La nonviolenza e' in cammino. 1153



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1153 del 23 dicembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Andrea Trentini: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
2. La cassetta degli attrezzi
3. I pacifisti pordenonesi citano in giudizio gli Usa per le atomiche ad
Aviano
4. Anna Maffei: Per Norman, Tom, James e Harmeet
5. Marina Forti: I conti dello tsunami
6. Stefano Ciccone: La violenza. Degli uomini
7. Ida Dominijanni: La spiaggia e il colore
8. Lorenzo Milani: Lettera ai cappellani militari
9. Riletture: Ludwig Feuerbach, Scritti filosofici
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. STRUMENTI DI LAVORO. ANDREA TRENTINI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
[Ringraziamo Andrea Trentini (per contatti: andrea.trentini at unimondo.org)
per questo intervento. Andrea Trentini, amico della nonviolenza, e'
impegnato nelle esperienze della Rete di Lilliput, dei "Gruppi di azione
nonviolenta", della redazione del portale internet "Unimondo"
(www.unimondo.org) e del Centro per la pace di Rovereto, ed in altre
esperienze di pace e di solidarieta']

Per chi si riconosce nella nonviolenza come pratica politica e di vita,
abbonarsi ad "Azione nonviolenta" e' un gesto naturale da fare a fine anno,
come un cambio di calendario o di agenda.
Uno strumento utile sia per raccogliere le riflessioni sugli argomenti di
attualita', sia per far crescere il pensiero sull'arte del fare politica con
il metodo nonviolento, necessario in questo momento cosi' buio che
attraversa l'Italia.
Abbonarsi ad "Azione nonviolenta" e' coltivare la speranza di un nuovo modo
di far politica, che veda nella partecipazione e nella giustizia le vie
d'uscita dal modello neoliberista, un modello violento.
Facciamoci un'"Azione nonviolenta" per un nuova societa'.

2. STRUMENTI DI LAVORO. LA CASSETTA DEGLI ATTREZZI
"Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata
da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte
le persone amiche della nonviolenza.
La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803,
fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org
L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n.
10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente
bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza
Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta",
via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad
"Azione nonviolenta".

3. INIZIATIVE. I PACIFISTI PORDENONESI CITANO IN GIUDIZIO GLI USA PER LE
ATOMICHE AD AVIANO
[Ringraziamo Tiziano Tissino (per contatti: t.tissino at itaca.coopsoc.it) per
averci inviato questo comunicato, ed ancor piu' per essere tra i promotori
di questa rilevante iniziativa. Tiziano Tissino e' impegnato nei Beati i
costruttori di pace, nella Rete di Lilliput, ed in numerose altre esperienze
ed iniziative nonviolente]

Il governo degli Stati Uniti e' stato oggi citato in giudizio da alcuni
pacifisti pordenonesi.
L'atto di citazione, presentato in mattinata al tribunale di Pordenone,
chiede al giudice di dichiarare che la presenza delle armi nucleari nella
base di Aviano e' illecita e dannosa, e conseguentemente ordinare agli Usa
di rimuovere tutte le bombe nucleari dalla base di Aviano e dal territorio
nazionale.
Il documento, elaborato da uno staff di avvocati appartenenti alla Ialana
(Associazione internazionale giuristi contro le armi nucleari, sito:
www.ialana.net) si richiama al Trattato di non proliferazione nucleare,
sottoscritto e ratificato dall'Italia, che sancisce senza ombra di dubbio
l'obbligo per il nostro paese di non ospitare ordigni nucleari e per gli
stati nucleari, come gli Usa, di non dispiegare tali armamenti al di fuori
del proprio territorio.
La prima udienza e' stata fissata, su richiesta dei promotori, per il
prossimo 7 luglio, alla vigilia del decennale della sentenza con cui la
Corte internazionale di giustizia ha stabilito che l'uso (o anche la
semplice minaccia dell'uso) di armi nucleari e' in contrasto con il diritto
internazionale e che gli stati hanno l'obbligo giuridico di condurre
negoziati in buona fede che conducano al completo smantellamento di tutte le
armi nucleari.
I promotori della causa sono a disposizione per fornire ulteriori
informazioni sulle motivazioni dell'azione legale e sulle prossime
iniziative in programma per garantire la piu' ampia partecipazione popolare
all'azione stessa. Si augurano in questo di trovare il sostegno e l'adesione
di un ampio schieramento di forze politiche, sociali e sindacali.
*
Per informazioni e contatti:
Tiziano Tissino, 3492200890
Giuseppe Rizzardo, 3339027079
Michele Negro, 3384475550
Carlo Mayer, 3494138338
Monia Giacomini, 3478498106

4. RIFLESSIONE. ANNA MAFFEI: PER NORMAN, TOM, JAMES E HARMEET
[Ringraziamo Anna Maffei (per contatti: anna.maffei at ucebi.it) per averci
messo a disposizione come anticipazione questo suo articolo che sara'
pubblicato sul prossimo numero di "Riforma", il bel settimanale delle Chiese
battiste metodiste e valdesi.
Anna Maffei, presidente dell'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia
(in sigla: Ucebi), prestigiosa teologa e saggista, appartiene alla
tradizione nonviolenta espressa dal pastore battista e martire per la pace e
la dignita' umana Martin Luther King.
Norman Kember, Tom Fox, James Leney e Harmeet Singh Sooden sono i quattro
attivisti nonviolenti della ong umanitaria "Christian peacemaker team"
rapiti recentemente in Iraq]

Norman Kember, membro della chiesa battista di Harrow (Regno Unito),
pacifista, amico dei battisti italiani, preso in ostaggio in Iraq e' ancora
in mano ai rapitori.
Mentre nelle chiese di tutto il mondo si celebra la stagione natalizia e si
attende l'ingresso del nuovo anno, il suo nome e quello degli altri tre
attivisti cristiani per la pace rapiti con lui, Tom Fox, James Leney e
Harmeet Singh Sooden, risuonano nelle preghiere di intercessione di migliaia
di credenti. Anche noi qui in Italia, ci uniamo alle tante voci che pregano
e chiedono il loro rilascio. Fra queste, anche le voci di credenti di fede
islamica, che insieme a noi hanno ritenuto a suo tempo la guerra in Iraq una
mostruosita' giuridica e un crimine politico e che nello stesso tempo
riconoscono in questo rapimento un sintomo grave di un mondo impazzito. Anas
Altikriti, membro dell'Associazione musulmana della Gran Bretagna, e'
partito per Bagdad per cercare vie di negoziato per il rilascio dei
prigionieri.
*
Natale e' il ricordo del momento in cui il figlio di Dio entrava nel mondo,
si immergeva, fragile e indifeso come ogni nuovo nato, nelle contraddizioni
di una storia violenta. Natale e' la celebrazione della fede nel Dio che ha
fatto questa scelta estrema di rinuncia del potere, di condivisione della
storia del mondo, di discesa negli inferi della condanna ingiusta, della
tortura e della pena capitale.
Non so per quale assurda alchimia della storia, il Natale si sia cosi'
snaturato e da segno di contraddizione, appello al ravvedimento e invito a
prendere posto accanto al figlio di Dio fra le vittime dei poteri forti sia
divenuto messaggio rassicurante, incurante delle ingiustizie che si
moltiplicano intorno a noi. La fede cristiana e' tutt'altro che uno
zuccherino che addolcisce l'amaro della vita, e' occhi aperti e sguardo
attento a cogliere i minuscoli segni del Regno di Dio in questo mondo che
disconosce Dio e ne profana continuamente il nome.
*
In un'intervista il procuratore di Palermo Roberto Scarpinato, constatando
che molti mafiosi si comportano da cattolici praticanti si chiede: "Come e'
compatibile il fatto che questi uomini uccidono, sono mafiosi, eppure sono
in pace con se stessi e con Dio?". Egli stesso risponde all'interrogativo
dicendo che mafiosi e combattenti contro la mafia in realta' non pregano lo
stesso Dio, e lo fanno perche' nella cultura cattolica il rapporto tra il
singolo e Dio e' gestito da un mediatore culturale. "Ciascuna articolazione
sociale - dice - esprime dal suo interno un mediatore. E cosi' abbiamo i
sacerdoti della mafia e i sacerdoti dell'antimafia". Quello che accade per
la mafia, accade in maniera diversa anche in altri ambiti. La questione
della guerra e' uno di questi ambiti e il protestantesimo che teologicamente
afferma che non c'e' altro mediatore fra Dio e umanita' tranne Cristo,
conosce invece anch'esso i propri mediatori attraverso la scelta,
l'interpretazione e l'attualizzazione dei testi biblici. Questa mediazione
rende possibile che ci siano cristiani a favore della guerra (quella contro
l'Iraq e' solo l'ultima della serie) e altri fermamente contrari. Come
uscire da questa contraddizione che rattrista e imbarazza?
*
Norman Kember e i suoi tre amici hanno deciso di non accontentarsi di
dichiarazioni teoriche ma di porre la loro vita a testimonianza di fede con
al centro il Cristo mediatore di riconciliazione. Egli fu colui che prese su
di se', come l'antico servo del Signore in Isaia 53, il peso delle colpe del
suo popolo e di tutti i popoli. Norman ha scelto la via del discepolato di
quel Cristo, offrendo le sue mani e le sue energie per aiutare le vittime,
guarire le ferite, costruire ponti fra gli umani al di la' delle barriere
erette dagli amanti dello scontro di civilta'. Credo che qui ci sia una via
d'uscita dalle contraddizioni dei mediatori: seguire Cristo concretamente,
vivere un discepolato attivo in mezzo alla gente coniugando fede e vita
vissuta. Anche a costi alti. Preghiamo e speriamo ancora che per Norman,
Tom, James e Harmeet i costi non diventino davvero troppo alti.

5. MONDO. MARINA FORTI: I CONTI DELLO TSUNAMI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 dicembre 2005. Marina Forti,
giornalista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti
umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano
"Il manifesto" sempre acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia
globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per
sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di
Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel
Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004]

Guardata (quasi) un anno dopo, l'onda di tsunami che ha devastato gran parte
delle coste affacciate sull'oceano Indiano resta un evento eccezionale. Non
solo in se', come catastrofe naturale: un'onda di maremoto - ombak besar,
"onda grande", come l'hanno chiamata a Aceh in Indonesia - che in poche ore
colpisce dalla punta settentrionale di Sumatra alle coste della Thailandia e
in parte della Malaysia, alla Birmania, tre quarti delle coste di Sri Lanka,
l'India meridionale, le Maldive, e arriva fino all'Africa orientale. Anche
il bilancio e' eccezionale: 162.000 morti accertati e 142.000 dispersi,
dunque oltre 304.000 vite perse - senza contare che restano ancora oltre
900.000 sfollati.
Lo tsunami di fine anno scorso e' stato eccezionale pero' anche per altri
aspetti, piu' "umani": basti pensare che gli aiuti stanziati per le vittime
dello tsunami hanno superato ogni record. Un anno dopo dunque vale la pena
di guardare cosa e' successo dopo la "grande onda" - e in particolare, come
si e' mossa la solidarieta' internazionale. Ed e' quello che ha fatto
l'associazione di giornalisti "Lettera 22", che in marzo aveva pubblicato un
saggio critico (Geopolitica dello tsunami, edizioni ObarraO) e ieri a Roma
ha riunito alcuni dei protagonisti italiani: la Cooperazione italiana (il
suo direttore generale Giuseppe Deodato), la Protezione civile (il direttore
delle operazioni internazionali Agostino Miozzo), le organizzazioni non
governative (Sergio Marelli e Daniele Scaglione, rispettivamente delle Ong
italiane e del Coordinamento italiano network internazionali).
Riassumiamo (dal dossier preparato da "Lettera 22"). Gli aiuti
internazionali per le popolazioni colpite dallo tsunami hanno superato ogni
record: tra fondi privati e pubblici sono circa 11 miliardi e 434 milioni di
dollari. Nell'arco del 2005 sono in effetti stati stanziati poco meno di 6
miliardi di dollari, che resta comunque un record assoluto. Gianni Rufini,
docente di peacekeeping all'Universita' di York, faceva notare che per il
terremoto in Pakistan sono stati promessi 5 miliardi ma ne e' arrivato meno
di uno (per circa 80.000 vittime). Nel caso dello tsunami, inoltre, ha avuto
grande peso la raccolta di fondi privati, che in alcuni paesi hanno superato
i fondi pubblici - in Italia con i messaggi sms e altre donazioni sono
arrivati alla Protezione civile 46 milioni di euro. Questo e' probabilmente
effetto della copertura dei mass media: per settimane lo tsunami e' stato
sulle prime pagine e in testa ai notiziari tv, e le storie drammatiche
sollecitano la generosita'. Sfortunato, il terremoto pakistano e' scomparso
dai media dopo solo tre giorni...
Tutto questo solleva questioni importanti. Riassume il senatore Francesco
Martone: il coordinamento tra interventi pubblici e privati, tra
organizzazioni non governative (Ong) e attori come la Protezione civile. E
poi la trasparenza, tanto piu' se la raccolta di fondi diventa sempre piu'
affare privato. Un'altra domanda di fondo e' posta da Sergio Marelli: le Ong
italiane, dice, hanno mobilitato 400 milioni di euro (in parte fondi
pubblici, ma alcune decine di milioni raccolti direttamente), a fronte di
380 milioni di euro per la Cooperazione stanziati dalla prossima
finanziaria. Dunque le Ong sono un attore di rilievo della cooperazione. E
pero', attacca Marelli: ci danno i soldi, ci affidano molti progetti, ma non
siamo consultati quando si tratta di decidere. In effetti la commissione dei
cinque "saggi" formata in marzo dalla Protezione civile per decidere
sull'uso dei fondi dello tsunami (presentera' il suo rapporto tra qualche
giorno) non ha mai convocato le Ong, come promesso. Gia': proprio in
occasione dello tsunami la Protezione civile (in Italia ma anche altri paesi
europei) e' emersa come protagonista: si e' "proiettata nell'umanitario",
per usare le parole di Agostino Miozzo, che preconizza una divisione dei
compiti: la Cooperazione si occupa di ricostruzione e sviluppo, le
Protezioni civili degli interventi di emergenza (Miozzo parla anche di un
corpo europeo). Resta poi la vecchia questione di coinvolgere le comunita'
locali, che in questo caso sembrano piu' oggetto di attenzione che
protagonisti.

6. RIFLESSIONE. STEFANO CICCONE: LA VIOLENZA. DEGLI UOMINI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo questo intervento apparso sul quotidiano "Liberazione" del 9
dicembre 2005. Stefano Ciccone, intellettuale e militante della sinistra
critica, e' da sempre impegnato per la pace e i diritti umani, e in una
profonda e acuta riflessione individuale e collettiva sull'identita'
sessuata e nell'analisi critica e trasformazione nonviolenta dei modelli e
delle culture del maschile all'ascolto del pensiero e delle prassi dei
movimenti delle donne]

Le violenze maschili contro le donne dicono molte cose sulla nostra societa'
e le relazioni che viviamo. Per questo e' importante la scelta di
"Liberazione" di continuare a proporre un dibattito che chiama in causa
donne e uomini.
E chiama in causa una politica che voglia ascoltare e trasformare le
relazioni tra le persone, interpretare i conflitti e le domande di liberta'
che intrecciano le vite di ognuno e ognuna di noi.
La violenza e' questione che riguarda innanzitutto gli uomini. Gia', perche'
sono uomini quelli che stuprano, picchiano, umiliano, fino a volte ad
uccidere. Uomini come noi, simili a me.
Ed e' necessario che nel maschile si apra una riflessione, ma anche un
conflitto.
La violenza contro le donne non e' infatti riducibile alla devianza di
maniaci o marginali contro i quali alimentare risposte emergenziali che,
paradossalmente, alimentino politiche securitarie. Non c'e' un nemico oscuro
nascosto nelle nostre strade da espellere: il male e' nelle nostre case,
nelle nostre famiglie, nelle relazioni e nell'immaginario sessuale che
abbiamo costruito. La violenza contro le donne, inoltre, e' solo
marginalmente rinviabile ad arretratezza culturale ne' e' retaggio di un
passato premoderno: riguarda tutte le latitudini del nostro paese, la
provincia come le grandi citta', tutte le classi sociali e i livelli di
istruzione. Interroga direttamente la nostra "normalita'" e il nostro
presente. E' anche fuorviante interpretare questa violenza come frutto di un
"disordine".
Al contrario il suo permanere, in forme socialmente e culturalmente ogni
volta determinate, mostra come sia vitale un ordine simbolico, un sistema di
poteri che plasma i corpi, le identita', le relazioni. Un ordine invisibile
che ancora segna le nostre prospettive esistenziali, le nostre opportunita'
di decidere di noi stessi/e. Lo chiamo patriarcato per ricordare che il
conflitto con esso non e' riducibile a categorie sociologiche e,
soprattutto, a riconoscere che e' stato nominato politicamente e dunque reso
visibile da un soggetto: il movimento delle donne nella sua pluralita' di
pratiche e prospettive.
Non dobbiamo misurarci tanto con una debolezza femminile a cui fornire
(paternalisticamente) tutele (tutele delle donne dalla violenza, tutela
della loro presenza nello spazio pubblico tramite quote di garanzia), quanto
con un universo maschile generatore di questa violenza.
Cio' su cui dobbiamo riflettere, e produrre pratiche capaci di cambiare
comportamenti, modi di pensare se stessi e il mondo, e' la costruzione della
nostra identita' di uomini. Guardare dentro questo universo e dentro di noi
ci porta a indagare quali siano i fili sotterranei che legano le storie, i
desideri, le fantasie, i bisogni di ognuno di noi, nella nostra "normalita'"
con questa tensione alla violenza. La violenza estrema dell'uccisione
rischia di farci dimenticare le tante facce di quell'universo che ha a che
fare con lo stupro, con il consumo del corpo femminile, con la sessualita'
ridotta a sfogo separato dalle relazioni, con l'imposizione del corpo
maschile e con le categorie misere della potenza, della prestazione e della
virilita' incapaci di riconoscere la soggettivita' femminile.
Quante violenze, quanti abusi nascono dalla rimozione del desiderio e del
piacere femminili schiacciati in una presunta complementarieta' con le forme
che il maschile ha assunto? Cosa dice tutto questo?
Non parla soltanto di una violenza insensata ma racconta di un universo piu'
complesso, un deserto nelle relazioni, una rappresentazione del corpo e del
desiderio maschile schiacciati nella categoria dei bassi istinti da imporre
con la violenza o con il denaro, di una sessualita' maschile ridotta alla
sua rappresentazione rattrappita della virilita' e scissa dalle relazioni.
Svelare questa miseria non vuole proporre un vittimismo ne' pensarla
esaustiva, ma individuare una chiave di lettura della violenza e una
prospettiva che faccia della reinvenzione della sessualita' maschile la leva
per sradicarla e al tempo stesso per aprire nuove opportunita' di vita per
noi uomini.
*
Ha avuto ragione Angela Azzaro a chiedere agli uomini una parola di verita'
che non fugga nell'astrazione politica o sociologica ma che parta da ognuno
di noi.
Questo tentativo di riflessione, pur se minoritaria, ha avuto un suo
percorso e mi permette oggi di trovare parole per nominarla oltre la
versione riduttiva della "confessione personale".
La violenza contro le donne e la continua verifica di forme di complicita'
maschile e femminile con schemi del patriarcato rivelano la vitalita' di un
sistema di dominio.
Ma e' vero che questo e' ormai disvelato ai nostri occhi.
E che e' sempre piu' difficile guardare come naturale l'ordine della
gerarchia tra i sessi, la presunzione di corrispondere al metro neutro
dell'umanita' da parte del maschile. Almeno per me e' sempre piu' difficile
sopportare le forme di socialita' tra uomini, e' sempre piu' difficile stare
a mio agio nelle aspettative a cui mi si chiede di corrispondere.
E' come se un modo di guardare il mondo, e di cogliere cio' che segna i
linguaggi, la politica, le relazioni, una volta aperto non fosse piu'
rimovibile. E' impossibile non guardare una sala in cui i relatori sono solo
uomini e pensare ancora che cio' sia casuale, guardare un corteo con gli
uomini alla testa col megafono (quando non schierati militarmente a simulare
mimeticamente il "nemico") e non sentire l'estraneita' con quella virilita'
subalterna e ostentata.
Al tempo stesso ogni giorno scopro dentro di me complicita', comportamenti
di cui percepisco l'internita' a quell'ordine, a quel sistema di gerarchie e
poteri. Ogni giorno, nel riconoscimento di autorevolezza tra uomini nella
politica o nel lavoro, nel percorrere di notte con agio le strade delle
nostre citta', nel progettare la mia vita politica e professionale, misuro
il peso dei "dividendi" del patriarcato di cui beneficio. Ma ogni giorno,
dentro di me, guardando alla perdita di senso e autorevolezza di modelli
maschili consolidati e dal suono stonato delle ostentazioni di autorita' di
molti miei simili, misuro quanto questi dividendi siano pagati con moneta
falsa, che non ha piu' corso nella mia contemporaneita' per dare senso alla
mia vita e ai miei desideri. Questo continuo movimento tra estraneita' e
continuita' con la storia del genere a cui appartengo e' parte della
riflessione che come uomo, insieme ad altri ho tentato di sviluppare.
Questa scelta e' condizione perche' la rottura con la violenza avvenga senza
quelle ambiguita' che hanno spesso segnato la presa di posizione maschile.
Innanzitutto quella del volontarismo: essere contro lo stupro per necessita'
etica condannando qualcosa che nulla avrebbe a che fare con noi.
La reazione di sconcerto per la violenza e' una risorsa da non mettere da
parte ma nasconde dentro di se' un doppio rischio di ambiguita': quello di
considerarla una questione che non ci riguarda e verso la quale ci chiniamo
per solidarieta' e il ricorso, di nuovo, alla qualita' virile
dell'autocontrollo capace di disciplinare un maschile portatore di una
componente naturalmente violatrice e ferina. Un'operazione che dunque non
rompe con una rappresentazione storica del maschile come soggetto portatore
di istinti irrefrenabili e al tempo stesso detentore della ragione e della
capacita' di dominio sul corpo proprio e della donna.
*
I gruppi di uomini che hanno avviato una critica politica ed esistenziale
della maschilita' scelgono questa rottura con il patriarcato non solo o non
tanto per un obbligo etico, quanto come opportunita' di liberazione.
Se infatti la tensione del maschile ad affermare il proprio controllo
fisico, tecnologico, normativo, sul corpo della donna deriva anche da un
conflitto ingaggiato per contrastare il primato femminile nella
procreazione, e dalla necessita' di costruire un nesso visibile del maschile
con la genealogia (fino a fondarla sul nome del padre) il riconoscimento di
questo limite puo' essere l'occasione per fare un'esperienza dell'essere
uomini nuova, che fondi nella relazione la costruzione del proprio posto nel
mondo.
Il rapporto apparentemente necessario col potere nell'essere uomini non e'
solo all'origine della violenza contro le donne ma anche della
desertificazione delle relazioni tra uomini, della loro fondazione sul
silenzio, sulla tacita condivisione di un obiettivo esterno (o di un nemico
esterno) che supplisca a quell'impossibile intimita' tra corpi
potenzialmente invasivi e anestetizzati nella loro capacita' di sentire e
tra soggetti costretti a misurare nella competizione per il potere la
propria identita'.
La ricerca delle radici della violenza ci ha portati a indagare la
costruzione della maschilita', le domande che hanno attraversato la nostra
storia, le costrizioni che hanno limitato le nostre vite. E abbiamo scoperto
la liberta' femminile e questa ha trasformato il mondo e noi stessi. Le
relazioni tra i sessi e il conflitto che segna questa irriducibile
differenza sono oggi un terreno su cui si misura la capacita' della politica
di essere luogo di trasformazione e liberazione e non complice di nuove
forme di dominio e gerarchia.
Al contrario linguaggi e priorita' programmatiche della politica rischiano
di segnare le nostre complicita' e rivelare l'inadeguatezza di una politica
neutra contro la necessita' di costruire soggettivita' che dalla propria
parzialita' leggano e reinventino conflitti inediti e non riducibili.
La troppo frettolosamente archiviata sconfitta nel referendum ci ricorda
come sulle norme e le tecnologie di controllo dei corpi, esista un conflitto
che riguarda la liberta' femminile: un terreno su cui la destra costruisce
consenso e su cui cresce un'offensiva che non si puo' contrastare in nome di
categorie astratte come la laicita' e la liberta' di ricerca senza guardare
alla materialita' dei soggetti.
Cosi' la crescita di politiche di appartenenza identitaria che propongono il
sangue, la genealogia maschile come luogo di ricostruzione di identita'
frammentate dalla globalizzazione e dall'incrinatura di grandi prospettive
progressive, esercitano una grande seduzione sugli uomini ad ogni latitudine
e aiutano a capire la torsione integralista di movimenti, il continuo
rischio di complicita' che segna pratiche politiche che si vogliono
antagoniste.
E' possibile dunque costruire una politica di trasformazione che non si
misuri con una critica dei modelli di mascolinita'?
La necessita' di aprire una riflessione critica sul maschile e di agire un
conflitto esplicito nel maschile sono insomma questione centrale per la
politica e la cultura. Pena l'avvizzimento di ogni tensione di
trasformazione in forme subalterne e emendative.
Chiedere che questo conflitto che cerchiamo di agire con il maschile diventi
politica non e' fuga dalla fatica individuale di scavare nelle nostre
contraddizioni individuali ma rifiuto di relegarla a questione privata.
E' anche desiderio che, divenendo pubblica e socialmente visibile, possa
rompere la solitudine con cui molti uomini vivono la propria difficolta' a
condividere con altri il proprio singolare differire rispetto a un modello
di mascolinita' oppressivo.

7. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: LA SPIAGGIA E IL COLORE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 dicembre 2005. Ida Dominijanni,
giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia sociale
all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale femminista.
Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di liberta', Angeli,
Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania Giorgi), Si puo',
Manifestolibri, Roma 2005]

Bondi e' la spiaggia di Sydney dove vanno tutti i miei amici il sabato e la
domenica, e dove io stessa sono andata assieme a loro quando sono stata la'
due anni fa e l'anno scorso. E' la pausa, il sole, le onde dell'oceano che
arrivano lente, la passeggiata a piedi nudi sulla sabbia o sulle rocce fino
a Bronte, il mercatino delle pulci sul lungomare dove trovi l'usato a niente
come in Europa non capita piu'. Leggo sulle agenzie che domenica e' stata
pattugliata da agenti a cavallo (che a me ricordano Genova 2001, ma lasciamo
perdere) e resto esterrefatta. Bondi come Cronulla e come tutte le altre
spiagge di Sydney, e ora anche su per la Gold Coast a nord di Sydney e
dappertutto. La globalizzazione gioca questi brutti scherzi, ti porta in
giro per il mondo, ti moltiplica i luoghi del cuore e dell'immaginario e poi
te li fa a pezzi. Che c'entrano gli agenti a cavallo con le mie passeggiate
con Vittoria, Brett e Lisa, che c'entrano gli scontri razziali di queste
settimane con le nostre chiacchierate sul modello multiculturale australiano
e sul nomadismo postmoderno delle ultime generazioni meticciate che vivono
in Australia per scelta o per caso?
Che cosa e' accaduto perche' il pluralismo etnico di Sydney, felice malgrado
le mai sopite pretese di supremazia della comunita' anglosassone, mostrasse
improvvisamente la faccia del Condominio di Ballard con i suoi scontri per
il possesso del territorio, e sotto il nomadismo postmoderno crescessero
fissazioni identitarie coperte, sul versante bianco, da un nazionalismo che
non e' nel dna australiano e che improvvisamente viene impresso nel corpo
con i tatuaggi della bandiera?
C'erano tutti i segnali, e' vero, nella politica di Howard, dal trattamento
degli immigrati alla partecipazione alla guerra in Iraq alla legislazione
d'emergenza antiterrorismo, razzista come tutte le legislazioni d'emergenza
antiterrorismo, dalle norme antisciopero all'abbattimento del welfare.
Bastano a spiegare gli scontri, la spedizione punitiva dei surfisti bianchi
contro i leb e i wog, l'organizzazione dei raduni via sms, e adesso lo
"stato d'assedio", cosi' lo chiama l'Ansa, che si preannuncia per tutta
l'estate sulle spiagge della piu' bella baia urbanizzata del mondo? 59
arresti nel week-end, 200 in tutta la settimana, 2000 agenti sguinzagliati
in citta' a piedi, in moto e a cavallo e dotati dei nuovi poteri che il
governo si e' affrettato a fornirgli, bombe incendiarie, sbarre di ferro,
coltelli e cellulari sequestrati. Macchine incendiate dagli arabi dei
sobborghi come nelle banlieues di Parigi.
Su "Fibreculture", una mailing list no-global che discute con prontezza di
tutto quello che accade, alcuni mettono in rapporto le due situazioni,
scrivono che a Sydney come a Parigi l'emarginazione delle periferie produce
questo e altro. Altri si preoccupano per la stretta di sorveglianza su sms e
e-mail che certamente non manchera'. Altri, Geert Lovink per esempio, dice
che sotto le motivazioni razziali si nascondono poste in gioco che
riguardano il territorio e il sesso. La mia amica Ilaria Vanni mi scrive che
anche secondo lei ci sono di mezzo i rapporti fra i sessi: "la mancata
accettazione della fine del patriarcato, o se vuoi il suo canto del cigno,
visto che le dichiarazioni dei bianchi contro gli arabi sono del tipo
'vengono qua e trattano male le nostre donne, dobbiamo difendere le nostre
donne'". Lo sappiamo dalla Francia della legge sul velo e dagli Stati Uniti
della guerra di liberazione dal patriarcato islamico: quando le donne
diventano una bandiera da sventolare a copertura d'altro, si mette male.
Ilaria aggiunge che questa difesa delle donne maschera l'ansia del contagio
della razza dei maschi bianchi, un punto ricorrente nella storia australiana
che continuera' a spuntare selvaggiamente dall'inconscio sociale fino a
quando non ci sara' pubblica elaborazione del genocidio aborigeno, della
violenza degli inglesi sulle donne aborigene, della nascita dei bambini
meticci soprannominati "mezzo sangue o mezza casta". Per il passato. Per il
futuro, la nuova macchina di selezione del seme maschile inventata a
Melbourne e annunciata con clamore sabato scorso in un congresso
sull'infertilita' potra' forse placare quest'incubo del contagio del sangue
bianco.

8. DOCUMENTI. LORENZO MILANI: LETTERA AI CAPPELLANI MILITARI
[Riproponiamo ancora una volta la milaniana "Lettera ai cappellani militari
toscani che hanno sottoscritto il comunicato dell'11 febbraio 1965", uno dei
documenti raccolti ne L'obbedienza non e' piu' una virtu'. Lorenzo Milani
nacque a Firenze nel 1923, proveniente da una famiglia della borghesia
intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato a
Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di
estrazione popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi
trasferito punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l'esperienza
della sua scuola. Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la
gerarchia ecclesiastica ordinera' il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive
la lettera ai cappellani militari da cui derivera' il processo i cui atti
sono pubblicati ne L'obbedienza non e' piu' una virtu'. Muore dopo una lunga
malattia nel 1967; era appena uscita la Lettera a una professoressa della
scuola di Barbiana. L'educazione come pratica di liberazione, la scelta di
classe dalla parte degli oppressi, l'opposizione alla guerra, la denuncia
della scuola classista che discrimina i poveri: sono alcuni dei temi su cui
la lezione di don Milani resta di grande valore. Opere di Lorenzo Milani e
della scuola di Barbiana: Esperienze pastorali, L'obbedienza non e' piu' una
virtu', Lettera a una professoressa, pubblicate tutte presso la Libreria
Editrice Fiorentina (Lef). Postume sono state pubblicate le raccolte di
Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori; le Lettere alla
mamma, Mondadori; e sempre delle lettere alla madre l'edizione critica,
integrale e annotata, Alla mamma. Lettere 1943-1967, Marietti. Altri testi
sono apparsi sparsamente in volumi di diversi autori. La casa editrice
Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato nell'ultimo decennio la
ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni ultraeconomiche e
criticamente curate. La Emi ha recentemente pubblicato, a cura di Giorgio
Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo Milani nel
volume I care ancora. Opere su Lorenzo Milani: sono ormai numerose;
fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte
dell'ultimo, Rizzoli, Milano 1993; Giorgio Pecorini, Don Milani! Chi era
costui?, Baldini & Castoldi, Milano 1996; Mario Lancisi (a cura di), Don
Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 1979; Ernesto Balducci,
L'insegnamento di don Lorenzo Milani, Laterza, Roma-Bari 1995; Gianfranco
Riccioni, La stampa e don Milani, Lef, Firenze 1974; Antonio Schina (a cura
di), Don Milani, Centro di documentazione di Pistoia, 1993. Un repertorio
bibliografico sintetico e' in Peppe Sini, Don Milani e l'educazione alla
pace, Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1998. Segnaliamo anche
l'interessante fascicolo monografico di "Azione nonviolenta" del giugno
1997. Segnaliamo anche il fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di liberta',
supplemento a "Conquiste del lavoro", n. 50 del 1987. Tra i testi apparsi di
recente: il testo su don Milani di Michele Ranchetti nel suo libro Gli
ultimi preti, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1997;
David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte (Bg)
1997; Liana Fiorani, Don Milani tra storia e attualita', Lef, Firenze 1997,
poi Centro don Milani, Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo don Lorenzo Milani
a trenta anni dalla sua morte, Comune di Rubano 1998; Centro documentazione
don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana, Progetto Lorenzo Milani: il
maestro, Firenze 1998; Liana Fiorani, Dediche a don Milani, Qualevita, Torre
dei Nolfi (Aq) 2001; Edoardo Martinelli, Pedagogia dell'aderenza, Polaris,
Vicchio di Mugello (Fi) 2002; Marco Moraccini (a cura di), Scritti su
Lorenzo Milani. Una antologia critica, Il Grandevetro - Jaca Book, Santa
Croce sull'Arno (Pi) - Milano 2002]

Da tempo avrei voluto invitare uno di voi a parlare ai miei ragazzi della
vostra vita. Una vita che i ragazzi e io non capiamo.
Avremmo pero' voluto fare uno sforzo per capire e soprattutto domandarvi
come avete affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Non ho
fatto in tempo a organizzare questo incontro tra voi e la mia scuola.
Io l'avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio voi, e su un
giornale, non posso fare a meno di farvi quelle stesse domande
pubblicamente.
Primo, perche' avete insultato dei cittadini che noi e molti altri
ammiriamo. E nessuno, ch'io sappia, vi aveva chiamati in causa. A meno di
pensare che il solo esempio di quella loro eroica coerenza cristiana bruci
dentro di voi una qualche vostra incertezza interiore.
Secondo, perche' avete usato, con estrema leggerezza e senza chiarirne la
portata, vocaboli che sono piu' grandi di voi.
Nel rispondermi badate che l'opinione pubblica e' oggi piu' matura che in
altri tempi e non si contentera' ne' d'un vostro silenzio, ne' d'una
risposta generica che sfugga alle singole domande. Paroloni sentimentali o
volgari insulti agli obiettori o a me non sono argomenti. Se avete argomenti
saro' ben lieto di darvene atto e di ricredermi se nella fretta di scrivere
mi fossero sfuggite cose non giuste.
Non discutero' qui l'idea di Patria in se'. Non mi piacciono queste
divisioni.
Se voi pero' avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri
allora vi diro' che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto
di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e
oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei
stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia,
di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente
squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i
poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei
mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine
per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che
approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto.
Abbiamo dunque idee molto diverse. Posso rispettare le vostre se le
giustificherete alla luce del Vangelo o della Costituzione. Ma rispettate
anche voi le idee degli altri. Soprattutto se son uomini che per le loro
idee pagano di persona.
Certo ammetterete che la parola Patria e' stata usata male molte volte.
Spesso essa non e' che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo
studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori
ben piu' alti di lei.
Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. E' troppo facile
dimostrare che Gesu' era contrario alla violenza e che per se' non accetto'
nemmeno la legittima difesa.
Mi riferiro' piuttosto alla Costituzione.
Articolo 11 "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla
liberta' degli altri popoli...".
Articolo 52 "La difesa della Patria e' sacro dovere del cittadino".
Misuriamo con questo metro le guerre cui e' stato chiamato il popolo
italiano in un secolo di storia.
Se vedremo che la storia del nostro esercito e' tutta intessuta di offese
alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei casi i soldati dovevano
obbedire o obiettare quel che dettava la loro coscienza. E poi dovrete
spiegarci chi difese piu' la Patria e l'onore della Patria: quelli che
obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il
mondo civile? Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel
pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L'obbedienza a
ogni costo? E se l'ordine era il bombardamento dei civili, un'azione di
rappresaglia su un villaggio inerme, l'esecuzione sommaria dei partigiani,
l'uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura,
l'esecuzione d'ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le
decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della Patria e fucilarlo per
incutere terrore negli altri soldati della Patria), una guerra di evidente
aggressione, l'ordine d'un ufficiale ribelle al popolo sovrano, la
repressione di manifestazioni popolari?
Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra.
Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete
taciuto. O volete farci credere che avete volta volta detto la verita' in
faccia ai vostri "superiori" sfidando la prigione o la morte? se siete
ancora vivi e graduati e' segno che non avete mai obiettato a nulla. Del
resto ce ne avete dato la prova mostrando nel vostro comunicato di non avere
la piu' elementare nozione del concetto di obiezione di coscienza.
Non potete non pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come
dovete essere, le guide morali dei nostri soldati. Oltre a tutto la Patria,
cioe' noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato anche per questo. E se manteniamo
a caro prezzo (1.000 miliardi l'anno) l'esercito, e' solo perche' difenda
colla Patria gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranita'
popolare, la liberta', la giustizia. E allora (esperienza della storia alla
mano) urgeva piu' che educaste i nostri soldati all'obiezione che
all'obbedienza.
L'obiezione in questi 100 anni di storia l'han conosciuta troppo poco.
L'obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l'han conosciuta anche troppo.
Scorriamo insieme la storia. Volta volta ci direte da che parte era la
Patria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva obbedire e quando
occorreva obiettare.
1860. Un esercito di napoletani, imbottiti dell'idea di Patria, tento' di
buttare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria. Fra quei
briganti c'erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria.
Per l'appunto furono i briganti a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche
piazza d'Italia un monumento come eroe della Patria.
A 100 anni di distanza la storia si ripete: l'Europa e' alle porte.
La Costituzione e' pronta a riceverla: "L'Italia consente alle limitazioni
di sovranita' necessarie...". I nostri figli rideranno del vostro concetto
di Patria, cosi' come tutti ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti
rideranno dell'Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le
vedranno solo nei musei.
La guerra seguente 1866 fu un'altra aggressione. Anzi c'era stato un accordo
con il popolo piu' attaccabrighe e guerrafondaio del mondo per aggredire
l'Austria insieme.
Furono aggressioni certo le guerre (1867-1870) contro i Romani i quali non
amavano molto la loro secolare Patria, tant'e' vero che non la difesero. Ma
non amavano molto neanche la loro nuova Patria che li stava aggredendo,
tant'e' vero che non insorsero per facilitarle la vittoria. Il Gregorovius
spiega nel suo diario: "L'insurrezione annunciata per oggi, e' stata
rinviata a causa della pioggia".
Nel 1898 il Re "Buono" onoro' della Gran Croce Militare il generale Bava
Beccaris per i suoi meriti in una guerra che e' bene ricordare. L'avversario
era una folla di mendicanti che aspettavano la minestra davanti a un
convento a Milano. Il Generale li prese a colpi di cannone e di mortaio solo
perche' i ricchi (allora come oggi) esigevano il privilegio di non pagare
tasse. Volevano sostituire la tassa sulla polenta con qualcosa di peggio per
i poveri e di meglio per loro. Ebbero quel che volevano. I morti furono 80,
i feriti innumerevoli. Fra i soldati non ci fu ne' un ferito ne' un
obiettore. Finito il servizio militare tornarono a casa a mangiar polenta.
Poca perche' era rincarata.
Eppure gli ufficiali seguitarono a farli gridare "Savoia" anche quando li
portarono a aggredire due volte (1896 e 1935) un popolo pacifico e lontano
che certo non minacciava i confini della nostra Patria. Era l'unico popolo
nero che non fosse ancora appestato dalla peste del colonialismo europeo.
Quando si battono bianchi e neri siete coi bianchi? Non vi basta di imporci
la Patria Italia? Volete imporci anche la Patria Razza Bianca? Siete di quei
preti che leggono la Nazione? Stateci attenti perche' quel giornale
considera la vita d'un bianco piu' che quella di 100 neri. Avete visto come
ha messo in risalto l'uccisione di 60 bianchi nel Congo, dimenticando di
descrivere la contemporanea immane strage di neri e di cercarne i mandanti
qui in Europa?
Idem per la guerra di Libia.
Poi siamo al '14. L'Italia aggredi' l'Austria con cui questa volta era
alleata.
Battisti era un Patriota o un disertore? E' un piccolo particolare che va
chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che
quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter
ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti?
Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era
dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava
forse a una "inutile strage"? (l'espressione non e' d'un vile obiettore di
coscienza ma d'un Papa canonizzato).
Era nel '22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l'esercito non
la difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti
l'avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con l'Obbedienza
"cieca, pronta, assoluta" quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e
al mondo (50.000.000 di morti). Cosi' la Patria ando' in mano a un pugno di
criminali che violo' ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della
parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei
sacerdoti che non avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra
"Patria", quelli che di quella parola non avevano mai voluto approfondire il
significato, quelli che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso
proprio alla Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la
Chiesa).
Nel '36 50.000 soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova
infame aggressione: Avevano avuto la cartolina di precetto per andar
"volontari" a aggredire l'infelice popolo spagnolo.
Erano corsi in aiuto d'un generale traditore della sua Patria, ribelle al
suo legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll'aiuto italiano e al
prezzo d'un milione e mezzo di morti riusci' a ottenere quello che volevano
i ricchi: blocco dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del
sindacato, dei partiti, d'ogni liberta' civile e religiosa.
Ancor oggi, in sfida al resto del mondo, quel generale ribelle imprigiona,
tortura, uccide (anzi garrota) chiunque sia reo d'aver difeso allora la
Patria o di tentare di salvarla oggi. Senza l'obbedienza dei "volontari"
italiani tutto questo non sarebbe successo.
Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche
dall'altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo. Per
l'appunto questi ultimi erano italiani ribelli e esuli dalla loro Patria.
Gente che aveva obiettato.
Avete detto ai vostri soldati cosa devono fare se gli capita un generale
tipo Franco? Gli avete detto che agli ufficiali disobbedienti al popolo loro
sovrano non si deve obbedire?
Poi dal '39 in la' fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo
l'altra altre sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania,
Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia).
Era una guerra che aveva per l'Italia due fronti. L'uno contro il sistema
democratico. L'altro contro il sistema socialista. Erano e sono per ora i
due sistemi politici piu' nobili che l'umanita' si sia data.
L'uno rappresenta il piu' alto tentativo dell'umanita' di dare, anche su
questa terra, liberta' e dignita' umana ai poveri.
L'altro il piu' alto tentativo dell'umanita' di dare, anche su questa terra,
giustizia e eguaglianza ai poveri.
Non vi affannate a rispondere accusando l'uno o l'altro sistema dei loro
vistosi difetti e errori. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto cosa
c'era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che
oppressori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione d'ogni
valore morale, di ogni liberta' se non per i ricchi e per i malvagi.
Negazione d'ogni giustizia e d'ogni religione. Propaganda dell'odio e
sterminio d'innocenti. Fra gli altri lo sterminio degli ebrei (la Patria del
Signore dispersa nel mondo e sofferente).
Che c'entrava la Patria con tutto questo? e che significato possono piu'
avere le Patrie in guerra da che l'ultima guerra e' stata un confronto di
ideologie e non di patrie?
Ma in questi cento anni di storia italiana c'e' stata anche una guerra
"giusta" (se guerra giusta esiste). L'unica che non fosse offesa delle
altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana.
Da un lato c'erano dei civili, dall'altra dei militari. Da un lato soldati
che avevano obbedito, dall'altra soldati che avevano obiettato.
Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i "ribelli", quali i
"regolari"?
E' una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. Nel Congo p. es.
quali sono i "ribelli"?
Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l'ingiusta guerra che aveva
scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i
nostri soldati.
Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in
aggressori dall'obbedienza militare. Quell'obbedienza militare che voi
cappellani esaltate senza nemmeno un "distinguo" che vi riallacci alla
parola di San Pietro: "Si deve obbedire agli uomini o a Dio?". E intanto
ingiuriate alcuni pochi coraggiosi che son finiti in carcere per fare come
ha fatto San Pietro.
In molti paesi civili (in questo piu' civili del nostro) la legge li onora
permettendo loro di servir la Patria in altra maniera. Chiedono di
sacrificarsi per la Patria piu' degli altri, non meno. Non e' colpa loro se
in Italia non hanno altra scelta che di servirla oziando in prigione.
Del resto anche in Italia c'e' una legge che riconosce un'obiezione di
coscienza. E' proprio quel Concordato che voi volevate celebrare. Il suo
terzo articolo consacra la fondamentale obiezione di coscienza dei Vescovi e
dei Preti.
In quanto agli altri obiettori, la Chiesa non si e' ancora pronunziata ne'
contro di loro ne' contro di voi. La sentenza umana che li ha condannati
dice solo che hanno disobbedito alla legge degli uomini, non che son vili.
Chi vi autorizza a rincarare la dose? E poi a chiamarli vili non vi viene in
mente che non s'e' mai sentito dire che la vilta' sia patrimonio di pochi,
l'eroismo patrimonio dei piu'?
Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo
il luogo dei profeti e' la prigione, ma non e' bello star dalla parte di chi
ce li tiene.
Se ci dite che avete scelto la missione di cappellani per assistere feriti e
moribondi, possiamo rispettare la vostra idea. Perfino Gandhi da giovane
l'ha fatto. Piu' maturo condanno' duramente questo suo errore giovanile.
Avete letto la sua vita?
Ma se ci dite che il rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo
l'esempio e il comandamento del Signore e' "estraneo al comandamento
cristiano dell'amore" allora non sapete di che Spirito siete! che lingua
parlate? come potremo intendervi se usate le parole senza pesarle? se non
volete onorare la sofferenza degli obiettori, almeno tacete!
Auspichiamo dunque tutto il contrario di quel che voi auspicate: Auspichiamo
che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione di Patria
di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si
son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Liberta', Verita'.
Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano
non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verita' e
l'errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima.
Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro
colpa da una propaganda d'odio, si son sacrificati per il solo malinteso
ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale
umano.
Lorenzo Milani sac.

9. RILETTURE. LUDWIG FEUERBACH: SCRITTI FILOSOFICI
Ludwig Feuerbach, Scritti filosofici, Laterza, Roma-Bari 1976, pp. XXXVI +
324. A cura di Claudio Cesa, una bella raccolta di scritti di uno dei nostri
piu' grandi maestri.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1153 del 23 dicembre 2005

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