,
Frihedsmuseets Venner, Kobenhavn 1984, p. 21.
24. Cosi' secondo Patrice Coulon, in Les lecons de l'histoire, Resistances
civiles et defense populaire non-violente, "Les dossiers de Non-violence
politique", n. 2, 1983, p. 34. Seconda edizione nel 1989.
25. Cfr. Peter Hoffmann, Tedeschi contro il nazismo, cit., pp. 77-78, 82-83
(dove parla di circa 3.000 casi di tale resistenza), 90, 150. "La
persecuzione e l'uccisione degli ebrei fu per molti cospiratori il motivo
principale che li spinse a entrare nell'opposizione clandestina" (p. 174).
26. Nuto Revelli, Il prete giusto, Einaudi, Torino 1998. L'attivita' per gli
ebrei di don Viale, che nel 1980 fu invitato ed accolto a Gerusalemme come
uno dei "giusti d'Israele", e' narrata alle pp. 47-55, 65, 70, 98-104, 107.
27. Gabriele Nissim, L'uomo che fermo' Hitler, Mondadori, Milano 1998.
28. Bill, il ladro di piccoli ebrei, di Dennis Eisenberg, in "La Stampa", 1
luglio 1999.
29. Cfr. l'articolo di Luigi F. Ruffato in "Avvenire", 14 agosto 1999, p.
17.
30. AA. VV. Giovanni Palatucci, il poliziotto che salvo' migliaia di ebrei,
Edizioni Polizia di Stato, 2002.
31. Gabriele Nissim, Il tribunale del bene. La storia di Moshe Bejski,
l'uomo che creo' il Giardino dei Giusti, Mondadori, Milano 2003.
32. Cfr. "La Repubblica", 19 dicembre 2002, p. 15.
33. Film tratto dal libro di Wladislaw Szpilman, Il pianista, Baldini &
Castoldi, Milano 1999.
34. Th. Keneally, op. cit., p. 380.
35. Ivi, p. 215-217. Nel capitolo citato "Quelli dell'ultima ora" abbiamo
visto che i disertori, in genere, furono trattati allo stesso modo nella
Germania del dopoguerra.
36. Cfr. "La Stampa" e "la Repubblica", citati.
37. Traggo questi dati da "La Repubblica", 19 dicembre 2002, p. 15.
38. Traggo la maggior parte di questi dati dall'articolo di Paolo Soldini,
in "l'Unita'", 21 aprile 1994, p. 13. Giorgio Vaccarino, Storia della
Resistenza in Europa 1938-1945, Feltrinelli, Milano 1981, denuncia a p. 87
il fatto che la popolazione cattolica tedesca, salvo pochi casi, fu
indifferente al destino degli ebrei e informa che i soccorritori di molti
ebrei a Berlino furono, per lo piu', di estrazione operaia (fonte: Gunther
Lewy, I nazisti e la Chiesa, Il Saggiatore, Milano 1965, p. 419) e spesso di
nessuna chiesa.
(Fine - la prima parte e' apparsa nel notiziario di ieri)

4. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: ALLE RADICI DELLA CRISI DELLA SINISTRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 gennaio 2005 riprendiamo questo
articolo di Lidia Menapace, li' apparso come contributo a un dibattito di
ripensamento delle categorie teoriche e politiche della sinistra. Lidia
Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara nel
1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico,
pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto";
e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei
movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior
parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in
quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi
libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della
donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974;
Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di,
ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa,
Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]

Dico per titoli i fatti storici dai quali parto: il crollo dell'ipotesi
sovietica, la crisi irrimediabile dell'esperienza della socialdemocrazia
europea e la sconfitta del '68.
E' un elenco che - in modo del tutto sommario e sempre a mo' di titolo di
una possibile e auspicabile ricerca analitica adeguata - narro cosi'.
Il tentativo fallito di costruire il socialismo mutando la proprieta' dei
mezzi di produzione, non il modo di produzione, e l'illusione di potersi
servire dello strumento "stato" per fare l'operazione, dimostra che non e'
possibile, senza mutare anche il modo di produzione e senza costruire uno
stato che non sia - come quello uscito dalla Rivoluzione francese - uno
strumento dotato di garanzie giuridiche e di laicita', ma in fin dei conti
autoritario e militarista.
La crisi irreversibile della grande socialdemocrazia europea, compreso anche
il suo esempio estremo di "sinistra socialdemocratica" che fu il Pci,
dimostra che anche costruire lo stato sociale e' una buonissima idea, ma non
basta per mutare l'economia e non regge alle spinte militariste anche prima
citate.
Quanto al '68, la cui origine antiautoritaria e creativa poteva far sperare
che avrebbe ovviato ai limiti prima elencati, esso fu sconfitto non perche'
avesse sbagliato l'agenda dei problemi (che sono ancora tutti li' irrisolti
e presenti), bensi' le forme della politica con la trasformazione del
movimento in una costellazione di partiti e partitini aventi caratteristica
di istituzioni generaliste, quando gia' la critica di tali forme era nata;
In piu' per avere ceduto - per una immagine di stato non radicalmente
diversa da quella sovietica - all'idea che l'uso della forza o della
violenza politica potesse avere una carica rivoluzionaria.
Se questi sono i titoli di un possibile ragionamento, e tenendo conto che
nel frattempo sono avvenuti fenomeni sociali molto vasti (migrazioni,
delocalizzazione produttiva, segmentazione dell'iniziativa sindacale) e sono
nate nuove culture politiche (femminismo, ecologia, pacifismo), sembra di
poter osservare che non si puo' avanzare di un passo se non si ripercorrono
i temi indicati, per trovare le cause dei fallimenti e porvi rimedio.
*
A me pare che si dovrebbero soprattutto analizzare le novita' sociali e
culturali, e di conseguenza disegnare la traccia di un sistema di relazioni
politiche che tenga conto dell'esistenza della societa' complessa, della
critica alle forme generaliste e della prevalente cultura sistemica; in piu'
bisogna analizzare con cura i nuovi movimenti, che hanno la caratteristica
di essere politici e non rivendicativi, e percio' pongono la domanda
cruciale di ridiscutere il sistema delle relazioni politiche.
Inoltre sembrano, in tutto il mondo, avere scelto la pratica dell'azione
diretta nonviolenta e di non rifiutare un rapporto con le istituzioni
formali e informali.
In piu' - e questa e' la caratteristica piu' innovativa - i movimenti hanno
un approccio alla realta' attraverso un simbolico che non e' piu' quello del
mosaico (l'armonia dei vari pezzi e colori che prevede sempre uno che
disegna e stabilisce funzioni e dispone i pezzi al loro posto) bensi' un
modo olistico di leggere il reale, tanto che in uno dei pezzi - per piccolo
che sia - si trova il nesso con l'intera realta' e per questo ogni movimento
e' politico, e un sistema di relazioni deve tenere presente la questione di
come si compone il rapporto tra molteplici (non tra plurali), che restano
tali e non sono riducibili a unita' o a sintesi: in altri termini come si
puo' organizzare una serie di relazioni politiche e di forme adeguate a una
complessita' non riducibile.
Come si risolve a sinistra l'analisi fatta da Luhmann; allo stesso modo come
Marx non rifiuto' l'analisi degli economisti del capitalismo ma ne mise in
discussione le conseguenze sociali, le valenze politiche, la scala dei
valori: tutto qui, per cominciare.

5. LETTURE. AMNESTY INTERNATIONAL: REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO. LA
GUERRA DIMENTICATA
Amnesty International, Repubblica Democratica del Congo. La guerra
dimenticata, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2003, pp. 32, euro 3. Un
sintetico rapporto di Amnesty International, una realta' su cui non si puo'
tacere.

6. LETTURE. OSWALD DUCROT, JEAN-MARIE SCHAEFFER: NOUVEAU DICTIONNAIRE
ENCYCLOPEDIQUE DES SCIENCES DU LANGAGE
Oswald Ducrot, Jean-Marie Schaeffer, Nouveau dictionnaire encyclopedique des
sciences du langage, Seuil, Paris 1995, 2002, pp. 832. E' la nuova edizione
ampiamente aggiornata del classico Dictionnaire pubblicato nel 1972 sotto la
direzione di Ducrot e Tzvetan Todorov. A questa nuova edizione hanno
collaborato anche Marielle Abrioux, Dominique Bassano, Georges Boulakia,
Michel de Fornel, Philippe Roussin e Tzvetan Todorov. Uno strumento di
lavoro di grande utilita'.

7. RILETTURE. ROSA ROSSI: GIOVANNI DELLA CROCE. SOLITUDINE E CREATIVITA'
Rosa Rossi, Giovanni della Croce. Solitudine e creativita', Editori Riuniti,
Roma 1993, pp. VI + 160, lire 25.000. Un'appassionante monografia che
vivamente raccomandiamo.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 804 del 9 gennaio 2005

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).