Buenos Aires: il giorno di Cristina Fernández de Kirchner



Buenos Aires: il giorno di Cristina Fernández de Kirchner

Con quasi matematica certezza oggi Cristina Fernández de Kirchner, attualmente primera dama ("first lady" in italiano corrente), consorte dell'attuale presidente Nestor, sarà il prossimo presidente argentino, senza neanche passare dal ballottaggio.

di Gennaro Carotenuto

La porteranno alla Casa Rosada i poveri, le donne e l'enorme interno del paese, mentre i benestanti e le grandi città non la amano. Peronista da tutta la vita, militante della Gioventù Peronista (JP, che in quel partito e in quegli anni voleva dire la sinistra peronista) da prima di conoscere il marito all'Università de La Plata, Cristina è la prima donna eletta presidente in Argentina. Prima di lei, Eva, che presidente non fu mai, ma che ebbe un ruolo politico fondamentale nel tracciare i caratteri popolari del peronismo ed Isabelita (la seconda moglie del generale Perón) che fu nefasta presidente nella stagione che aprì allo sterminio dei 30.000 desaparecidos che colpì in maniera pesantissima proprio la JP.

La prima cosa che va detta della staffetta familiare alla Casa Rosada, dove al "pinguino" succede la "pinguina" (così vengono definiti ricordando la loro provenienza dall'estremo sud della Patagonia), è che Cristina Fernández de Kirchner, non diventa presidente per un esercizio di nepotismo da parte del marito. Così afferma, troppo facilmente, ma a torto, la stampa mainstream, soprattutto europea. Classe 1953, politica di lungo corso, militante della Juventud Peronista già quando conobbe Nestor all'Università di La Plata nei primi anni '70, i coniugi Kirchner seguono dalla caduta della dittatura genocida una carriera politica parallela, nella quale lei non è seconda. Si rifugiano a Santa Cruz, la regione di origine di lui, e sono i governanti che vengono da più a sud al mondo). Dopo la dittatura, lui diventa governatore, lei deputato e quando Nestor nel 2003 diventa Presidente della Repubblica, lei immediatamente esige: «non chiamatemi "primera dama" ("first lady" in italiano corrente), continuate a chiamarmi senatrice».

DOVE VA L'ARGENTINA DA KIRCHNER A KIRCHNER? Dopo il crollo del sistema neoliberale, imposto dal Fondo Monetario Internazionale col sangue della dittatura dei 30.000 desaparecidos, l'Argentina che oggi si appresta a un passaggio di potere familiare, da Nestor Kirchner a sua moglie Cristina Fernández, ha ripreso a correre ed è una società un po' meno ingiusta, anche se moltissimo resta da fare. Partendo da una posizione di grande vantaggio e con un'opposizione divisa Cristina ha preferito tenere un basso profilo in campagna elettorale.

Soprattutto evitare errori è stata la chiave. Una strategia che ha pagato, già che sarebbe una enorme sorpresa se oggi si dovesse andare al ballottaggio. Secondo praticamente tutti gli istituti di sondaggio, Cristina Kirchner sarà eletta oggi al primo turno con una votazione che va dal 45% (il minimo per vincere al primo turno) al 55%, che segnerebbe un trionfo sia per lei che per l'amministrazione del marito Nestor e per le ambizioni di questi di tornare presidente nel 2011. Oggi l'appoggio a Cristina sarà più grande in periferia e tra le classi popolari. A Buenos Aires non supera il 33% di aspettativa di voto, e tra le classi medio-alte non arriva al 30% mentre avrà anche i due terzi dei voti nel resto del paese.

L'opposizione è distante, divisa, quasi impalpabile per un peronismo progressista (Fronte per la Vittoria, FV, il nome della coalizione kirchnerista), che ha conquistato buona parte del voto alla sua sinistra che negli ultimi venti anni si era invece frammentato in mille rivoli. Lontanissimi sono infatti un'altra donna, Elisa Carrió, già candidata nel 2003, che dovrebbe giungere seconda intorno al 20% delle preferenze, un po' Di Pietro, un po' Rosi Bindi, e ancora più indietro l'ex-ministro dell'economia di Kirchner, Roberto Lavagna, in buona parte coautore della ripresa del paese dopo il crollo della fine del 2001, che si attesta intorno al 15% e che contende alla Carrió il secondo posto. Più lontani sono gli altri candidati, cominciando dal peronista dissidente Alberto Rodríguez Saá, che tra i clienti della vecchia politica peronista dovrebbe racimolare un 5% di voti. Dietro di lui ci sono le ultime due candidature che meritano di essere citate, una di destra neoliberale e una della sinistra partecipativa. Ricardo López Murphy, ex ministro dell'economia, il candidato duro e puro della destra neoliberale, al quale ha alla fine ritirato l'appoggio dal fiammante governatore di destra della Provincia di Buenos Aires, Mauricio Macri, si ferma tra il 2 e il 3% dei voti. Macri non poteva puntare su un cavallo così perdente e considerando che lo stesso López Murphy nel 2003 contese fino all'ultimo il ballottaggio proprio al presidente Kirchner (che poi vide il rivale Carlos Menem ritirarsi) ottenendo il 18% dei voti. E' la conferma che se la destra punta sull'insicurezza, come ha fatto Macri a Buenos Aires, può ancora convincere, ma se pensa, è il caso di López Murphy, di restaurare il modello neoliberale, allora non ottiene che rifiuto.

Ancora più indietro, non dovrebbe arrivare al 2% dei voti, la candidatura solitaria del regista Fernando "Pino" Solanas. Solanas è da 40 anni la coscienza critica del paese, da "la Hora de los hornos" a "La dignidad de los nadie" fino all'appena uscito "Argentina latente", straordinario documento sulle potenzialità tecnologiche e scientifiche dell'Argentina frustrate dal neoliberismo, ancora inedito in Italia. Quella di Pino Solanas è una candidatura di bandiera. Lui stesso la definisce "profondamente antiliberale, che aspira a ripensare il paese attraverso la convocazione di un'Assemblea Costituente che abolisca il neoliberismo dalla Costituzione e crei una democrazia partecipativa". Consigliere e vicino alle posizioni del presidente venezuelano Hugo Chávez, le scarse possibilità della candidatura di Solanas e la sparizione di molte delle forze di sinistra che raggranellavano l'1-2% in ogni elezione testimoniano come, nel bene e nel male, il kirchnerismo, movimento non più che centrista dal punto di vista economico, abbia saputo rappresentare, e se necessario fagocitare, le istanze della sinistra tanto tradizionale come radicale e perfino di buona parte dei movimenti sociali. Lo testimoniano l'appoggio di Hebe Bonafini, leader storica delle madri di Plaza de Mayo, e tradizionalmente su posizioni di sinistra radicale, e quello di una parte importante del movimento piquetero, che ha rappresentato in questi anni il sottoproletariato argentino escluso dal modello.

Continuando con il prudentissimo progressismo economico che ha caratterizzato gli anni di Nestor, accompagnato però dalla restituzione della dignità ad un paese che sotto il neoliberismo l'aveva perduta, non è detto che quel sostegno sarà senza limite.

http://www.gennarocarotenuto.it