La domenica della nonviolenza. 2



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 2 del 2 gennaio 2005

In questo numero:
1. Lidia Menapace: Con la memoria intera e l'azione nonviolenta che non
uccide ne' forza ma cambia tutto
2. Giancarla Codrignani: Donne aguzzine
3. Ida Dominijanni: Abu Ghraib
4. Ida Dominijanni: Dopo Lynndie piu' niente e' come prima
5. Ida Dominijanni: Lynndie e noi
6. Ida Dominijanni: Una prova di realta'
7. Bia Sarasini: Se il generale e' una cattiva ragazza
8. Monica Lanfranco: Cio' che e' reale
9. Germaine Greer: Quel che accade
10. Riletture: Francoise Sironi, Persecutori e vittime
11. Una minima bibliografia introduttiva
12. Diotima: Alcuni siti
13. Nonviolenza, femminile singolare

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: CON LA MEMORIA INTERA E L'AZIONE NONVIOLENTA
CHE NON UCCIDE NE' FORZA MA CAMBIA TUTTO
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]

Quando mi arrivo' l'invito per Venezia [all'incontro "Tra noi e Lynndie..."
promosso dalla rete delle donne per la pace] mi spiacque di non poter essere
presente per altri impegni precedenti, ma inviai una brevissima nota e sono
lieta di poter riprendere un ragionamento che mi sta a cuore, anzi un po' mi
angustia, talora mi irrita.
*
Di irritarmi mi capito' in modo forte la prima volta, quando - dopo le Torri
gemelle - qualcuno (anzi molti) dissero: "Il mondo non sara' piu' quello di
prima, una cosa cosi' non e' mai successa".
Come no? era successa migliaia di volte: ad  esempio gli Alleati
bombardarono Treviso per distruggere un ponte (che resto' in piedi) e fecero
piu' di duemila morti in una notte; non occorre ricordare Dresda ecc.
Scordare il passato per stupirsi del presente puo' essere un meccanismo di
difesa individuale, ma nella storia dei popoli e' infausto: dopo mezzo
secolo una guerra e' dimenticata e si puo' cominciare a prepararne un'altra.
Le Torri gemelle che sono state un evento certo drammatico, tragico e
pericolosissimo non sono paragonabili alle rovine che durante la seconda
guerra mondiale ci siamo inflitti tra noi popoli civili occidentali
cristiani ricchi di storia, di diritti ecc .ecc.
Non voglio affatto sostenere che niente muta e il mondo e' sempre uguale.
Voglio solo dire che avere cura delle memorie e' importante, un popolo senza
memoria puo' essere portato ovunque anche alla guerra.
*
Tutto il male e' gia' successo in Europa: venti milioni di morti nella
"inutile strage" della prima guerra mondiale, ancora di piu' nella seconda,
che del resto ha visto la prestigiosa nazione germanica, sede di musica,
arte, filosofia ecc. ecc. coprirsi di campi di sterminio, nei quali donne
Kapo' esercitarono la tortura e persino alcune delle vittime lo fecero su
compagne di sventura, per avere salva la vita (se questa e' vita).
Il libro di una dolcissima donna come fu Lidia Rolfi Beccaria, che racconto'
di Ravensbruck, lo dice: e' difficile anche essere vittima e non perdere
qualita' umana.
I piu' famosi scienziati europei (Einstein e altri) si trovarono tra quelli
che progettarono l'atomica.
Campi di sterminio giuridicamente regolati, e atomica sganciata e prima
costruita per ordine di legittime autorita' democratiche, furono eventi che
mutarono la storia perche' con i campi di sterminio per la prima volta nella
civilta' giuridica europea si sanci' per legge la colpa di essere cio' che
si e', cioe' fu definito giuridicamente il razzismo non come abuso e
pregiudizio, ma come codice giuridico: hai colpa di essere ebreo,
omosessuale, rom, comunista ecc. E la bomba atomica che colpi' nella
popolazione civile un nemico gia' vinto con un numero di vittime
impressionante e conseguenze genetiche incalcolabili nel tempo dimensioni e
gravita' mette in forse i fondamenti del diritto: da allora nessuna  guerra
puo' avere nessuna scusa perche' non consente piu' risarcimento del danno.
E la nobile nazione francese, del resto, patria della civilta' giuridica
moderna, faro politico ecc. ecc., uso' la tortura nella guerra in Algeria.
E per dirla tutta a me fa piu' orrore Condoleeza Rice, donna, nera, stata
povera che affianca Bush e non ha detto nemmeno una parola per le vittime
del maremoto, ne' contro la sua connazionale torturatrice.
*
Ma del resto si puo' pensare che noi donne siamo fuori?
Nel femminismo italiano la discussione non e' stata molto frequente,
tuttavia anche noi abbiamo  dovuto misurarci sul fatto che nelle Br vi erano
donne ed eseguirono e progettarono azioni terroristiche. Tra le palestinesi
vi sono state delle kamikaze. A mio parere non e' bello non aver dichiarato
subito che la prima Intifada che era una forma di difesa popolare
nonviolenta e fu praticata da molte donne e ragazze era giusta, ma la
seconda che Arafat dichiaro' facendosi fotografare con un mitra in mano era
invece sbagliata e avrebbe ridotto le donne o a "madri dei martiri" o a
complici del terrore: sarebbe stato giusto, ma in pochissime lo dicemmo e
non apprezzate per questo.
Tuttavia negli anni del primo femminismo l'idea che le donne siamo pacifiche
e buone per "natura" o per "maternita'" fu rifiutata, e del resto non e'
vera. Le vicende cui ho accennato lo dicono, ma piu' ancora i miti greci che
sembrano avere sondato le piu' oscure pieghe dell'umano ci hanno trasmesso
la madre vendicativa Medea, la leggenda degli Atridi e Clitennestra, e
insomma tutto.
*
Si puo' vivere, si deve vivere con la memoria intera, non pare utile
dimenticare: voglio che si ricordi che le madri possono essere tremende, che
le donne possono commettere assassini e che nella storia umana e' necessario
che chi ci arriva per primo dica ad altri e altre cio' che ha maturato.
A questo punto dico con molto orgoglio che per essere state tenute fuori
dalla citta', espulse dal potere, oppresse socialmente e culturalmente,
abbiamo anche maturato altre abilita', altri giudizi.
Ma se di cio' non si fa continuamente giudizio storico e memoria ogni evento
ci stordira' e riempira' di dubbi.
A me importa di piu' studiare Rosa che dalla guerra aborriva e chiedeva
relazioni forti e appassionate che non attardarmi sulla sciagurata di Abu
Ghraib, che e' - come sappiamo - l'esempio estremo dell'emancipazione
imitativa. Questa discussione l'abbiamo gia' fatta al tempo degli anni di
piombo.
Mi interessa di piu' esaminare la pazienza senza nome, passiva, delle donne
oppresse che ha retto il mondo senza cambiarlo e a prezzo del disprezzo di
se', perche' voglio che si trasformi in azione nonviolenta che non uccide
ne' forza ma cambia tutto: il mondo, le relazioni, le coscienze.
La risposta tradizionale e' la  pazienza, quella moderna e' l'emancipazione
imitativa che del resto fa paura ed e' sotto tiro della vendetta patriarcale
in grande rimonta, ancora non e' sufficiente la presa di coscienza della
possibile trasformazione della pazienza in azione nonviolenta, che del resto
ci collegherebbe alla storia del primo femminismo suffragista, che appunto
le forme dell'azione nonviolenta invento'.
*
Una donna puo' essere qualsiasi cosa e solo la coltivazione della coscienza
e della soggettivita', la costruzione e trasmissione di una cultura crtitca
comune, puo' essere un argine, una difesa, una speranza.
Di questa si puo' vivere, si deve vivere.

2. EDITORIALE. GIANCARLA CODRIGNANI: DONNE AGUZZINE
[Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per
questo intervento. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli
obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista,
impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e'
tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace
e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai
telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le
altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994]

Ci mancava anche la caporala italiana che picchia e umilia il soldatino: i
media sono tornati alla carica con la stessa ipocrita meraviglia di quando
fece il giro del mondo la foto della soldata americana, tra l'altro incinta,
che infieriva sul prigioniero iracheno nudo e alla merce' del vincitore nel
famigerato carcere di Abu Ghraib. "Oh cielo, chi lo avrebbe mai pensato,
anche le donne possono essere aguzzine: che cosa ne dite voi femministe?".
A mio avviso i discorsi non possono essere semplificati: dai tempi delle
tragedie greche fino a Freud e' apparso chiaro che le donne non sono prive
di aggressivita' e possono trascendere a violenze efferate, forse non uguali
a quelle degli uomini se e' vero che e' il potere che produce il maggior
numero dei delitti e che il piu' diffuso dei delitti femminili e'
l'infanticidio. Sembra, invece, che non siano state le donne a inventare la
guerra e che siano state escluse dagli eserciti perche' solo la virilita' e'
degna dell'onore e delle gerarchie militari. Cio' non toglie che le donne
siano state partecipi delle lotte popolari, delle resistenze, delle
rivoluzioni e abbiano combattuto e ucciso nei conflitti di parte: a
differenza degli uomini non hanno mai amato la violenza e non si sono
costituite in reparti militari permanenti e disciplinati.
*
Tranne chi pensa che la differenza uomo/donna sia fondata biologicamente o
addirittura ontologicamente, non dovrebbe essere possibile continuare con la
storia che "le donne sono piu' buone" e avvalersi dell'angelismo femminile
per ricreare i presupposti della segregazione.
Non siamo piu' buone, siamo "diverse". Le forme della differenza le abbiamo
studiate a sufficienza, ma e' mancata l'analisi della "differenza maschile":
finche' anche i maschi non si analizzano e non giudicano il loro percorso
storico, il patriarcato (o - non e' migliore - il fratriarcato) tenta sempre
l'omologazione, lasciando alle donne la possibilita' di adeguarsi al modello
unico che ha creato per se'.
Ci si puo' cascare: ci sono donne oggi che diventano competitive e producono
il mobbing (che altre subiscono) o che aspirano al potere "come un uomo",
come Margareth Thatcher o Condoleeza Rice, cioe' senza ripensare alle
ragioni del potere e ai diritti femminili.
*
E in tutti i paesi ci sono donne che desiderano diventare "soldate": il
massimo dell'omologazione, anche se di parita' dentro l'esercito non si puo'
parlare, visto che di generale se ne vedono poche e la direzione strategica
resta sempre in mani maschili.
Se sono contenta che non ci sia piu' la leva obbligatoria, e' perche'
l'ambito "militare" diseduca: si impara che "per la patria" e la sua
sicurezza si deve sempre ubbidire a qualunque ordine superiore e agire in
conformita' fino a violare i diritti umani e a commettere crimini contro
l'umanita'.
Che le donne siano state incorporate agli eserciti senza verifica delle
compatibilita' teoriche e pratiche dei ruoli militari rispetto ai bisogni
dell'umanita' e' stato - in tutti i paesi - un errore imputabile
all'indisponibilita' maschile a prendere in considerazione l'uguaglianza
unita alla diversita', mentre si negozia qualche "posto" pur di non cambiare
modello...
*
Parentesi: anche i nonviolenti non dovrebbero avere nessun beneficio dal
raddoppiarsi delle potenzialita' violente: eppure non c'e' ancora attenzione
sufficiente ad analisi "di genere" dei modelli sociologici.

3. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI. ABU GHRAIB
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo questo articolo apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 7
maggio 2004. Ida Dominijanni (per contatti: idomini at ilmanifesto.it),
giornalista e saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista]

Abituato dall'inflazione del visuale a posarsi sulle immagini veloce e
distratto, lo sguardo certe volte non basta: quando bisogna andare sui
dettagli e' sempre meglio la parola scritta. E nel caso delle sevizie
"occidentali" sugli iracheni a Abu Ghraib, e' sui dettagli che bisogna
andare, per evitare che quel nome sommario, "tortura", ci esima dal fare
dettagliatamente i conti con quello che comporta per la nostra democratica
civilta' il ritorno di questa pratica nel lessico quotidiano (gia'
sinistramente anticipato, e con troppo scarso allarme, dai non tanto
accademici dibattiti successivi all'11 settembre sulla possibilita' di
riattivarla contro il terrorismo).
Dunque andiamo sui dettagli, e invece che distogliere lo sguardo da quelle
insopportabili immagini fermiamolo sulle minute descrizioni del rapporto
Taguba e delle testimonianze dei detenuti. Pestaggi con sedie e bastoni.
Sodomizzazioni maschili con manici di scopa e lampade al fosforo; stupri
femminili con foto. Masturbazioni obbligate. Sesso orale per forza. Uomini
travestiti con lingerie femminile, very drag. Ammucchiate. Morsi di cani.
Elettroshock ai genitali. Trattamento al ghiaccio dei corpi nudi. Nel
dettaglio, il catalogo e' questo. Con esecutori e esecutrici, un'orgia di
sadismo bisex.
Sconvolta da tanto orrore autoprodotto, l'opinione pubblica occidentale
stupisce che a perpetrarlo ci fossero anche donne: soldatesse che incitano,
ridono, fotografano, godono, coperte da una generalessa che sostiene di non
aver saputo e punta il dito contro responsabilita' piu' alte ma chissa'.
Funziona sempre cosi', in base a un collaudato dispositivo dell'immaginario
e del senso comune: se il mondo (perlopiu' edificato da uomini) diventa
tanto orrendo, che almeno le donne si salvino e lascino aperto uno spiraglio
di salvezza per l'umanita'. Non fu cosi' anche con la prima kamikaze
palestinese? Stupore, scandalo, punti esclamativi.
*
Andrebbero tolti, quei punti esclamativi, e non certo per assolvere le
secondine di Abu Ghraib, ne' solo perche' di analoghi precedenti la storia
e' sinistramente lastricata dalle kapo' naziste in giu'. Ma perche' piu'
urgenti sarebbero alcuni punti interrogativi da rivolgere a quanti, in
occidente, hanno fatto della "guerra al terrorismo", in Afghanistan prima in
Iraq poi, una guerra ideologica e politica sulle relazioni planetarie fra i
sessi. Con la liberta' e la democrazia, si doveva esportare in quei paesi
anche l'emancipazione femminile. Liberare le donne arabe e islamiche dal
velo, dall'oppressione, dal dominio di sistemi tardopatriarcali e
tardomaschilisti. Ricoprirle di pari diritti, come noi qui a ovest.
Missione compiuta: abbiamo esportato emancipazione femminile. Soldatesse che
torturano come i soldati e meglio, e guardano e fotografano e ne godono
altrettanto. Sono i danni collaterali dell'uguaglianza, del pari diritto a
arruolarsi e a fare carriera nell'esercito, del body building che gonfia i
muscoli femminili quanto quelli maschili. Di che ci meravigliamo allora? E
perche' piuttosto non spegniamo radio e tv, quando sentiamo aleggiare
l'ipotesi che quelle immagini di Abu Ghraib rappresentino la rivalsa del
femminismo occidentale sul maschilismo islamico - come se questo fosse il
femminismo, una ritorsione sadica e umiliante del gentil sesso sul sesso
forte, neanche avessimo preso lezioni di sfida fallica alla scuola di Bush e
dei neocons?
*
La differenza fra i sessi non e' un dato: e' un progetto, che rema contro la
tendenza globale, spinta da ovest, a omologare, parificare, assimilare le
donne al peggio della storia maschile, dei suoi miti e dei suoi riti. Per
una che tortura, ce ne sono milioni che lavorano ogni giorno e dappertutto,
a ovest e a est, per aprire il presente a un salto di civilta'. Fanno meno
notizia, ma hanno un'altra economia del godimento e non ridono dei corpi
martoriati. In fondo e' sempre anche su questo, sul tipo di trattino che
mettiamo fra il corpo e il piacere, che le guerre si combattono, si perdono
o si vincono.

4. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: DOPO LYNNDIE PIU' NIENTE E' COME PRIMA
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 maggio 2004]

"Prima i nostri nemici hanno creato l'attentatore suicida. Ora noi abbiamo
il nostro attentatore suicida digitale: la macchina fotografica". Cosi'
Robert Fisk sull'"Independent" di venerdi', ripreso dal "Manifesto" e
tradotto dall'"Unita'" di sabato.
Il paragone fra l'icona totale degli aerei che si schiantano sulle torri
gemelle e le foto delle torture a Abu Ghraib, in particolare quella della
giovane Lynndie England con il prigioniero iracheno al guinzaglio, e'
un'ottima intuizione e merita di essere sviluppata per piu' di un verso.
Non c'e' solo l'analogia nel peso dell'impatto simbolico. Ne' solo la
sinistra analogia che lo stesso Fisk giustamente evoca, fra quello che venne
definito "lo stupro" di Manhattan a opera dei maschi kamikaze di Al Quaeda e
lo stupro della sessualita' maschile islamica a opera delle torturatrici
americane.
C'e' il fatto che allora come adesso, l'assolutamente Altro, il Nemico
Diverso, si manifesta in realta' come assolutamente simile: tanto i kamikaze
di Al Queda maneggiavano l'arte dell'immagine spettacolare made in Usa,
quanto i torturatori americani si muovono perfettamente a loro agio nel
carcere delle sevizie che fu di Saddam Hussein. E c'e', allora come oggi,
l'effetto straniante dell'immaginario che diventa realta', anzi iperrealta':
l'immaginario hollywoodiano della catastrofe annunciata nel caso dell'11
settembre, l'immaginario sessuale della vendetta sadica femminile sul
maschio vinto e degradato nel caso di Abu Ghraib.
E nell'un caso e nell'altro, l'immaginario dimostra di non avere confini: e'
il primo ingrediente del mondo a essersi globalizzato, trasmesso,
contaminato. Aiutato da una tecnica anch'essa senza confini: la diretta tv
nel caso delle torri, la sequenza ossessiva (e voyeur) delle foto nel caso
di Abu Ghraib trasmettono e moltiplicano la catastrofe dell'ordine
simbolico. La quale raddoppia, anche e in primo luogo dal punto di vista
della posizione dei due sessi nell'ordine simbolico medesimo.
L'11 settembre si parlo', acutamente, di catastrofe del fallocentrismo, ben
rappresentata dal clash dell'aereo-uccello suicida contro la potenza
verticale e binaria delle torri. Ma adesso, siamo alla catastrofe simbolica
del primato e dell'alterita' femminile sulla specie e sulla relazione con
l'altro, implacabilmente rappresentata dalla foto "donna con uomo
strisciante al guinzaglio".
*
Confesso di avere sottovalutato questa catastrofe, ancora pochi giorni fa,
scrivendo che bisognava abbassare i punti esclamativi per la presenza di
donne fra i torturatori e prendere atto dei danni portati alla differenza
fra i sessi, e dunque all'umanita', dall'imperativo occidentale
all'omologazione delle donne all'ordine fallocentrico in forma di
emancipazione e diritti di accesso paritario a tutto, guerra e carriera
militare comprese. Non avevo ancora visto la foto di Lynndie con il
prigioniero iracheno al guinzaglio. La quale foto cambia il senso
dell'accaduto. Le responsabilita' dell'ideologia omologante
dell'emancipazione forzata restano; come pure restano le responsabilita' del
discorso che ha legittimato la guerra all'Iraq come guerra al patriarcato
islamico, con cio' certamente autorizzando l'umiliazione inferta dalla
giovane Lynndie al suo trofeo. E pero' in quella foto c'e' qualcosa di piu'.
Un di piu' femminile - lo sguardo, il sorriso, l'abbigliamento - che non si
lascia ricondurre e ridurre a un comportamento omologato o imitativo dei
muscoli e della sopraffazione virile.
Un caso isolato, o due o tre, di sadismo femminile? Puo' darsi, ma noi non
possiamo farci complici del discorso del potere sulle mele marce, riducendo
quella foto a un caso di sporadico sadismo. E non possiamo neppure
contemplare con costernazione, come si limitano a fare alcuni filosofi,
l'eterno ritorno su questa terra della banalita' del male. C'e' un male
determinato che ci chiama in causa qui e ora: noi donne dico, anzi noi
femministe che in un tempo determinato, secondo '900 e dintorni, abbiamo
fatto della sessualita', della sessuazione e della relazione fra i sessi un
campo di osservazione e di sapere privilegiato.
Quell'immagine dice di un immaginario sessuale degradato e reificante,
ancorche' corredato di postmoderna trasgressione trans e drag, che nasce -
quasi fosse l'altra faccia del moralismo bacchettone - nelle viscere dello
stesso paese che pochi anni fa si scandalizzava per il sexgate di Bill
Clinton. Un immaginario che corre nelle vene di societa' peraltro
smaterializzate, dove piu' il sesso si esibisce meno il desiderio si
esprime, e dove anche il discorso femminista sorvola ormai volentieri sulla
sessualita', la sua opacita', le sue contraddizioni. E dice ancora,
quell'immagine, di un immaginario post-femminista sul femminismo, che
trasfigura quello che e' stato e resta un movimento di liberta' dalla
fissita' dei ruoli sessuali in una competizione per il potere e per la
sopraffazione, in un gioco di rivalsa dell'ex sesso debole sull'ex sesso
forte, in una sfida fallica all'ultimo respiro che intrappola le donne
quanto e piu' degli uomini. Bisogna indugiare su quella foto, e fare spazio
al lavoro del lutto. Come dopo l'11 settembre, dopo Lynndie England piu'
niente e' come prima.

5. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: LYNNDIE E NOI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 maggio 2004]

Leggo che Lynndie England si e' divertita, lo giura e lo rivendica. Si e'
divertita a fare - "nulla di grave, cose di routine" - e si e' divertita a
fotografare, in allegra combutta con Sabrina Barman, altra simpatica
figurina femminile del carnaio di Abu Ghraib. Divertita, ecco. Invece che
stare a fare la contabilita' dell'orrore a cavallo fra la foto della dolce
Lynndie col prigioniero iracheno al guinzaglio e quella dello sgozzamento
islamico del cittadino americano Nicholas Berg, potremmo applicarci
utilmente ad analizzare questo aggettivo, "divertente", applicato alla
tortura. Perversione di una mela marcia? O effetto estremo dell'insensatezza
in cui l'edonismo occidentale puo' precipitare, quando cade ogni tabu' e
ogni confine fra il lecito e l'illecito?
Per una non tanto strana coincidenza, la dichiarazione giurata di England ci
arriva dalla stampa americana in contemporanea con la ricostruzione
dettagliata delle tappe che hanno portato i falchi dell'amministrazione
americana, dopo l'11 settembre, a ritenere "obsolete" le regole della
convenzione di Ginevra, divieto di tortura compreso, nel trattamento dei
prigionieri prima a Guantanamo poi in Iraq, e a incoraggiarne l'umiliazione
fisica e sessuale. Il tutto in nome della illegalita' del terrorismo, che
giustificherebbe metodi altrettanto illegali per combatterlo. Vi pare troppo
grande il salto fra questo teorema di stato e l'idea che Lynndie England
s'e' fatta del lecito e dell'illecito, della routine e del divertimento a
Abu Ghraib?
*
Leggo che invece la contabilita' dell'orrore fra le due immagini di cui
sopra va fortissimo sulla stampa nostrana (a differenza che su quella
americana). L'ultima trovata, firmata Galli Della Loggia sul "Corsera" di
ieri, e' che d'accordo, le responsabilita' dello sgozzamento non elidono
quelle delle torture e viceversa, ma la scala dei due fatti resta
distantissima: la tortura, che ha una sua perversa ratio ("per quanto sia
orribile ammetterlo, funziona"), sta suscitando la rivolta dell'opinione
pubblica occidentale, mentre lo sgozzamento, che non ha ratio alcuna ed e'
un puro messaggio dimostrativo di odio, non riesce a far muovere paglia
nell'opinione pubblica islamica. Ancora una volta, la democrazia si salva
l'anima? Magari. L'ottimismo dei fautori nostrani dello scontro di civilta',
ben piu' zelanti di Samuel Huntington che non da oggi ha realizzato che in
Iraq era meglio non andarci, e' davvero invidiabile.
Senonche' ci sono soglie in cui non sono in gioco i sistemi politici, ma i
livelli antropologici. Gli orrori che arrivano dall'Iraq non si elidono: si
sommano, e sommandosi alludono a qualcosa che assomiglia ogni giorno di piu'
non a un derby fra l'occidente e l'islam ma a una regressione antropologica.
Dalla quale non e' chiaro come usciremo, se ne usciremo: "noi" e "loro".
*
Quanto c'entra l'homo videns, ovvero l'abitatore della civilta' del visuale
che e' palesemente globale e bypassa i confini fra occidente e islam, in
questa regressione? Tanto che forse ne e' la chiave. Gode Lynndie a
fotografare e farsi fotografare. Godono i carnefici incappucciati di
Nicholas Berg a farcelo vedere sgozzato in differita. Godono come quelli che
vanno a sposarsi in tv, perche' l'essere e' l'apparire, senza visibilita'
non si esiste e al confine col virtuale la vita diventa piu' vera.
E noi, gli spettatori? E' vero, c'e' chi vede e si sveglia. Ma c'e' anche
chi vede e distoglie lo sguardo e continua a fare quello che faceva prima,
come se accendendo e spegnendo un video anche la realta' si potesse
accendere e spegnere. Si chiama virtualizzazione del reale e produce robot
schizoidi. Il divertimento e' salvo. La paranoia non abita solo a Abu Ghraib
o nei covi dei terroristi islamici.

6. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: UNA PROVA DI REALTA'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 luglio 2004]

Non c'e' piu' estraneita' femminile rispetto alla guerra: se avesse un senso
filtrare qualche sedimento positivo dal panorama devastato del dopo 11
settembre, questo sarebbe uno.
Ancora all'inizio degli anni '90, durante la guerra del Golfo, e poi di
nuovo durante la guerra in Kosovo, la rivendicazione dell'innocenza delle
donne - storica o "naturale" che fosse - rispetto al mestiere maschile delle
armi finiva con l'assumere, nel dibattito femminista, una funzione di
schermo: esentava dalla presa di parola, dalla responsabilita', dall'azione
politica. Gia' allora in verita' lo schema non teneva: c'era Melissa nel
deserto iracheno, la marine spaccata in due, mezza soldatessa emancipata
mezza femmina stuprata, a dire di un coinvolgimento volente o nolente della
donna, e del gioco della differenza sessuale, sul campo.
Ma poi sono arrivate le altre: Condoleeza Rice a dirigere le operazioni, e
Lyndie England a eseguire sevizie e torture divertendosi allegramente.
Tirarsi da parte non si puo' piu': sono donne. Forse degli imprevisti, ma
non certo dei meri incidenti, sulla strada della liberta' femminile. E
l'imprevisto, insegna Hannah Arendt, e' cio' che apre la storia e il
pensiero.
Qualcosa va ripensato, nella piena del mutamento del presente. Come scrive
Lia Cigarini sull'ultimo numero di "Via Dogana", collocato fra 11 settembre
2001 e 11 marzo 2004: "Ora veramente la cosa della guerra ci tira per i
capelli fuori dalle collocazioni che ci siamo date. Impossibile rifugiarsi
nell'estraneita'".
E come scrive Anna Maria Crispino sull'ultimo numero di "Leggendaria",
dedicato alla sinistra vicenda della tortura nel carcere di Abu Ghraib: "Il
fatto che a quelle torture abbiano attivamente partecipato delle giovani
donne e il modo in cui ne siamo venute a conoscenza suppongono una prova di
realta' cui non possiamo sfuggire". Crispino prova a riordinare le questioni
sulla base di una domanda circolata anche in alcuni incontri dei mesi scorsi
alla Casa internazionale delle donne di Roma, nonche' su queste stesse
pagine: Lyndie England "e' un esito perverso dell'emancipazione, o anche un
portato della liberta' femminile che non contiene, non necessariamente ne'
in modo lineare, un ordine di civilta' altra?".
*
Le risposte di "Leggendaria" sono svariate, ma tutte accurate e da meditare.
Bia Sarasini parla della "banalita' del male in forma di donna" che emerge
nello shifting dall'immaginario della forza femminile stile Kill Bill alla
realta' della soldatessa sadica ventunenne del West Virginia. Kenneth Kusmer
individua nella saga di Abu Ghraib alcuni elementi sintomatici degli Usa di
oggi e dell'Occidente di sempre, come la perversione sessuale innestata
sulla violenza razziale, antico marchio del colonialismo, e una certa
eroticizzazione in chiave sadomaso della cultura americana, recente marchio
dell'America sessuofobica degli anni '90, sul quale torna in altra chiave
Roberta Tatafiore. Mariella Gramaglia lavora sul tratto androgino che
accomuna i e le ventenni di oggi da New York a Roma a Teheran, dal
comportamento fallico di Lyndie England alle giovani teste rasate, maschili
e femminili, delle nostre periferie, tratto tuttavia fratturato al suo
interno da linee di classe sempre piu' implacabili. Anna D'Elia conta i
danni dell'effetto Abu Ghraib: demonizzazione della parita' fra uomini e
donne che porta a pari orrori di uomini e donne, demonizzazione della
scommessa sulla differenza che ne esce smentita, affossamento del
multiculturalismo, strada spianata alla prossima guerra preventiva contro il
femminismo dopo quella contro il terrorismo. Letizia Paolozzi interroga
l'afasia maschile di fronte a quelle foto, Gabriella Bonacchi e Alberto
Leiss le confrontano con altre sintomatiche immagini pescate nella miniera
cinematografica dell'inconscio collettivo.
*
La strategia, o le strategie femministe non ne escono intatte. Ma neanche
azzerate. Acutamente Marco Bascetta vede nel gesto di obbedienza al corpo
militare della torturatrice l'esatto contrario del gesto di diserzione dal
corpo militante operato dal femminismo negli anni '70. E Lia Cigarini -
torno a "Via Dogana" - individua in Lyndie England non una deriva imprevista
della liberta' femminile, bensi' la traccia di un'antica contraddizione, fra
il progetto della liberta' femminile e la permanenza del tratto fallico
della sessualita' di donne non libere, che si mettono al servizio del
simbolico maschile.
Resta che Lyndie England e Condoleeza Rice non bastano ad azzerare alcuni
guadagni della pratica politica delle donne, come argomentano su "Via
Dogana" con toni segnati dal dolore del presente, Marina Terragni, Ana
Maneru Mendez, Luisa Cavaliere.
Tornare alla pratica dell'inconscio, dice Terragni, ci aiuterebbe a capire
che cosa corre in noi sotto questi cieli di guerra. Inconsciamente appunto,
Mariella Gramaglia ci prova su "Leggendaria". Racconta di come le capito' di
vedere per la prima volta, a 10 anni, un nudo di uomo, in una mostra sui
campi di sterminio nazisti, "un corto circuito emotivo indimenticabile per
l'intera vita", monito a non dimenticare che, "se si spezza il legame fra
esporsi ed essere accolti, qualcosa di atroce puo' essere in agguato": il
salto del confine fra l'umano e l'inumano, direbbe Judith Butler.

7. RIFLESSIONE. BIA SARASINI: SE IL GENERALE E' UNA CATTIVA RAGAZZA
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.librriadelledonne.it)
riprendiamo questo intervento apparso originariamente sul sito "DeA. Donne e
altri" (www.donnealtri.it). Bia Sarasini, prestigiosa giornalista, ha
diretto "Noi donne" ed e' cofondatrice del sito "DeA"]

Sorridente e carina la ragazza fa capolino sulla sinistra della foto, guarda
l'obiettivo e alza i pollici, in segno di vittoria. Come una qualunque
coetanea in giro per il mondo. Vestita casual ma alla moda, cioe' maglietta
e pantaloni nei colori militari/mimetici cosi' diffusi in questo tempo di
guerra. Solo che lei e' proprio un soldato, lo si capisce perche' al centro
della foto-ricordo non c'e' un monumento, ma il corpo nudo e scuro di un
uomo incappucciato, che alza la mani sulla testa. Un prigioniero iracheno,
uno di quelli torturati nella prigione di Abu Ghraib.
Questa ragazza graziosa e dall'aspetto da "ragazza della porta accanto"
vuole ricordare come ha "vinto" (umiliato, ridotto a cosa) questo nemico. A
capo della prigione era, come si sa, una donna, la generale di brigata Janis
Karpinsky. Sospesa dall'incarico, ha dichiarato di essere rimasta sconvolta,
quando ha visto le foto, e di ignorare tutto di quanto avveniva nella
prigione: "Ho pensato che quelle erano persone cattive".
Sul "Manifesto" di oggi Ida Dominijanni scrive: "Il caso Karpinsky vanifica
qualunque visione essenzialista della differenza fra i sessi, esattamente
come vanifica qualsiasi fede feticista nella democrazia". Sottoscrivo. Ma
intuisco qualcosa di peggio: mi ci spinge quella ragazza cosi' incosciente,
nel suo sorriso. Che nella mia testa non so proprio tenere insieme con il
corpo umiliato del prigioniero, e mi provoca una deflagrazione, un vuoto di
senso. Ancora piu' delle kamikaze, di cui almeno riesco a percepire la
determinazione della vittima alla vendetta. E' un punto di non ritorno.
Fare la guerra, il perseguire fino alle estreme conseguenze gli obiettivi di
emancipazione e parita', per cui partecipare alle azioni in prima persona
diventa una meta da raggiungere, e' un'esperienza pericolosa. Non si tratta
solo di donne "cattive". Mi chiedo cosa succede quando donne scelgono sempre
piu' numerose di sperimentare il lato maschile dell'identita', di assumere
la forza in prima persona. E' un mutamento devastante. Per l'assetto del
mondo, temo.
*
Post scriptum: Il "Washington Post" pubblica in prima pagina una nuova foto
delle torture ai prigionieri iracheni. Inguardabile. La giovane donna, la
stessa che abbiamo gia' visto in altre foto, tiene al guinzaglio un
prigioniero nudo, buttato per terra. Ora sappiamo tutto di lei. Si chiama
Lynndie England, ha 21 anni, viene dal West Virginia, e' divorziata.
Un'altra che, come la "buona" Jessica Lynch, era partita per l'Irak con
l'obiettivo di pagarsi il college. E' agli arresti come il suo boy-friend
Charles Garner, con cui compare abbracciata in una delle foto davanti ai
prigionieri-trofeo. Sappiamo che ha una madre, che la difende. E un padre
che ha avuto lo shock di riconoscerla nelle foto. Sono molti i commenti alle
immagini e alle torture. E dure le conseguenze politiche. Nell'editoriale di
oggi il "New York Times" chiede le dimissioni del segretario alla difesa
Rumsfield; e' a rischio la popolarita' del presidente Bush. Ma se tutti,
nelle cronache e nei commenti, registrano la presenza di questa ragazza
minuta e sorridente, solo Donna Britt, sul "Washington Post", affronta il
tema della donna torturatrice e crudele. L'analisi e' dura, parla della fine
dell'equivoco, sulla pretesa azione civilizzatrice delle donne
nell'esercito, dei tanti uomini pacifisti, e conclude: "Forse la festa della
mamma non rimarra' a lungo una prerogativa delle donne".

8. RIFLESSIONE. MONICA LANFRANCO: CIO' CHE E' REALE
[Ringraziamo Monica Lanfranco (per contatti: e-mail: mochena at tn.village.it,
siti: www.marea.it, www.marea.it/lanfranco) per averci messo a  disposizione
questo suo articolo apparso mesi fa sul settimanale "Carta". Monica
Lanfranco, giornalista professionista, nata a Genova il 19 marzo 1959, vive
a Genova; collabora con le testate delle donne "DWpress" e "Il paese delle
donne"; ha fondato il trimestrale "Marea"; dirige il semestrale di
formazione e cultura "IT - Interpretazioni tendenziose"; dal 1988 al 1994 ha
curato l'Agendaottomarzo, libro/agenda che veniva accluso in edicola con il
quotidiano "l'Unita'"; collabora con il quotidiano "Liberazione", i mensili
"Il Gambero Rosso" e "Cucina e Salute"; e'' socia fondatrice della societa'
di formazione Chance. Nel 1988 ha scritto per l'editore PromoA Donne di
sport; nel 1994 ha scritto per l'editore Solfanelli Parole per giovani
donne - 18 femministe parlano alle ragazze d'oggi, ristampato in due
edizioni. Per Solfanelli cura una collana di autrici di fantasy e
fantascienza. Ha curato dal 1990 al 1996 l'ufficio stampa per il network
europeo di donne "Women in decision making". Nel 1995 ha curato il libro
Valvarenna: nonne madri figlie: un matriarcato imperfetto nelle foto di fine
secolo (Microarts). Nel 1996 ha scritto con Silvia Neonato, Lotte da orbi:
1970 una rivolta (Erga): si tratta del primo testo di storia sociale e
politica scritto anche in braille e disponibile in floppy disk utilizzabile
anche dai non vedenti e rintracciabile anche in Internet. Nel 1996 ha
scritto Storie di nascita: il segreto della partoriente (La Clessidra). E'
stato pubblicato recentemente il suo libro, scritto insieme a Maria G. Di
Rienzo, Donne disarmanti, Intra Moenia, Napoli 2003. Cura e conduce corsi di
formazione per gruppi di donne strutturati (politici, sindacali, scolastici)
sulla storia del movimento delle donne e sulla comunicazione]

"Oggi le donne in Iran lottano per sradicare l'obbligo dell'hijab, per
costruirsi una vita indipendente e per partecipare a tutti i livelli
decisionali della societa'. Sono state capaci di imporre queste istanze ad
una societa' centrata sul maschio, che ancora crede che il posto migliore
per una donna sia la casa. Forse nessuno ci vede, ma noi esistiamo, e stiamo
segnando il mondo che ci circonda. Vi assicuro che, se vi guardate attorno
attentamente, vedrete le nostre tracce".
Con queste parole la giornalista ed avvocata iraniana Shadi Sadr, editrice
tra l'altro del sito www.womeniniran.org, ha concluso il  suo discorso
accettando il premio per il "coraggio nel giornalismo", intitolato
all'attivista e giornalista afroamericana Ida B. Wells, conferitole dal
magazine "Women's eNews" il 20 maggio a New York per il  lavoro di denuncia
e di sostegno alle lotte femministe contro il fondamentalismo in Iran.
Vorrei legare queste sue riflessioni con quelle di un'altra studiosa, la
nordamericana Barbara Ehrenreich, autrice di La donna globale, che nel sito
femminista "Awakened Women" interviene sulle torture perpetrate da
soldatesse nordamericane: "Un certo femminismo, quello che potremmo definire
ingenuo, e' morto in quelle prigioni. Un femminismo che dipingeva gli uomini
come eterni violenti e le donne come eterne vittime, e che metteva la
violenza sessuale come elemento basilare nella piramide dell'ingiustizia,
come se alla base della guerra ci fosse lo stupro. In quella visione c'era
una implicita affermazione secondo la quale le donne sarebbero state
superiori moralmente agli uomini".
*
Perche' lego i due ragionamenti? Perche' entrambi contengono un importante
accenno alla visibilita' o alla invisibilita' della realta'. Cio' che oggi
segna in modo pesante e determinante le nostre vite e' che cio' che vediamo
diventa reale, mentre cio' che non si vede semplicemente non e'. Questo
spiega il drammatico successo mediatico dei reality show, specie tra i
giovani, che vi vedono un approdo per emergere, per essere, spesso senza
talento, fatica, studio.
Enorme emozione hanno creato le immagini di quelle donne (una minoranza
nelle prigioni delle torture, ma di loro sappiamo molto di piu' di quello
che si e' detto dei loro colleghi); le foto hanno colpito il nostro
immaginario di donne e di uomini sensibili alla crescente perdita di
compassione e vicinanza che avanza non solo nei luoghi di guerra, ma anche
in quelli di apparente pace, e come altre icone feroci ed eclatanti  del
mondo globale (dall'11 settembre alle decapitazioni in diretta, al
trascinamento dei resti umani come trofei) esse rischiano di oscurare il
resto della realta'.
Ci sono 25 guerre nel pianeta, ma sappiamo dove? Lo stillicidio di neonate e
neonati abbandonati per strada non scatena invettive contro la perdita di
senso materno nelle donne, forse perche' non vediamo il piccolo corpo
irrigidito? E, se lo vedessimo, cio' servirebbe a creare attenzione sociale
sulla solitudine delle donne nella riproduzione? Poco orrore e allarme
contro la cultura dei padri, e quindi degli uomini, di fronte alle foto
della burka in Afganistan, forse perche' e' piu' "naturale" vedere donne
sottomesse e negate piuttosto che donne feroci, tragica fotocopia di uomini
feroci e di un modello, quello del guerriero, che ha successo in tutte le
ideologie basate sulla potenza?
*
Non credo sia morto alcun femminismo, con Abu Graib, il femminismo che e'
scelta di prendere parola non come minoranza oppressa che si organizza su
questioni valide ma pur sempre minori, ma come maggioranza del genere umano
che afferma che ogni problema la riguarda.
Va ricordato che il movimento delle donne e' giovanissimo eppure sta dando
speranza, con la sua pratica nonviolenta, a nuove generazioni di donne e
uomini nel mondo. Un mondo nel quale sono le immagini di violenza che
vendono, e che ci allontanano dalla complessita' del reale, e non quelle del
lavoro paziente e duro che milioni di donne e uomini svolgono lontano dalle
telecamere. La brutalita' esiste, va documentata per non essere dimenticata
e mai minimizzata, senza diventare l'immagine assoluta.
Il lavoro di giustizia, pace, compassione, liberazione esiste, e'
maggioritario, va documentato per diventare storia, senso comune, forza
collettiva, bellezza del futuro.

9. MAESTRE. GERMAINE GREER: QUEL CHE ACCADE
[Da Germaine Greer, La donna intera, Mondadori, Milano 2000, 2001, p. 183
(ma cfr. tutto il capitolo "Soldati" da cui questo frammento e' estratto).
Germaine Greer e' una prestigiosa intellettuale femminista, nata a
Melbourne, in Australia, nel 1939; docente di letteratura inglese e
comparata all'Universita' di Warwick in Inghilterra. Opere di Germaine
Greer: L'eunuco femmina, Bompiani, Milano 1972; Viaggio intorno al padre,
Mondadori, Milano 1990; La seconda meta' della vita, Mondadori, Milano 1995;
La donna intera, Mondadori, Milano 2000]

Quel che accade alle donne nelle forze armate dovrebbe convincerci che
l'uguaglianza non e' un surrogato della liberazione. Gli eserciti sono
luoghi folli, dove la mascolinita' si contorce in una coscienziosa
disumanita', anche quando non sono impegnati in combattimento.

10. RILETTURE. FRANCOISE SIRONI: PERSECUTORI E VITTIME
Francoise Sironi, Persecutori e vittime. Strategie di violenza, Feltrinelli,
Milano 2001, pp. 212, euro 23,24. Un testo fondamentale sulla pratica della
tortura e le sue conseguenze sulle vittime; l'autrice insegna psicologia
clinica e psicopatologia all'Universita' Paris VII e dirige il Centro di
etnopsichiatria Georges Devereux a Parigi. E' cofondatrice del Centro Primo
Levi, specializzato nell'assistenza alle vittime di tortura e violenza
collettiva.

11. MATERIALI. UNA MINIMA BIBLIOGRAFIA INTRODUTTIVA
- Amnesty International, Medici contro la tortura (a cura di Andrea Tavani),
Guarire dalla tortura, Il pensiero scientifico editore, Roma 2002.
- Hannah Arendt, La banalita' del male, Feltrinelli, Milano 1964, 1992.
- Lidia Beccaria Rolfi, Anna Maria Bruzzone, Le donne di Ravensbrueck,
Einaudi, Torino 1978.
- Anna Bravo, Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi. Storie di donne.
1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995.
- Edith Bruck, Signora Auschwitz, Marsilio, Venezia 1999.
- Giancarla Codrignani, Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S.
Domenico di Fiesole (Fi) 1994.
- Nella Ginatempo, Un mondo di pace e' possibile, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 2004.
- Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996.
- Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001.
- Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo, Donne disarmanti, Intra Moenia,
Napoli 2003.
- Rosa Luxemburg, Lettere 1893-1919, Editori Riuniti, Roma 1979.
- Rosa Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976.
- Rosa Luxemburg, Scritti scelti, Einaudi, Torino 1975, 1976.
- Lidia Menapace, Chiara Ingrao (a cura di), Ne' indifesa ne' in divisa,
Sinistra indipendente, Roma 1988.
- Giuliana Morandini, ... E allora mi hanno rinchiusa, Bompiani, Milano
1977, 1985.
- Luisa Morgantini, Oltre la danza macabra, Nutrimenti, Roma 2004.
- Valentina Pisanty, L'irritante questione delle camere a gas, Bompiani,
Milano 1998.
- Franco Restaino, Adriana Cavarero (a cura di), Le filosofie femministe,
Paravia, Torino 1999.
- Rete italiana in supporto alle vittime di tortura, Monitoraggio.
Un'analisi esplorativa fra le vittime di tortura in Italia, Ics, Roma 2003.
- Rete italiana in supporto alle vittime di tortura, Pensare la violenza.
Atrocita' di massa, tortura e riabilitazione, Ics, Roma 2003.
- Rete italiana in supporto alle vittime di tortura, Percorsi delle vittime
di tortura in Italia. Fattori di rischio e di protezione, Ics, Roma 2003.
- Francoise Sironi, Persecutori e vittime, Feltrinelli, Milano 2001.
- Tzvetan Todorov, Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti, Milano
2001.
- Simone Weil, Sulla guerra. Scritti 1933-1943, Pratiche, Milano 1998.
- Annette Wieviorka, Auschwitz spiegato a mio figlio, Einaudi, Torino 1999.
- Christa Wolf, Cassandra, Edizioni e/o, Roma 1984.
- Virginia Woolf, Le tre ghinee, La Tartaruga, Milano 1975, Feltrinelli,
Milano 1979.

12. MATERIALI. DIOTIMA: ALCUNI SITI
[Dal sito della comunita filosofica femminile Diotima
(www.diotimafilosofe.it) riprendiamo le seguenti segnalazioni di siti]

- La citta' felice: http://spazioweb.inwind.it/cittafelice/
- Donne e conoscenza storica: http://www.url.it/donnestoria/
- Fondazione Elvira Badaracco: http://www.fondazionebadaracco.it/
- Associazione Lucrezia Marinelli: http://web.tiscali.it/LucreziaMarinelli/
- Oltreluna: http://www.url.it/oltreluna
- DeA - donne e altri: http://www.donnealtri.it/
- DUODA Centre de Recerca de Dones: http://www.ub.es/duoda/catprin.html
- Uomini in cammino: http://web.tiscali.it/uominincammino/
- Giudit - giuriste d'italia: http://members.xoom.virgilio.it/giudit/
- Letizia Landa: http://digilander.libero.it/letizial
- Ereditare il femminismo: http://www.ereditareilfemminismo.com/
- La Cooperativa delle donne di Firenze:
http://soalinux.comune.firenze.it/cooperativadonne/
- Matrimoney: http://members.xoom.it/matrimoney/index.html
- Tramanti: http://www.tramanti.it/
- Creatividad feminista: http://www.creatividadfeminista.org/
- Fempress: http://www.fempress.cl/
- Carla Lonzi: http://utenti.lycos.it/CharlesDulli/index.htm
- Nonluoghi: http://www.nonluoghi.it/weil.html
- The International Virginia Woolf Society: http://www.utoronto.ca/IVWS
- DWF: http://www.storiadelledonne.it/dwf/index.html
- Il paese delle donne: http://www.womenews.net/
- Movimento di autoriforma gentile della scuola:
http://autoriformagentile.too.it/
- Societa' italiana delle letterate:
http://www.societadelleletterate.it/Pub/
- Asociacion Madres de Plaza de Mayo: http://www.madres.org
- Libera universita' delle donne: http://www.linda.it
- L'Araba Felice: http://www.arabafelice.it
- Server donne: http://www.women.it/
- Libreria delle donne: http://www.libreriadelledonne.it/

13. POSTILLA CONCLUSIVA NON SCIENTIFICA. NONVIOLENZA, FEMMINILE SINGOLARE
Uno dei convincimenti fondamentali della redazione di questo foglio e' che
le esperienze e le riflessioni dei movimenti delle donne, e il pensiero
delle donne, costituiscano la corrente calda della nonviolenza in cammino,
ovvero di quel plurale e aperto progetto di liberazione agito tanto nella
storia quanto nella quotidianita', tanto nelle relazioni quanto nelle
strutture profonde del pensare, del sentire e del linguaggio, che a tutti
gli esseri umani attribuisce piena dignita' e diritto alla solidarieta', e
che propone e pratica la coerenza tra mezzi e fini, il prendersi cura delle
altre e degli altri e del mondo, il reciproco riconoscimento di comune e
personale umanita' in eguaglianza di diritti e diversita' - singolarita' -
di esistenze, la difesa della biosfera, il dono come modalita' relazionale
primaria. La prassi e il pensiero delle donne: nonviolenza in cammino, non
un'ideologia di ricambio, ma la nascita di un'umanita' liberante e
autocosciente.
Per questo la riflessione svolta da donne sull'orrore del carcere di Abu
Ghraib ci sembra cosi' intensa, preziosa, decisiva: dialogica e maieutica
per tutte e tutti.
Una riflessione cosi' ampia, profonda, aggettante, diramata, diversificata.
E fin divergente in feconda dialettica su molti aspetti su cui lo scandaglio
della riflessione scopre e interroga, interroga e cerca ancora - e si
scopre, s'interroga, si cerca: in timore e tremore, in autocoscienza sempre
piu' vigile, sempre piu' tenera, sempre piu' concentrata (l'attenzione di
Simone Weil) e sempre piu' abbandonata (quel concetto densissimo espresso
nell'etimo dalla parola araba islam, che ci pare essere come il
correlativo - dal versante dell'essere umano -, in un movimento di sistole e
diastole, di quello sconvolgente e ricchissimo concetto ebraico di
tzimtzum - nella qabbalah di Luria). Non solo logos, non solo ruah.
E a questa riflessione di donne abbiamo voluto dedicare questo fascicolo de
"La domenica della nonviolenza". Altri materiali abbiamo gia' pubblicato nei
giorni scorsi su "La nonviolenza e' in cammino", altri pubblicheremo nei
prossimi giorni.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 2 del 2 gennaio 2005