La nonviolenza e' in cammino. 807



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 807 del 12 gennaio 2005

Sommario di questo numero:
1. Giulio Vittorangeli: L'apparente aridita' delle cifre
2. Corrie Pikul: Lo tsunami e le donne
3. Bruno Segre: Per non dimenticare la Shoah (parte seconda)
4. Haifa Zangana: Donne e democrazia in Iraq
5. Nelson Mandela: Un figlio e la verita'
6. Giampaolo Calchi Novati: Nelson Mandela testimone e guida della lotta
contro l'Aids
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: L'APPARENTE ARIDITA' DELLE CIFRE
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori
di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da
sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

"Nel 2005 il tema della riduzione della poverta' sara' al centro dell'agenda
politica mondiale come mai in passato". Frasi come questa si ascoltano nei
vertici del G8 e dell'Organizzazione mondiale del commercio; si leggono
nelle risoluzioni dell'assemblea generale delle Nazioni Unite.
Peccato che le parole non siano seguite dai fatti.
Negli ultimi dieci anni la forbice tra le nazioni ricche e quelle povere si
e' ulteriormente allargata. Il 70% dei 40 milioni di ammalati di Aids e'
concentrato nei paesi con istituzioni sanitarie malfunzionanti. La
tubercolosi e' riemersa con 9 milioni di nuovi casi e 2 milioni di morti
all'anno. Tassi di mortalita' simili provengono dalla malaria e in tutti i
casi aumenta l'emergenza di agenti patogeni resistenti ai farmaci. Meno del
10% della spesa in ricerca medica e' devoluta a malattie responsabili del
90% della morbilita' (Fonte: "British Medical Journal").
*
Se poi guardiamo all'Italia, come non ricordare che i soldi (200 milioni di
euro) che il governo Berlusconi aveva promesso di versare (entro il 30
settembre 2004) in occasione del G8 di Genova del luglio 2001 (un Global
Fund finanziato dai Paesi ricchi per sostenere la lotta all'Aids, alla
tubercolosi e alla malaria nei Paesi poveri) sono scomparsi anche a causa
delle spese per la guerra in Iraq.
Su sei miliardi di abitanti del pianeta terra, oltre 2 miliardi e 800
milioni vivono con meno di due dollari al giorno.
Alla fine del 2003 in America Latina e nel Caribe ci sono 20 milioni di
poveri in piu' rispetto al 1997 e cioe' 9.100 latinoamericani poveri in piu'
al giorno, 380 all'ora e 6 ogni minuto. Il 44,4% dei latinoamericani (227
milioni) vive sotto la soglia di poverta' e il 79% di essi (177 milioni)
sono bambini e adolescenti o giovani sotto i 20 anni.
E' la regione del mondo dove impera la maggiore iniquita' per quanto
riguarda la distribuzione della ricchezza. Il 20% piu' ricco si appropria
del 60% delle entrate totali, e il 20% piu' povero resta con solo il 3% di
tale ricchezza.
*
Con l'applicazione delle politiche neoliberiste il livello mondiale di
poverta' si e' ulteriormente innalzato. Su tutto questo si e' inserita la
spirale perversa "guerra-terrorismo"; perche' se l'ingiustizia della
ripartizione delle risorse a livello planetario non e' la causa del
terrorismo e neppure lo giustifica, e' sempre il mare in cui esso nuota. La
guerra preventiva lo ha trasformato in un soggetto politico mondiale con cui
dialoga in orrore.
Un mondo dove la disuguaglianza tra Paesi ricchi e quelli poveri e' di
settanta a uno, puo' essere solo "controllato" con l'uso della forza, della
guerra e delle armi. Ecco perche' il nuovo sistema globalizzato ha fatto
della guerra "globale e preventiva" la sua politica; e se la guerra cancella
il mondo di relazioni tra gli uomini e tra i popoli, brucia cose e persone,
e' anche la maniera per fare soldi.
879 sono i miliardi di dollari, al netto dell'inflazione, della spesa
militare mondiale nel 2003: 18 miliardi di dollari in piu' rispetto al 2002.
Cifre riportate nello Yearbook 2004 del Sipri, l'autorevole istituto di
ricerca sul disarmo di Stoccolma.
Le cinque potenze che maggiormente investono in armamenti coprendo il 62%
delle spese totali a livello mondiale, sono gli Stati Uniti, il Giappone, la
Francia, il Regno Unito e la Cina. A parte il Giappone, gli altri fanno
tutti parte in modo permanente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, la cui
Assemblea Generale chiede ogni anno la fine della corsa degli armamenti, il
disarmo nucleare e il rispetto delle convenzioni internazionali su questi
temi.
*
"La ragione principale per cui la guerra c'e' ancora non sta ne' in un
segreto desiderio di morte della specie umana ne' in un insopprimibile
istinto di aggressione ne' nei seri pericoli economici e sociali che il
disarmo comporta, ma nel semplice fatto che sulla scena politica non e'
ancora comparso nessun mezzo in grado di sostituire questo arbitro
definitivo degli affari istituzionali". Queste parole di Hannah Arendt
tracciano in maniera sorprendente una diagnosi radicale, impietosa e senza
appello della drammatica situazione che stiamo vivendo all'inizio di questo
XXI secolo. Sono domande cruciali che oggi si presentano a chiunque rifletta
sul futuro della democrazia internazionale e sulla pace nel mondo.
Allora dobbiamo mantenere fermo il ripudio dell'asse "guerra-terrorismo" che
non conosce piu' pieta' pubblica e civile, e che giornalmente ci invade.
Rischiamo di assuefarci all'orrore, ai corpi dilaniati e irriconoscibili,
alla corsa alle parole per dire un'indignazione rituale e ripetitiva. O
peggio ancora, solo cecchini dentro la spirale della violenza; pronti a
dimenticare la morte che non ci fa comodo e a magnificare quella utile,
immemori anche del nostro rifiuto della morte di stato come di quella per
mano privata.
Cosi' l'essere umano non c'e' piu', ne' per chi vuole restituire la
cittadinanza agli iracheni con i missili statunitensi, ne' talvolta per chi
vuole restituirgliela tramite la loro autodeterminazione. Iracheni,
americani, italiani... non ce ne sono piu' quasi per nessuno, se non per
come si collocano rispetto alle assi cartesiane della violenza. Dimenticando
che senza pieta' per l'essere umano viene meno lo stesso concetto di
umanita'; resta, davvero, la morte della ragione ed un baratro etico.
Se c'e' un compito immediato e' sicuramente quello di spingerci all'umano, e
questo passa attraverso la pace, intesa non solo come assenza di guerra.

2. APPELLI. CORRIE PIKUL: LO TSUNAMI E LE DONNE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione la sua traduzione del seguente articolo di
Corrie Pikul, corrispondente di "WeNews"]

Quando il mortale tsunami si e' preso la vita di 150.000 persone, ha anche
spazzato via le strutture delle comunita', lasciando le sopravvissute di
sesso femminile vulnerabili ad una nuova serie di minacce. Rapporti di
stupri e violenze contro donne e bambine/i, nelle aree colpite, si stanno
accumulando, ma le donne hanno di fronte anche basilari problemi di salute
dovuti alla mancanza di prodotti per l'igiene personale e per la maternita'.
Numerosi gruppi stanno lavorando per costruire consapevolezza pubblica dei
pericoli che le donne e le bambine corrono nei paesi piu' duramente colpiti,
Sri Lanka, Indonesia e Maldive, e stanno raccogliendo fondi per proteggere
non solo la sicurezza fisica delle donne, ma anche la loro salute, la loro
dignita' ed il loro benessere psicologico.
"I problemi specifici delle donne devono essere identificati e affrontati",
dice David Del Vecchio, uno dei portavoce del Fondo Onu per le popolazioni
(United Nations Population Fund) che ha base a New York. Un collettivo che
riunisce i gruppi femministi dello Sri Lanka ha scritto e diffuso un appello
affinche' l'opinione pubblica porti la sua attenzione su "le serie istanze
che concernono la sicurezza ed il benessere delle donne che non sono ancora
state prese in considerazione, negli sforzi per l'aiuto umanitario". Il
collettivo, che comprende cinque gruppi ed include il Forum femminile delle
ong e l"Alleanza delle donne per la pace e la democrazia, ha espresso
approvazione per gli aiuti internazionali, ma ha sottolineato che essi
devono essere ridisegnati in modo da tenere conto della violenza contro le
donne, e dei bisogni particolari di alcuni soggetti vulnerabili, come le
donne in stato di gravidanza o che stanno allattando un bambino, nonche' i
bambini senza accompagnatori adulti.
*
Il peggio delle violazioni dei diritti umani delle donne e' stato messo in
luce all'inizio di questa settimana dal gruppo "Women and Media Collective",
un'organizzazione di donne con base a Colombo, Sri Lanka. "Abbiamo ricevuto
rapporti relativi a violenze sessuali, stupri di gruppo, molestie ed abusi
fisici di donne e bambine durante le operazioni di soccorso prive di
supervisione, e durante la loro residenza nei rifugi temporanei", dice il
comunicato che il gruppo ha inviato alla stampa internazionale.
Il loro appello e' stato raccolto da "Madre", un'organizzazione
internazionale per i diritti delle donne. Yifat Susskind, co-direttrice di
"Madre", dice che le testimonianze riflettono cio' che accade tipicamente
durante gli sconvolgimenti di questo tipo: "Quando le comunita' sono sotto
stress, si nota un massiccio aumento della violenza domestica. Quello che
stiamo vedendo e' l'onda lunga del disastro". Susskind sostiene che durante
una crisi, i meccanismi che usualmente operano per prevenire stupri,
violenze e molestie scompaiono. Non ci sono membri delle famiglie che
possano proteggere le donne e le bimbe, non ci sono case in cui nascondersi
e ben poca polizia che possa dissuadere i criminali potenziali con la sua
presenza.
"Madre" ha ricevuto rapporti simili, che riguardano la violenza subita dalle
donne nei campi profughi, anche da Inform, un'altra ong, molto ramificata,
con base a Colombo. In risposta, "Madre" sta raccogliendo ed inviando fondi
a Inform, che e' in grado di raggiungere velocemente molte diverse comunita'
in tutta la regione. Il denaro verra' usato per creare ed equipaggiare
centri sanitari d'emergenza che provvedano assistenza medica, acqua potabile
e consulenza sui traumi. Secondo l'Organizzazione Mondiale per la Sanita',
per implementare le attivita' chiave necessarie al controllo della salute
pubblica, occorrono almeno, e urgentemente, 60 milioni di dollari.
*
Sia lo staff del Fondo Onu sia quello di "Madre", basandosi sull'esperienza
di altre crisi internazionali, sostengono che dopo qualsiasi sciagura le
donne, in una societa' distrutta, devono fronteggiare nuove pressioni,
poiche' sono ritenute responsabili della cura dei malati, dei vecchi e dei
bambini. L'aumento dei bisogni in questo senso puo' impedire alle donne di
presentarsi ai centri che distribuiscono cibo o medicinali e di occuparsi
delle proprie necessita'. Questo sembra particolarmente vero nella
situazione attuale. Migliaia di vedove di pescatori stanno provvedendo da
sole ai bisogni delle loro famiglie. "Il fardello delle necessita' di base
e' gettato sulle donne, sostiene Susskind, E allo stesso tempo, i loro
bisogni vengono sistematicamente sacrificati quando le risorse
scarseggiano".
Il Fondo Onu ha stimato che degli oltre cinque milioni di individui
direttamente colpiti dallo tsunami, almeno 150.000 sono donne incinte che
hanno bisogno urgente di sostegno medico e nutrizionale: molte di esse
stanno vivendo complicazioni nella gravidanza e molte stanno soffrendo lo
shock degli aborti provocati dal trauma.
Si prevede che oltre 50.000 donne, nelle zone colpite, partoriranno nei
prossimi tre mesi. La possibilita' che lo facciano in circostanze di igiene
e sicurezza e' stata distrutta assieme al resto. Le levatrici sopravvissute,
che tradizionalmente in questi luoghi provvedono aiuto in casa alle
partorienti potrebbero, a causa delle difficolta' che muoversi ora comporta,
non riuscire a raggiungere le donne che hanno bisogno di loro. I bisogni
igienici sono spesso trascurati, nei momenti di crisi, ma non avere tamponi
o assorbenti per le mestruazioni puo' incidere sulla dignita' personale di
una donna, limitare la sua mobilita', e persino impedirle di recarsi nei
luoghi ove riceverebbe aiuto.
Per cominciare ad affrontare il problema, il Fondo Onu ha stanziato tre
milioni di dollari per le necessita' igieniche e relative alla maternita'
delle donne dello Sri Lanka, delle Maldive, della Tailandia e dell'India.
Il Fondo ha lanciato un appello ai donatori, perche' continuino a sostenere
le popolazioni colpite nei prossimi sei mesi, ovvero nella fase acuta della
crisi. "Tre milioni sono il seme per iniziare", dice del Vecchio. Egli
sostiene che il modo migliore per far giungere gli aiuti e' lavorare con le
organizzazioni presenti nelle regioni colpite. Le folle sono disperate e
frenetiche, aggiunge, e percio' si aspetta che vi siano difficolta' a far
giungere i rifornimenti igienici nelle mani delle donne. Del Vecchio ha una
proposta, al riguardo: "Le donne sono spesso messe in una posizione in cui
devono barattare qualcosa per avere gli aiuti, e a volte barattano se stesse
sessualmente, per dar da mangiare ai propri figli. Un modo per assicurarsi
una distribuzione equa degli aiuti, e' affidare la distribuzione alle donne.
Abbiamo visto che sono bravissime, in questo. Conoscono famiglia per
famiglia, sanno chi ha bisogno di che cosa. Inoltre, dar loro questo ruolo
le rende meno vulnerabili alle molestie".
Per maggiori informazioni:
- Madre: www.madre.org
- United Nations Population Fund: www.unfpa.org
- The Women and Media Collective: www.cenwor.lk/womenmedia.html

3. MEMORIA. BRUNO SEGRE: PER NON DIMENTICARE LA SHOAH (PARTE SECONDA)
[Ringraziamo di cuore Bruno Segre (per contatti: bsegre at yahoo.it) per averci
permesso di riprodurre sul nostro foglio ampi stralci dal suo utilissimo
libro Shoah, Il Saggiatore, Milano 2003, la cui lettura vivamente
raccomandiamo. Riportando alcuni passi di esso abbiamo omesso tutte le note,
ricchissime di informazioni e preziose di riflessioni, per le quali
ovviamente rinviamo chi legge al testo integrale edito a stampa. Bruno
Segre, storico e saggista, e' nato a Lucerna nel 1930, si e' occupato di
sociologia della cooperazione e di educazione delgi adulti nell'ambito del
Movimento Comunita' fondato da Adriano Olivetti; ha fatto parte del
Consiglio del "Centro di documentazione ebraica contemporanea" di Milano;
dal 1991 presiede l'Associazione italiana "Amici di Neve' Shalom / Wahat
al-Salam"; dirige la prestigiosa rivista di vita e cultura ebraica "Keshet"
(e-mail: segreteria at keshet.it, sito: www.keshet.it). Tra le opere di Bruno
Segre: Gli Ebrei in Italia, Giuntina, Firenze 2001; Shoah, Il Saggiatore,
Milano 1998, 2003]

La dialettica dei bicipiti: botte e lacrime a Vienna e a Berlino
Vienna, febbraio 1921. L'impero austro-ungarico ha cessato di esistere da
meno di tre anni. In un teatro viene messo in scena Girotondo, e
fulmineamente si scatena una gazzarra sessuofobica, subito strumentalizzata
sul terreno politico.
Girotondo e' una piece che quel "sudicione ebreo" di Arthur Schnitzler
(1862-1931) ha scritto circa venticinque anni prima, e che nel frattempo gli
ha procurato una serie di processi in tribunale e noie senza fine con la
censura. Gli scritti teatrali di Schnitzler   - probabilmente le espressioni
drammaturgiche piu' significative nella Vienna a cavallo dei due secoli -
brillano soprattutto per la penetrante capacita' di rappresentare la
decadenza della borghesia viennese: donne e uomini tesi con disperata
vuotaggine a soddisfare i propri desideri immediati, come nelle operette di
Strauss e di Lehar; un mondo esteriormente scintillante, ma minato alla
radice da un egoismo diffuso e da un'insuperabile difficolta' nel
comunicare. In Girotondo Schnitzler illustra con ironia graffiante proprio
tale tematica. Mette infatti in scena un intreccio fittissimo di rapporti
sessuali interdipendenti fra dieci personaggi che incarnano l'intero spettro
della societa' viennese della Belle Epoque (il conte, la prostituta, il
soldato, la cameriera e cosi' via): personaggi che danno vita a un carosello
erotico sfrenato, nel quale si rivelano capaci di un unico genere di
comunicazione interpersonale, quella sessuale. Un sesso senza amore, ridotto
a semplice rituale meccanico.
Questo approccio non vittoriano al tema dei costumi sessuali viene percepito
come scandaloso negli ambienti clericali e nazional-conservatori austriaci,
i cui organi di stampa si affrettano a incitare gli "apaches del cardinale"
viennese Piffl a mettere fine a quell'oscenita'. "Il senso morale del nostro
popolo cristiano, radicato nella propria terra, viene di continuo ferito nel
piu' grave dei modi dalla rappresentazione di una sordida commedia uscita
dalla penna di un autore ebreo", tuona monsignor Ignaz Seipel, leader dei
cristiano-sociali (il maggiore partito borghese austriaco) e futuro
cancelliere dell'Austria. Ancora piu' esplicitamente gli fa eco la
"Reichspost", organo ufficioso del suo partito, con un bel sillogismo:
Schnitzler e' ebreo, Dernau (il regista) e' ebreo, Neumann (il borgomastro
socialdemocratico di Vienna) e' ebreo. "La socialdemocrazia si e' di nuovo
presentata come usbergo del giudaismo. Anche il pubblico e' composto quasi
esclusivamente di profittatori e pescecani ebrei. La socialdemocrazia, in
ossequio alla sua missione, si e' di nuovo posta dietro quel giudaismo che
vuole annientare sul piano morale ed economico il nostro popolo. Lo si
dovra' tenere bene a mente!".
La sera del 10 febbraio, durante la rappresentazione scoppia il tumulto, con
fischi e urla: "Porci, fuori marmaglia di profittatori, canaglie ebree!".
Volano fialette puzzolenti e gusci d'uovo pieni di catrame; dalle porte
spalancate per l'acre tanfo irrompono varie centinaia di energumeni
inferociti che fracassano finestre e specchi, scaraventano dal loggione
suppellettili e poltrone sul palcoscenico e sugli spettatori, gia' presi a
bastonate, a ceffoni e insulti, trascinano le donne per i capelli, fanno
assaggiare tirapugni e manganelli ai loro accompagnatori che tentano di
difenderle. La polizia interviene molto tardi arrestando sette dimostranti e
sospendendo le rappresentazioni "per ragioni di pubblica sicurezza". In
Parlamento socialdemocratici e cristiano-sociali si affrontano con virulenza
e senza costrutto. Ma la' dove fallisce la dialettica parlamentare prevale
la dialettica dei bicipiti in un autentico "pogrom teatrale": una prima
pallida prova generale delle imminenti (ma non ancora prevedibili)
aggressioni dei nazisti.
*
L'anno successivo, 1922, nelle librerie di Vienna e' in vendita un'opera
narrativa, arguta e breve ma carica di premonizione. Si intitola La citta'
senza ebrei. Un romanzo di dopodomani. L'autore e' Hugo Bettauer
(1872-1925), uno scrittore di origine ebraica che negli ambienti
intellettuali viennesi gode di larga notorieta' per le sue spregiudicate
provocazioni. Redatto in uno stile disinvolto e brillante, questo piccolo
capolavoro viene tradotto in piu' lingue e va incontro a un successo
fulmineo: oltre 250 mila copie vendute nel giro d'un paio d'anni. La vicenda
narrativa e' presto riassunta: il Parlamento austriaco approva
all'unanimita' una legge che sancisce il bando degli ebrei dall'Austria.
Vienna immiserisce subito; le banche, le industrie, i negozi, i leggendari
teatri e i caffe' piu' celebri chiudono i battenti; le vivaci ragazze
viennesi rimpiangono i loro corteggiatori ebrei, audaci e generosi; la moda
propone squallidi Loden e scarponi chiodati; la letteratura, la musica e il
teatro approdano allo strapaese montanaro.  Insomma, l'esodo degli ebrei
viene sperimentato come la rovina di Vienna. E cosi', questo scintillante
divertissement letterario termina descrivendo il richiamo a furor di popolo
degli espulsi, che rientrano in citta' in una cornice di gioiosa tolleranza.
La Storia, come sappiamo, sara' molto meno clemente. Ma al di la' d'ogni
loro piu' o meno vago presagio, ne' Bettauer, ucciso nel 1925 da un
militante nazista rimasto praticamente impunito, ne' Schnitzler, che morira'
sei anni piu' tardi, sono in grado di immaginare il destino che il regime
pantedesco instaurato da un loro giovane compatriota di provincia - Adolf
Hitler -  riservera' agli ebrei d'Europa tra la fine degli anni Trenta e il
1945.
*
E' vero che la neonata Repubblica Austriaca e' un Paese di deracines
sull'orlo della carestia e dell'universale declassamento, scosso da aspre
lotte sociali, in preda a un'inflazione disastrosa, mutilato nella sua
geografia e nei corpi dei reduci; ed e' anche vero che in questo Paese basta
la rappresentazione di un testo teatrale "pornografico", scritto un quarto
di secolo prima da un autore "debosciato, asiatico, degenerato", per dare ai
peggiori filistei l'occasione di indignarsi moralmente, offrendo loro
pretesti per una strumentalizzazione politica e per la comoda individuazione
di un capro espiatorio. Ma per il momento, l'immagine degli ebrei
inginocchiati per terra a Vienna  - come saranno nel marzo 1938 - a
cancellare con la spazzola gli slogan contro l'annessione al Terzo Reich, e'
ancora lontanissima. Nei Paesi di lingua tedesca, l'itinerario che dalla
meschinita' filistea conduce al nazismo e' per ora soltanto agli inizi.
Non sarebbe corretto giudicare la condizione degli ebrei austriaci e
tedeschi, negli anni a cavallo della prima  guerra mondiale, solo sulla base
dell'antisemitismo voelkisch (etnico) di cui grondano molti dei libri e
opuscoli che le tipografie vanno allora sfornando; cosi' come sarebbe
sbagliato affermare che la vita dell'ebreo medio sia condizionata in quei
Paesi da sofferenze e discriminazioni continue. Di solito l'antisemitismo
non si configura come una minaccia attiva, ma come un tormento superficiale,
anche se tedioso e irritante. "Si consideri ad esempio il caso di Gustav
Mahler [1860-1911]", ricorda in un'intervista Ernst H. Gombrich,
"particolarmente il fatto che Mahler abbia dovuto battezzarsi per poter
assumere la direzione dell'Opera di Vienna. (...) Pressioni perche' gli
ebrei si convertissero erano pressoche' all'ordine del giorno in Austria.
Mio padre mi racconto' un giorno che, a una persona desiderosa di ottenere
una posizione piu' elevata nell'amministrazione statale, il responsabile del
personale rispose -  e la risposta e' meno rozza e diretta di come potrebbe
essere oggi: 'certo, lei ha ottime referenze e tutti i titoli per ambire al
nuovo incarico, le manca pero' un documento'. Si riferiva al certificato di
battesimo. Si poteva comunque scegliere se battezzarsi o meno: non tutti
peraltro si battezzavano. Alcuni erano cosi' ricchi da potersi permettere di
non battezzarsi".
*
Tra austriaci (e tedeschi) da un lato, ed ebrei dall'altro, la cooperazione
e la comprensione non sono l'eccezione bensi' la regola: non soltanto nel
mondo degli affari, delle banche, dell'editoria e delle arti, ma anche, cosa
piu' importante, nei rapporti interpersonali. Tedeschi ed ebrei si sposano
tra loro e fanno figli assieme; le statistiche germaniche mostrano che,
negli anni che precedono la prima guerra mondiale, un terzo dei matrimoni
celebrati da ebrei sono in realta' matrimoni misti.  Tedeschi ed ebrei
frequentano le stesse scuole, lavorano nelle stesse aziende, scrivono per
gli stessi giornali, si arruolano volontari nello stesso esercito, subiscono
mutilazioni e vengono uccisi fianco a fianco negli stessi fatti d'armi.
A Berlino - dove prima della Grande guerra gli ebrei sono in proporzione
meno della meta' che a Vienna -  "lo splendore dell'impero del Kaiser, la
sua ricchezza interiore ed esteriore, erano dovuti in larga misura alla
parte ebraica della popolazione". Cosi' scrivera' nell'autobiografia
Doppelleben ("Doppia vita", 1950) un nazista "pentito", il poeta tedesco
Gottfried Benn (1886-1956). Quanto agli anni del dopoguerra, Benn rileva che
"la valanga travolgente di stimoli, di improvvisazione artistica,
scientifica e commerciale che tra il 1918 e il 1933 elevarono Berlino
all'altezza di Parigi, provenivano in gran parte da questa minoranza, dai
suoi legami internazionali, dalla sua sensibilita' irrequieta, e,
soprattutto, dal suo infallibile istinto per la qualita'".
Quello che le notazioni di Benn registrano e' un rapidissimo ma problematico
processo di sviluppo socio-culturale che, iniziato con l'emancipazione
ottocentesca, ha condotto in pochi decenni gli ebrei tedeschi e austriaci -
usciti finalmente dal lungo isolamento fisico e mentale dei ghetti - ad
aprirsi un varco verso "orizzonti imprevedibili" (come scrivera' in Idee e
opinioni, 1957, Albert Einstein).
*
Si tratta di un processo che coincide temporalmente con l'apogeo che la
cultura di lingua tedesca (soprattutto durante la Repubblica di Weimar)
tocca in tutti i campi: dalla musica alla letteratura, dalle arti figurative
alla ricerca scientifica e tecnologica. Si badi, pero', che entro questo
contesto di primato culturale tedesco, l'apporto degli ebrei, pur essendo
straordinariamente significativo, non e' di certo prevalente (basti qui
ricordare due figure-guida di non ebrei: Thomas Mann e Max Planck). Cio'
nondimeno, l'attiva presenza di ebrei a tutti i livelli della vita culturale
e pubblica suscita le gelosie di molti "veri" tedeschi.  Se ne rende conto
con lucidita', sin dal 1911, il critico Moritz Goldstein, che scrivendo sul
settimanale "Kunstwart" ammonisce: "Quando i cristiani permisero ai paria
della loro societa' di ritagliarsi la propria parte all'interno della
cultura europea, non avevano previsto, ne' voluto, un fenomeno di questo
genere. Allora cominciarono a ostacolarlo, ripresero a chiamarci stranieri e
a considerare pericolosa la nostra presenza nel tempio della loro civilta'".
E stigmatizzando "quegli ebrei che sono completamente ignari, che continuano
a prendere parte alle attivita' culturali come se niente fosse, che fingono
e si convincono di non essere identificati", conclude: "Noi ebrei stiamo
amministrando le proprieta' spirituali di una nazione che ci nega il diritto
e le capacita' di farlo".
A cio' si aggiunga che nella mente del pubblico medioborghese - appartenga
esso alla destra estrema o a quella moderata -, tutto quanto appare
"audace", "moderno" o "scandaloso" nei campi delle arti figurative, della
musica e della letteratura viene identificato con gli ebrei. Tant'e' che,
quando subito dopo la morte di Frank Wedekind (1864-1918), che non era un
ebreo, va in scena a Monaco (dicembre 1919) il suo Schloss Wetterstein, un
dramma "sessualmente esplicito", la destra politica non esita a definirlo
"spazzatura ebraica".
Anche se e' corretto ritenere che scrittori e artisti ebrei non esprimano un
modernismo piu' estremo dei loro colleghi non ebrei, rimane tuttavia
innegabile che il modernismo fiorisce in un contesto culturale nel quale gli
ebrei esercitano una funzione di notevole rilievo. Per tutti coloro che,
nella Germania degli anni Venti, vedono nel modernismo  culturale
l'insolente rifiuto dei valori e delle norme di fondo della tradizione, gli
ebrei sono i latori di una minaccia gravissima.
Ancor piu' minacciosa del modernismo culturale, pero', appare la cultura di
sinistra in tutti i suoi aspetti. Come rileva Istvan Deak, autore di
un'importante indagine circa gli intellettuali di sinistra nella Germania di
Weimar, "se il contributo culturale degli ebrei fu fortemente sproporzionato
rispetto alla loro forza numerica, la loro partecipazione alle attivita'
intellettuali di sinistra lo fu ancora di piu'. A parte la letteratura
comunista ortodossa, rappresentata in maggioranza da non ebrei, gli ebrei
erano responsabili della gran parte della letteratura di sinistra prodotta
in Germania. [Il periodico] "Die Weltbuehne" non era, sotto tale aspetto, un
caso isolato; gli ebrei pubblicavano, controllavano e in gran parte
scrivevano le altre riviste intellettuali di sinistra. Essi svolgevano
inoltre un ruolo decisivo nei movimenti pacifista e femminista e nelle
campagne di liberazione sessuale".
*
Nell'immediato dopoguerra, tuttavia, la vera insuperabile difficolta' con
cui gli ebrei tedeschi devono fare i conti e' la stessa Repubblica di
Weimar.
E' vero che sotto quel regime - chiave di volta del sistema politico
istituito in Europa (Versailles, giugno 1919) dai vincitori del primo
conflitto mondiale - la Germania, superate le prove della tempesta
inflazionistica e del crollo del marco (1922), realizza una spettacolare
ripresa economica: meno di dieci anni dopo la fine della guerra, il Paese e'
di nuovo la piu' forte potenza economica del continente, in testa sia
all'Inghilterra che alla Francia. Ma politicamente e' un colosso con i piedi
d'argilla, incapace di darsi un governo vigoroso e stabile. La sua struttura
istituzionale, priva di radici storiche, manca del consenso delle masse.
L'inflazione del 1922-23 aggrava la situazione sociale, portando alla rovina
le classi medie. L'industria tedesca e' in grande espansione, i suoi
prodotti ricompaiono sui mercati mondiali, i salari crescono, ma i ceti
medi - gli agricoltori e i professionisti - non partecipano a questa
prosperita' e imputano alla Repubblica il loro progressivo impoverimento. E
soprattutto, nell'immaginario di molti tedeschi il regime di Weimar, nato
dalla disfatta, rimane indissolubilmente vincolato alla disfatta, e in
particolare agli ebrei, odiosi "autori di tale scelleratezza" (come
asserisce Hitler in Mein Kampf, 1924). Weimar, dunque, come Judenrepublik.
E' innegabile che alcune grosse case editrici e influenti organi di stampa
d'orientamento liberal (come il "Berliner Tageblatt", la "Vossische Zeitung"
e la "Frankfurter Zeitung") sono diretti da ebrei. Cosi' come ebrei sono
numerosi giornalisti, critici teatrali, musicali, artistici e letterari,
nonche' i responsabili di importanti gallerie d'arte e di altri centri
culturali. Ma sia chiaro: nella vita politica di Weimar, se si escludono i
primissimi tempi, gli ebrei svolgono una parte piuttosto irrilevante.  I
primi e ultimi politici ebrei di qualche peso della neonata Repubblica sono
Walther Rathenau (1867-1922; ministro della Ricostruzione nel 1921 e degli
Esteri nel 1922, anno in cui viene assassinato da estremisti di destra) e
Rudolf Hilferding (1877-1941; ministro socialdemocratico delle Finanze nel
1923 e nel 1928-29, morto suicida in Francia durante la seconda guerra
mondiale, allorche' la polizia del regime di Vichy lo consegnera' ai
carnefici di Hitler).
E' vero che il Partito comunista tedesco viene costituito grazie al
contributo decisivo di ebrei; ma con l'avvento a Mosca dello stalinismo essi
sono presto rimossi dai vertici dell'organizzazione, proprio come nell'Urss.
E nelle elezioni del 1932, quando il partito presenta cinquecento candidati
riuscendo a farne eleggere un centinaio, neppure uno di questi e' ebreo.
Secondo un'indicazione di Klaus Voigt, durante la Repubblica di Weimar gli
ebrei votano in prevalenza per i partiti liberali. Nella fase finale della
Repubblica, quando ormai la dimensioni di questi partiti sono ridotte ai
minimi termini, gli ebrei vanno spostando i loro suffragi verso il partito
socialdemocratico e a volte persino verso il partito cattolico di centro.
Simili orientamenti elettorali non sono legati tanto al fatto che gli ebrei
si riconoscano nei programmi politici di questi due partiti, quanto al fatto
che, negli auspici dell'elettorato ebraico, tali partiti dovrebbero essere
in grado di difendere la Repubblica contro il nazionalsocialismo. Correnti
nazionaliste e autoritarie non trovano molto seguito fra gli ebrei; le
adesioni rimangono essenzialmente limitate alla Lega dei soldati ebrei
combattenti al fronte (Reichsbund Juedischer Frontsoldaten) e
all'Associazione degli ebrei  tedeschi nazionalisti (Verband
Nationaldeutscher Juden), che sono l'espressione di orientamenti
ultra-assimilatori e tentano persino, senzasuccesso, di allacciare contatti
con i nazionalsocialisti.
Nel rapporto assai complesso tra il mondo germanico e i suoi ebrei, la
svolta decisiva si registra alla fine degli anni Venti in occasione della
grande depressione (1929-32), che colpisce la Germania piu' duramente di
molti altri Paesi, forse piu' degli stessi Stati Uniti.  Protagonista di
questa virata, foriera di un'atroce catastrofe, e' Adolf Hitler.

4. RIFLESSIONE. HAIFA ZANGANA: DONNE E DEMOCRAZIA IN IRAQ
[Ringraziamo Maria Chiara Tropea (per contatti: a.alba at areacom.it) per
averci segnalato e inviato la traduzione italiana di questo articolo di
Haifa Zangana apparso sul prestigioso quotidiano britannico "The Guardian"
il 22 dicembre 2004. Haifa Zangana e' una scrittrice nata in Iraq ed ex
prigioniera del regime di Saddam Hussein]

Il Dipartimento di Stato Usa ha lanciato una "iniziativa democratica per le
donne irachene", per un ammontare di dieci milioni di dollari per addestrare
le donne irachene alle tecniche e alle pratiche della vita democratica prima
delle elezioni progettate.
Paula Dobriansky, sottosegretaria di Stato agli affari globali, ha
dichiarato: "Noi daremo alle donne irachene gli strumenti, l'informazione e
l'esperienza di cui hanno bisogno per dirigere un ufficio e adoperarsi per
essere trattate correttamente". Il fatto che questi soldi andranno
principalmente ad organizzazioni implicate con l'amministrazione Usa, come
Independant Womens Forum (Iwf) fondata dalla moglie di Dick Cheney, Lynn,
non e' stato affatto menzionato.
Tra tutte le gaffes dell'amministrazione Bush in Iraq, la piu' enorme e' la
sua incapacita' a comprendere il popolo iracheno e in particolare le donne.
Il suo difetto principale e' di percepire le donne irachene come silenziose,
come le vittime senza potere di una societa' costruita dagli uomini e aventi
un urgente bisogno di "liberazione". Questa immagine si integra molto bene
nel quadro complessivo del popolo iracheno come vittima passiva pronta ad
accogliere l'occupazione del suo paese.
La realta' e' differente: le donne irachene erano attivamente coinvolte
nella vita pubblica anche sotto l'impero ottomano. Le prime scuole per
ragazze furono attivate nel 1899, le prime organizzazioni delle donne nel
1924. Nel 1937, quattro riviste femminili venivano pubblicate a Baghdad.
Le donne furono coinvolte nella rivoluzione del 1920 contro l'occupazione
britannica, anche nei combattimenti. Negli anni '50, alcuni partiti politici
crearono delle organizzazioni di donne. Tutti seguivano lo stesso principio:
combattendo fianco a fianco degli uomini, le donne liberavano
contemporaneamente se stesse. Se ne trova la prova in quello che segui' la
rivoluzione del 1958, che mise fine alla monarchia imposta dalla Gran
Bretagna, quando le donne realizzarono in due anni quello che non era
riuscito nel corso dei trent'anni di occupazione britannica: l'uguaglianza
legale.
Questo processo ha guidato l'Unicef nel suo rapporto del 1993: "E' raro che
nel mondo arabo delle donne godano di tanto potere come in Iraq: uomini e
donne devono ricevere lo stesso salario per lo stesso lavoro: la pensione di
una donna e' riconosciuta come indipendente da quella di suo marito. Nel
1974, l'educazione e' stata liberalizzata a tutti i livelli, e nel 1979 e'
diventata obbligatoria per ragazzi e ragazze fino ai dodici anni".
All'inizio degli anni '90, l'Iraq aveva uno dei tassi di alfabetizzazione
piu' elevati del mondo arabo. C'erano piu' donne professioniste in posizione
di potere che in qualsiasi altro paese del Medio Oriente.
La tragedia e' stata che le donne vivevano sotto il regime di oppressione di
Saddam. E' vero, le donne occupavano posizioni politiche elevate, ma non
hanno fatto nulla per protestare contro l'ingiustizia inflitta alle loro
sorelle che si opponevano al regime.
*
La stessa cosa sta succedendo nel "nuovo Iraq democratico". Dopo
la"liberazione", Bush e Blair strombazzavano la liberazione delle donne come
pietra miliare della loro visione dell'Iraq. Alla Casa Bianca, alcune donne
irachene, selezionate con cura, hanno recitato omelie disperatamente
doverose per giustificare l'invasione dell'Iraq. In giugno, la sovranita'
nominale e' stata trasmesssa ad un governo iracheno ad interim, designato
dagli Usa, comprendente sei donne ministre di gabinetto. Non sono state
elette dal popolo iracheno.
Sotto il regime di Allawi, le "forze multinazionali" restano al riparo dalle
riparazioni legali, e sono raramente ritenute responsabili dei crimini
contro gli iracheni. Il fossato tra le donne componenti del regime di
Allawi, e la maggioranza delle donne irachene si ingrandisce ogni giorno.
Mentre i ministri del gabinetto e le ambasciate degli Usa e della Gran
Bretagna sono al sicuro all'interno della zona verde fortificata, si nega
agli iracheni il diritto elementare di camminare con sicurezza nelle proprie
strade. Ai lati delle strade sono parcheggiati dei carri armati Usa con la
scritta "se sorpassate il convoglio, sarete uccisi".
La mancanza di sicurezza e la paura dei rapimenti fanno si' che le donne
irachene siano prigioniere nelle loro case. Sono le testimoni del saccheggio
del loro paese da parte di Halliburton, Bechtel, delle ong Usa, dei
missionari, dei mercenari e dei sottoposti locali, mentre manca loro l'acqua
potabile e l'elettricita'. Nel paese del petrolio, devono fare una fila di
cinque ore al giorno per avere del kerosene o del petrolio. La malnutrizione
acuta e' raddoppiata nei bambini. Una disoccupazione al 70% ha aggravato la
poverta', la prostituzione, gli aborti clandestini e le morti "d'onore". La
corruzione e il nepotismo sono in auge nel governo ad interim. Il ministro
dell'interno, Al-Nagib, ha riconosciuto di aver designato 49 membri della
sua famiglia in alti posti, ma solo perche' erano qualificati.
L'assassinio di universitari, di giornalisti e di scienziati non ha
risparmiato le donne: hanno ucciso Liga Abdul Razaq, una speaker dei
notiziari della Tv al-Sharqiyya con il suo bambino di due mesi. Layla
al-Saad, decana dell'universita' di Mosul e' stata massacrata nella sua
casa.
Il silenzio delle "femministe" del regime di Allawi e' assordante. Le
sofferenze delle loro sorelle bruciate nelle citta' da bombe al napalm, al
fosforo e a frammentazione dagli aerei a reazione Usa, la morte di almeno
100.000 iracheni di cui almeno la meta' donne e bambini, viene spiegata con
la retorica dell'insegnamento della democrazia.
Tony Blair ha riconosciuto ieri a Baghdad che le violenze proseguiranno
prima e dopo le elezioni ma ha aggiunto: "D'altra parte, avremo un
espressione molto chiara della volonta' democratica". Forse non sa che
"democrazia" e' quella parola che le donne irachene usano al giorno d'oggi
per spaventare i loro bimbi innocenti, urlando loro : "zitti o chiamo la
democrazia!".

5. MAESTRI. NELSON MANDELA: UN FIGLIO E LA VERITA'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 gennaio 2005 riprendiamo la
dichiarazione rilasciata ai mezzi d'informazione internazionali da Nelson
Mandela alcuni giorni fa. Nelson Mandela ("Madiba" e' il nomignolo con cui
lo chiamano affettuosamente) e' il piu' grande rappresentante vivente della
lotta contro il razzismo, per la dignita' di ogni essere umano; nato nel
1918, tra i leader principali dell'African National Congress, nel 1964 e'
condannato all'ergastolo dal regime razzista sudafricano; non accetta nessun
compromesso, nel corso dei decenni la sua figura diventa una leggenda in
tutto il mondo; uscira' dal carcere l'11 febbraio 1990 come un eroe
vittorioso; premio Nobel per la pace nel 1993, primo presidente del
Sudafrica finalmente democratico. Opere di Nelson Mandela: fondamentale e'
l'autobiografia Lungo cammino verso la liberta', Feltrinelli, Milano 1995;
tra le raccolte di scritti ed interventi pubblicate prima della liberazione
cfr. La lotta e' la mia vita, Comune di Reggio Emilia, 1985; La non facile
strada della liberta', Edizioni Lavoro, Roma 1986; tra le raccolte
pubblicate successivamente alla liberazione: Tre discorsi, Centro di ricerca
per la pace, Viterbo 1991; Contro ogni razzismo, Mondadori, Milano 1996; Mai
piu' schiavi, Mondadori, Milano 1996 (il volume contiene un intervento di
Nelson Mandela ed uno di Fidel Castro). Opere su Nelson Mandela: Mary
Benson, Nelson Mandela: biografia, Agalev, Bologna 1988; François Soudan,
Mandela l'indomabile, Edizioni Associate, Roma 1988; Jean Guiloineau, Nelson
Mandela, Mondadori, Milano 1990; John Vail, I Mandela, Targa Italiana,
Milano 1990; Fatima Meer, Il cielo della speranza, Sugarco, Milano 1990. Si
vedano anche Winnie Mandela, Finche' il mio popolo non sara' libero,
Sugarco, Milano 1986; Nancy Harrison, Winnie Mandela, Jaca Book, Milano
1987]

Alcuni di voi sanno che da qualche tempo, da piu' di tre anni, io vado
dicendo che e' necessario dare pubblicita' all'Aids, e non nasconderlo.
Perche' questa e' l'unica strada per farlo apparire come una malattia
normale, esattamente al pari delle tubercolosi o del cancro: venire allo
scoperto e dire che qualcuno e' morto a causa dell'Hiv.
Cosi' che la gente possa smettere di considerarlo un fatto straordinario,
come una malattia riservata solo a gente condannata ad andare all'inferno
anziche' in paradiso.
Io sono fiducioso che mano a mano che il tempo passa noi tutti raggiungeremo
la convinzione che e' importante parlare apertamente della gente che muore a
causa dell'Aids.
E' per questo che, ora che cio' e' accaduto a me, ho deciso di annunciare la
morte a causa dell'Aids di un membro della mia famiglia.
Avevo preso questa decisione ben prima di sapere che un qualsiasi membro
della famiglia fosse malato di Aids.
Se i membri della mia famiglia avessero scelto di restarsene in silenzio,
sarebbero stati i dottori, le infermiere e l'altro personale degli ospedali
a parlarne: "Avete saputo che il figlio o il nipote di Mandela e' morto di
Aids?".
Questo avrebbe gettato una luce davvero pessima sui membri della famiglia
per non avere saputo loro stessi venire allo scoperto e rivelare
coraggiosamente che un membro della famiglia e' morto di Aids.
Non dobbiamo avere paura e nascondere la causa delle morti nelle nostre
rispettive famiglie perche' questo e' il solo modo con cui noi possiamo far
capire alla gente che l'Hiv e' una malattia comune.
Questo e' il motivo per cui noi vi abbiamo invitati qui oggi per annunciarvi
che mio figlio e' morto di Aids.

6. RIFLESSIONE. GIAMPAOLO CALCHI NOVATI: NELSON MANDELA TESTIMONE E GUIDA
DELLA LOTTA CONTRO L'AIDS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 gennaio 2005. Giampaolo Calchi Novati,
nato nel 1935, docente universitario, e' tra i massimi esperti italiani
delle questioni del sud del mondo. Tra le opere di Giampaolo Calchi Novati:
Neutralismo e guerra fredda (1963); L'Africa nera non e' indipendente
(1964); Le rivoluzioni nell'Africa nera (1967); La rivoluzione algerina
(1969); Decolonizzazione e terzo mondo (1979); La decolonizzazione (1983);
Dopo l'apartheid (a cura di, 1986); L'Africa (1987); Nord/Sud  (1987);
Maghreb (a cura di, 1993); Il Corno d'Africa nella storia e nella politica
(1994); Dalla parte dei leoni (1995); Storia dell'Algeria indipendente
(1998); Il canale della discordia (1998)]

Non si puo' parlare di fatalita'. Non e' una stata una beffa. Qualsiasi
evento che riguardi la vita di Nelson Mandela, anche i lati piu' intimi del
suo privato, della sua famiglia, assume una dimensione "politica". E' stato
cosi' quando la moglie Winnie e' incappata in disavventure di carattere
penale, gettando una macchia sulla coppia che aveva impersonato a lungo -
lui in carcere, lei sulle barricate - la resistenza del popolo sudafricano
all'apartheid e alle sue ignominie. E' cosi' oggi, in questa nuova tragedia,
con la morte per Aids di quello che era ormai il suo unico figlio maschio,
Makgatho, di 56 anni.
Madiba [il nomignolo con cui e' affettuosamente chiamato Nelson Mandela da
tutti i sudafricani] ha detto, in una conferenza-stampa che ha sicuramente
rappresentato per lui una prova tremenda, di non volere misteri sulla morte
del figlio per restituire l'Aids al suo rango di malattia "normale".
Ma in realta' la rivelazione, mettendo fine a illazioni e voci
incontrollate, ha avuto proprio l'effetto contrario e ha contribuito a
trasformare in politica il dramma personale dello stesso Mandela
collegandolo alla battaglia che da presidente ed ex-presidente ha condotto
per contenere e sconfiggere la piaga dilagante dell'Aids, fino a farne uno
dei pilastri del suo impegno e un motivo di netta divergenza con Thabo
Mbeki, prima suo vice e poi suo successore alla presidenza.
L'Aids e' assurto infatti a problema politico cruciale per il Sudafrica del
dopo-apartheid, menomando le capacita' di un'intera generazione di uomini e
donne, attaccati dagli effetti di un morbo che riduce dolorosamente la
durata della vita delle singole persone e che intanto incide pesantemente
sull'integrita' della societa' e sulla produttivita' economica.
*
Nelson Mandela ha raccontato lui stesso nell'autobiografia - Lungo cammino
verso la liberta' [tr.it. presso l'editore Feltrinelli, Mlano] - la sua
formazione, la militanza nell'African National Congress, le sofferenze negli
anni di detenzione, la guida offerta al partito e alle masse del Sudafrica
con il suo esempio e la lezione che discendeva dal suo passato, giacche' per
tutto il periodo culminante della lotta contro il razzismo Mandela e'
rimasto fuori campo. Passo dopo passo, la sua vita e' diventata storia.
L'intreccio fra un uomo, sia pure un uomo eccezionale, e il suo paese, il
suo popolo, e' il prodotto di una interazione con i fattori profondi che
muovono la storia. Come pochi altri, in Africa e nel mondo, Mandela ha
interpretato i valori positivi che malgrado tutto hanno animato la seconda
meta' del Novecento, l'era della decolonizzazione, dell'emancipazione di
interi continenti, oltre che di molte speranze andate deluse o frustrate.
Quando usci' dal carcere in quei giorni indimenticabili del febbraio 1990
era un vecchio, ma si capi' benissimo che la sua potesta' di dominare gli
eventi era intatta. Se la transizione dallo stato razzista allo stato
democratico ha avuto successo, con costi in fondo assai inferiori a quello
che tutti avevano temuto, fu grazie alla combinazione di molte componenti.
Ma decisiva e' stata l'influenza della personalita' di Mandela, esercitata
con pari efficacia sui neri e sui bianchi. Questo prestigio, a sua volta,
non era il frutto del caso. Mandela non ha mobilitato gli africani con
l'estremismo e non ha convinto i bianchi con la moderazione. La forza della
sua leadership risiede nell'impressione che Mandela sa trasmettere di essere
nel giusto, perfettamente nella parte e nello stesso tempo super partes.
Nel 1999 Mandela ha lasciato il potere a Mbeki, che e' stato eletto due
volte alla massima carica dello stato mantenendo saldo il consenso per
l'African National Congress. Via via, Mbeki, soprattutto dopo le elezioni
del 2004, non ha potuto piu' nascondersi dietro la personalita' di Mandela.
Dal canto suo, Mandela ha annunciato formalmente di abbandonare la vita
politica e tutti i suoi obblighi ufficiali in ragione dell'eta' e della sua
fragilita'. La morte di Walter Sisulu nel 2003 aveva rafforzato la sua
solitudine, ultimo superstite fra i protagonisti della battaglia politica e
morale per la liberazione del Sudafrica, che ci siamo abituati a considerare
dei grandi vecchi perche' il regime razzista li ha privati della loro
maturita' condannandoli al carcere o all'esilio. Nel parlare della morte del
figlio, Madiba e' apparso piu' vecchio che mai. Eppure e' chiaro a tutti in
questo momento - la malattia e morte di Makgatho Mandela e' solo un
frammento minuscolo del flagello che incombe sul Sudafrica e l'Africa tutta,
ancora piu' grave nei fatti concreti e nelle prospettive di medio periodo di
quanto non risulti dall'attenzione pur sensazionalistica che a tratti gli
viene riservata dai media - che c'e' ancora bisogno di lui.
*
Come si sa, Thabo Mbeki sul problema dell'Aids si e' opposto strenuamente
all'impostazione di Mandela sottolineando di piu', fra le cause
dell'epidemia, i mali interni di una societa' povera e indebolita
dall'oppressione di cui e' stata vittima rispetto all'uso delle medicine
moderne, importate dall'esterno, molto costose e sostanzialmente al di la'
dei mezzi della maggioranza della popolazione nera.
Anche nei rapporti con la comunita' internazionale, il presidente ha
negoziato il pacchetto operativo in modo da accoppiare agli interventi piu'
propriamente curativi ex-post, su cui comunque il Sudafrica ha ottenuto
qualche vittoria a livello mondiale portando al ribasso del prezzo dei
farmaci distribuiti in Africa e nel Terzo mondo, un'azione intesa a
prevenire la diffusione del contagio attraverso un miglioramento dei servizi
di base. Ora che ha perduto un figlio, Mandela non potra' ne' dire di aver
avuto ragione ne' ammettere di avere avuto torto. Anche perche' i due
approcci si sostengono a vicenda senza escludersi. L'esperienza personale
diventa in se' un motivo di sensibilizzazione, forse un aiuto ulteriore
perche' tutto il Sudafrica si attrezzi psicologicamente e politicamente per
rispondere con piu' consapevolezza alla sfida che dopo la fine
dell'apartheid ha assunto le proporzioni dell'ostacolo principale sulla
strada di un paese per molti versi emblematico e all'avanguardia in questo
nostro mondo alla ricerca di soluzioni giuste per i problemi che rendono
cosi' oscuro il futuro di tutti.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 807 del 12 gennaio 2005

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).