La domenica della nonviolenza. 14



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 14 del 27 marzo 2005

In questo numero:
1. Benito D'Ippolito: Litania dei morti in preghiera
2. Benito D'Ippolito: Ballata per una Regina morta
3. Benito D'Ippolito: Cantata a contrasto del terrorista e dell'uomo di pace
4. Dino Frisullo: Cronaca nera
5. Nadine Gordimer ricorda Susan Sontag
6. Luisa Muraro: Simili a donne (1976)
7. Lea Melandri: Diritti, ma non solo

1. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: LITANIA DEI MORTI IN PREGHIERA
[Questa litania l'autore scrisse nell'ottobre 2000, alla notizia del
ritrovamento dei cadaveri di sei migranti abbandonati in una discarica.
Inviata questa lettera all'amico suo Dino Frisullo, questi rispose con la
sua che di seguito si riporta come quarto testo. Benito D'Ippolito e' uno
dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo]

Leggo sul giornale la notizia assente
lungo una strada una discarica abusiva
sulla discarica deposti, scaricati
morti asfissiati sei giovani migranti:
sei clandestini, leggo sul giornale
che aggiunge: il tir
partendo in fretta e furia
con una ruota ha calcato il capo spento
di uno dei morti, schiacciandolo
facendone scempio.

Vedo
la scena tutta: la strada, il grande camion
il cumulo maleodorante dei rifiuti
la fretta di sgravare a terra il carico
inerte, lo sguardo da lupo il fiato affannoso
le bestemmie masticate in gola
di chi scaglia tra i residui i residui
corpi. Vedo
il camion pesante macigno, il fumo
dei gas di scappamento, il crocchiare
orribile che non posso, non posso dire.
E vedo ancora
come sacchi quei corpi rotti
che attendono l'alba, il giorno, il passaggio
delle automobili, il sole
che alto si leva, il tempo
che passa e che fermenta, finche' viene
qualcuno e si ferma
ed e' tardi.
Poi vedo che arrivano uomini molti,
si fermano auto e furgoni, ed e' tardi.
Vengono le telecamere, le macchine
fotografiche, un momento ancora,
ancora un momento prima di gettare
un velo pietoso, il pubblico cannibale
vuole vedere il sangue, lo scempio.
Poi tutto si avvolge. Tutto torna nero.
Tutto resta nero, e nel nero un piu' cupo
nero che sembra quasi rosso. E un silenzio
tumescente.

Leggo il giornale, uno dei poveri
cristi ammazzati cosi' dalle leggi di Schengen e dalle mafie
transnazionali cui lo stato ha appaltato
il mercato del diritto a fuggire
dalla morte altra morte trovando,
leggo il giornale uno dei cristi poveri
stringeva ancora in mano una piccola, una piccola coroncina
da preghiera.

Mentre affogavano tra le balle di cotone
pregavano, pregavano i miseri clandestini.

Ascoltala tu la loro pia preghiera.
Ascoltala tu, che leggi queste righe.
Tu poni mano a far cessar la strage.

Ipocrita lettore, mio simile, mio frate.
Ascoltala tu la voce dei morti
e poni mano tu, poniamo mano insieme, a far cessar la strage.

2. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: BALLATA PER UNA REGINA
[Questa "Ballata per una Regina morta ammazzata sulla strada tra Tuscania e
Tarquinia nell'estate del duemilauno" l'autore scrisse il 3 agosto 2001,
alla notizia del ritrovamento del cadavere, scempiato dagli animali
selvatici, di una giovane donna prima resa schiava e poi assassinata]

Ci sono cose che non sai come dirle
e allora le scrivi a righe interrotte.

Dilaniata dai randagi la salma
e' stata scoperta giorni addietro
di una giovane donna nigeriana
resa schiava in Italia e venduta
come carne e cavita' sulla strada
tra Tuscania e Tarquinia, tra le tombe
etrusche, le romaniche chiese, le ubertose
campagne che vanno alla maremma.

Leggo sui giornali gli impietosi
dettagli di cronaca nera, gli empi
segni di sempre da quando Caino
al campo invito' suo fratello.

Leggo sui giornali, i giornali locali
(non e' notizia da cronaca italiana
una persona annientata e abbandonata ai cani:
e' invece fatto
che sconvolge l'ordine del mondo, ma di questo
sapevano dire Eschilo e Mimnermo, non le aulenti
di petrolio pagine quotidiane).

E dunque leggo sui giornali locali:
dicono che si chiamasse Regina, venisse
dalla Nigeria, presa e recata
schiava in italia, dicono
chi l'abbia uccisa non sapersi.

E invece io so chi l'ha uccisa:
anche se non l'ho mai vista ne' da viva ne' ormai resa cosa
immota e deturpata. Io so
chi l'ha uccisa, e lo sappiamo tutti.

E non solo l'eventuale fruitore di servigi
che in un raptus puo' averle torto il collo
a quel piccolo giocattolo che costava quattro soldi

e non solo il racket che fornisce
carne giovane e fresca di fanciulle ai lupi
che usciti di scuola o dall'ufficio
sulle loro carcasse di ferro perlustrano
i fiumi d'asfalto alla caccia di prede

e non solo lo stato italiano che vede
tanto orrore per le sue strade
e non agisce per salvare le vite
concrete di esseri umani, non agisce
per far valere quella legge che vieta
nel nostro paese la schiavitu'

e non solo.
Io stesso mi sento le mani
sporche di sangue, io stesso che so
che a questo orrore resistere occorre
e che da anni non so fare altro
che spiegare come applicare
quell'articolo della legge 40
combinato con quell'altro articolo
del codice penale e come e qualmente
le istituzioni potrebbero salvare
la vita di tante Regine assassinate.
E nulla di piu' ho saputo fare.

E queste parole che ho aggiunto
avrei voluto tacerle.

3. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: CANTATA A CONTRASTO DEL TERRORISTA E DELL'UOMO
DI PACE
[Questa "Cantata a contrasto del terrorista e dell'uomo di pace,
pietrificati entrambi. Solo la nonviolenza puo' sciogliere l'incantesimo e
salvare l'umanita'" l'autore scrisse il 14 settembre 2001. Tre giorni dopo
quell'undici settembre]

Ecco, mi ascolti adesso?
Lo senti adesso il mio dolore, lo senti
quanto male faceva e io urlavo ed urlavo sotto le torture e tu
eri troppo distratto per sentirmi?
Ecco, mi ascolti adesso, adesso che e' troppo tardi, che sono morto e morto
nella morte trascinando i tuoi cari?
Ecco, mi ascolti adesso?

Ecco, adesso ti vedo,
ti vedo e tu svanisci ed io
io non ti vedo piu'.
Ma avrei voluto fermarti, avrei voluto
fermarti e fermare la mano
che a scorpioni e frustate ti ha allevato
nell'odio e nel dolore che porta all'abisso dell'orco.

Ecco, fossi venuto
un poco prima, mi avessi
detto parole di pane, parole di luce
un poco prima, forse
forse in pianto mi si sarebbe sciolto
il sale dell'umiliazione che accieca i miei occhi, e forse
saremmo oggi vivi
e io e i tuoi cari. Eri tu
che dovevi salvarli salvandomi.

Ecco, ora che e' tardi per salvarti la vita
ora che e' tardi per salvare i miei cari
anche dai miei le scaglie cadono occhi
ora
che e' tardi.

Uccisi per parlarti in un sussurro

Ma quel gran rombo tutti rende sordi

Uccisi per colpire gli empi simboli
di un empio potere che disumana,
che ha disumanato anche me

Ma quelli che uccidesti non erano
simboli, erano
uomini e donne di carne e di osso
di pianto e di riso, ed ora sono fumo

Cercavo una strada da aprire alla giustizia
di furia, a tentoni, battendo la testa nel muro

Ma per la giustizia vi e' una sola strada
salvare tutte le vite, tutte le vite salvare
salvare
tutte le vite
salvarle tutte
le vite umane.

Commisi l'orrore ma tu
cosa facesti tu, cosa facesti

Nulla seppi fare per fermarti
del sangue che tu hai sparso anche le mie
sono lorde mani.

Perdonami, figlio, perdonami.

Perdonami, perdonami, padre.

4. LUTTI. DINO FRISULLO: CRONACA NERA
[Nell'ottobre 2000 Benito D'Ippolito invio' ad alcuni amici la litania qui
riprodotta come primo testo; Dino Frisullo gli rispose con la lettera che
pubblichiamo di seguito. Dino Frisullo, impegnato nel movimento antirazzista
e per i diritti umani, per la pace e la liberazione dei popoli, per il suo
impegno di solidarieta' con il popolo kurdo e' stato detenuto in Turchia. E'
deceduto nel giugno 2003. Tra le opere di Dino Frisullo: L'utopia
incarcerata, L'altritalia, Roma 1998; e' apparso postumo un suo nuovo libro,
Sherildan. Alcune testimonianze in ricordo di Dino Frisullo sono nel n. 577
del 10 giugno 2003 de "La nonviolenza e' in cammino"]

Ali veniva, poniamo, da Zako.
Portava in tasca un pane di sesamo
comprato in fretta nel porto a Patrasso
profumo di casa
garanzia di vita
prima di calarsi nel buio del ventre del camion.
Ali aveva gia' visto l'Italia, poniamo.
Aveva l'odore dolciastro del porto di Bari l'Italia,
e il primo italiano che vide
vestiva la divisa di polizia di frontiera
e fu anche l'ultimo.
Respingeteli, disse,
Ali non capi' le parole ma lesse lo sguardo
guardo' a terra poi si volse
perche' un uomo non piange.
Ali veniva da Zako, poniamo,
e sapeva gia' usare il kalashnikov
ma di raffiche ne aveva abbastanza
e di agenti turchi irakeni americani arabi
e di kurdi che ammazzano kurdi
e di paura masticata amara con la fame
e dell'eco delle bombe
Qendaqur come Halabje
bombardieri turchi come gli aerei irakeni
gli stessi occhi sbarrati contro il cielo che uccide.
Ali, poniamo, aveva una ragazza
rimasta sola, la famiglia in Germania,
con lei aveva sognato l'Europa
con lei aveva cercato gli agenti turchi e turkmeni
e kurdi, maledizione, anche kurdi
per contrattare il passaggio della prima frontiera,
batteva forte il loro cuore al valico di Halil
divise verdeoliva
nel buio fasci di banconote stinte di tasca in tasca
e poi liberi
corre veloce l'autobus da Cizre verso Mardin
ogni mezzora un posto di blocco
divise verdeoliva banconote via libera
colonna di autobus veloce di notte tre notti
trenta posti di blocco
da Mardin fino a Istanbul,
e quella notte ad Aksaray nel piu' lurido degli alberghi
fra ubriachi che russano e scarafaggi
per la prima volta avevano fatto l'amore
e per l'ultima volta.
Sul comodino un vaso di fiori secchi stecchiti
lei gliene regalo' uno
come fosse una rosa di maggio.
Fu all'alba che vennero a prenderli
taxi scassati il cielo grigio del Bosforo
poi a piedi verso un'altra frontiera
in fila indiana nel fango in silenzio
fino alle ginocchia l'acqua del Meric
ha la pistola il mafioso, "piu' in fretta" sussurra,
di la' la Grecia l'Europa
e' calda la mano di Leyla
si chiamava Leyla, poniamo
era calda la mano di Leyla
prima che scoppiasse sott'acqua la mina
prima che i greci cominciassero a sparare
prima dell'inferno.
Un uomo non piange
ma il cuore di Ali galleggiava nell'acqua sporca del Meric
mentre si nascondeva nel canneto
perche' i greci non scherzano
e se ti consegnano ai turchi e' la fine
i maledetti verdeoliva che hanno intascato i tuoi soldi
ti fanno sputare sangue
nelle celle di frontiera.
In Grecia l'uomo si fa gatto
si fa topo ragno gazzella
a piedi di notte fino a Salonicco
un passaggio da Salonicco a Patrasso
giovani turisti abbronzati, poniamo
Ali ha la febbre batte i denti fa pena
rannicchiato sul sedile della Rover
e' bella la ragazza straniera
ma la sua Leyla era piu' bella
piu' profondi del mare i suoi occhi.
La Rover frena sul mare
di la' c'e' l'Europa davvero
gli ultimi soldi per il biglietto per Bari
Ali il mare non l'aveva mai visto
fa paura di notte il mare
ma un uomo non ha paura
e il cielo dal mare non e' poi diverso
dal cielo dei monti di Zako nelle notti chiare.
Fa piu' paura la polizia di frontiera
"ez kurd im"
"ma che vuoi, che lingua parli,
rispediteli a Patrasso, ne abbiamo abbastanza di curdi qui a Bari,
chiudeteli dentro, che non scendano a terra
senno' chiedono asilo..."
E' triste il cielo dal mare
come il cielo dei monti di Zako nelle notti scure.
E' duro esser kurdi
sperduti fra il cielo ed il mare
erano in dieci, poniamo
che quella notte a Patrasso contrattarono in fretta
seicento dollari a testa disse il camionista
seimila dollari quei dieci corpi
valgono quanto un carico intero
e il suo amico Huseyn pago' anche per lui
prima di coricarsi abbracciati
stretto il pane di sesamo in tasca
stretto in mano un fiore secco
in dieci stretti fra le balle di cotone
che ti prende alla gola
che ti toglie il respiro...

E' cronaca
"Morti soffocati a Foggia sei clandestini in un tir"
e' politica
"Piu' di mille clandestini respinti nel porto di Bari"
e' diplomazia
"Accordo con la Grecia sui rimpatri"
e' ipocrisia
"Roma chiede collaborazione ad Ankara"
e' propaganda
"Inasprite le pene contro i trafficanti"
e' nausea e' rabbia e' dolore

sotto le stelle di Zako mille Ali sognano l'Europa
in Europa sogneranno il ritorno

nella fredda nebbia di Colonia
Huseyn bussa a una porta
ha da consegnare una cattiva notizia
un fiore secco
e un pane di sesamo...

5. MAESTRE. NADINE GORDIMER RICORDA SUSAN SONTAG
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo questo articolo apparso sul quotidiano "La Repubblica" del 15
gennaio 2005.
Nadine Gordimer, e' una delle piu' grandi scrittrici contemporanee,
sudafricana, impegnata contro l'apartheid, Premio Nobel per la letteratura.
Opere di Nadine Gordimer: oltre i suoi numerosi volumi di racconti e romanzi
(tra cui: Un mondo di stranieri, Occasione d'amore, Il mondo tardoborghese,
Un ospite d'onore, La figlia di Burger, Luglio, Qualcosa la' fuori, Storia
di mio figlio, tutti presso Feltrinelli; Il bacio del soldato, presso La
Tartaruga) segnaliamo Vivere nell'interregno, Feltrinelli, Milano 1990;
Scrivere ed essere, Feltrinelli, Milano 1996. Opere su Nadine Gordimer: AA.
VV., Nadine Gordimer: a bibliography of primary and secondary sources,
1937-1992, Hans Zell, London 1994.
Susan Sontag e' stata una prestigiosa intellettuale femminista e pacifista
americana, nata a New York nel 1933, deceduta sul finire del 2004;
acutissima interprete e critica dei costumi e dei linguaggi, fortemente
impegnata per i diritti civili e la dignita' umana; tra i molti suoi libri
segnaliamo alcuni suoi stupendi saggi, come quelli raccolti in Contro
l'interpretazione e Stili di volonta' radicale, presso Mondadori; e Malattia
come metafora, presso Einaudi; tra i suoi lavori piu' recenti segnaliamo
particolarmente il notevole Davanti al dolore degli altri, Mondadori, Milano
2003]

Riandare allo scaffale dei libri di Susan Sontag e' come se, pur conoscendo
quei libri tanto bene, ci fosse voluta la sua morte perche' io mi rendessi
conto della straordinaria varieta' di cio' che ha realizzato. Sette volumi
di saggi, sei romanzi, due sceneggiature per il cinema, diversi lavori
teatrali; tutti di straordinaria profondita', di intelligenza con grande
senso dell'indagine e fortemente immaginativi.
Della sua narrativa disse: "Raccontare una storia e' dire: questa e' la
storia importante. E' ridurre l'ampiezza e la simultaneita' di tutto a
qualcosa di lineare, a un sentiero".
Per le sue opere saggistiche e per la sua filosofia personale sarebbe piu'
giusto usare le sue stesse parole piuttosto che tentare uno zoppicante
riassunto. Susan Sontag sosteneva che "essere un essere umano morale era
sentirsi obbligati ad avere un certo tipo di attenzione". La sua era la
generosa attenzione di una mente brillante che interpretava, nei tanti modi
in cui era maestra, i nostri tempi, il nostro mondo. Era analisi minuziosa,
era empatia senza confronto.
Susan Sontag e' appartenuta a quel pugno di intellettuali universali che
rappresentano e creano il pensiero contemporaneo al piu' alto livello della
sua essenza. Susan Sontag conta. Attraverso i suoi scritti, continuera' a
contare nella nostra era di conflitto e di sconcertante ambiguita' dei
valori, rispetto ai quali lei non si tirava mai indietro, ma al contrario,
si assumeva delle responsabilita' per il suo talento come artista e per le
sue qualita' come essere umano.
*
Susan Sontag non era mai soddisfatta di cio' che aveva realizzato se le
mutate circostanze, rispetto alle quali si muoveva vigorosamente nella vita
come in una impresa senza soluzione di continuita', la portavano a dover
rivedere, con una prospettiva piu' lontana, le implicazioni del lavoro
realizzato.
Il suo libro del 1973, Sulla fotografia, e' un classico della rivendicazione
della fotografia come arte e, nella storia, come lo scambio piu' influente
tra realta' e immagine. Non era soddisfatta di lasciarlo cosi' com'era. La
sua esperienza in Vietnam e quella piu' recente a Sarajevo, dove aveva
scritto un'opera teatrale per mantenere viva l'audace incrollabilita' dello
spirito sotto i bombardamenti, l'avevano riportata indietro a rivedere gli
estremi del significato del rivolgere la macchina fotografica all'
esperienza umana.
Nel 2003, il suo lavoro piu' recente, Davanti al dolore degli altri, l'aveva
spinta a rivisitare audacemente e polemicamente il ruolo della fotografia e
dei suoi spettatori ultimi. Un'accusa? A se stessa e a tutti noi? "Le
immagini non-stop (televisione, video ininterrotti, film) sono il nostro
ambiente, ma quando si tratta di ricordare, la fotografia colpisce piu'
profondamente... Le immagini di sofferenze patite sono cosi' diffuse
oggigiorno che e' facile scordare quanto recentemente queste immagini sono
diventate cio' che si aspetta dai fotografi". Questo breve libro, scritto
come un respiro profondo, si domanda se nel nostro considerarci degli esseri
umani morali, c'e' spazio per "certi tipi di attenzione morale" a come
recepiamo le immagini di orrori.
*
Susan Sontag non ha mai girato il suo forte e bel volto a nessun aspetto
della vita umana. Il suo sguardo non risparmiava neppure la sua stessa
persona. Nel 1978, dopo il cancro, Susan Sontag scrisse Malattia come
metafora. L'argomento non era la malattia fisica in quanto tale, ma il
marchio e le metafore socio-religiose che rappresentano questa condizione
come punizione, per comportamenti censurabili di qualche tipo, oppure, come
nel caso della tubercolosi nel XIX secolo (e' sempre presente nel lavoro di
Susan Sontag il procedere con l'arricchimento di una prospettiva storica),
come simbolo di non terrenita', isolando, per esempio, sacralmente, una
giovane ragazza che si consumava.
Nel 1989, con la consapevolezza che l'Aids, in quanto epidemia associata al
sesso in maniera diretta, era diventata una nuova metafora, ebbe cura di
elaborare un approfondito pensiero di ammonimento da aggiungere al suo libro
precedente. All'inizio de L'Aids e la sua metafora, Susan Sontag dice: "La
metafora, ha scritto Aristotele, consiste nel dare alla cosa un nome che
appartiene a un' altra cosa... ovviamente, il pensiero e' tutto
interpretazione. Ma cio' non implica che a volte non sia corretto essere
contro l'interpretazione". Impiegare la metafora "piaga" per l' Aids e'
marchiare coloro che ne soffrono con l'immagine degli intoccabili, come le
vittime medievali della peste bubbonica.
Mi ha fatto capire che io stessa sono colpevole di cio'... Non e' forse la
qualita' speciale di una mente meravigliosamente originale, quella che
scuote il nostro pensiero? Simboleggiare la malattia come un anatema e', in
un certo senso, primitivo, se e' la realta' stessa a sostenere lo spirito
delle persone affinche' resistano alla malattia fisica durante le cure, e la
scienza medica affinche' trovi la cura. Questa e' la sua tesi.
Sarebbe andata incontro alla sua stessa morte per malattia, lottando con
coraggio.
*
Io ho avuto l'immensa buona fortuna di essere amica di Susan Sontag. Nella
sua euforizzante presenza ci si sentiva piu' vivi, con un nuovo gusto della
vita. Oltre alla sua formidabile capacita' intellettuale, alla sua
familiarita' con molte culture, con le arti e la politica, era una persona
affettuosa e calorosa, che dava brillanti e mordaci risposte alla
stupidita', ma che restava sensibile ai sentimenti degli altri.
Ora certamente controbatterebbe: e i miei romanzi? Spesso ha ritenuto che le
sue stesse concezioni su come la vita dovesse essere vissuta l'avessero
allontanata dalla sua vocazione immaginativa: la narrativa. Scrisse: "Molte
cose nel mondo non sono state nominate... anche se sono state nominate, non
sono mai state descritte".
L'ultima volta che le ho parlato, al telefono, lei era a letto in ospedale,
mi ha detto due cose di grande importanza per lei. Se, determinata a
resistere com'era, si fosse ripresa ancora una volta dal cancro, che aveva
sconfitto gia' due volte, sarebbe ritornata in Sudafrica, alla gente e ai
paesaggi ai quali si era immediatamente legata nel 2004. Che quel tempo
trascorso da noi sarebbe stato l'ultima delle sue imprese di comprensione e
interpretazione del mondo nella sua maniera tanto significativa, e' qualcosa
di cui ci dobbiamo sentirci grati.
La seconda cosa importante era che doveva sopravvivere per continuare un
nuovo lavoro che aveva cominciato. Sono. certa che era il romanzo che voleva
scrivere - il romanzo che ancora doveva darci. Spero che il suo adorato
figlio, David Rieff, lui stesso un ottimo scrittore, trovi quello che lei
aveva gia' scritto e cosi' avremo, pubblicata, la prova di quale meraviglia
della forza creativa Susan Sontag sia stata, fino alla fine.
Non ci sara' un'altra Susan Sontag. Ma i suoi eccezionali scritti esistono,
cosi' come la sua personalita'.

6. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: SIMILI A DONNE (1976)
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo questo articolo di Luisa Muraro apparso in "Quaderni
Piacentini", n. 60-61, dell'ottobre 1976. Luisa Muraro insegna
all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di
"Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la
seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei
sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza),
in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita'
Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una
carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare
nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia
dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba
Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista
dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al
femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della
differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva:
La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981,
ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La
Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti,
Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla
nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria
delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via
Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima
(1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero
della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della
maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel
1997". Del libro che e' occasione per queste meditazioni e' disponibile ora,
dopo la prima presso La Pietra, Milano 1976, una nuova edizione: Anna Maria
Bruzzone, Rachele Farina, La Resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane
piemontesi, Bollati Boringhieri, Torino 2003]

Il fatto che la stragrande maggioranza delle donne passi tutta la vita in
una completa estraneita' alla politica, lo si sa come fatto ma non basta.
Non c'e' una spiegazione. In particolare, non si spiega interamente come
effetto d'una intenzionale esclusione da parte della societa' maschile; le
forze di sinistra, che ritengono (giustamente) d'essere danneggiate dalla
spoliticizzazione delle donne, hanno cercato e cercano di combatterla. In
passato, con risultati ritenuti insoddisfacenti. Adesso, si dice, siamo ad
una svolta: "grandi masse femminili sono ormai giunte in forme anche
autonome a un piu' avanzato grado di consapevolezza politica".
Questa frase e' stata scritta da due donne, con trasparente orgoglio che io
capisco e condivido anche. Perche' anch'io mi sentivo umiliata da un'interna
inclinazione ad estraniarmi dal politico, inclinazione che mi accomunava a
tante mie simili ma che e' in cosi aperto contrasto con un modello di donna
emancipata. Vorrei pensare che e' cosa passata e che ormai siamo avviate, in
modo definitivo ed irreversibile, ad una massiccia presa di coscienza
politica.
Pero' non ne sono tanto sicura. Il fatto della spoliticizzazione femminile
non e' chiaro in quello che significa e se anche fosse cosa passata, niente
gli impedisce di tornare, visto che non sappiamo il perche' e il percome.
Temo addirittura che a sinistra si stia, per frettoloso entusiasmo e certo
contro ogni intenzione, risospingendo le donne verso la loro enigmatica
estraneita' (per il fatto che mi riguarda la cosa non mi e' meno
enigmatica).
A chi volesse riflettere su questo, propongo di partire da un libro (La
Resistenza taciuta - Dodici vite di partigiane piemontesi, a cura di Anna
Maria Bruzzone e Rachele Farina, ed. La Pietra, Milano 1976, lire 4.500) che
e' bello per tanti aspetti e che uno puo' dunque leggersi per tanti motivi.
Anche per il piacere che da'.
Il libro mostra il contrario di quello che si diceva prima. E' pieno della
passione, dell'intelligenza e del coraggio di donne che fanno politica. Le
quali, per giunta, raccontando la loro vita, non ci mettono un filo di
retorica e non usano quegli schemi ideologici che, per quanto giusti,
rendono un po' fastidiosa la letteratura resistenziale. Sono donne che non
hanno costruito una carriera politica sui meriti di partigiane e che, in
alcuni casi, non hanno nemmeno ricevuto riconoscimenti ufficiali.
Ma chiaramente di queste cose a loro non importa molto. Esprimono invece,
quasi all'unanimita', un altro rincrescimento ed una delusione piu'
sostanziale: con la Liberazione e' finito il periodo piu' bello della loro
vita (cfr. pp. 44, 75, 85, 94, 156, 210...). "Poi, dice Maria Rovano, mi e'
stato tutto piu' difficile: questi trent'anni sono stati molto piu' duri,
piu' nebulosi" (p. 230). Una soltanto cerca di reagire, Lucia Canova, che
dice: "Alcune compagne rimpiangono quel periodo. Io no, no. Io sarei... son
combattiva ancora adesso" (p. 228), confermandoci cosi' che si e' posto a
loro questo problema di stabilire una continuita'. Per quelle che non ci
sono riuscite il periodo della Resistenza rimane separato, in una distanza
che e' all'inverso di quella temporale: questi trent'anni sono nebulosi,
distanti, confusi, mentre di allora raccontano come se l'avessero davanti
gli occhi. Tutte sono rimaste combattive, cioe' impegnate politicamente, ma
avvertono che la distanza e' enorme. Lo stesso, o qualcosa d'analogo, si
potrebbe dire delle molte donne per le quali la Resistenza e' stata l'unica
stagione politica della loro vita.
Nessuna medaglia, nessuna carriera politica avrebbe colmato questo scarto.
Oppure: dello scarto siamo informati perche' queste dodici non hanno avuto
incentivi o non si sono ritrovata la disposizione per immaginare che dopo si
continuava la stessa lotta, anche se i modi e le circostanze erano mutati.
Noi oggi, usando chiarezze guadagnate recentemente, leggiamo nelle loro
stesse parole che cosa c'e' alla radice del sentimento d'una eccezionalita'
seguita da una perdita irrimediabile: durante la lotta contro il
nazifascismo molte donne uscirono dal privato ed agirono senza subire la
rigida struttura familiare e l'inferiorita' sociale in cui sono normalmente
tenute. Finita l'emergenza, non trovarono ne' in se' ne' fuori di se' gli
argomenti e le circostanze che avevano reso possibile la loro decisione di
liberta'. Cosi pensano, giustamente, le curatrici del libro. Le quali, a
questo punto, si soffermano un po' troppo a lamentare il fatto dei mancati
riconoscimenti ed una certa prevaricazione maschile che avrebbero risospinto
nell'ombra donne come queste, capaci e disinteressate.
Se si decide d'ascoltare partigiane che "hanno subito forme di emarginazione
o di esclusione sociale" (questo e' uno dei criteri per la scelta del
campione) non vale la pena poi sottolineare che non ci sono state molte
medaglie ne' grandi carriere: si sapeva da prima. Che ci sia stato
impedimento maschile, e' facile da immaginare, ma si potrebbe dimostrare
anche il contrario, con un campione di donne che la carriera l'hanno fatta e
le medaglie le hanno prese. Bisognerebbe, per uscirne fuori, dimostrare che
nelle organizzazioni di sinistra c'era spazio per poche donne e che tale
spazio fu tutto riempito, mentre altre chiedevano di poter entrare. Io non
so se e' capitato questo. Comunque queste dodici, parlando di quello che e'
loro capitato dopo la Liberazione, non dicono d'essere state impedite nella
carriera politica. Dicono piu' fortemente d'essere rimaste deluse, d'essersi
tirate indietro, di non aver sopportato il grigiore degli anni Cinquanta o
il clima politico della guerra fredda.
La rottura che esse segnalano dolorosamente non e' determinata dal fatto che
la strada delle medaglie e della carriera era loro preclusa (come notano
anche le curatrici che ammirano il loro disinteresse). Semmai e' viceversa:
non si fecero avanti perche' colpite da una discontinuita' che parve loro
irrimediabile. Quello che avevano vissuto durante la Resistenza non si
lasciava trasferire intatto nel presente.
Avevano conosciuto una grande liberta' di movimento, avevano organizzato
deciso comandato o ubbidito secondo la necessita', avevano ascoltato, erano
state ascoltate, i figli c'erano e non c'erano, con gli uomini avevano
stabilito rapporti di parita', progettavano insieme una societa' nuova, e
giocavano anche (una in montagna con i compagni fa il gioco d'essere
violentata); se le prendevano i fascisti non era uno scherzo, pero' non
c'era vergogna, e se certi le consideravano puttane, non ci badavano. E
sgusciavano tra fascisti e tedeschi, fintamente incinte o innamorate o
prostitute o sposate, giocando cosi nell'azione clandestina tutte le parti
invece dell'unica che la societa' gli avrebbe imposto obbligatoriamente.
Sempre, nell'azione clandestina, le donne si trovano una grande abilita'
mimetica (finora ha sempre funzionato, forse perche' gli uomini sono troppo
fissati a identificare le donne con i loro ruoli obbligatori).
"Poi e' crollato tutto. Terribile, terribile, terribile. Per me la
Liberazione e' stato uno choc" (sono parole di Tersilla Fenoglio Oppedisano,
p. 159). Poi bisognava ricominciare: diminuire, ritagliare, differire,
mediare... e anche dimenticare.
Qui io vedo, nel suo senso piu' positivo, la parentela di queste dodici (che
non hanno dimenticato) con la massa delle donne spoliticizzate. Le accomuna
un problema d'intraducibilita'. Che certo conoscono anche alcuni uomini,
quelli che, simili a donne, non sopportano la militanza e preferiscono la
partecipazione episodica (1).
L'intraducibilita' e' di due tipi, una, per cosi' dire, assoluta ed una
storica. Del primo tipo sono le esperienze (politiche, ma non soltanto) che
non possono essere prolungate perche' hanno una loro stagione. Sono i
periodi rivoluzionari. I periodi rivoluzionari, si dice, prefigurano ed
anticipano cose che poi lentamente bisognera' ecc., ma in realta' tante ne
mostrano che poi si perderanno completamente. E di questa perdita alcuni non
si lasciano consolare. O forse cio' che li affligge e' di ritrovarsi vuoti,
senza la straordinaria passione che insieme teneva e muoveva tutto. Restano
percio' molto attaccati al ricordo.
Quelli che ci passano sopra e continuano la lotta, dispongono forse d'un
potente sistema di spostamenti e trascrizioni per cui queste cadute e
rotture non minacciano la loro integrita' emotiva. Ma non tutti ci riescono.
In particolare a molte donne fare politica appare di scarso interesse
perche' e' un ritaglio molto parziale (nei contenuti e nei modi) e non
garantisce un'integrita' emotiva cui sono molto attaccate forse perche' la
sentono fragile (non e' una questione psicologica, devo soltanto avvertire
non potendo qui andare al fondo dove stanno fatti strutturali come la
riproduzione e la sessualita'). Se a una donna non si presenta mai
l'occasione d'uscire dai confini stretti della sua esistenza trasferendosi
altrove con il sapere e le emozioni che aveva la' dentro, ci restera' dentro
anche tutta la vita, anche se la sentira' soffocante. Un uomo magari si
agita, una donna e' capace di stare li ad aspettare, indifferente alle
banali lusinghe.
Tra quelle che riescono a passare oltre e quelle che non ci riescono, si
apre allora una discriminante, che spartisce le emancipate e politicamente
impegnate da tutte le altre. Discriminante che comincio a pensare non sia in
realta' cosi' rigida, perche' queste dodici non stanno ne' di qua ne' di
la': sono sempre state impegnate politicamente ma in modi e con problemi che
sono delle altre, le spoliticizzate.
L'intraducibilita' storica caratterizza quelle conquiste che, fatte o
sfiorate rapidamente, mancano d'alcune condizioni per durare; bisogna allora
ricominciare daccapo ma non e' facile per chi c'era arrivato d'un colpo
solo. Nelle loro testimonianze, ad esempio, le dodici esprimono il fastidio
o l'indignazione che provarono quando, finito tutto, gli uomini ripresero a
trattarle con superiorita'. Maria Martini Rustichelli una sera se ne usci'
furente dalla sezione dove, ad una sua proposta, qualcuno aveva ribattuto:
"Ma cosa vogliono dire le donne!" (p. 210).
Il problema era per loro aggravato da una parziale inconsapevolezza: pur
attribuendo grande valore al rapporto paritario con gli uomini, non vogliono
fare di questo un obiettivo politico e soprattutto che si pensi che per
questo hanno fatto la Resistenza. Rosanna Rolando (nome di battaglia: Alba
Rossa) introduce la sua biografia con un'affermazione lapidaria: "Ho sempre
lottato per i diritti di tutti, non solo per la donna, perche' io ho lottato
nel Partito comunista". (p. 18).
Di nuovo bisogna stare attenti a non forzare questa posizione dentro
l'ottica delle chiarezze recenti. Potremmo dire, senza sbagliare molto, che
queste donne s'erano formate quando la sinistra aveva sospeso ogni dibattito
sulla questione femminile, rimandandola a dopo la presa del potere; esse
mancano percio' d'una consapevolezza politica. Ma poiche' per altri aspetti
le stesse si scostano dalle posizioni ortodosse, possiamo anche pensare che
l'affermazione di Alba Rossa non sia soltanto effetto ideologico. Sono
propensa a pensarlo alla luce d'una considerazione storica: le donne hanno
dimostrato anche altre volte di voler conquistare la parita' con gli uomini
come effetto laterale d'una lotta condotta per raggiungere altri obiettivi.
L'esempio maggiore ci e' dato dalla mobilitazione femminile per
l'emancipazione dei neri negli Usa.
Ed e' abbastanza logico. Alba Rossa e' una donna orgogliosa: dopo la
Liberazione ha rifiutato il diploma Alexander ("non voglio cose da
stranieri") e finisce il racconto della sua vita dicendo: "Siamo stati
dimenticati, ma non importa. Non mi sono mai lamentata" (p. 31). Come si fa
a volere esplicitamente e a dire di volere quello che si continua a
considerare naturale che sia? Come fa a dire che vuole raggiungere la
parita' una che pensa d'essere uguale ed ha appena dimostrato d'essere
migliore di tanti altri?
La domanda finale allora e' questa: se si supera l'orizzonte ristretto d'una
lotta per la parita' con gli uomini, diventa possibile alle donne superare
la strana "struttura laterale" con cui in passato hanno cercato di portare
avanti i loro interessi?
Non e' sicuro, perche' la struttura laterale, oltre ad esprimere che le
donne si sentono uguali nonostante tutto, e' servita anche ad aggirare, tra
gli altri, un grosso ostacolo: la non traducibilita' dei loro interessi
fondamentali in obiettivi politici. C'e' una difficolta' per le donne ad
immettersi nel regime politico ordinario, dove per forza bisogna sapere
quello che si vuole e dove bisogna accettare di volere oggi quello che si
puo' realizzare subito, e per il resto aspettare. Non che ci manchi la
pazienza ma quelle disposizioni tattiche e strategiche della politica
sembrano a tante di noi dei ritagli che lasciano sempre fuori quello che
c'interessa.
Ed e' realmente cosi', lo suggeriscono anche i racconti delle dodici
partigiane. In questi racconti vediamo che intorno al filo principale, la
lotta antifascista, s'aggregano tanti fatti e situazioni che riguardano la
vita familiare, il lavoro, i rapporti sociali, il sesso; niente della vita
ordinaria d'una donna e' tagliato fuori neanche nell'esperienza di quelle
ch'erano entrate nella clandestinita'; tutto viene chiamato dentro per una
trasformazione radicale che non era stata programmata.
E' di questo tipo la pratica politica che piace alle donne. Naturalmente non
si puo' restare a quest'affermazione psicologica, ma volendo raggiungere il
piu' solido terreno dell'oggettivita' ce la troviamo davanti ed e' bene
averla sempre davanti.
*
Note
1. Elvio Fachinelli, ad esempio, dopo un viaggio in Portogallo scrive Uma
tentativa de amor (Cooperativa scrittori, Roma 1976) invece di fare una
relazione politica.

7. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: DIRITTI, MA NON SOLO
[Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo questo articolo apparso
sul quotidiano "Liberazione" del 9 marzo 2005. Lea Melandri, nata nel 1941,
acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba
voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel
movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea
Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio,
Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il sogno
d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga,
Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia
di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito www.universitadelledonne.it
riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di
scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione
per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice
insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo
psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di
cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini &
Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70
e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi,
sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba
voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988
( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La
Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di
foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica
dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione
Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei
sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di
posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto',
'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha
diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione
femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione
aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle
donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

Lunedi 28 febbraio 2005 si e' aperta a New York la conferenza Onu, che viene
a dieci anni da quella di Pechino, 1995, come verifica dell'impegno preso
allora da 189 Stati del mondo per combattere tutte le forme di
discriminazione verso le donne.
Contrariamente alle valutazioni positive date da Kofi Annan, le ong
femminili presenti all'incontro hanno affermato che "questo e' un momento
eccezionalmente sfavorevole ai diritti delle donne", in tema di salute,
lavoro, istruzione, repressione della violenza sessuale, rappresentanza
politica, pianificazione familiare. Oltre al diffondersi della guerra e
della poverta', a minacciare oggi i diritti acquisiti sono i fondamentalismi
religiosi, cristiano e islamico. Ne sono un esempio: la messa in discussione
dell'aborto, negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, compresa l'Italia,
e, in Algeria, l'approvazione di un nuovo codice di famiglia che introduce
la figura del tutore matrimoniale.
Nonostante il divario innegabile tra le forme e i dati numerici
dell'emarginazione femminile in Occidente e nel resto del mondo, ci sono
tuttavia elementi di somiglianza che vale la pena evidenziare e che ci
inducono a credere che non si tratti solo di diritti violati o non
riconosciuti.
La violenza sulle donne, sotto qualsiasi cielo o cultura avvenga, riguarda
prioritariamente i loro corpi e l'attrattiva che rappresentano per l'uomo:
in quanto corpi che generano, corpi sessualmente seduttivi, ma anche corpi
disposti alla fatica del lavoro domestico, della cura di bambini, malati,
anziani. E' intorno a questa risorsa preziosa per l'uomo, per il suo piacere
e per la sua discendenza, che si sono costruiti storicamente quei legami, di
possesso, asservimento, subordinazione di un sesso all'altro, che nessun
diritto ha mai cancellato del tutto.
Le separazioni, i divorzi, a cui le donne possono liberamente accedere nei
nostri paesi, sono anche una delle cause prime che le vede vittime di
mariti, amanti, che si vedono sfuggire in questo modo un bene proprio.
Nessun codice di famiglia, per quanto rivisto sulla base dell'uguaglianza
tra i sessi, riesce a impedire che una donna ritagli con fatica dai suoi
obblighi di madre e moglie un tempo per se' sgombro da sensi di colpa,
paure, vergogna. Cosi' come e' difficile che la garanzia di un lavoro
esterno possa incrinare la centralita' che hanno preso, nei pensieri di una
donna, le occupazioni e gli affetti che l'attendono all'interno di una casa.
Osservazioni analoghe si possono fare per l'istruzione: anche la' dove e'
garantita, non puo' che andare a incunearsi in quella biforcazione obbligata
di scelte che sono i saperi e le professioni tradizionalmente "femminili" e
"maschili", sentendosi fuori luogo sia nelle une che nelle altre.
*
Non c'e' nessun diritto che possa mettere l'intelligenza femminile in
condizione di esprimersi in modo creativo, almeno finche' non saranno messe
in discussione la presunta "naturalita'" della dedizione a un uomo, a un
figlio, o l'obbligo di piacere per avere amore e riconoscimento. Le energie
fisiche e mentali che le donne impiegano per adattarsi al destino che altri
ha deciso per loro - di madre, amante, serva o musa ispiratrice - non
possono che contribuire a mantenerle in una condizione subordinata, anche
la' dove le leggi garantiscono uguaglianza e pari opportunita'.
Per quanto riguarda poi la questione della rappresentanza politica, che
ricompare a ogni scadenza elettorale, e' evidente la difficolta' a uscire
dalla sterile contrapposizione tra l'essere escluse e l'autoesclusione, tra
la persistenza di poteri tradizionalmente maschili e gli effetti di
estraniazione che essi hanno sedimentato nel modo di sentire e di pensare di
chi comincia solo ora ad affacciarsi alla vita pubblica.
La battaglia per diritti e pari opportunita' non va abbandonata, ma e'
chiaro che, se la loro applicazione anche da parte degli Stati che
formalmente l'hanno approvata va cosi' a rilento, o addirittura regredisce,
cio' dipende anche dalla solitudine in cui sono lasciati i gruppi e le
associazioni di donne che si battono per cambiare a tutti i livelli, privato
e pubblico, il rapporto tra i sessi.
Purtroppo, a occuparsi dei corpi delle donne, della sessualita', dei legami
familiari, sono quasi esclusivamente le forze conservatrici, laiche e
religiose, mentre persiste nella sinistra, partitica e di movimento,
l'incapacita' di rileggere la crisi evidente della politica sulla base di
cio' che essa ha allontanato da se': l'individuo, l'appartenenza a un sesso
o all'altro, la vita psichica, le relazioni parentali. In altre parole:
l'esperienza umana nella sua complessita'.
*
Particolarmente duro, ma innegabilmente veritiero, e' stato il giudizio
emesso dalla Conferenza a proposito della discriminazione delle donne in
Italia. Lo svantaggio femminile nella politica e nel lavoro viene riportato
alla persistenza dei ruoli tradizionali nella famiglia e nella societa',
alla mancanza di "una equa ripartizione delle responsabilita' domestiche",
ma soprattutto al fatto che "la donna e' ancora percepita come oggetto
sessuale e principale responsabile della crescita dei figli".
Quanti di questi pregiudizi e stereotipi sono regolabili sulla base di
diritti e norme giuridiche? Su quali radici inesplorate di adattamenti,
vantaggi secondari, segrete condivisioni da parte delle donne, puo' contare
la loro permanenza nel tempo? E che dire poi quando l'"oggetto sessuale"
esibisce pubblicamente anche doti di tenera madre, come e' il caso di
attrici e modelle disposte a posare nude in stato di gravidanza e col
bambino appena nato?
Il rapporto della Commissione Onu, che si va ad aggiungere a dati statistici
non meno allarmanti, non sembra aver suscitato nel nostro paese alcuna
reazione degna di nota. Di fronte all'immagine femminile della televisione e
della pubblicita' si e' tentati di riabilitare la pornografia e la
prostituzione che, quanto meno, non si nascondono dietro la maschera
"nobilitante" del successo e dei lauti guadagni.
Non e' certo questa la liberta' che il movimento femminista aveva intravisto
ai suoi inizi, ne' si immaginava trent'anni fa che riscoprire il proprio
corpo avrebbe voluto dire, nella post-modernita', venderlo a caro prezzo
all'industria dello spettacolo e al mercato pubblicitario. Eppure, a
differenza di quello che e' capitato in altre nazioni, per esempio la
Francia e la Spagna, nessuna voce e nessuna associazione femminile si sono
sentite finora in Italia deplorare il razzismo che sottosta' all'uso della
donna come "moneta vivente", forse perche' siamo tutte e tutti consapevoli
che su quel palcoscenico nessuna donna arriva in catene, ma per una
deliberata, spesso esibita volonta' di far mettere a profitto il proprio
potere seduttivo.
La discriminazione sul piano del lavoro e della rappresentanza politica, ha,
come dice la Commissione Onu, il suo retroterra nei ruoli tradizionali, ma
questi a loro volta rimandano all'investimento piu' o meno consapevole che
su di essi le donne hanno fatto e continuano a fare, spinte dal miraggio di
far valere le proprie attrattive, di volgere millenni di schiavitu' in una
qualche forma di dominio.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 14 del 27 marzo 2005