La domenica della nonviolenza. 9



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 9 del 20 febbraio 2005

In questo numero:
1. Ogni vita umana, ogni umano corpo
2. Giuliana Sgrena: Torturatori di Ali Baba
3. Ida Dominijanni: Il buon soldato Graner
4. Luigi Cancrini: L'allegria dei torturatori
5. Giuliana Sgrena: Torturate ad Abu Ghraib
6. Lia Cigarini: Al mondo con amore e con onore
7. Severino Vardacampi: Alcuni minimi opportuni schiarimenti su resistenza,
guerriglia, terrorismo
8. Paolo Tranchina: Breve storia dei "Fogli di informazione"

1. EDITORIALE. OGNI VITA UMANA, OGNI UMANO CORPO
Ogni vita umana e' un valore infinito. Questo sanno tutte le grandi
tradizioni religiose e filosofiche del mondo.
Ogni umano corpo e' tempio e verita', inseparabile dalla scintilla che lo
anima: una persona e' il suo corpo, e l'integrita' di quel corpo e'
l'integrita' di quella persona.
E cosi' chi attenta anche a una sola vita umana, chi attenta anche a un solo
corpo umano, lacera l'umanita' intera, nelle sue stesse carni affonda lo
strale, tutto distrugge, nulla mai potra' liberare, nulla mai riscattare,
nessuna verita' e giustizia attingere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita': questo concordi attestano le
grandi tradizioni religiose e filosofiche del mondo, questo attesta il
sentire di ogni essere umano esposto al dolore, al male, alla morte.

2. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: TORTURATORI DI ALI BABA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 gennaio 2005. Giuliana Sgrena,
intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e'
tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e
islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di,
La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i
califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma
2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004); e' stata inviata del
"Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente
stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4
febbraio 2005]

Prigionieri iracheni a terra, avvolti in una rete, presi a calci,
calpestati, macchie di sangue sul pavimento. Altri uomini costretti a
simulare atti sessuali, anali e orali, e poi ancora all'umiliazione di
alzare il pollice, in segno di "tutto ok!". Un militare che sbeffeggia un
iracheno costretto a portare una cassa in testa, mentre un altro uomo e'
infilato su un montacarichi che si alza. Scene raccapriccianti quelle che
compaiono nelle ventidue foto "souvenir" scattate dai militari inglesi a
Camp Breadbasket ("cesto di pane", paradossalmente, perche' era un magazzino
per aiuti "umanitari"), un centro che si trova vicino a Bassora, la citta'
dell'Iraq meridionale sotto controllo britannico.
Immagini scioccanti che ieri sono apparse sugli schermi delle tv inglesi in
coincidenza con l'avvio in Germania, nella base di Osnabrueck, di un
processo davanti alla corte marziale contro tre militari britannici del
Royal Regiment of Fusiliers, accusati di abusi e umiliazioni sessuali
commessi contro cittadini iracheni nel maggio del 2003. Il processo si
svolge a Osnabrueck perche' i tre imputati si trovano di stanza in una base
militare britannica nel nord della Germania. Le foto sono state presentate
al processo come prova dall'accusa che le aveva avute da un laboratorio
fotografico di Tamford (Staffordshire), dove era stato portato il rullino
per lo sviluppo. L'addetto del laboratorio, che si era detto scioccato dalle
immagini, aveva deciso di consegnare gli scatti alla polizia. Ieri, Nick
Clapham, il tenente colonnello che rappresenta l'accusa, ha detto di non
ritenere queste foto un "incidente" e ha definito le immagini "scioccanti e
allucinanti".
La galleria degli orrori non ha fine, proprio come, forse peggio, ma e'
difficile fare una classifica tra tanti orrori, delle immagini che ci erano
giunte da Abu Ghraib. Cambiano i carnefici, allora erano americani questa
volta sono britannici, ma forse se ne scopriranno altri, ma le vittime sono
sempre iracheni.
Questa volta non sono sospettati di essere "ribelli" ma solo "Ali Baba",
come vengono chiamati in Iraq i ladri. Quando il comandante del Camp
Breadbasket aveva lanciato l'"operazione Ali Baba", lo scorso anno - dopo
che Bush aveva gia' dichiarato finita la guerra - per cercare di catturare i
ladri - l'inizio dell'occupazione era coincisa con i saccheggi -, aveva
detto ai suoi uomini di "trattarli duramente". Un ordine che andava contro
il rispetto delle convenzioni internazionali, ma gli uomini erano andati ben
oltre, ha riferito Clapham alla corte marziale. Peraltro, probabilmente non
c'erano grandi segreti da estorcere agli Ali Baba di turno, ma quello della
tortura del cui abuso da parte degli eserciti e' ricca la storia, in Iraq
non usa il sesso solo come punto debole per costringere il prigioniero a
confessare, ma utilizza l'atto sessuale come strumento di umiliazione di un
popolo sotto occupazione. Uno strumento in piu' nelle mani dei nuovi, anzi
vecchi colonizzatori.
Dei tre imputati - i caporalmaggiore Darren Larkin, Mark Cooley e il
caporale Daniel Kenyon - davanti alla corte marziale solo il primo dei tre
ha ammesso di aver aggredito e maltrattato ma solo un detenuto. Egli prova
vergogna per il suo "comportamento inaccettabile", che "ha sporcato la
reputazione del suo reggimento e della sua famiglia", ha riferito il suo
avvocato. Il processo e' destinato a durare diverse settimane. Era stato
preceduto la settimana scorsa da un altro processo contro un altro militare,
Gary Bartlam, dello stesso reggimento, condannato. Ma della pena non si
conosce l'entita', perche' il tutto era avvenuto in segreto davanti alla
corte marziale britannica di Bergen, sempre in Germania. Soprattutto e'
stato preceduto dalla condanna a dieci anni di Charles Graner, il soldato
statunitense accusato di essere il capobanda dei torturatori di Abu Ghraib.
Il capo di stato maggiore delle forze britanniche, generale Mike Jackson,
non ha voluto commentare direttamente le foto, ma ha condannato ogni abuso,
affermando di avere fiducia nel sistema investigativo e giudiziario. Ha
voluto inoltre sottolineare che le accuse riguardano solo un piccolo numero
tra i 65.000 militari britannici che hanno finora servito in Iraq. Un
piccolo numero finora e per quanto si sa. Ma e' quanto basta non solo per
coinvolgere anche i britannici nelle aberranti pratiche della tortura, ma
anche per avvelenare ulteriormente la scandenza del 30 gennaio. Che per gli
occupanti vorrebbe essere un primo passo nel processo di democratizzazione,
di cui finora si sono visti solo soprusi, morti e torture, sempre piu'
aberranti. Un nuovo colpo alla gia' deteriorata immagine di Tony Blair.

3. ABU GHRAIB. IDA DOMINIJANNI: IL BUON SOLDATO GRANER
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 gennaio 2005. Ida Dominijanni,
giornalista e saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista]

Il buon soldato Graner ha parlato per tre ore davanti alla corte marziale
americana che lo ha processato e condannato a dieci anni di galera per le
torture di Abu Ghraib.
Ha parlato e ha riso, raccontando di quando massacrava i prigionieri,
scattava foto e rideva. Perche' rideva allora, perche' ha riso adesso, gli
hanno chiesto. Risposta: "Non ce n'era e non ce n'e' motivo. E' la nevrosi.
A Abu Ghraib abbiamo fatto cose indicibili, sopportabili solo con
l'assuefazione e con l'idea che ci fosse qualcosa di divertente".
Il buon soldato Graner ha raccontato che a Abu Ghraib lui e i suoi compari
dovevano pero' adoperarsi a far si' che l'assuefazione non colpisse i
prigionieri. Loro no, non dovevano assuefarsi al dolore perche' il dolore
doveva restare insopportabile e aumentare ogni volta: questa era l'unica
regola da osservare. Un po' di fantasia insomma, per non rendere la
sofferenza troppo routinier. Botte ovunque sul corpo; schiaffi in faccia;
umiliazioni sessuali. A ripetizione, ma con quel tanto di imprevedibilita'
da vincere ogni istinto di difesa dei detenuti. Trattamenti
individualizzati: per ognuno una scheda personalizzata, come in palestra.
"Gradi crescenti di privazione del sonno e del cibo, tecniche di pressione
fisica e psicologica, uso mirato dell'isolamento notturno e diurno". Nudita'
obbligatoria. Tempo massimo per mangiare cinque minuti, tempo minimo venti
secondi.
Il buon soldato Graner ha aggiunto che lui, e altri come lui, non erano
stati addestrati adeguatamente per questi compiti, non erano preparati al
meglio, e che per questo le cose sono degenerate. Con un po' di tecnica in
piu', chissa', le cose sarebbero andate meglio: un buon sadico deve saper
esercitare un perfetto controllo su quello che fa, altrimenti rischia di
sbagliare le dosi. La preparazione tecnica invece era stata sostituita
dall'imperativo di eseguire gli ordini senza discuterli, punto e basta. E
quindi il buon soldato Graner li eseguiva. Aveva provato a obiettare
qualcosa, col capitano Brenson, i sergenti Snyder e Ward, il tenente
Phillabaum, il maggiore Rayder, ma gli fu detto di tacere e eseguire e lui
tacque e esegui'. "Non c'era nulla di legale. Abbiamo commesso atti
criminali. Ma per me, allora, erano ordini, anche se ne dubitavo". Che
doveva fare allora il buon soldato Graner? Come ha detto sua madre in suo
soccorso: "Lo state processando, ma anche se avesse disobbedito lo avreste
processato". Che differenza fa? Obbedienza e disobbedienza indifferenti ai
contenuti del comando.
*
Nel 1961, di fronte al tribunale di Gerusalemme che lo processava e lo
condanno' a morte per lo sterminio degli ebrei, Adolf Eichmann non
considero' sufficiente difendersi invocando l'ubbidienza agli ordini;
rivendico' anche una piu' impegnativa obbedienza alla legge, improntata ai
principi dell'etica kantiana, o meglio a cio' che di quei principi gli
pareva di aver afferrato, di un'etica kantiana, come lui stesso disse, "a
uso della povera gente".
Hannah Arendt, raccontando il processo ne La banalita' del male, sottolinea
l'importanza di questa distinzione dell'imputato: per fare scorrere la
banalita' del male non basta darsi l'alibi di eseguire un comando altrui,
bisogna interiorizzare quel comando, "identificare la propria volonta' col
principio che sta dietro la legge, agire come se si fosse il legislatore che
ha stilato la legge cui si obbedisce".
Adolf Eichmann non eseguiva passivamente gli ordini di questo o quel
superiore, aderiva attivamente all'ordine superiore della legge, che per lui
si identificava con il Fuehrer. L'"obbedienza cadaverica", come lui stesso
la defini' durante il processo, non si alimenta ne' di fanatismo ne' di
automatismi, ma di una ligia e salda ancorche' perversa coscienza. Il buon
soldato Graner non lo sa, o e' figlio di un'epoca, la nostra, in cui anche
la banalita' del male si banalizza ulteriormente e come un automa risponde
all'impulso automatico di superiori senza neanche l'aura dell'autorita'
della legge?

4. ABU GHRAIB. LUIGI CANCRINI L'ALLEGRIA DEI TORTURATORI
[Dal sito de "Il dialogo" (www.ildialogo.org) riprendiamo il seguente
articolo gia' apparso sul quotidiano "L'unita'" del 18 maggio 2004. Luigi
Cancrini, nato a Roma nel 1938, e' psichiatra e docente universitario,
fondatore nel 1970 del Centro studi di terapia familiare e relazionale di
Roma. Opere di Luigi Cancrini: (a cura di), Esperienze di una ricerca sulle
tossicomanie giovanili in Italia, Mondadori, Milano; Bambini diversi a
scuola, Boringhieri, Torino 1974; Quei temerari sulle macchine volanti, La
nuova Italia scientifica, Roma 1982; Dialoghi col figlio, Editori Riuniti,
Roma 1987; Psicoterapia: grammatica e sintassi, La nuova Italia scientifica,
Roma 1987]

La cosa che piu' mi aveva colpito delle fotografie scattate nel carcere di
Abu Ghraib era, fin dall'inizio, il fatto che i torturatori si mettevano in
posa. Che non pensavano di doversi vergognare di cio' che stavano facendo e
che esibivano naturalmente la faccia trionfante di chi e' convinto di fare
cose giuste.
Si trattava di fotografie che non erano state scattate di nascosto ma con la
partecipazione divertita dei protagonisti, ce lo conferma oggi Lynndie
England che non aveva nessuna paura di essere scoperta e punita perche'
stava soltanto eseguendo degli ordini: muovendosi all'interno di quelle che
erano le sue (loro) "regole di ingaggio".
Non si poteva non pensare fin dall'inizio, del resto, ai toni usati da Bush
e dai suoi nel corso di questi ultimi terribili anni: parlando di impero del
male, di male assoluto e di guerra da combattere nel nome di un bene
altrettanto assoluto, quelle che venivano giustificate fin dall'inizio,
difendendole senza riserve e senza scrupoli da tutte le proteste delle
organizzazioni umanitarie, erano state prima le bombe poco intelligenti
sganciate per errore (o per aumentare l'orrore) su obiettivi civili (i
mercati e le scuole, gli ospedali le case) e poi Guantanamo, la strana
prigione (o lager) in cui tutti i diritti erano sospesi perche' i nemici
dell'armata che combatteva in nome del bene non meritavano per definizione
(cosi' dicevano allora, con la stessa mancanza di pudore dei torturatori di
oggi, i generali alleati) di essere considerati dei prigionieri di guerra.
Alimentando, con le parole e coi fatti, una spirale di violenza che non
poteva non determinare conseguenze del tipo di quelle di cui ci viene data
testimonianza oggi. Si accusavano i pacifisti di essere "antioccidentali",
allora, quando tentavano di denunciare questi aspetti inquietanti delle
guerre preventive di Bush.
Quello che si faceva finta di non vedere, tuttavia, era lo spaventoso
insieme di conseguenze di quella che si profilava gia' allora come una
ingiustificabile sospensione delle regole cui ci si dovrebbe attenere anche
in tempo di guerra.
*
In un bellissimo murale di Rivera, a Citta' del Messico, i soldati spagnoli
che massacrano le popolazioni azteche stuprando le donne e uccidendo bambini
che hanno occhi terribilmente simili a quelli di Hanan Matzud (uccisa dai
soldati inglesi a Bassora) non si vergognano di quello che fanno. Ne sono
fieri e agiscono con la faccia trionfante di chi e' convinto di fare cose
giuste: cercando lo sguardo compiaciuto dei loro capi religiosi e militari.
Cosi' come benedetti si sentono oggi i kamikaze e cosi' come benedetti dal
sorriso dei loro capi si sentivano non molti anni fa i persecutori al
servizio di Hitler, di Mussolini, di Stalin e di tanti altri uomini malati
di odio e di fanatismo.
Sono precedenti importanti, questi, per capire l'effetto che si determina ai
livelli bassi delle gerarchie quando il clima ai livelli alti si ispira ad
un fanatismo insano: un effetto che e' largamente indipendente dalla
validita' dei principi cui ci si ispira o si crede di ispirarsi. L'allegria
del torturatore che da' sfogo alle sue parti sadiche tormentando un nemico
in carne ed ossa altro non e' che la realizzazione naturale, infatti, del
pensiero malato di chi, dall'alto, esercita il suo sadismo senza sporcarsi
le mani. Sta nell'intesa tacita fra un braccio e una mente animati da una
medesima intenzione che sono state scritte le pagine piu' orrende della
storia dell'uomo. Sta nel clima di odio e di intolleranza costruito ed
imposto dall'alto la ragione piu' semplice del liberarsi di un numero
impressionante di follie individuali.
E' per questo motivo, credo, che risulta impossibile oggi credere a chi, in
Italia, in Inghilterra, o negli Usa dice di non aver saputo mai nulla di
quello che davvero accadeva nelle prigioni. Uomini del livello di Berlusconi
che festeggiano il Milan mentre i nostri soldati combattono e muoiono a
Nassirya sono talmente abituati a sottovalutare la gravita' di quello che
accade a persone che per loro sono soltanto insetti da schiacciare o pedine
da manovrare da non meritare, in fondo, nemmeno l'attenzione delle critiche.
Le loro menzogne, tuttavia, vengono dette con una tranquillita' sempre meno
convincente.
Viviamo ancora in democrazia, negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Italia,
ed e' possibile, infatti, mandare a casa un gruppo di responsabili politici
malati di protagonismo e di una patologia grave del senso morale. Per
utilizzare il voto, pero', che e' sicuramente l'arma piu' importante nelle
mani dell'uomo moderno, quelle che sono necessarie sono prima di tutto la
chiarezza e la coerenza delle posizioni contrapposte: allineando in questo
caso le opposizioni, anche quelle che finora si sono dimostrate piu'
incerte, sul rifiuto assoluto a portare avanti un coinvolgimento dei soldati
italiani basato sulla subordinazione di fatto ad eserciti le cui "regole
d'ingaggio" sono state dettate dalla follia sanguinaria di Bush e di
Rumsfeld. Una follia di cui ci da' testimonianza diretta oggi la
torturatrice di cui non sara' facile dimenticare il sorriso, il cinismo e la
stupidita'.

5. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: TORTURATE AD ABU GHRAIB
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 giugno 2004]

"Lo scorso mese prigioniere del carcere di Abu Ghraib avevano fatto uscire
dalla prigione dei volantini in cui denunciavano di essere state stuprate"
(National public radio, 4 maggio 2004). Una donna dell'universita' di
Baghdad, che lavora per Amnesty international, ha descritto l'abuso sessuale
da lei subito a un posto di blocco: un soldato americano "mi ha puntato il
laser al centro del petto e poi ha puntato il suo pene. E mi ha detto: vieni
qui cagna, che ti...". Secondo la professoressa Huda Shaker "molte donne
hanno subito violenze sessuali nel carcere di Abu Ghraib, compresa una
ragazza che e' stata stuprata da un americano della polizia militare ed e'
rimasta incinta" ("The Guardian", 12 maggio 2004). Anche l'ex ministro dei
diritti umani iracheno, dimessosi in maggio, Abdel Bassat Turki, aveva
denunciato il trattamento delle donne nel famigerato carcere: "Sono state
negate loro cure mediche. Non hanno toilette adatte. E' stata fornita loro
una sola coperta, anche d'inverno. E le loro famiglie non hanno avuto il
permesso di visitarle" ("The Guardian", 12 maggio 2004). Il ministro non ha
menzionato le violenze sessuali, forse per pudore.
*
Tra le molte immagini diffuse sulle torture nel carcere di Abu Ghraib non si
vedono mai detenute, e degli abusi da loro subiti non si parla, o quasi. E
non a caso. Innanzitutto e' una vergogna aver subito violenze sessuali, e
poi si temono le conseguenze: per lavare l'onta le famiglie potrebbero anche
ucciderle.
L'avvocato di cinque detenute racconta che le donne gli hanno detto di
essere state picchiate, ma non di essere state stuprate. "Avevano vergogna.
Dicevano: non possiamo dirglielo. Abbiamo famiglia. Non possiamo raccontare
cosa e' successo" ("Los Angeles times", 12 maggio 2004). E la ragazza che
era rimasta incinta ora e' scomparsa. Huda Shaker e' andata a cercarla a
casa sua, "ma i vicini hanno detto che la famiglia era andata via". E ci
sono forti dubbi che la ragazza sia ancora viva.
Il rischio che ragazze o donne stuprate non sopravvivano al "disonore" della
famiglia e' infatti estremamente fondato. Per subire minacce e ricatti non
e' nemmeno necessario che il fatto sia accaduto, basta il semplice sospetto.
Che ricadra' anche sulle figlie. E' quanto teme una ragazza la cui madre e
la zia sono rinchiuse ad Abu Ghraib. Sconosciuti hanno cominciato a infilare
sotto la porta di casa sua giornali e foto false, tratte da riviste e siti
pornografici, ma chi ci credera' che non sono vere? Poco importa se il
colonnello Barry Johnson, portavoce del generale incaricato delle carceri,
ha negato che le cinque donne ancora detenute - tre ad Abu Ghraib e due in
altri luoghi - non hanno subito abusi. Chi puo' credergli? (e in questo caso
a ragione).
Anche perche' le donne, sebbene siano detenute in luogo separato dai maschi,
si trovano proprio nel famoso blocco 1A, dove sono state scattate la maggior
parte delle raccapriccianti foto delle torture. "Con le foto e i cd che sono
circolati e' quasi irrilevante se sono state violentate o meno", sostiene
Manal Omar, la coordinatrice irachena di Women for women. "Anche prima dello
scandalo delle torture, circolavano voci sugli stupri delle donne in
prigione. Con o senza le foto dei siti porno, le immagini circolate lo hanno
fatto credere. Hanno trasformato le voci in fatti" ("Csmonitor", 28 maggio
2004). "Nella nostra cultura, se una donna e' stata in prigione, si pensa
che sia stata violentata", aggiunge Yanar Mohammed, molto impegnata nella
lotta per i diritti delle donne e direttrice del giornale "Almosawat"
(Uguaglianza).
*
A sollevare la questione delle violenze sulle donne nelle carceri irachene e
afghane e' anche la campagna "Ne' sangue, ne' stupri per il petrolio"
sostenuta da Black women's rape action project (bwrap at dircon.co.uk) e Women
against rape (war at womenagainstrape.net). Queste organizzazioni hanno scritto
alle deputate dei paesi che fanno parte della coalizione (Stati Uniti e Gran
Bretagna) per chiedere conto dei crimini e delle torture, stupri compresi,
di cui si sono resi complici i rispettivi governi. "Non accettiamo che le
autorita' possano semplicemente ignorare. C'e' una evidenza crescente che
gli ordini di torturare, compreso lo stupro, sono venuti dai piu' alti
comandi. Noi non accettiamo che il governo britannico neghi responsabilita'
per le azioni commesse dalle truppe Usa e viceversa. Coalizione significa
responsabilita' comune. Perche' nessuno che occupa posizioni di comando si
e' dimesso? Lo chiederete ora, in modo che vengano processati?".

6. RIFLESSIONE. LIA CIGARINI: AL MONDO CON AMORE E CON ONORE
[Da "Via Dogana" n. 70 del settembre 2004 riprendiamo questo articolo di Lia
Cigarini. Ringraziamo le amiche della Libreria delle donne di Milano per
averci messo a disposizione questo ed altri testi che contengono riflessioni
che sentiamo decisive. Per richiedere "Via Dogana" (rivista la cui lettura
vivamente raccomandiamo) e per contattare la Libreria delle donne di Milano:
e-mail: info at libreriadelledonne.it, sito: www.libreriadelledonne.it. Lia
Cigarini e' una delle figure piu' vive del pensiero e dell'agire delle
donne, di molte e di molti maestra]

Vorrei fare alcune annotazioni al mio articolo apparso sul precedente numero
di "Via Dogana", Insopportabile [riprodotto anche nel n. 814 de "La
nonviolenza e' in cammino"], perche' non sono del tutto contenta di quello
che ho scritto. Ho scritto che guardando le fotografie delle soldate
americane con i prigionieri iracheni umiliati e torturati, non vedevo delle
donne bensi' dei manichini fallici.
Non c'e' niente di consolatorio in questa affermazione. Anzi: registravo il
radicale annientamento, in quel contesto di guerra, del simbolico delle
donne, simbolico che ruota intorno alla potenzialita' del corpo femminile di
essere due, di accogliere, nutrire, parlare all'altro. Per me e altre questa
potenzialita' pensa e agisce nella e attraverso la relazione duale, antidoto
sia all'io ossessivo e solitario che ad ogni identita' collettiva.
Marco Bascetta, sull'ultimo numero di "Leggendaria" dedicato all'analisi di
quello che e' successo in Iraq, mi rassicura: nei corpi militari ogni
differenza deve essere sacrificata, non resta che la diserzione, e richiama
il grande esodo delle femministe dai gruppi extraparlamentari in guerra con
lo Stato, esodo, dice, che segno' un limite, apri' una contraddizione senza
"fondare un ordine nuovo e un nuovo principio di trascendenza in cui la
molteplicita' dei singoli e' destinata a confluire".
In effetti, il movimento delle donne in nessun paese si e' dato
un'organizzazione, un'ideologia comune, un apparato, neppure delle
portavoce; e' costituito invece da tanti piccoli gruppi, da tante pratiche
differenti, da tante voci diverse, ecc.. Percio' alcune dicono: erano
pochissime quelle che si sono arruolate nella lotta armata, sono poche
quelle negli eserciti, saranno sempre una minoranza, non c'e' da
preoccuparsi troppo... Tuttavia se guardo verso quello che succede intorno a
me, lasciando l'Iraq e le soldate americane al loro inevitabile destino
unisex, continua l'ansia per la fragilita' della nostra pratica politica. So
che con questa fragilita' abbiamo sempre convissuto, avendo rinunciato a
tutti i mezzi elaborati fin qui per rafforzare la propria politica,
collocandoci in contesti piu' piccoli, piu' vicini alle relazioni
quotidiane.
Sono consapevole che sempre piu' pensatori della politica di sinistra  (vedi
da ultimo Miguel Benasayag) si accostano  alla pratica di relazione come la
piu' consona al momento storico. Ma, se allargo lo sguardo al mondo del
lavoro ed ai luoghi decisionali della societa' (tribunali, industrie,
professioni, universita', polizia, ecc.) dove le donne stanno affluendo in
massa, quello che vedo sono sempre piu' donne in trappola, fatte a pezzi
simbolicamente. E cosi' la differenza femminile diventa un filo sottile che
si spezza in piu' punti, in piu' contesti. Non solo nei corpi militari e di
polizia.
Nel "Sottosopra" sulla fine del patriarcato e, recentemente, a Diotima, e'
stato sottolineato che il patriarcato, anche se in modo perverso e
oppressivo, preservava la differenza femminile. Ora, e con verita', questa
e' nelle nostre mani.
Le donne sono in trappola (cosi' non e' stato per la mia generazione)
perche' tutto spinge ad essere come gli uomini, a reclamare la spartizione
del potere. I media, in maniera ossessiva, ogni giorno contano i posti
conquistati o non conquistati, sfornano statistiche sulla poca presenza
delle donne nei posti di comando. Sul "Corriere della Sera" del 19 luglio
scorso, e' apparsa un'inchiesta che mette sotto accusa la predilezione
femminile per le facolta' umanistiche, chiamate con disprezzo ginecei, e
sotto accusa sono anche le madri e le insegnanti che le spingono a questa
scelta. Nel testo, che da' conto di una ricerca, qualsiasi asimmetria tra i
sessi - che e' uno dei modi con i quali si esprime la differenza sessuale -
e' condannata e deve essere corretta. Tra poco anche la predilezione
femminile per la lettura sara' considerata tempo perso, sottratto alla lotta
per conquistare posti di comando e soldi: gli uomini semianalfabeti ma bravi
in informatica sembrano essere l'unico modello per questi ricercatori, donne
e uomini che siano.
E' in corso una specie di campagna per la riduzione ad uno, dei sessi e del
simbolico.
In prima fila in questa battaglia c'e' il femminismo della parita' con ampio
codazzo di sociologhe, esperte del lavoro e di economia, che martella
proponendo obiettivi, carriere e chiedendo ossessivamente leggi di parita'.
E' sicuramente necessario controbattere con maggior energia a queste
posizioni che sono diventate la lingua corrente dei mass-media e del
femminismo piu' realista del re.
Non sono pero' per seguire quest'unica strada, anche se la condivido. C'e'
una spinta delle donne all'indipendenza economica e al prestigio sociale che
le porta ad occupare, comunque, posizioni e luoghi regolati dalla
competizione, dalla gerarchia, dalle tattiche e strategie del potere
maschile. Milagros Rivera, in un recentissimo testo intitolato La mediazione
femminile, sostiene che in quei contesti non si riesce in alcun modo a fare
passare la sessualita' femminile se non la sua parte fallica. Non si trovano
i "sentieri" e "camminamenti" che pure alcune donne eccezionali in passato
hanno scoperto e, quindi, si e' strette in una contraddizione lacerante che
porta a separare vita e lavoro, relazione (amore lo chiama Milagros) e
prestigio sociale. Molte donne, soprattutto ai livelli direzionali, si
adattano alle regole del "tra uomini" perche' pensano di essere prese per
pazze se marcano la relazione come orientativa nella vita lavorativa.
Questo e' il punto dunque: trovare il sentiero. Discutendo con Luisa Muraro
dicevamo: la strada non puo' che partire dal rafforzamento dei rapporti tra
donne in qualsiasi luogo: e' stata la strada mia e sua e di tante altre, non
siamo cadute in alcuna trappola, ci siamo mosse con liberta' nel mondo senza
rinunciare a stare al mondo con "amore" e "onore".
In questo senso vanno le madri e insegnanti "sessantottine" deprecate dalla
ricerca riportata dal "Corriere", che indicano alle figlie di seguire il
loro piacere nelle scelte anziche' i soldi, in questo senso va l'intervista,
pure apparsa sul "Corriere della Sera" all'attrice americana Meryl Streep la
quale, tra altre cose interessanti, dice: "sono grata alle donne che
dirigono gli studios, come Sherry Lansing... come Amy Pascal, alla guida
della Columbia. E' un aspetto della storia di oggi di Hollywood che un
giorno sara' scritto. Avere donne in consigli decisionali degli studios ha
portato ruoli non solo alle ragazze giovani e belle".
Quindi ci sono donne potenti e con prestigio sociale che non rinunciano
all'amore per le proprie simili e per se stesse dando lavoro ad attrici
bravissime ma anziane e nel contempo attraverso i film combattono la
schiavitu' femminile propria dell'Occidente: la pelle necessariamente liscia
e la taglia 42. Questa e' un'eccellente mediazione femminile.
Si tratta, dunque, di lottare e pretendere dalle sociologhe, economiste,
lavoriste, giornaliste e via dicendo, che, invece di accanirsi contro
l'asimmetria tra i sessi nel lavoro (che e' conflitto, dialettica, piu'
liberta'), ci diano l'analisi dello stato dei rapporti tra donne, tra donne
e uomini, e dei rispettivi punti di vista sull'altro sesso, nonche' del
disagio o dell'agio femminile, di come lavorano donne e uomini, dei
conflitti e delle mediazioni. Insomma dobbiamo pretendere piu' rispetto per
le scelte femminili. A me sembra ovvio che, se le donne per secoli hanno
umanizzato la vita curando figli, case, uomini, feriti, ecc., oggi vogliano
umanizzare il lavoro, contro il macchinismo tecnologico maschile e scelgano
quindi le facolta' umanistiche.
Tuttavia il trauma iracheno e la consapevolezza di uno stato di guerra che
e' mondiale e permanente ha messo in discussione i contesti piccoli del
nostro agire relazionale e ci spinge a disegnare un orizzonte piu' ampio.
Il bisogno di fare ordine simbolico - che e' tanta parte della politica
delle donne - a fronte di accadimenti sempre piu' rapidi e sovrastanti, non
puo' che allargare il contesto del nostro pensare e agire. Secondo me, non
ha piu' senso dire: la pratica di relazione la agisco li' dove sono, non ha
senso perche' in realta' siamo qui e siamo altrove.
Non la penso come un'operazione intellettuale bensi' come un'esposizione di
me stessa, della mia pratica di relazione duale in momenti e luoghi lontani
dall'epicentro della mia attivita'. Certo, con il rischio di esporre agli
occhi di tutti la fragilita' della mia pratica di relazione. Ma qui si
tratta di rendere viva la differenza femminile e non di custodirla con arte.
Mi diceva di recente Ida Dominjanni: bisogna che l'amore smetta di essere,
in politica, un indicibile, noi non possiamo parlare di amore come delle
piccole illuministe. Sono d'accordo e credo che sia il modo di toccare (o
rianimare, direbbe qualcuna) il desiderio maschile di uscire dalla corazza
che lo imprigiona e dalle sue pulsioni distruttive nei confronti delle
donne.
Se la differenza sessuale e' il cuore della libido e del desiderio, come
penso, ci potrebbe essere un interesse maschile affinche' sia viva.
Puo' essere questo un sentiero da percorrere per fare si' che la mediazione
femminile sia mediazione vivente per donne e uomini?

7. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: ALCUNI MINIMI OPPORTUNI SCHIARIMENTI SU
RESISTENZA, GUERRIGLIA, TERRORISMO
[Severino Vardacampi e' uno dei principali collaboratori del Centro di
ricerca per la pace di Viterbo]

Sara' forse opportuno tentare di contribuire a fare un po' di luce su un
groviglio di questioni la cui disamina chiara e distinta e' assolutamente
necessaria.
Resistenza, guerriglia e terrorismo sono tre concetti ed oggetti diversi, ma
che possono avere contatti ed intrecci profondi tra loro.
Ma si puo' dire anche altrimenti: questi tre oggetti e concetti possono
essere variamente connessi, ma non sono affatto una stessa ed unica cosa.
*
Per resistenza nel linguaggio storiografico e politologico si intende in
sostanza il soggetto e l'azione dell'opporsi a un regime oppressivo: in
quanto tale essa trova legittimita' nell'estensione del principio giuridico
della legittima difesa, e sempre in quanto tale essa puo' estrinsecarsi in
forme assai diversificate: la forma piu' rigorosa, coerente, limpida e
intransigente di resistenza e' senza dubbio la resistenza nonviolenta,
poiche' essa si oppone nel modo piu' nitido e concreto alla violenza
dell'oppressione, ripudiando finanche e anzitutto di riprodurla sia pure in
parte nel proprio agire.
*
Per guerriglia si intende in sostanza un'attivita' di tipo militare, quindi
fondata sull'uccidere persone, che si oppone a un potere oppressivo che
dispone di un apparato militare superiore tale da precludere al soggetto che
pratica la guerriglia la possibilita' di contrapporglisi in battaglia in
campo aperto nelle forme di un esercito regolare e di una guerra condotta
"simmetricamente", ovvero con modalita' speculari.
La guerriglia puo' anche essere una delle forme attraverso cui si esercita
una attivita' di resistenza, ma non e' ne' l'unica, ne' la principale.
Inoltre la guerriglia puo' essere praticata anche da soggetti che non stanno
resistendo a un'oppressione, ma che un'oppressione vogliono instaurare, o
che vogliono semplicemente rovesciare un ordinamento giuridico, anche
legittimo e democratico.
Il nocciolo della questione a noi pare che sia il seguente: la guerriglia e'
comunque un'attivita' militare, fondata quindi sull'uccidere esseri umani;
in quanto tale essa riproduce la violenza degli eserciti e della guerra, e'
schiava del male dell'uccidere. Possono essersi date nel corso della storia
situazioni tali per cui a persone di volonta' buona si impose la terribile
necessita' di essere disposti ad uccidere (oltre che ad essere uccise), ma
si tratta appunto di una coazione: uccidere resta sempre un male. Le
migliori intenzioni non mutano il fatto che quando una persona viene uccisa,
e' stata privata del diritto fondamentale senza del quale nessun altro
diritto si da', il diritto a vivere, inerente a tutti gli esseri umani;
quando si accetta di uccidere anche una sola persona, si viola l'unico
principio che fonda l'umana convivenza: tu non uccidere, poiche' tutti -
come te - hanno diritto a vivere.
*
Per terrorismo si intendono atti ordinati a terrorizzare qualcuno per
annientarne la volonta', per annichilirne la liberta', per cancellarne la
dignita'
Al repertorio degli atti di terrorismo hanno attinto ed attingono tuttora a
piene mani stati, istituzioni, movimenti, gruppi organizzati di varia natura
e finalita', e naturalmente anche singoli (anch'essi con identita', status e
caratteristiche diversificatissime: dall'imprenditore che assolda il sicario
che uccidera' Chico Mendes, al suicida che compie una strage su un autobus).
Soggetti diversissimi, e in nessun modo omologabili, hanno fatto uso del
terrorismo. E' terrorista il regime giacobino; e' terrorista il regime
hitleriano e quello staliniano; e' terrorista il bombardamento di Dresda e
la bomba di Hiroshima; e' terrorista il comandante partigiano quando fa
fucilare il partigiano che ha commesso un crimine; e' terrorista il soldato
dell'esercito israeliano quando spezza le braccia dei ragazzi palestinesi
della prima intifada; e' terrorista il combattente suicida-stragista
palestinese o ceceno; e' terrorista il militare dell'esercito americano
torturatore e stragista ad Abu Ghraib e a Falluja; sono terroristi i
tagliagole del fondamentalismo islamico; sono terroristi gli stragisti
dell'11 settembre 2001; sono terroristi gli assassini di Quattrocchi e di
Baldoni; e' terrorista la mafia; sono terroristi i dipendenti dello stato
italiano che hanno commesso le torture a Bolzaneto; e' terrorista un
ordinamento giuridico quando prevede ed irroga la sanzione della pena
capitale; e' terrorista il pater familias che picchia coniuge e figli.
E' evidente che questi soggetti sono tutti diversissimi l'uno dall'altro,
non omologabili, e che le loro azioni vanno anche interpretate muovendo da
un'analisi contestuale, ricostruendo le eziologie, anzi le genealogie e le
costellazioni di eventi, discernendo, comprendendo tutto senza nulla
giustificare.
E' evidente che la Resistenza al nazifascismo restera' sempre cosa buona e
giusta anche se nel corso di essa, nel contesto della ferocia e della
barbarie della guerra dal nazifascismo scatenata, possono essersi dati
singoli episodi finanche di atrocita'; e che la condanna morale, dolorosa,
netta e ineludibile di quegli episodi non inficia il valore globale,
assoluto e  complessivo, della Resistenza. Cosi' come e' evidente che il
fatto che uno stato democratico possa commettere in alcuni apparati e
situazioni e momenti atti terroristici non lo rende affatto terrorista tout
court, e che la condanna di quegli atti di terrorismo non implica che quello
stato in quanto tale possa essere equiparato a una dittatura. Cosi' come e'
evidente che chi per legittima difesa di se' e di molti di fronte
all'aggressore assassino si trova ad uccidere quell'aggressore assassino non
avendo saputo o potuto trovare alternative per difendere come e' suo diritto
la vita sua e quella di molti, non e' ipso facto un criminale anche se,
uccidendo, un crimine - il piu' orribile dei crimini - ha commesso.
Nell'interpretazione degli eventi sempre e' necessario l'esercizio delle
facolta' di analisi e di sintesi, la capacita' di saper distinguere e la
capacita' di saper riassumere e contestualizzare. E nella riflessione
politica e morale sempre e' necessario quell'atteggiamento che Simone Weil
chiamava attenzione, e che in un indimenticabile luogo del Chisciotte in cui
si tratta di cosa sia giustizia e di come la si debba amministrare viene
chiamato misericordia. Quella misericordia che possa sempre ispirare i
nostri atti ed i nostri giudizi.
Ma resta il fatto che un atto di terrorismo e' un atto di terrorismo, e le
vittime restano vittime, i carnefici carnefici, gli assassini assassini, e
tanto l'umanita' delle vittime quanto quella dei carnefici e degli assassini
ne viene vulnerata, e con esse l'umanita' intera.
Mai il terrorismo puo' essere ammesso. Mai. Ove e' il terrorismo, l'umanita'
muore tra le sofferenze piu' atroci. Ove e' il terrorismo non vi e' gia'
piu' piena e limpida e forte resistenza, poiche' una resistenza autentica,
veritiera e verificante, e' sempre resistenza contro l'inumano in nome della
comune umanita'.
E' ben vero che pure esso terrorismo ha avuto fin nel capolavoro di Hegel la
sua oscena magnificazione - in quelle tremende pagine, certo "splendide di
forza e di genio", della Fenomenologia dello spirito in cui si analizza la
dialettica servo-padrone e con essa le dinamiche della morte e della paura e
dell'asservimento -, e che quindi nella cultura moderna esso ha costituito
non solo una diffusa prassi criminale di poteri sia criminali che legittimi,
ma finanche un referente accettato e un criterio introiettato da tante
"anime belle" che non riflettono mai sulle conseguenze empiriche dei
ragionamenti astratti e cosi' diventano complici e serve - e sovente
altresi' mandanti e mentori - degli assassini.
E' ben vero che esso ha una sua perversa efficacia, di cui si fanno forti
non solo i sostenitori di tutti i totalitarismi, i razzismi, le dittature di
sesso, di casta e di classe; ma anche tutti gli assertori di regimi e
ideologie fondate sulla supina accettazione del criterio che esseri umani
debbano essere asserviti ad altri, che esseri umani debbano essere ridotti a
merce e cosa e funzione in pro di altri, che esseri umani debbano accettare
una diminuzione di se' perche' altri possano godere di un surplus di beni e
servizi.
E' ben vero che esso sembra essere lo strumento principe di regolazione
delle relazioni internazionali nel disordine costituito oggi dominante.
Ma e' pur vero che tanta ingiustizia, tanta vilta', tanti sofismi, debbono
pur essere affrontati, smascherati e vinti, se vogliamo che l'umanita' trovi
una via di scampo dalla distretta presente.
Mai il terrorismo puo' essere ammesso. Mai. Ove e' il terrorismo, l'umanita'
muore tra le sofferenze piu' atroci. Ove e' il terrorismo l'umanita' e'
annientata, tutto cio' per cui vale la pena lottare e' distrutto per sempre
nello strazio e nell'orrore.
*
E' giunto il momento di riassumere.
1. Talvolta una resistenza puo' essere anche guerrigliera, ma non
necessariamente; dal punto di vista del diritto oggi vigente sul piano
interno ed internazionale, essendo la resistenza un'estensione della
legittima difesa, essa puo' essere legittima anche estrinsecandosi in forma
militare; ma dal punto di vista della nonviolenza la guerriglia consistendo
dell'uccidere persone rientra nell'ambito dell'attivita' militare, cioe'
dell'uccidere, e come tale va ripudiata sempre, come vanno ripudiati tutti
gli eserciti e tutte le guerre. Sempre.
Talvolta una resistenza, pur legittima, puo' essere anche - in alcune
circostanze e fasi - terrorista; ed e' un male sempre, un male assoluto, un
male che distrugge la qualita' e corrode la legittimita' stessa di quella
resistenza.
Una resistenza puo' ben essere giusta (e sovente, quasi sempre, le
resistenze lo sono; e sempre lo sono in quanto e nella misura in cui si
oppongono in nome dell'umanita' a un'oppressione inumana), ma occorre che
essa pratichi anche la coerenza tra i mezzi e i fini, e quella coerenza di
tutte le coerenze che e' il rispetto della vita e dell'incolumita' e
dignita' delle persone, senza di cui crolla la possibilita' stessa
dell'umana convivenza, senza di cui non si da' liberazione dall'oppressione.
2. Una guerriglia puo' anche avere validi motivi, ed essere pienamente
legittima dal punto di vista giuridico. Ma in quanto attivita' militare,
quindi ordinata all'uccidere, essa giammai e' giustificabile dal punto di
vista della nonviolenza laddove vi sia la possibilita' - e vi e' sempre la
possibilita' - di scegliere la lotta nonviolenta per opporsi alla violenza.
3. Il terrorismo e' un crimine scellerato e sciagurata un'infamia sempre.
Il terrorismo e' nella sua essenza non altro che guerra senza piu' limiti. E
la guerra e' nella sua essenza non altro che terrorismo dispiegato nelle
forme piu' massive.
Il terrorismo e' nemico dell'umana convivenza, esso e' la morte incistata in
una vita che gia' non e' piu' vita; solo la nonviolenza si oppone in modo
adeguato al terrorismo; solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
4. Certo, la storia e' il regno del relativo, e il giudizio morale appunto
consiste nella capacita' di cogliere le relazioni, le dialettiche, i nessi,
le condizioni e le costellazioni entro cui l'agire si colloca, si forma (e
si deforma, si trasforma). Per i borbonici i garibaldini non erano gli eroi
che sono per noi; chi volesse ridurre la vicenda storica del cristianesimo
alle atrocita' dell'inquisizione e dei roghi commetterebbe duplice un
misfatto pur denunciando una fattuale verita'. Nel giudicare degli eventi e
delle loro interazioni occorre umilta', saggezza, misericordia. Ma appunto
occorre misericordia: ripudio assoluto della violenza assassina, ripudio
assoluto della sua riproduzione indipendentemente dalle maschere con cui si
presenta.
Scegliamo la nonviolenza poiche' solo chi e' senza peccato potrebbe
scagliare la pietra che infrange il volto dell'altra e dell'altro: e nessuno
di noi e' senza peccato, e se qualcuna o qualcuno di noi fosse senza peccato
per cio' stesso a maggior ragione rifiuterebbe di scagliare la pietra, che
e' commissione di male, peccato quindi - se questo termine ci e' lecito qui
usare. Scegliamo la nonviolenza perche' solo con la nonviolenza si salva il
volto dell'altra e dell'altro, che nella sua infinita differenza, nella sua
assoluta preziosa unicita', e' il nostro stesso volto, la nostra stessa
domanda, la nostra stessa speranza di vivere, di non essere uccisi, di
essere riconosciuti esseri umani.
5. Chiamiamo nonviolenza la via che si oppone a tutte la uccisioni, a tutti
i terrorismi, a tutte le guerre, a tutte le oppressioni. Chiamiamo
nonviolenza la scelta di restituire tutta l'umanita' a tutti gli esseri
umani, ovvero di restituire tutti gli esseri umani a tutta l'umanita'.

8. STRUMENTI: PAOLO TRANCHINA: BREVE STORIA DEI "FOGLI DI INFORMAZIONE"
[Dal sito www.retesociale.it riprendiamo questo testo di Paolo Tranchina.
Paolo Tranchina (per contatti: tranteo at cosmos.it), prestigioso intellettuale
e psicoterapeuta, e' da decenni una delle figure piu' vive del movimento di
psichiatria democratica; psicologo analista, ha lavorato a Milano, Arezzo,
Firenze, Torino, ha insegnato all'universita' di Verona, dirige la rivista
"Fogli di informazione". Tra le opere di Paolo Tranchina: Norma e antinorma,
1978; Il segreto delle pallottole d'argento, 1984; Psicoanalista senza muri,
1989; Portolano di psicologia, 1994]

La rivista "Fogli di Informazione", edita dal Centro di Documentazione di
Pistoia, diretta da me e da Agostino Pirella, ha pubblicato, dopo 35 anni di
vita, il duecentesimo fascicolo: Poetiche e politiche di salute mentale,
esattamente cento numeri dopo le Conferenze brasiliane, di Franco Basaglia,
venti anni fa, recentemente ripubblicato da Raffaello Cortina Editore.
La nascita dei "Fogli" e' il risultato dell'insolito incontro tra
psicoanalisi e psichiatria alternativa italiana: infatti, mentre stavo
specializzandomi in psicologia analitica all'Istituto Jung di Zurigo, ero
stato con Franco Basaglia a Londra nel 1969, per un servizio della Rai Tv -
mai andato in onda - su Ronald Laing e David Cooper e sui festeggiamenti a
Maxwell Jones, che lasciava la Scozia per tornare in America. Ho cosi' avuto
l'opportunita' di visitare le esperienze piu' avanzate del tempo, come
Kingsley Hall, la prima casa-famiglia dell'antipsichiatria inglese, e il
Dingleton Hospital, a Melrose, vicino a Edimburgo, una delle prime comunita'
terapeutiche, visitata anche da Franca Ongaro Basaglia. Affascinato dalla
ricchezza critica e emozionale di quella esperienza, ero andato all'ospedale
psichiatrico di Gorizia, allora diretto, dopo Basaglia, da Agostino Pirella,
dove ero stato profondamente colpito dal protagonismo dei pazienti, dalla
intensita' dei rapporti terapeutici e dalla disponibilita' degli operatori.
Con Agostino ci eravamo interrogati su come dare seguito al nostro incontro,
e insieme avevano deciso di discutere le esperienze antistituzionali in un
contesto allargato e ricco di fermenti tecnico-politici come era Milano in
quegli anni, dove lavoravo come analista privato e come psicoterapeuta alla
scuola media sperimentale della Societa' Umanitaria.
Si e' cosi' formato un sodalizio, un momento appassionato, ricco, di
verifica, discussione, elaborazione tra l'e'quipe di Gorizia e giovani
psichiatri e analisti, riuniti nel Collettivo di intervento nelle
istituzioni, che avevo fondato con alcuni colleghi, come Guido Medri,
nell'ambito del Centro di psicoterapia di piazza S. Ambrogio, diretto da
Pierfrancesco Galli.
Mese dopo mese, alla Casa della cultura di Milano, si sono susseguiti accesi
dibattiti che hanno investito la deistituzionalizzazione, l'handicap, la
scuola, gli istituti per minori, la psicoanalisi nelle istituzioni, i
rapporti tra tecnica, politica e potere. Nascono cosi' tredici numeri
ciclostilati, pubblicati per il convegno di Psichiatria Democratica di Vico
Equense (novembre 2000) in un volume di 360 pagine, col titolo di Matrici.
Il testo e' arricchito da una introduzione che racconta la nascita dei
"Fogli", il primo incontro con Basaglia e Pirella, (pp. 15-34) e da una
bibliografia di "Psichiatria Democratica e dintorni" di circa 500 titoli di
libri, con un accurato indice analitico.
La rivista stampata nasce nel 1972. La copertina in carta da pacchi, col
numero grande in alto a destra, e' di Vittorio Gregotti e Luca Petrella. La
serie dura fino al n. 70 del 1980. In seguito le riunioni si alternano tra
Milano e Arezzo, dove avevo cominciato a lavorare nell'ospedale
psichiatrico, diretto da Pirella, e poi diventano itineranti in tutta
Italia: Roma, Trieste, Napoli, Terni, Gemona in Friuli...
In questi anni i "Fogli di Informazione" sono stati uno strumento di lotta,
partecipazione, elaborazione pratico-teorica, coinvolgimento collettivo che
ha costituito una base culturale e politica diffusa e capillare che ha
favorito e sostenuto vigorosamente il movimento di Psichiatria Democratica.
Gli abbonamenti, arrivano in questo periodo a sfiorare i 2.000, in certi
anni vengono stampati 9 numeri, rispetto al ritmo attuale di quattro.
Seguono, dall'anno 1980, dopo la morte di Franco Basaglia, altri numeri,
fino all'attuale, con il bordo superiore colorato e il labirinto: e' la
seconda serie, la grafica e' di Giovanni Troni.
Nel 1984 comincia la Collana dei "Fogli di Informazione", che da allora ha
stampato 32 libri, riprendendo i testi monografici piu' importanti della
rivista. La grafica, a grandi bande colorate, e' di Giovanni Anceschi.
Tra i libri pubblicati mi piace ricordare: Psicoanalista senza muri sulla
mia esperienza dell'OP di Arezzo, del 1989; Psichiatria e nazismo, a cura di
Bruno Norcio e Lorenzo Toresini, del 1993; Psicoterapia Concreta I, con
testi di Marzi, Salvi, Rogialli, Fanali, Corrente e altri, del 1994; Il
problema psichiatrico, di Agostino Pirella , del 1999; e, nello stesso anno,
Anticipazione, curato da Vieri Marzi e Laura dalla Ragione, che fa il punto
su formazione e psicoterapia delle psicosi; Salute mentale e qualita' della
vita nell'area del Mediterraneo, del 2001; Forme di Vita, del 2002, una
raccolta di mie supervisioni nei servizi; e, infine, Psichiatria
Democratica. Trent'anni, del 2003, in collaborazione con Maria Pia Teodori,
che riporta importanti episodi della storia del movimento e una accurata
bibliografia, di 40 pagine, con 200 parole chiave.
In questi anni i "Fogli di Informazione" sono stati un importante strumento
di documentazione, riflessione collettiva, ricerca pratico-teorica sul
lavoro di rinnovamento della salute mentale, di valutazione critica della
operativita' dei servizi, di verifica dell'applicazione della nuova
legislazione psichiatrica, della deistituzionalizzazione, dei nuovi contesti
epistemologici e scientifici della riforma.
In particolare con le sue assemblee, la rivista e' stata un momento
fondamentale di collegamento e verifica tra gli operatori, sostenendo il
movimento antistituzionale italiano, specialmente chi lavorava in contesti
isolati e con meno potere, favorendo l'affermarsi di quella cultura
alternativa che ha portato alla legge 180 e alla sua applicazione.
Dall'ospedale psichiatrico al territorio, il campo si e' allargato, in
un'ottica spesso internazionale, alla psicologia, la psicoanalisi, la
psicoterapia, l'handicap, la scuola, l'impresa sociale, la riabilitazione,
la prevenzione della nocivita' psichica sul posto di lavoro. Nella
elaborazione dei rapporti tra psichismo e contesto, soggettivita' e
quotidianita', tra individuo e societa', come si diceva allora, l'attenzione
per la sofferenza individuale si e' embricata con l'analisi istituzionale,
la storia, la passione politica.
I "Fogli di Informazione" hanno sempre difeso la loro liberta' critica, la
loro indipendenza culturale, vivendo esclusivamente dell'autofinanziamento
proveniente dai lettori, e, per alcuni numeri speciali, dal finanziamento di
atti di convegni, cosa che ha permesso di offrire una quantita' maggiore di
numeri annui. La loro imponente raccolta rappresenta un tesoro di
riflessione, informazione, documentazione senza il quale non si puo'
scrivere la storia della psichiatria italiana. I loro testi sono il tessuto
culturale, vivo, del movimento, la base teorica da elaborare
progressivamente per rinnovarsi, approfondire, riflettere su nuovi modelli,
nuove teorie.
Per il venticinquesimo anno della rivista e' stato elaborato il cd-rom
"Psiconet Fogli di Informazione", con 2.000 documenti, corredati di
abstract, spesso anche in inglese, e parole chiave, oltre al thesaurus di
tutti i termini usati. Il cd e', a tutti gli effetti, una banca dati
informatica interattiva in grado di offrire indicazioni bibliografiche su
ciascuno dei 1.200 termini controllati, ovviamente incrociabili tra loro.
Esso indica non solo la ricchezza enciclopedica della nostra impresa
editoriale, ma anche lo sforzo di modernizzazione in atto.
Per il trentennale abbiamo fatto coniare una medaglia con inciso il primo
numero, direzione e editore. I colori della copertina sono stati per tutto
l'anno dorati.
In questa impresa, il Centro di Documentazione di Pistoia, in particolare
Giorgio Lima e Lucia Innocenti, dopo l'incontro iniziale con Giuliano
Capecchi, ha garantito la stampa e la distribuzione della rivista, con
l'impegno militante, che ha caratterizzato tutto il lavoro editoriale,
permettendo di contenere le spese e offrendo in termini costi/benefici, un
prodotto sempre di alto livello.
Per i prossimi anni intendiamo migliorare i "Fogli" per adeguarci alle nuove
pratiche territoriali, alle nuove problematiche che si fanno avanti, alle
nuove forme di controllo e neo-istituzionalizzazione, ma anche sui problemi
dello stato sociale ai tempi della globalizzazione.
Stiamo pensando anche a una diffusione informatica, e a un apposito portale
su internet, il cui embrione e' gia' presente all'interno del sito
www.centrodopistoia.it.
Proprio per questo abbiamo formato la nuova redazione con Sandro Ricci di
Verona, Maria Pia Teodori di Firenze, Marcello Lattanzi di Venezia, Caterina
Corbascio di Torino, Marco Colucci e Nico Pitrelli di Trieste, Salvatore di
Fede e Renato Donisi di Napoli, Pierangelo Di Vittorio e Mariella Genchi di
Bari, Ilario Volpi, Stefano Arena di Roma, e con Vanni Pecchioli come
segretario di redazione.
un saluto affettuoso,
Paolo Tranchina
*
Per ulteriori informazioni: direzione: via dell'Agnolo 37, tel. 055570842,
e-mail: tranteo at cosmos.it. Amministrazione: Centro di documentazione, via
degli Orafi 29, 51100 Pistoia, tel. e fax 0573977353, e-mail:
giorlima at tin.it
Abbonamento annuo: privati, euro 26; istituzioni, euro 36; paesi
extraeuropei, euro 50 (spedizione via aerea): conto corrente postale
12386512 intestato al Centro di Documentazione di Pistoia, oppure: bonifico
bancario sul conto corrente bancario 324969.00 presso la Banca Caript, Sede
Centrale, via Roma, 5100 Pistoia, ABI 6260.4, CAB 13800.8.
Proposta speciale: raccolta completa dei "Fogli" (1970-2005), numeri 1-200,
Portolano di psicologia, cd-rom "Psiconet Fogli di Informazione", medaglia
del trentennale: euro 300.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 9 del 20 febbraio 2005