La nonviolenza e' in cammino. 929



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 929 del 14 maggio 2005

Sommario di questo numero:
1. Giobbe Santabarbara: Tre tesi su politica e nonviolenza
2. Anna Puglisi: Una bibliografia essenziale su donne, mafia e antimafia
3. Franco Restaino: Il femminismo, avanguardia filosofica di fine secolo.
Carla Lonzi (parte seconda e conclusiva)
4. Benedetto Vecchi intervista Manuel Cruz sul concetto di responsabilita'
5. Severino Vardacampi: Il rimorso e la pieta'
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: TRE TESI SU POLITICA E NONVIOLENZA
I. La politica, lungi dall'essere la cosa dimezzata clausewitziana, e',
ovvero dovrebbe essere, tecnica della convivenza e convivenza stessa -
poiche' in questo caso la tecnica, il metodo, il saper fare, e' gia' il
fare, la cosa in se'.
II. La guerra e' l'opposto assoluto della politica, poiche' il suo fare e'
l'uccidere, cioe' la radicale denegazione del vivere insieme.
III. La nonviolenza, opposizione assoluta all'uccidere, e' dunque della
politica l'inveramento, il suo - asintotico, certo - compimento e progetto,
il suo vettore e il suo senso. Riconoscimento di umanita', relazione che
salva, amore al mondo.

2. MATERIALI. ANNA PUGLISI: UNA BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SU DONNE, MAFIA E
ANTIMAFIA
[La seguente bibliografia essenziale abbiamo estratto dalla bibliografia
ragionata contenuta alle pp. 149-155 dell'utilissimo libro di Anna Puglisi,
Donne, mafia e antimafia, DG editore, Trapani 2005. Per richiedere il libro
(pp. 160, 14 euro) alla casa editrice: DG editore, by Di Girolamo Crispino,
corso Vittorio Emanuele 32-34, 91100 Trapani, tel. e fax 923540339, e-mail:
info at ilpozzodigiacobbe.com, sito: www.ilpozzodigiacobbe.com. Anna Puglisi,
prestigiosa studiosa e militante antimafia, e' impegnata nell'esperienza del
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di cui e' una delle
fondatrici. Tra le opere di Anna Puglisi: con Umberto Santino (a cura di),
La mafia in casa mia, intervista a Felicia Bartolotta Impastato, La Luna,
Palermo 1986; con Antonia Cascio (a cura di), Con e contro. Le donne
nell'organizzazione mafiosa e nella lotta antimafia, Centro siciliano di
documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 1988; Sole contro la mafia, La
Luna, Palermo 1990; Donne, mafia e antimafia, Centro Impastato, Palermo
1998, Di Girolamo, Trapani 2005; con Umberto Santino (a cura di), Cara
Felicia. A Felicia Bartolotta Impastato, Centro siciliano di documentazione
Giuseppe Impastato, Palermo 2005. Per ulteriori informazioni e contatti con
l'autrice: Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato", via
Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail:
csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it]

a. Sulla condizione della donna in Sicilia e nel Meridione
- Maria Rosa Cutrufelli, Disoccupata con onore. Lavoro e condizione della
donna, Mazzotta, Milano 1975.
- AA. VV., Essere donna in Sicilia, Editori Riuniti, Roma 1980; con saggi di
Simona Mafai, Gigliola Lo Cascio e Carola Gugino, Chiara Ottaviano, M.
Beatrice Vittorelli, Giuliana Saladino, Maria Venuti.
- Jole Calapso, Donne ribelli. Un secolo di lotte femminili in Sicilia,
Flaccovio, Palermo 1980.
- Jane Schneider, La vigilanza delle vergini, La Luna, Palermo 1987.
- Renate Siebert, ... E' femmina, pero' e' bella, Rosenberg & Sellier,
Torino 1991.
- Nella Ginatempo (a cura di), Donne del Sud. Il prisma femminile sulla
questione meridionale, Gelka, Palermo 1993.
- Renate Siebert, Cenerentola non abita piu' qui. Uno sguardo di donna sulla
realta' meridionale, Rosenberg & Sellier, Torino 1999.
- Irene Abbate e altre, Alle terre! Alle terre! Racconto a piu' voci
sull'occupazione delle terre in Sicilia, Stampa Alternativa, Roma 2000.
- Gisella Modica, Falce, martello e cuore di Gesu'. Storie verosimili di
donne e occupazioni di terre in Sicilia, Stampa Alternativa, Roma 2000.
- Gisella Modica, Parole di terra, Stampa Alternativa, Roma 2004.
*
b. Su donne e mafia
Felicia Bartolotta Impastato, La mafia in casa mia, la Luna, Palermo 1986,
2003.
- Giovanna Cirillo Rampolla, Suicidio per mafia, La Luna, Palermo 1986.
- Anna Puglisi, Antonia Cascio (a cura di), Con evcontro. Le donne
nell'organizzazione mafiosa e nella lotta contro la mafia, Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1987.
- Marina Pino, Le signore della droga. Storie scellerate di casalinghe
palermitane, La Luna, Palermo 1988.
- Anna Puglisi, Sole contro la mafia, La Luna, Palermo 1990.
- Sandra Rizza, Rita Atria, ragazza contro la mafia, La Luna, Palermo 1993.
- Ercole Ongaro, Una storia per resistere. La terra, una donna, la mafia, La
meridiana, Molfetta 1993.
- Liliana Madeo, Donne di mafia. Vittime, complici e protagoniste,
Mondadori, Milano 1994, poi Baldini & Castoldi, Milano 1997.
- Renate Siebert, Le donne, la mafia, il Saggiatore, Milano 1994, poi Est,
Milano 1997.
- Maria Rosa Cutrufelli, Canto al deserto. Storia di Tina, soldato di mafia,
Longanesi, Milano 1994.
- Angela Lanza, Donne contro la mafia. L'esperienza del digiuno a Palermo,
Datanews, Roma 1994.
- Connie Transirico, Braccata. Dal rifugio segreto una pentita racconta,
Sigma Edizioni, Palermo 1994.
- Emilia Midrio Bonsignore, Silenzi eccellenti. Il caso Bonsignore. Una
battaglia per la giustizia, La Luna, Palermo 1994.
- Michela Buscemi, Nonostante la paura, La meridiana, Molfetta 1995.
- Anna Puglisi, Umberto Santino, Donne e pentitismo, in "Narcomafie", III,
n. 9, ottobre 1995 [poi in Anna Puglisi, Donne, mafia e antimafia, Centro
siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 1998, nuova edizione
DG editore, Trapani 2005].
- Renate Siebert, La mafia, la morte e il ricordo, Rubbettino, Soveria
Mannelli 1995.
- Alessandra Dino, La mafia nei silenzi e nelle parole delle donne, in
"Segno", n. 172, febbraio 1996.
- Anna Puglisi, A proposito della lettera di Ninetta Bagarella e della
risposta del giudice Vigna, in "Narcomafie", IV, n. 7, luglio-agosto 1996
[poi in Anna Puglisi, Donne, mafia e antimafia, Centro siciliano di
documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 1998, nuova edizione DG editore,
Trapani 2005].
- Tina Anselmi, Saveria Antiochia, Rita Borsellino, Doris Lo Moro, Nora
Rizzi, Maria C. S. Abriego, Nonostante donna. Storie civili al femminile,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996.
- AA. VV., Dal materno al mafioso. Ruoli delle donne nella cultura delle
mafie, Edizione Regione Toscana, Firenze 1996.
- Anna Puglisi, Le donne di mafia collaboratrici di giustizia, in "CxU. Una
citta' per l'uomo", nn. 5-6, dicembre 1996 [poi in Anna Puglisi, Donne,
mafia e antimafia, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato,
Palermo 1998, nuova edizione DG editore, Trapani 2005].
- Silvia Di Lorenzo, La grande madre mafia. Psicanalisi del potere mafioso,
Pratiche, Parma 1996.
- Teresa Principato, La donna nell'universo mafioso: storia di una
centralita' sommersa, in "Segno", n. 183, marzo 1997.
- Renate Siebert, La mafia e le donne, in Luciano Violante (a cura di),
Mafia e societa' italiana. Rapporto '97, Laterza, Roma-Bari 1997.
- Teresa Principato, Alessandra Dino, Mafia donna. Le vestali del sacro e
dell'onore, Flaccovio, Palermo 1997.
- Clara Longrigg, Mafia Women, Chatto & Windus, London 1997, edizione
italiana: L'altra meta' della mafia, Ponte alle Grazie, Firenze 1997.
- Associazione antmafia "Rita Atria" di Milazzo, Comitato per la pace e il
disarmo unilaterale di Messina (a cura di), Graziella Campagna a 17 anni
vittima di mafia. Storie di trafficanti, imprenditori e giudici nella
provincia dove "la mafia non esiste", Armando Siciliano Editore, Messina
1997.
- Luciano Mirone, La citta' della luna. Otto donne sindaco in Sicilia,
Rubbettino, Soveria Mannelli 1997.
- Renate Siebert, Dinamiche psichiche, condotte violente: uomini e donne di
mafia, in Girolamo Lo Verso (a cura di), La mafia dentro. Psicologia e
psicopatologia di un fondamentalismo, Franco Angeli, Milano 1998.
- Alessandra Camassa, Lo psichismo mafioso femminile. Una testimonianza, in
Girolamo Lo Verso (a cura di), La mafia dentro. Psicologia e psicopatologia
di un fondamentalismo, Franco Angeli, Milano 1998.
- Angela Lanza, Sono stata Orsa a Brauron. Storie di lotte contadine al
femminile in Sicilia, Rubbettino, Soveria Mannelli 1999.
- Simona Mafai, Un lungo incantesimo. Storie private di una comunista
raccontate a Giovanna Fiume, Gelka, Palermo 1999.
- Umberto Santino, Storia del movimento antimafia. Dalla lotta di classe
all'impegno civile, Editori Riuniti, Roma 2000.
- Rita Bartoli Costa, Una storia vera a Palermo, Salvatore Sciascia editore,
Caltanissetta 2001.
- AA. VV., Donne e mafie. Il ruolo delle donne nelle organizzazioni
criminali, Universita' degli studi di Palermo, Dipartimento di Scienze
penalistiche e criminologiche, Palermo 2003; con testi di G. Fiandaca, F.
Allum, R. Siebert, O. Ingrasci', M. Massari, C. Motta, A. Dino, F. Di Maria,
G. Lo Verso, E. Savona, G. Natoli, R. Milia, A. M. Milito, A. Oliveri, F.
Paluca Belay, A. Rossi, D. Frossard, R. Otomo, E. M. Kallinger, Y. Gilinsky,
C. Longrigg, T. Principato.
- Antonella Azoti, Ad alta voce. Il riscatto della memoria in terra di
mafia, Terre di mezzo, Milano 2005.

3. RIFLESSIONE. FRANCO RESTAINO: IL FEMMINISMO, AVANGUARDIA FILOSOFICA DI
FINE SECOLO. CARLA LONZI (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Dalla rivista telematica "Per amore del mondo", n. 2 (nel sito
www.diotimafilosofe.it) riprendiamo il seguente saggio di Franco Restaino,
"Il femminismo, avanguardia filosofica di fine secolo. Carla Lonzi", gia'
apparso nel volume Le avanguardie filosofiche in Italia nel XX secolo, a
cura di P. Di Giovanni, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 269-286.
Franco Restaino, nato ad Alghero (Sassari) nel 1938, docente universitario
prima a Cagliari e poi a Roma; "i suoi interessi di ricerca hanno riguardato
prevalentemente le filosofie inglese, scozzese, francese e statunitense
degli ultimi tre secoli. Ha intrapreso anche studi sull'estetica (avendola
insegnata per dieci anni) e negli ultimi anni ha ripreso ed esteso le sue
ricerche (iniziate negli anni Sessanta su Vailati) sull'area italiana,
occupandosi degli sviluppi del positivismo. Attualmente continua le sue
ricerche sulla recente filosofia inglese e statunitense, sui rapporti tra
filosofia di lingua inglese e filosofie europeo-continentali e sul pensiero
femminista". Tra le opere di Franco Restaino: La fortuna di Comte in Gran
Bretagna. I. Comte sansimoniano, in "Rivista critica di storia della
filosofia", XXIII, 1968, 2; II. Comte scienziato, ibidem, XXIII, 1968, 4;
III. Comte filosofo, ibidem, XXIV, 1969, 2; IV. Comte pontefice, ibidem,
XXIV, 1969, 4; J. S. Mill e la cultura filosofica britannica, La Nuova
Italia, Firenze 1968;Scetticismo e senso comune. La filosofia scozzese da
Hume a Reid, Laterza, Roma-Bari 1974; Note sul positivismo italiano
(1865-1908). Gli inizi (1865-1880), in "Giornale critico della filosofia
italiana", LXIV, 1985, 1; Il successo (1881-1891), ibidem, LXIV, 1985, 2; Il
declino (1892-1908), ibidem, LXIV, 1985, 3; David Hume, Editori Riuniti,
Roma 1986; Filosofia e postfilosofia in America. Rorty, Bernstein,
MacIntyre, Angeli, Milano 1990; Storia dell'estetica moderna, Utet, Torino
1991; Storia della filosofia, fondata da N. Abbagnano, in collaborazione con
G. Fornero e D. Antiseri, vol. IV, tomo II, La filosofia contemporanea,
Utet, Torino 1994, poi Tea, Milano 1996; "Esthetique et poetique au XVIIIe
siecle en Angleterre", in Histoire des Poetiques, a cura di J. Bessiere, E.
Kushner, R. Mortier, J. Weisberger, Presses Universitaires de France, Paris
1997; "La filosofia anglo-americana", in La filosofia della seconda meta'
del Novecento, a cura di G. Paganini, Piccin-Vallardi, Padova 1998; in
collaborazione con A. Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia
Scriptorium, Torino 1999; Storia della filosofia, 4 voll., Utet Libreria,
Torino 1999; La rivoluzione moderna. Vicende della cultura tra Otto e
Novecento, Salerno Editrice, Roma 2001.
Carla Lonzi e' stata un'acutissima intellettuale femminista, nata a Firenze
nel 1931 e deceduta a Milano nel 1982, critica d'arte, fondatrice del gruppo
di Rivolta Femminile. Opere di Carla Lonzi: Sputiamo su Hegel, Scritti di
Rivolta Femminile, Milano 1974, poi Gammalibri, Milano 1982; Taci, anzi
parla. Diario di una femminista, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978;
Scacco ragionato, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1985. Opere su Carla
Lonzi: Maria Luisa Boccia, L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla
Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990]

Dalle premesse poste nel breve saggio su Sessualita' femminile a aborto
muove lo sviluppo organico del pensiero di Carla Lonzi realizzato nel piu'
noto saggio La donna clitoridea e la donna vaginale. In esso l'autrice
perviene a conclusioni radicali, alla esaltazione di un libertarismo
sessuale della donna, alquanto "inattuale" nel momento in cui venne
proposto, ma in linea con alcune delle posizioni piu' radicali e piu'
avanzate che a livello internazionale venivano proposte anche se non
largamente condivise (9). Soltanto qualche anno dopo, con l'emergere
pubblico del dibattito sull'omosessualita' femminile e con la rivendicazione
di questa quale vera pratica di liberazione dal sistema patriarcale, le tesi
di Carla Lonzi avrebbero avuto una qualche eco (10).
Il saggio della Lonzi si presenta anche con aspetti "didattici", nel senso
che spiega in termini elementarissimi, con estrema chiarezza, la "meccanica"
fisiologica della sessualita' femminile, dei suoi organi, dei suoi modi e
dei suoi diversi tipi di piacere e di orgasmo, utilizzando anche
illustrazioni sui dettagli fisiologici e anatomici, per muovere verso un
discorso teorico e di rivendicazione culturale e politica di estrema
radicalita'.
Premesso che "il sesso femminile e' la clitoride, il sesso maschile e' il
pene"; che "la vagina e' la cavita' del corpo femminile che accoglie lo
sperma dell'uomo e lo inoltra nell'utero affinche' avvenga la fecondazione
dell'ovulo"; che "il momento in cui il pene dell'uomo emette lo sperma e' il
momento del suo orgasmo"; che "nell'uomo dunque il meccanismo del piacere e'
strettamente connesso al meccanismo della riproduzione"; la Lonzi individua
e indica subito la "differenza" essenziale tra la sessualita' maschile e
quella femminile: "Nella donna meccanismo del piacere e meccanismo della
riproduzione sono comunicanti [cioe' la clitoride e' vicina ma non identica
alla vagina], ma non coincidenti" (p. 77). Ma questa differenza e' stata
negata dalla pratica eterosessuale vaginale imposta dal sistema patriarcale,
che ha negato autonomia e legittimita' al piacere clitorideo, condannandolo
come innaturale o come infantile (Freud) e in alcuni casi negandolo alla
radice (la Lonzi aveva fatto riferimento, in pagine precedenti, alle
pratiche di clitoridectomia in alcune aree del mondo islamico).
Ora, continua la Lonzi, "la donna si chiede: su quale base si e' postulato
che il piacere clitorideo esprime una personalita' femminile infantile e
immatura? Forse perche' esso non risponde al modello sessuale procreativo.
Ma il modello procreativo non e' quello in cui si e' cristallizzato il
rapporto eterosessuale - anche quando il fine procreativo viene
accuratamente evitato - secondo la netta preferenza del pene-egemone? Dunque
il piacere clitorideo deve il suo discredito al fatto di non essere
funzionale al modello genitale maschile" (p. 81). La donna e' stata
costretta, nel sistema patriarcale di ultramillenaria durata, ad accettare e
a introiettare anche sul piano psichico il primato, anzi il carattere
esclusivo, della eterosessualita' vaginale, funzionale al piacere e al
dominio maschili. La via della liberazione della donna passa per il rifiuto
di questa eredita' codificata da tutte le forme di ideologia e divenuta
patrimonio psichico della stessa donna, passa per la "conquista" della
sessualita' clitoridea, unanimemente condannata e demonizzata nel sistema
patriarcale: "Per godere pienamente dell'orgasmo clitorideo la donna deve
trovare un'autonomia psichica dall'uomo. Questa autonomia psichica risulta
cosi' inconcepibile per la civilta' maschile da essere interpretata come un
rifiuto dell'uomo, come presupposto di una inclinazione verso le donne. Nel
mondo patriarcale dunque le viene riservato in piu' l'ostracismo che si ha
per tutto cio' che si sospetta un'apertura all'omosessualita'" (p. 83).
A questo punto Carla Lonzi puo' proporre la contrapposizione che da' il
titolo al saggio e che costituisce l'alternativa di fronte alla quale le
donne devono operare la loro scelta essenziale: per o contro il sistema
patriarcale, per o contro la liberta' della donna e la liberazione da quel
sistema: "Dal punto di vista patriarcale la donna vaginale e' considerata
quella che manifesta una giusta sessualita' mentre la clitoridea rappresenta
l'immatura e la mascolinizzata, per la psicoanalisi freudiana addirittura la
frigida. Invece il femminismo afferma che la vera valutazione di queste
risposte al rapporto col sesso che opprime e' la seguente: la donna vaginale
e' quella che, in cattivita', e' stata portata a una misura consenziente per
il godimento del patriarca mentre la clitoridea e' una che non ha
accondisceso alle suggestioni emotive dell'integrazione con l'altro, che
sono quelle che hanno presa sulla donna passiva, e si e' espressa in una
sessualita' non coincidente col coito" (pp. 83-84).
Tutto il saggio ruota su questa contrapposizione, affrontata con l'analisi
dei suoi aspetti fisiologici, psichici, sociali (l'istituzione matrimonio e
la necessita', per la donna liberata, di uscirne). Largo spazio e' dedicato
alla critica della psicoanalisi nelle versioni di Freud e di Reich. La Lonzi
non accetta l'identificazione di donna clitoridea e di donna omosessuale. Il
rifiuto dell'eterosessualita' fondata e codificata sulla penetrazione
vaginale non e' il rifiuto dell'eterosessualita'. La Lonzi insiste anzi sul
fatto che la vagina, per quanto sia organo erogeno "moderato", costituisce
uno dei possibili luoghi di "giochi" erotici e sessuali con l'uomo.
L'autrice non rifiuta il rapporto sessuale della donna con l'uomo, ma il
carattere "passivo" di tale rapporto, per cui "per provare l'orgasmo durante
il coito la donna deve avere dell'uomo un'idea che trascenda l'idea che essa
ha di se stessa e convincersi di stare con un uomo all'altezza dell'alta
idea che essa ha dell'uomo" (p. 108).
La Lonzi mira a una liberazione della donna che comporti non piu' la
passivita' nel rapporto sessuale con l'uomo ma la liberta' di iniziativa, la
"rinegoziazione" del rapporto eterosessuale: "Nella seduta amorosa la donna
non deve aspettare dall'uomo delle maldestre iniziative sulla clitoride che
la disturbano, ma deve mostrare lei stessa quale e' la carezza ritmica
preferita che, ininterrotta, la porta al punto del godimento. Il rapporto
con una donna che vuole il piacere clitorideo come piacere sessuale in
proprio non presuppone una tecnica e gesti erotici inusitati, ma un diverso
rapporto tra soggetti che riscoprono le loro fonti del piacere e i gesti ad
esse convenienti. L'uomo deve sapere che la vagina e', per la donna, una
zona moderatamente esogena e adatta ai giochi sessuali, mentre la clitoride
e' l'organo centrale della sua eccitazione e del suo orgasmo" (p. 113).
Va da se' che tutte le forme di erotismo e di autoerotismo devono essere a
disposizione della donna liberatasi dal dominio patriarcale. Nello scritto
precedente la Lonzi aveva indicato nella libera sessualita' polimorfa
l'orizzonte della nuova donna liberata. In questo piu' organico saggio
ripropone in forme piu' riccamente sviluppate questo tema, esteso a tutti
gli esseri umani, compresi i bambini (nel Manifesto di un anno prima aveva
scritto: "Sono un diritto dei bambini e degli adolescenti la curiosita' e i
giochi sessuali", p. 16):  "Il sesso e' una funzione biologica essenziale
dell'essere umano e vive di due momenti: uno personale e privato che e'
l'autoerotismo, uno di relazione che e' lo scambio erotico con un partner"
(p. 113). Anche l'autoerotismo e' quindi una delle forme "essenziali" di
quella funzione biologica che e' il sesso, e anche in questa sfera la donna
e' stata "inferiorizzata" dal sistema patriarcale: "L'interdizione
all'autoerotismo ha colpito duramente la donna poiche' non solo l'ha privata
o l'ha disturbata in questa realizzazione di se', ma anche l'ha consegnata
inesperta e colpevolizzata al mito dell'orgasmo vaginale che per lei e'
diventato 'il sesso'" (ivi).
Nella parte finale del saggio Carla Lonzi evita di presentare la donna
clitoridea, liberata dal sistema patriarcale, come qualcosa di eccezionale,
di eroico, da esaltare; anzi ritiene che la donna clitoridea debba essere la
donna "normale" in una civilta' nella quale sia stato sconfitto il sistema
patriarcale senza per questo mirare a un idealizzato e utopico sistema
matriarcale. Una donna normale di fronte a un uomo normale: entrambi esseri
sessuati, ma con le loro "differenze" da valorizzare e non da mortificare al
servizio dell'uno/a o dell'altro/a: "La donna clitoridea non ha da offrire
all'uomo niente di essenziale, e non si aspetta niente di essenziale da lui.
Non soffre della dualita' e non vuole diventare uno. Non aspira al
matriarcato che e' una mitica epoca di donne vaginali glorificate. La donna
non e' la grande-madre, la vagina del mondo, ma la piccola clitoride per la
sua liberazione. Essa chiede carezze, non eroismi; vuole dare carezze, non
assoluzione e adorazione. La donna e' un essere umano sessuato. (...) Non e'
piu' l'eterosessualita' a qualsiasi prezzo, ma l'eterosessualita' se non ha
prezzo" (p. 118). E quel che fa la differenza, nei due tipi di sessualita'
ed eterosessualita', e' la passivita' o l'assenza di questa: "La passivita'
non e' l'essenza della femminilita', ma l'effetto di un'oppressione che la
rende inoperante nel mondo. La donna clitoridea rappresenta il tramandarsi
di una femminilita' che non si riconosce nell'essenza passiva" (p. 134).
*
Qui possiamo dar termine al nostro contributo, che voleva essere
prevalentemente informativo e che per tale motivo ha abbondato in
riferimenti testuali numerosi e talvolta lunghi. Il pensiero di Carla Lonzi
e' legato a un momento iniziale e radicale del femminismo, italiano e
internazionale. Esso presenta forti momenti di originalita' e tratta temi
che negli anni successivi avrebbero avuto sviluppi teorici riccamente
diversificati, sia in Italia sia fuori d'Italia. Non e' un pensiero
conosciuto o studiato nella filosofia fatta secondo il genere maschile. Non
e' questo, pero', un limite di quel pensiero, ma di quella filosofia, che
tarda ancora a prendere atto del fatto che il pensiero delle donne, dopo la
Lonzi e grazie anche ad essa, ha raggiunto livelli di approfondimento e di
ampiezza tematica, sia sul piano teorico sia su quello storiografico, che
potrebbero portare nuova linfa ad una filosofia nel suo complesso
vivacchiante da un po' di anni senza dare segni di una qualche originalita'
(11).
*
Note
1. Per una recente ricostruzione storico-teoretica del concetto di
avanguardia si veda, del vol. di L. Ferry, Homo Aestheticus, Grasset, Paris
1990, il cap. "Le declin des avant-gardes: la postmodernite'", pp. 269-342.
2. Qualche anno fa ho segnalato e documentato ampiamente, in una rassegna di
testi di questo genere di area inglese e statunitense, tale fatto. Si veda
F. Restaino, La filosofia italiana vista dagli anglostatunitensi, in
"Rivista di storia della filosofia", LIII, 1996, 4, pp. 921-942. Ai testi
cui fa riferimento la rassegna si deve aggiungere, a conferma, la recente
The Columbia History of Western Philosophy diretta da R. H. Popkin e scritta
da una sessantina di autorevoli storici della filosofia, Columbia University
Press, New York 1999.
3. Il testo piu' ricco e piu' documentato, che ricostruisce la formazione
del pensiero femminista italiano dalla fine degli anni Sessanta e' quello a
cura di P. Bono e S. Kemp, Italian Feminist Thought, Blackwell, Oxford 1991.
Per indicazioni bibliografiche piu' aggiornate si veda F. Restaino, A.
Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia Scriptorium, Torino 1999. Una
fonte preziosa di informazione e' la principale rivista femminista italiana,
"DWF", per la quale si veda l'utilissimo volume, supplemento al n. 4/2000,
curato da F. Perrone e V. Chiurlotto, DWF. 1975-2000. Indici & Abstracts,
Utopia, Roma 2001.
4. Oltre alle opere indicate nelle bibliografie dei testi citati nella nota
precedente si veda ora il vol. a cura di B. A. Crow, Radical Feminism. A
Documentary Reader, New York University Press, New York 2000. E' la piu'
ricca e articolata raccolta di testi, ragionatamente presentati, che
documentano i principali temi di elaborazione teorica di questa fase del
femminismo contemporaneo, collocabile negli anni 1967-1975.
5. Su questi aspetti nuovi che porteranno alla crisi del femminismo radicale
intorno al 1975 e all'emergere di nuove elaborazioni teoriche sempre piu'
raffinate e "accademiche" (per le quali e' diffusa la denominazione di
"post-femminismo") contestualmente alla crisi del femminismo come movimento
pratico-politico organizzato (anche se in maniera molto decentrata) si veda
l'ottimo vol. di I.Whelehan, Modern Feminist Thought. From the Second Wave
to "Post-Feminism", Edinburgh University Press, Edinburgh 1996. Ulteriori
informazioni e indicazioni bibliografiche nel gia' citato vol. di F.
Restaino, A. Cavarero, Le filosofie femministe.
6. La biografia e l'attenta ricostruzione del pensiero teorico di C. Lonzi
e' l'oggetto di un libro esaustivo di M. L. Boccia, L'io in rivolta. Vissuto
e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990. L'autrice ricostruisce
con rigore e impegno, servendosi largamente della produzione diaristica, le
vicende biografiche di C. Lonzi, morta relativamente giovane a causa di una
lunga malattia incurabile.
7. C. Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale,
Rivolta Femminile, Milano 1974, p. 11.
8. Una storia delle teorizzazioni dei filosofi sulla donna non e' stata
ancora scritta, anche se molti contributi di studiose femministe nelle
diverse aree della cultura internazionale e nazionale hanno contribuito a
preparare i materiali per una tale storia. Recentemente tre studiose
francesi, F. Collin, E. Pisier, E. Varikas, hanno curato il grosso volume
(830 pagine) Les femmes de Platon a' Derida. Anthologie critique, Plon,
Paris 2000. Il volume si raccomanda alla lettura sia per le accurate
presentazioni di ogni autore, sia per l'intelligente scelta dei brani, sia
per la ricchissima e aggiornatissima bibliografia di ampiezza
internazionale. Dovrebbe essere una lettura obbligata, per le donne e per
gli uomini che abbiano interesse alla filosofia.
9. La tematica relativa alla differenza tra pratiche sessuali centrate sulla
vagina e quelle centrate sulla clitoride veniva proposta in un brevissimo
scritto di Anne Koedt, circolato in forma di ciclostilato nel 1968 e
pubblicato nel 1970 in una dimensione piu' lunga, dal titolo The Myth of the
Vaginal Orgasm. Lo si trova nelle pp. 64-66 del volume gia' citato a cura di
B. A. Crow, Radical Feminism, oltre che nelle pp. 333-343 del volume curato
da M. Schneir, The Vintage Book of Feminism, Vintage, London 1994 (in questo
volume lo scritto viene inquadrato nel dibattito aperto nel 1966 dal celebre
libro inchiesta di W. H. Masters, V. E. Johnson, Human Sexual Response, nel
quale per la prima volta si rendeva noto al grande pubblico che Freud e
tutta la tradizione sessuologica avevano sbagliato nell'individuare la fonte
del piacere e dell'orgasmo femminili nella vagina anziche' nella clitoride,
fonte di piacere, secondo Freud, soltanto per la bambina e l'adolescente, la
cui sessualita' avrebbe raggiunto la piena maturita' soltanto con il piacere
e l'orgasmo vaginali; Freud concludeva anche che la frigidita' femminile
dipendeva dal non voler abbandonare la fase clitoridea e dal rifiutare il
rapporto con il maschio nella fase della penetrazione vaginale). Lo scritto
di A. Koedt e' rivolto principalmente a confutare le tesi di Freud, e in
questo compito e' stato molto efficace e fortunato in ambito femminista.
10. Su questo dibattito e sulla bibliografia relativa mi permetto di
rinviare al gia' citato vol. di F. Restaino, A. Cavarero, Le filosofie
femministe.
11. Su questa sordita' della filosofia "maschile" rispetto ai contributi
teorici provenienti dalla filosofia "femminile" e femminista mi permetto di
rinviare al mio articolo Femminismo e filosofia: contro, fuori o dentro?, in
"Rivista di storia della filosofia", LVI, 2001, n. 3, pp. 455-472.
(Parte seconda - Fine)

4. RIFLESSIONE. BENEDETTO VECCHI INTERVISTA MANUEL CRUZ SUL CONCETTO DI
RESPONSABILITA'
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 maggio 2005 riprendiamo la seguente
intervista.
Benedetto Vecchi e' redattore culturale del quotidiano "Il manifesto"; nel
2003 ha pubblicato per Laterza una Intervista sull'identita' a Zygmunt
Bauman.
Una scheda apparsa sul quotidiano nella medesima pagina dell'intervista
cosi' presenta Manuel Cruz: "Volto sorridente, sempre attento a valutare se
le sue tesi sono state comprese, con una spiccata tendenza a spiegare i suoi
concetti con aneddoti della vita quotidiana, Manuel Cruz e' un filosofo che
si e' formato nella Spagna dopo la morte di Franco. Ha quindi visto il suo
paese conoscere un veloce processo di modernizzazione che lo ha
secolarizzato. E dell'ethos pubblico si e' sempre occupato, da quando si e'
laureato. Docente di filosofia contemporanea all'Universita' di Barcellona
ha pubblicato numerosi saggi e interventi. Tra i suoi libri vanno ricordati
Filosofia de la Historia, ´A quien pertenece lo ocurrido?, Filosofia
contemporanea, La tarea de pensar e Farsi carico, quest'ultimo pubblicato in
italiano da Meltemi"]

Il tema che il filosofo spagnolo Manuel Cruz ha voluto affrontare nel libro
Farsi carico. A proposito di responsabilita' e di identita' personale
(Meltemi, pp. 191, euro 17) va preso, come lui stesso ama dire, con le
molle. In primo luogo perche' la responsabilita' e' un concetto ambivalente,
che apre il campo a quel sovversivo "prendere nelle mani il proprio
destino", ma e' anche un potente argomento usato per legittimare lo status
quo. L'espressione "fatti carico con responsabilita' della situazione data"
e' infatti il leitmotiv di chi la realta' la vorrebbe far restare cosi'
com'e'. Ma, seguendo il filo del pensiero di Manuel Cruz, c'e' una via di
fuga da questa deriva conservatrice. La responsabilita' e' infatti
"concatenata" alla decisione. Io decido di fare una cosa, piuttosto che
un'altra, compiendo dunque una scelta e facendomi carico dei suoi effetti.
La responsabilita' pero', afferma Cruz, ha ben poco a che vedere con i
contenuti di quella scelta o decisione. La responsabilita' stabilisce quindi
il fatto che si e' compiuta una scelta, ed e' quindi una delle componenti
del vivere in societa'. Nascondersi, pero', dietro il dito della
responsabilita' per nascondere il contenuto della scelta e' un'attitudine
decisamente conservatrice, afferma il filosofo spagnolo che abbiamo
incontrato a Roma, dove Cruz ha presentato il libro. Una discussione che si
e' snodata su sentieri spesso tortuosi, dove ogni passo compiuto richiedeva
soste e spiegazioni ulteriori per poi riprendere.
*
- Benedetto Vecchi: L'obiettivo che si pone con questo libro e' definire lo
statuto della responsabilita', termine che ha una lunga e tormentata storia
nella filosofia. E una volta stabilito il suo status, punta decisamente a
stabilire le coordinate con cui orientare l'etica individuale. Un obiettivo
ambizioso, non crede?
- Manuel Cruz: Il concetto di responsabilita' e' un concetto moderno. Dal
punto di vista etimologico e' una parola comparsa recentemente. Nel
castigliano, cosi' come nel francese, nell'inglese e nel tedesco compare tra
la fine del diciassettesimo secolo e gli inizi del diciottesimo. Possiamo
dire che la sua comparsa coincide con la rivoluzione industriale. Certo,
possiamo affermare che la responsabilita' e' figlia del concetto di colpa,
ma una volta che fa la sua comparsa nella scena pubblica prende decisamente
le distanze da essa. Nella riflessione teologica, il senso di colpa si
manifesta con la violazione di alcune regole socialmente condivise e fa
parte di quel luogo comune secondo il quale vivere e' sempre
l'attraversamento di una valle di lacrime. Per i teologi, il singolo vive
sempre a stretto contatto con il male, la colpa, la sofferenza, il danno
subito e arrecato. La modernita' e' un'era che si emancipa dalla "colpa" di
vivere: e' in questo momento che subentra il concetto di responsabilita'.
Provo a fare un esempio per esemplificare il mutamento che subentra nel
rapporto tra l'individuo e la realta'.
Stiamo facendo una passeggiata per la strada e incontriamo un essere umano
che chiede l'elemosina o che e' talmente ubriaco da non reggersi in piedi.
Proviamo un sentimento di compassione, ma subito dopo poniamo e ci poniamo
una domanda: chi si prende cura di lui? Ecco questa e' una domanda che
esclude il senso di colpa, ma non quello di responsabilita'. La colpa e'
sempre un sentimento legato a qualcosa accaduto nel passato, mentre la
responsabilita' investe i comportamenti del qui e dell'ora, perche'
interroga il nostro stare in societa'. Altro esempio per introdurre una
tassonomia della responsabilita': i genitori sono responsabili
dell'educazione dei propri figli. Questo significa che si fanno carico di
loro fino a quando possano andare nel mondo sulle loro gambe. Certo, i
genitori si possono domandare se quello che fanno o decidono per i propri
figli sia giusto o sbagliato, ma quello che conta e' che si fanno carico di
loro. Il concetto di responsabilita' che io cerco di indagare e' di questo
tipo, perche' tenta di sondare il momento della scelta, della decisione di
fare una cosa piuttosto che un'altra.
E' stato Hans Jonas che ha definito la cornice filosofica del significato
contemporaneo, secolarizzato di responsabilita', perche' ha stabilito la
concatenazione tra responsabilita', decisione e conseguenze di tale
decisione. Il suo "principio responsabilita'" e' ben diverso anche da quello
weberiano, il primo studioso che si e' occupato di responsabilita' in epoca
moderna. Quando Max Weber affronta il tema della responsabilita' fa infatti
riferimento al dialogo interiore del singolo con se stesso. Non c'e'
esteriorita' in Weber, ma solo interiorita'. Per lo studioso dell'etica
protestante e dello spirito del capitalismo il singolo ha un potere limitato
di prevedere gli effetti di alcune sue scelte, ma in ogni caso ritiene che
gli effetti del suo comportamento siano considerazioni di secondo livello
rispetto a quell'incessante dialogo che l'uomo moderno svolge con se stesso.
Ovviamente non c'e' un dio che sorveglia le tue decisioni perche' e' il
singolo che stabilisce i termini di una condotta responsabile. Jonas parte
invece dalla convinzione che l'uomo ha il potere di conoscere o quantomeno
di prevedere gli effetti di una decisione. E' noto che il filosofo tedesco
e' stato testimone dell'avvento del nazismo, della seconda guerra mondiale e
dell'esplosione delle prime bombe atomiche. Da qui l'elaborazione di un
principio di responsabilita' verso le future generazioni. Siamo dunque
responsabili se ci facciamo carico delle conseguenze delle nostre scelte.
*
- Benedetto Vecchi: Se Weber secolarizza la responsabilita', facendone una
faccenda privata, Jean-Paul Sartre la inscrive nel rapporto tra singolo e
collettivita' e tra liberta' e necessita'. Ognuno di noi e' libero di
scegliere, affermava l'esistenzialista Sartre. Ma la nostra possibilita' di
operare una libera scelta responsabile investe il modo di funzionare della
societa' e quindi i fattori che ci impediscono di essere liberi, rispondeva
il Sartre marxista. Lei afferma invece che la responsabilita' esiste quando
il singolo si fa carico degli effetti di una scelta e che possiamo definire
l'identita' personale in base a questo particolare significato di
responsabilita'. Mi sembra pero' che cosi' facendo l'identita' personale
rinvii nuovamente a quel rapporto dialogico con se stesso che nega il
carattere sociale della responsabilita'. Non e' cosi'?
- Manuel Cruz: Mi e' sempre piaciuta l'espressione "rapporto con se stesso",
ma per me l'identita' personale e' una costruzione sociale. In questo
momento noi stiamo parlando e usiamo termini, sintassi, semantiche che
riguardano un prodotto sociale, il linguaggio. In ogni caso siamo sovrani
sui discorsi che facciamo. L'identita', in quanto costruzione sociale, e'
semmai la finestra attraverso la quale noi comunichiamo con il mondo
esterno, mentre la responsabilita' sono gli atti e i discorsi che mettiamo
in campo per rispondere alle domande che gli altri ci pongono in quanto
essere sociali.
Prendiamo il vittimismo: spesso gli individui sono chiamati in causa per
alcuni comportamenti e loro rispondono di non essere responsabili di cio'
che fanno e che fanno quello e non altro perche' sono stati vittime di
un'ingiustizia o di una discriminazione del passato. Puo' riguardare il
singolo o il gruppo sociale, etnico, religioso, culturale al quale
l'individuo pensa di appartenere. Possiamo dire che rivendicano un principio
di non responsabilita' in base al quale si legittimano alcune scelte. Il
vittimista dice sempre: faccio questo, perche' voi, la societa', siete
responsabili della mia condizione. In altri termini: il vittimismo afferma
la non responsabilita' dei singoli rispetto al loro comportamento, ma chiede
alla societa' di farsi carico delle sue presunte colpe.
In Spagna sono stato invitato a un dibattito organizzato da alcuni
psichiatri che verteva su un interrogativo: se le persone affette da alcune
tipologie di distubi mentali erano responsabili o meno delle loro azioni. Mi
sono spesso chiesto perche' avessero invitato un filosofo, ma poi ho capito
che la domanda che ponevano era filosofica, prima che medica o giuridica.
Secondo alcuni psichiatri conservatori la risposta era negativa: no, quelle
persone non erano responsabili delle loro azioni. Sul versante opposto,
invece, psichiatri progressisti affermavano il contrario: si', sono
responsabili. Accettare di applicare il principio di non responsabilita' al
comportamento di alcune persone o gruppi sociali o culturali apre la strada
a un ragionamento pericoloso: poiche' non sono responsabili sono soggetti
minori che quindi hanno diritti minori rispetto agli altri.
*
- Benedetto Vecchi: C'e' sempre una concatenazione tra decisione e
responsabilita'. Quando si decide si traccia una linea tra un prima e un
dopo. E' un atto che separa il mondo precendente da quello che si vuol
produrre. La decisione e' quindi sempre legata a una contingenza, a un qui e
ora. Dunque anche la responsabilita' e' legata a una contingenza. E' quindi
difficile pensare a una responsabilita' che si fa carico delle conseguenze
di una decisione. A meno che non si pensi che gli effetti collaterali
debbano entrare a far parte della situazione contingente. C'e' il rischio di
paralisi. Se mi pongo il problema degli effetti, sara' difficile prendere
una decisione...
- Manuel Cruz: Da alcuni anni il tema degli effetti imprevisti di una
decisione e', a ragione, molto dibattuto. E tuttavia credo che vada usata
molta cautela nel porlo al centro della riflessione, perche' se ne puo' fare
un uso paralizzante. Prendiamo l'argomentazione tipica dei conservatori: non
sappiamo prevedere cosa accadra' se facciamo questa cosa, ragione per cui e'
meglio lasciare tutto cosi' come e'. Gli effetti imprevisti sono branditi
come una minaccia o un pericolo da evitare. La storia e' pero' un insieme di
effetti imprevisti. Nessuno puo' prevedere cosa accadra' se prendiamo una
decisione. La responsabilita' non vuol dire che bisogna prevedere tutti gli
effetti della nostre decisione, ma farsene carico una volta che si
manifestano. Il problema non e' la decisione, ma la responsabilita' nel
farsi carico degli effetti previsti o no di tale decisione.
*
- Benedetto Vecchi: Seguendo il suo ragionamento, prendere e attuare
decisioni e' gia' un atto di responsabilita'...
- Manuel Cruz: Il contenuto della decisione e' cosa diversa dalla
responsabilita'. Io posso decidere di fare una cosa, ma sono gli altri che
chiedono conto del contenuto della decisione, cioe' fanno leva sula
responsabilita' di chi ha deciso di fare una cosa piuttosto che un'altra.
Faccio un esempio: una forza politica chiede conto dell'operato di un
governo. Non mette in discussione che c'e' stata una decisione, ma il
contenuto di quella decisione. Quindi la decisione e la responsabilita' non
sono separati, ma rimangono distinti, perche' la responsabilita' investe il
contenuto della decisione.
*
- Benedetto Vecchi: Prima lei ha fatto riferimento ad Hans Jonas, il quale
si e' molto interrogato sulle responsabilita' degli scienziati rispetto al
fare ricerca. Possiamo dire che, se la responsabilita' ha uno statuto
contemporaneo, i primi a esserne stati investiti sono gli scienziati...
- Manuel Cruz: La storia della scienza ci narra di ricercatori di alto
livello che dopo Hiroshima dissero: oltre di li' non si deve andare, perche'
cosi' mettiamo in pericolo l'esistenza stessa della terra. Fisici e biologi
di grande livello dissero che la scienza doveva autoregolamentarsi, doveva
cioe' farsi carico dei risultati della ricerca e quindi smettere di fare
ricerca in alcuni campi piuttosto che in altri. Quella stessa storia ci
narra pero' che non e' andata cosi'. Quante sono le scoperte che non
rispondono a questa logica? Tante, troppe. Da parte mia, credo che il
problema non sia quello di bloccare per legge questa o quell'altra linee di
ricerca. Ritengo che anche per gli scienziati valga lo stesso principio di
responsabilita': farsi carico cioe' delle conseguenze di alcune decisioni.
Allo stesso tempo sono portato ad affermare che il problema della
responsabilita' sul proprio lavoro di ricercatori non sia molto diffuso
nella comunita' scientifica. Ci sono infatti molti scienziati che continuano
a dire: faccio ricerca, non e' compito mio farmi carico degli effetti del
mio lavoro. Le ricordo il libro I sommersi e i salvati, in particolar modo
quando Primo Levi scrive sulle giustificazione date da alcuni scienziati
tedeschi per il loro operato: io faccio cio' che l'autorita' ci comanda di
fare. Posso costruire forni crematori, condurre esperimenti su cavie umane,
inventare un gas mortale, ma cosi' facendo obbedisco solo a degli ordini.
Sono dunque loro - il governo, il Terzo Reich, Hitler - i responsabili di
cio' che e' accaduto, non io. Questo e' una delle classiche argomentazioni
dell'attitudine vittimista, che punta a una deresponsabilizzazione totale
delle scelte e dei compartamenti individuali...
*
- Benedetto Vecchi: Ma tutte le istituzioni totali legittimano il loro
operato in base a una retorica vittimista. Noi applichiamo regole, procedure
di cui non siamo responsabili...
- Manuel Cruz: Il vittimismo ha un forte glamour sociale e politico. In
fondo Hitler ha fatto leva su questo sentimento per raccogliere consensi: i
tedeschi erano vittime di una ingiustiza, il trattato di Versailles, che li
umiliava. Ragion per cui non si considevano responsabili per quello che poi
e' accaduto. Si sente dire spesso che tutti siamo responsabili
dell'inquinamento e del buco dell'ozono. Sono portato a problematizzare
questa chiamata di correo per una situazione cosi' drammatica per il
pianeta. C'e' infatti differenza tra chi usa un deodorante o la filiale
indiana di una multinazionale della chimica. Chi usa il deodorante rilascia
nell'atmosfera alcuni decimi, centesimi di grammi di sostanze dannose: una
quantita' di gran lunga inferiore delle tonnellate rilasciate nell'atmosfera
da una fabbrica inquinante.
Il filosofo tedesco Adorno ha una volta scritto, cito a memoria, che ci sono
molte circostanze, fatti e contesti che possono limitare la nostra liberta',
e tuttavia c'e' un elemento irriducibile che puo' spingere a fare scelte di
liberta'. Anche nel pensiero marxista c'e' stata una concezione della
responsabilita' personale che metteva l'accento sui condizionamenti e sul
potere della sovrastruttura nel condizionare la nostra vita. Ma se
accettiamo fino in fondo questa visione impoverita del rapporto tra il
singolo e il collettivo, ogni scelta di dominio puo' essere giustificata.
Prendiamo il vecchio testamento e la parabola di Abramo e Isacco. Dio ordina
ad Abramo di uccidere suo figlio: noi sappiamo che disobbedire a
quell'ordine e' una scelta di liberta'. Bene, la responsabilita' inizia con
scelte di liberta'.

5. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: IL RIMORSO E LA PIETA'
Ho lasciato trascorrere qualche mese prima di decidermi a ostendere queste
riflessioni. Ancor oggi non so se metta conto proporle ad una riflessione
collettiva, e se questa forma sia adeguata alla bisogna.
*
La sentenza della corte d'appello di Venezia del 24 febbraio 2005, che
conferma quella emessa in primo grado dal tribunale di Verona nel 1997 e
manda assolti i diciassette amici della nonviolenza che nel 1991 bloccarono
per alcune ore il treno della morte che recava armi alla carneficina in
corso nel Golfo Persico che tuttora perdura, merita una riflessione non
banale, non rituale, non momentanea.
*
Il primo sentimento che provo e' di dolore, di vergogna e di rimorso: il
sentimento di chi gia' allora sapeva che era possibile opporsi alla guerra
con la forza della nonviolenza, e che la nonviolenza e' piu' forte del piu'
forte apparato bellico, e che se fossimo riusciti a persuadere di cio' tante
e tanti, avremmo potuto allora e poi ancora e ancora e anche oggi, in
verita', contrastare e fin fermare le guerre in corso.
Poiche' perche' guerre si diano occorrono molte, vaste complicita'. In primo
luogo la complicita' di chi permette che operino fabbriche d'armi,
trafficanti d'armi, utilizzatori di armi; in primo luogo la complicita' di
chi permette che operino eserciti pubblici e privati che anche in tempo
cosiddetto di pace continuano ad addestrare persone ad uccidere,
trasformando esseri umani in futuri assassini o in futuri assassinati. In
primo luogo la complicita' di chi permette che viga un ordine mondiale
fondato sullo spreco e sulla miseria ad un tempo, che condanna la gran parte
dell'umanita' alla morte per fame e di stenti, o a una vita di tale miseria
che talvolta neppur piu' vita sembra, e travolge nella dissipazione di se' e
del mondo una minoranza privilegiata resa da tanto privilegio non meno
miserabile e infelice - sul piano morale  e psicologico - delle sue vittime
vampirizzate, se solo un barlume di coscienza le aprisse gli occhi. In primo
luogo la complicita' nostra, che riusciamo ad essere ecube e talora fin
cassandre, ma non ancora antigoni e lisistrate.
Io questo lo so, lo ho sempre saputo. E la corte d'appello di Venezia mi
conferma nel convincimento che almeno la compartecipazione italiana a quella
guerra - a questa guerra - poteva essere fermata, se vi fosse stato un
movimento di massa che avesse fatto la scelta della nonviolenza.
Potevamo, non riuscimmo.
Potremmo, non facciamo.
Peggio: abbiamo permesso che la guerra si estendesse, si facesse
quotidianita', globale, onnipervasiva; che nella sua forma di terrorismo di
stato ed in quella speculare e derivata di terrorismo di gruppi e fin di
individui penetrasse ovunque, tutto contaminasse. In questa ora e in questa
distretta ci troviamo, su questo crinale apocalittico.
*
Il secondo sentimento e' la coscienza della nostra forza, la forza della
nonviolenza, che noi stessi sciagurati rinunciamo ad usare, per mancanza di
fiducia in noi stessi, per mancanza di interiore saldezza, perche'
sopraffatti dalle nostre stesse ambiguita', subalternita', abulie,
infingardaggini.
Ed invece la nonviolenza e' piu' forte. Piu' forte della piu' forte
concrezione di violenza, piu' forte del piu' coeso sistema totalitario:
figuriamoci se non puo'  sconfiggere un sistema violento che abbisogna di
diffusa narcosi, di vastissima passivita', di un consenso fin capillare.
Poiche' la nonviolenza e' concreta: si continua a parlare di azioni
meramente simboliche, ma non esistono azioni meramente simboliche, tutte le
azioni in quanto azioni sono pratiche. E l'azione diretta nonviolenta -
quando e' limpida, quando e' rigorosa - e' l'azione piu' pratica che vi sia,
effettuale, cogente.
La nonviolenza e' la chiave di volta, la nonviolenza e' la scelta da fare.
Poiche' solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
Tutto il resto, il pacifismo da terrazzo o da parata, la sinistra da salotto
o da schiamazzo, non solo non servono a niente, ma sono nostri avversari non
meno dei guerrafondai di cui sono i piu' utili complici.
*
Provo pieta' per le vittime che potevo salvare e non riuscii, non seppi. E
provo vergogna per questa mia pieta' che non e' riuscita a farsi azione,
azione di pace, azione di vita, salvezza comune.
Provo vergogna per non esser riuscito a impedire la riapertura nel nostro
paese dei campi di concentramento, e provo vergogna per le armi italiane
vendute agli assassini di ogni fazione, e per i soldati italiani che anche
quando in missione di pace sempre purtuttavia reiterano la primazia della
guerra, dei suoi strumenti, delle sue logiche. La guerra, che sempre
consiste nell'uccisione di esseri umani.
Laddove invece dovremmo costituire ed andare come corpi civili di pace,
dovremmo recare aiuti umanitari, dovremmo a tutti offrire accoglienza e
solidarieta', che a dirlo in buon toscano suonerebbe: dovremmo cominciare a
restituire quanto da secoli e tuttora stiamo rapinando alle vittime della
nostra rapina, che noi medesimi con cio' stesso condanniamo alla fame, alle
guerre, alle dittature, alla morte. Dovremmo smantellare gli eserciti e
sostituirli con la difesa popolare nonviolenta; dovremmo chiudere le
fabbriche d'armi e riconvertirle a produzioni civili. Dovremmo, potremmo, e
non lo facciamo.
*
Non posso chiedere perdono alle vittime morte anche per la mia ignavia:
poiche' esse perdonarmi non possono piu', sono morte. Sono morte, e la mia
volonta' buona non avendo saputo tradursi in azione buona non e' valsa a
riparo.
Ma quelli che sono ancora vivi, io ne sento le voci. E so che dipende da me
salvarne le vite. Mi riguarda, e dunque mi sta a cuore.
"I care" era scritto su un muro della scuola di Barbiana, ed e' scritto
nella sentenza della corte d'appello del tribunale di Venezia nell'anno 2005
dell'era volgare.
Quella sentenza che mandando assolti Mao Valpiana e quelle e quelli che con
lui bloccarono per alcune ore il treno della morte ci dice che non solo la
voce della coscienza ma anche la lettera della legge questo comanda: tu non
uccidere, tu salva le vite umane. Tu opponiti con la forza della nonviolenza
alla macchina della guerra.
Tu puoi fermare la guerra. Tu ne hai diritto, tu ne hai il dovere. Ed il
resto e' silenzio.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 929 del 14 maggio 2005

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