Il fattore piazza



Il fattore piazza

La necessità, l’indispensabilità, per un grande paese qual è l’Italia di iniziare dal liberarsi di Silvio Berlusconi e dei suoi cortigiani per poter poi intraprendere una seconda grande ricostruzione, etica, morale, economica, culturale, d’idee e progetti, a quasi settant’anni da quella del dopoguerra e dalla nascita della Repubblica, ha ritrovato domenica l’opzione “mobilitazione popolare”.

di Gennaro Carotenuto
Non che la piazza non sia stata mai evocata dall’opposizione parlamentare durante il ventennio berlusconiano. Perfino un dirigente particolarmente lontano dalla logica politica del Novecento delle masse, come Walter Veltroni, volle ed ebbe i suoi bagni di folla. Ma quando l’opposizione parlamentare ha evocato le masse, le proprie masse del popolo di sinistra, lo ha fatto sempre in un contesto di autolegittimazione, irregimentando quelle stesse masse per esempio con primarie confermative di scelte già fatte, e mai calcando la mano su elementi di critica al regime e al modello economico che pure quelle masse avrebbero condiviso con entusiasmo.
In altri casi, dal Circo Massimo della CGIL, ai movimenti sociali di Genova, ai girotondi, al Nanni Moretti di Piazza Navona del “con questi dirigenti non vinceremo mai”, fino al popolo viola, ai San Precario e perfino ai grillini, quando le masse si sono autoconvocate queste hanno sempre trovato la presa di distanza se non l’aperta avversione da parte dell’opposizione parlamentare.
Se tali mobilitazioni, spesso imponenti ed espressione dell’enorme fiume carsico dell’Italia civile, sono nel tempo declinate, è stato innanzitutto nell’impossibilità di stabilire un rapporto dialettico tra masse e politica ufficiale. Quest’ultima, in particolare quello che sarebbe divenuto il Partito Democratico, ha visto a ragione nei movimenti una messa in discussione, una critica aperta della propria inanità a liberare il paese da Berlusconi ed a pensare, sarebbe il compito della politica, un paese differente.
Sempre più spesso le masse, nel non sentirsi più rappresentate dalla politica, hanno interpretato più un “que se vayan todos” argentino (“che vadano via tutti” era lo slogan con il quale fu abbattuto il regime neoliberale nel 2001) che la possibilità di incarnare un progetto e un programma politico e renderlo vincente almeno per l’Italia che si astiene se non per un frammento di quelli che votano per il puttaniere lombardo.
Le donne e gli uomini scesi magnificamente in piazza domenica possono finire nel novero delle occasioni perdute come altre precedenti, spesso altrettanto ingenti e alte, o possono rappresentare un fatto nuovo. Se un fatto nuovo c’è, e c’è, in quanto avvenuto domenica, vi è il superamento di steccati politici in nome di una dignità dell’esistenza umiliata dal modello così bene incarnata dal Raìs di Arcore.
E’ la dignità violata non solo sul corpo delle donne da Berlusconi ma è la dignità violata delle esistenze precarie a essersi rimessa per l’ennesima volta in cammino domenica. Prostituisciti o trovati un fidanzato ricco, dice Silvio a donne e uomini. Mettiti sul mercato perché alternativa non c’è, fa eco l’opposizione.
Anche in passato milioni di donne e uomini hanno detto no. La differenza, nel tempo, non sta tanto in un logoramento progressivo del regime che forse può essere ancora salvato da un tocco di cerone televisivo. La differenza è che la crisi verticale del modello rende una chimera anche l’adesione edulcorata al sistema rappresentata dall’opposizione.
Le scuole, le università, gli ospedali, la cultura, gli indici di natalità, la sicurezza sul lavoro e del lavoro, la dignità dei rapporti umani, l’abbattimento di un modello culturale esclusivamente basato sul successo economico, hanno bisogno di una mobilitazione costante ed immediata.
Come per i nostri fratelli della sponda sud del Mediterraneo, che hanno dimostrato di saper abbattere regimi forse più corrotti e repressivi del nostro (ma meno pervasivi culturalmente), è giunto il tempo di una mobilitazione permanente, indipendente dall’inazione della politica ufficiale, nelle piazze e nella vita, fino alla caduta del tiranno e poi per l’arduo compito di ricostruire il paese. L’opposizione parlamentare dovrà essere all’altezza o sarà travolta insieme al regime. “Se non ora, quando”?

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Gennaro Carotenuto per Giornalismo partecipativo
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