La nonviolenza e' in cammino. 1158



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1158 del 28 dicembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Silvana Sacchi: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
2. Piu' che una rivista
3. Cindy Sheehan: Il linguaggio del cuore
4. Una intervista di Gianpiero Landi a Luce Fabbri del 1981 (parte seconda)
5. Letture: Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Oltre la guerra.
Annuario geopolitico della pace 2005
6. Letture: Reporters sans frontieres, Il libro nero della guerra in iraq
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. STRUMENTI DI LAVORO. SILVANA SACCHI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA"
PERCHE'...
[Ringraziamo Silvana Sacchi (per contatti: ssacchi at libero.it) per questo
intervento che estraiamo da una piu' ampia lettera personale. Silvana Sacchi
e' impegnata nei movimenti nonviolenti ed in esperienze di formazione e di
iniziativa nonviolenta]

Da molti anni ormai frequento il Movimento Internazionale della
Riconciliazione-Movimento Nonviolento, sono stata coordinatrice di campi
estivi in giro per l'italia e ho sempre proposto l'abbonamento ad "Azione
nonviolenta", in quanto la ritengo una rivista utile e attuale per i temi
trattati, oltre che libera.
E' importante che i nonviolenti abbiano uno spazio di informazione e di
approfondimento critico, aperto ovviamente a chiunque lo voglia.
Consiglio "Azione nonviolenza" soprattutto perche' la nonviolenza mi sembra
l'unica via d'uscita, per quanto difficilmente praticabile su livelli macro,
da un sistema di vita sempre piu' folle, veloce e vorace, e quindi violento
sotto tutti i punti di vista...

2. STRUMENTI DI LAVORO. PIU' CHE UNA RIVISTA
"Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata
da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte
le persone amiche della nonviolenza.
La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803,
fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org
L'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n.
10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente
bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza
Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta",
via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad
"Azione nonviolenta".

3. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: IL LINGUAGGIO DEL CUORE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di
Cindy Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey in Iraq; per tutto il
mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George
Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli per
chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla
sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento
contro la guerra]

Sono stata in Europa per due settimane. In Gran Bretagna ho ricevuto il
benvenuto di Ken Livingston, il sindaco di Londra, e sono stata salutata dal
ministro degli esteri, dal vicepresidente e da altri membri del Parlamento:
queste storie ve le raccontero' in un prossimo articolo.
L'onore piu' alto che provo oggi, negli Usa e in Europa, e' incontrare le
famiglie i cui figli sono stati uccisi nella "guerra al terrorismo" che
George Bush ha dichiarato al mondo. Non ha importanza se parliamo un inglese
dai differenti accenti, o spagnolo, o l'inglese con l'intonazione di Glasgow
della mia sorella scozzese nel dolore, Rose Gentle, il cui figlio dolcissimo
e' stato ucciso in Iraq nel luglio 2004: i nostri cuori parlano lo stesso
idioma di sofferenza e cantileniamo lo stesso lamento per una perdita
inutile.
In Scozia, mentre incontravamo i ministri al Parlamento e chiedevamo loro di
far pressione sul governo a Londra e di ritirare le truppe scozzesi
dall'Iraq, con noi c'era Sue Smith, una donna il cui figlio Philip e'
parimenti morto in Iraq lo scorso anno. La sua voce fluttuava e vibrava
della perdita incalcolabile, mentre narrava del tradimento che ha sentito di
patire, nel seppellire suo figlio cosi' presto e nell'udire le menzogne di
Blair, compagno di Bush in crimini di guerra. La ferita nel suo cuore era
fresca, e sanguinava apertamente. Nei suoi occhi ho visto il mio cuore quale
esso era un anno fa.
Alla Conferenza internazionale per la pace a Londra ho incontrato il padre
di Shaun Brierly, Peter. Shaun era nell'esercito britannico, ed e' morto nel
marzo 2003, durante i primi giorni di guerra. Peter ha cercato di disperdere
il mio umore grave con il suo quieto umorismo. Ha tentato di descrivermi
cos'e' stato per la sua famiglia perdere Shaun. In un pub abbiamo brindato
ai nostri figli, al nostro dolore, e in special modo alla nostra risoluzione
di mettere fine alla guerra, e di smascherare i farabutti che governano i
nostri paesi in modo vergognoso. Guardandoci negli occhi appannati di
lacrime, ci siamo promessi l'un l'altra che saremmo rimasti fermi e forti
nel nostro proposito.
Sempre alla Conferenza ho conosciuto Reg Keys e John Miller: entrambi i
figli di costoro sono "morti in azione". Ci siamo presi in giro a vicenda
per i nostri vestiti: eleganti i loro, da ginnastica i miei. Reg Keys si era
candidato contro Blair alle elezioni, l'anno scorso, ed ha avuto un
risultato dignitoso. Lui e John si sostengono a vicenda nel dolore. E' duro
esprimere la sofferenza, per i padri. Noi madri apriamo il cuore piu'
facilmente, i padri tentano di tenersi il male nel cuore, di controllarlo.
Ho anche incontrato Ann Laurence, che mi ha descritto la dolce campagna
inglese in cui vive e mi ha mostrato le foto del suo bel figlio morto in
Iraq, Marc. Aveva una voce quieta, e gli occhi colmi di stanchezza e di
lacrime pronte a scorrere.
*
In Spagna, ho incontrato due donne i cui figli sono stati uccisi dalle
politiche dei governi degli Usa e della Gran Bretagna, due governi che mano
nella mano hanno condotto i nostri paesi ad un'invasione impossibile ed
immorale, all'occupazione di un paese innocente e per lo piu' privo di
difese.
Maribel Permuy e' la madre del cameraman Jose' Couso, ucciso all'Hotel
Palestine l'8 aprile 2003, assieme ad altri giornalisti. Con le nuove prove
che si manifestano, rispetto al desiderio di Bush di uccidere i giornalisti
di Al Jazeera ed alla vicenda del fuoco aperto su Giuliana Sgrena e sui suoi
soccorritori, io trovo difficile credere che l'omicidio di Jose' sia stato
un incidente. La magistratura spagnola ha aperto un procedimento contro le
truppe Usa che spararono un missile sull'albergo. Maribel non parlava
inglese, ed io lo spagnolo lo so poco, ma i nostri cuori si sono capiti
subito: il dolore e la speranza li hanno messi in relazione. In Spagna e nei
paesi latino-americani mi chiamano "Madre Coraje" (Madre Coraggio), ma
Maribel lo e' molto piu' di me. E' decisa ad ottenere giustizia per il
proprio figlio, in modo fermo e privo di compromessi. E' il suo amore
incondizionato, imperituro, per Jose' e per gli altri suoi figli a darle la
forza di lottare. Abbiamo riso e pianto cosi' tanto, insieme, che mi chiedo
se avremmo davvero comunicato meglio, parlando la stessa lingua.
Ho anche incontrato Pilar Mahon, a Madrid, una delle portavoci delle
famiglie colpite dall'agguato terroristico dell'11 marzo 2004. Suo figlio
Daniel e' morto di quelle bombe. Il giorno in cui ci siamo viste, Daniel
avrebbe compiuto 22 anni. Pilar aveva gli occhi rossi dal pianto e riusciva
a stento a parlare, ma quando lo ha fatto la sua voce si e' levata contro
George Bush e l'ex presidente spagnolo Aznar, contro una guerra basata sui
sogni di petrolio dei neocons. La stessa bugia del "combattiamoli laggiu',
cosi' non dovremo combatterli in casa" ha ucciso mio figlio Casey e Daniel.
*
Io brucio dall'indignazione, quando incontro persone come Pilar, che
dovrebbero festeggiare il compleanno dei figli e il Natale, ma che passano i
giorni a piangere sulle tombe dei loro ragazzi. C'e' cosi' tanta gente che
in questi giorni celebrera' festivita' segnate dalla sofferenza. Il Natale
e' durissimo, per noi, non solo perche' abbiamo perduto i nostri figli, ma
perche' ricordiamo la felicita' dei Natali passati. Fa male ricordare le
mattine in cui i bambini sono venuti a svegliarti, perche' volevano aprire i
regali portati da Babbo Natale. Fa male tirare fuori le decorazioni, e
appendere le calze, sapendo che una restera' vuota per sempre. Percio' la
maggior parte di noi evita i festeggiamenti tradizionali, e in quei giorni
cerchiamo di sostenerci a vicenda attraverso la devastazione che ha
sconvolto le nostre vite. Una devastazione inutile, che si poteva evitare.
I nostri cuori vanno direttamente a collegarsi a tutti coloro che quest'anno
stanno sperimentando il lutto e la perdita, anziche' il piacere e la gioia
di stare insieme.
George Bush e gli altri distributori di dolore si prenderanno invece un
giorno o due di pausa dallo spiare gli americani, per festeggiare il Natale.
Dick Cheney non prova sofferenza per la tragica perdita di vite umane che la
sua avidita' ha causato. Ha avuto persino, pochi giorni fa, la spudoratezza
di fare una visita "a sorpresa" in Iraq. Come osa mostrare la faccia in un
paese distrutto dalla sua insaziabile ricerca di oro nero, dall'oscena
cupidigia per il profitto della sua compagnia, la Halliburton, e degli altri
profittatori di guerra? Il male che questa gente ha fatto al mondo e'
incalcolabile.
I popoli della terra vorrebbero che al loro dolore fosse data risposta, e
vorrebbero un poí di giustizia per i danni che hanno subito.
*
Comunque celebriate le feste in questi giorni, per favore, ricordate le
famiglie che tenteranno di farlo con una parte di loro che manca. Ma
soprattutto vi prego di ricordare gli americani e gli iracheni che rischiano
di morire in Iraq di vecchie e nuove menzogne.
In conclusione, voglio riportarvi l'estratto di una e-mail che ho ricevuto
da una madre irachena. Suo figlio, Zaydoun Mamoun Fadhil Al-Samarai, un
"insorgente" sciita, fu coinvolto nella stessa battaglia in cui Casey mori'.
Zaydoun fu ucciso successivamente.
"Noi, amica mia, pur nel marchio del dolore possiamo lavorare insieme,
ognuna di noi nel luogo in cui si trova, e mettere fine allo spargimento di
sangue, ed andare insieme verso la pace e l'amore che prevarranno, invece
che verso la guerra. Insieme, cara signora, possiamo lavorare per dare
speranza di felicita' a tutte le madri, perche' abbiamo fatto esperienza del
male, abbiamo perso i nostri figli. Chi non fa esperienza del dolore non
capisce davvero la gioia.
Saro' davvero felice solo quando la guerra finira', e allora festeggeremo
nella mia citta', Samara, la citta' in cui il mio figlio maggiore Zaydoun
era nato. Zaydoun che avrebbe dovuto lamentare la mia morte, ed invece io ho
dovuto lamentare la sua un mese prima che si sposasse. Ti mando anche i
saluti della sua fidanzata, che ancora lo piange. Infine, accetta la mia
profonda simpatia, da una madre che ha perso il proprio figlio ad un'altra
madre che ha perso il suo.
Io spero che ci incontreremo, in cammino verso la pace, verso l'amore.
George Bush e gli altri hanno insegnato a troppa gente, nel mondo, il
linguaggio del dolore tramite le loro bugie e le loro dottrine
dell'uccisione preventiva con lo scopo del profitto. Abbiamo bisogno di
imparare un nuovo linguaggio, una lingua amorevole e pacifica con cui
dobbiamo parlare, e persino urlare, ai nostri governanti, che capiscono solo
l'idioma dell'avidita' e dell'omicidio. Peace, shalom, paz, salaam".

4. MEMORIA. UNA INTERVISTA DI GIANPIERO LANDI A LUCE FABBRI DEL 1981 (PARTE
SECONDA)
[Dal sito www.socialismolibertario.it riprendiamo la seguente intervista a
Luce Fabbri a cura di Giampiero Landi apparsa su "A rivista anarchica" nel
n. 95 dell'ottobre 1981 (sito: www.arivista.org).
Gianpiero Landi (per contatti: gplandi at racine.ra.it) e' un prestigioso
studioso e valoroso militante libertario. Tra le opere di Giampiero Landi:
(a cura di), Andrea Caffi, un socialista libertario, Edizioni Biblioteca
Franco Serantini, Pisa 1996.
Luce Fabbri, pensatrice e militante anarchica, educatrice profonda e
generosa, un punto di riferimento per tutti gli amici della dignita' umana e
della nonviolenza. Nata il 25 luglio 1908, figlia di Luigi Fabbri (il grande
militante e teorico libertario collaboratore di Errico Malatesta), dal 1929
in esilio dapprima a Parigi, poi a Bruxelles e via Anversa in America
Latina, a Montevideo in Uruguay, ove da allora risiedera' (ma ancora sovente
molto viaggiando); la morte la coglie il 19 agosto 2000, operosa fino alla
fine, sempre attiva, generosa, mite, accogliente; sempre lucida, sempre
limpida, per sempre Luce. Opere di Luce Fabbri: per un primo avvio
segnaliamo l'ampia e preziosa intervista  a cura di Cristina Valenti: Luce
Fabbri, vivendo la mia vita, apparsa su "A. rivista anarchica" dell'estate
1998 (disponibile anche nella rete telematica alla pagina web:
http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/247/22.htm; ora anche nel sito:
www.arivista.org). Tra le sue opere in volume ed in opuscolo segnaliamo: a)
scritti politici: Camisas negras, Ediciones Nervio, Buenos Aires 1935; (con
lo pseudonimo Luz D. Alba), 19 de julio. Antologia de la revolucion
espanola, Coleccion Esfuerzo, Montevideo 1937; (con Diego Abad de
Santillan), Gli anarchici e la rivoluzione spagnola, Carlo Frigerio Editore,
Lugano 1938; La liberta' nelle crisi rivoluzionarie, Edizioni Studi Sociali,
Montevideo 1947; El totalitarismo entre las dos guerras, Ediciones Union
Socialista Libertaria, Buenos Aires 1948; L'anticomunismo, l'antimperialismo
e la pace, Edizioni di Studi Sociali, Montevideo 1949; La strada, Edizioni
Studi Sociali, Montevideo 1952; Sotto la minaccia totalitaria, Edizioni RL,
Napoli 1955; Problemi d'oggi, Edizioni RL, Napoli 1958; La libertad entre la
historia y la utopia, Ediciones Union Socialista Libertaria, Rosario 1962;
El anarquismo: mas alla' de la democracia, Editorial Reconstruir, Buenos
Aires 1983; Luigi Fabbri. Storia d'un uomo libero, BFS, Pisa 1996; Una
strada concreta verso l'utopia, Samizdat, Pescara 1998; La libertad entre la
historia y la utopia. Tres ensayos y otros textos del siglo XX, Barcelona
1998; b) volumi di poesia: I canti dell'attesa, M. O. Bertani, Montevideo
1932; Propinqua Libertas, Bfs, Pisa 2005; c) scritti di storia e di critica
letteraria: Influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense
(1810-1853), Ediciones Nuestro Tiempo, Montevideo 1966; L'influenza della
letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1853-1915), Editorial Lena &
Cia. S. A., Montevideo 1967; La poesia de Leopardi, Instituto Italiano de
Cultura, Montevideo 1971; Machiavelli escritor, Instituto Italiano de
Cultura, Montevideo 1972; La Divina Comedia de Dante Alighieri, Universidad
de la Republica, Montevideo 1994. Ad essi si aggiungono i saggi pubblicati
nella "Revista de la Facultad de Humanidad y Ciencias" di Montevideo, e gli
interventi e le interviste su molte pubblicazioni, e le notevoli
traduzioni - con impegnati testi propri di introduzione e commento - (tra
cui, in volume: di opere di Nettlau, di Malatesta, del padre Luigi Fabbri, e
l'edizione bilingue commentata del Principe di Machiavelli). Opere su Luce
Fabbri: un punto di partenza e' l'utilissimo dossier, Ricordando Luce
Fabbri, in "A. rivista anarchica", n. 266 dell'ottobre 2000, pp. 28-41
(disponibile anche nel sito: www.arivista.org)]

Sindacalismo e libera sperimentazione
- Gianpiero Landi: Qual era l'atteggiamento di tuo padre nei confronti del
sindacalismo e dell'organizzazione operaia?
- Luce Fabbri: Fin dove rimontano i miei ricordi direi che mio padre non e'
mai stato sindacalista in senso proprio. Lui e' stato sempre partigiano del
sindacato unico. Sosteneva la necessita' di lavorare in seno all'unione di
tutti i lavoratori della categoria, facendo la propria propaganda dentro un
organismo che raggruppasse i lavoratori di tutte le opinioni. Anche quando
piu' spingeva per l'organizzazione operaia, si trattava di un'organizzazione
non tipicamente anarchica, come invece avveniva per esempio in Spagna, dove
esisteva un sindacalismo anarchico. Al contrario lui riteneva che la cosa
migliore fosse la coesistenza distinta dei gruppi anarchici organizzati su
base ideologica, e del sindacato organizzato su un piano esclusivamente
operaio di lotta contro i padroni. E' sintomatico che, pur apprezzando gli
sforzi di Borghi e degli altri compagni entrati nell'Usi, egli nel primo
dopoguerra preferisse aderire alla Cgdl. Negli ultimi anni, in Sud America,
il problema si ripropose. Egli dovette sostenere polemiche con
anarcosindacalisti locali, che vedevano nella Foru (Uruguay) e nella Fora
(Argentina) la soluzione del problema di quella che chiamavano la "militanza
rivoluzionaria". C'erano molti in Argentina che non ammettevano neppure i
gruppi. Dicevano che il sindacato anarchico era sufficiente.
*
- Gianpiero Landi: In quest'ultimo periodo forse, al di la' delle concezioni
teoriche sulla funzione dei sindacati, vi era anche una percezione della
trasformazione che il sindacalismo e la classe operaia avevano subito nel
corso dei decenni.
- Luce Fabbri: Naturalmente. C'era quello e c'era anche un'altra cosa: la
convinzione profonda della necessita' della tolleranza reciproca fra le
diverse tendenze rivoluzionarie. Io credo che non fosse arrivato a un
superamento completo del classismo, ma era su quella strada. Quando e' morto
era ancora giovane.
*
- Gianpiero Landi: Nell'ultimo periodo della sua vita Fabbri ha dato molto
rilievo al concetto della libera sperimentazione, inteso come coesistenza di
piu' tendenze che confrontano sul piano dei fatti le loro creazioni e che di
volta in volta possono anche collaborare insieme a imprese comuni, in uno
spirito di tolleranza. Mi sembra che questa concezione egli non intendesse
applicarla solo all'interno del movimento anarchico, ma anche nei rapporti
tra le varie forze antifasciste.
- Luce Fabbri: Egli era decisamente pluralista. Nel campo della lotta, e
anche della ricostruzione post-rivoluzionaria, non pensava a una soluzione
unica dei problemi. Anche se fino all'ultimo si ritenne un comunista
anarchico, non pensava che quella dovesse essere la soluzione unica, perche'
evidentemente se si presenta come soluzione unica deve essere una soluzione
di tipo autoritario. Egli pensava ad esempio che la piccola proprieta'
agraria che non implica sfruttamento, soprattutto in regioni in cui essa
risponde alle caratteristiche del suolo, come in montagna, non dovesse
essere toccata; si poteva naturalmente fare opera di persuasione per
un'eventuale collettivizzazione, ma finche' non ci fosse uno sfruttamento di
manodopera sottomessa, si doveva rispettare. L'uniformita' gli ha sempre
fatto paura.
Pur sostenendo il pluralismo delle tendenze, riteneva importante mantenere
distinzioni precise, senza confusioni. Non ha mai amato le riviste e i
giornali eclettici nel movimento, e le pubblicazioni da lui fondate erano
anzi nettamente indirizzate. Quando gli proponevano di pubblicare articoli
di tendenze diverse rispondeva: "Bisogna creare un altro giornale. Questo e'
stato fatto per sostenere questa linea". Se pubblicava qualcosa di altre
tendenze la faceva seguire sempre da un commento, da una discussione.
Riguardo i rapporti con le altre forze antifasciste, ritengo che meriti di
essere ricordata la risposta che egli diede all'inchiesta promossa da
"Giustizia e Liberta'" sulla tattica futura delle diverse tendenze, dopo che
il fascismo fosse stato sconfitto. Egli sostenne che l'atteggiamento del
movimento anarchico sarebbe dipeso a suo avviso soprattutto dalla liberta'
d'azione e di sperimentazione che le tendenze maggioritarie avrebbero
concesso alle minoritarie. Nel campo antifascista l'anarchismo era
evidentemente una tendenza minoritaria in quel momento.
*
Di fronte a "Giustizia e Liberta'"
- Gianpiero Landi: Tuo padre segui' con attenzione e una certa simpatia, per
quanto critica, la nascita, con "Giustizia e Liberta'", di un movimento che
si richiamava al socialismo di Rosselli. Potresti precisare il suo
atteggiamento nei confronti di "Giustizia e Liberta'"?
- Luce Fabbri: "Giustizia e Liberta'" e' sorta in un momento molto
difficile, su un terreno molto vicino a noi. Noi eravamo gia' in America, ma
erano i primi tempi, e si viveva ancora nell'atmosfera francese. L'esilio
creava una fraternita' speciale, e' una questione biografica, non
ideologica. Ha creato anche dei dissensi, come sempre succede, a volte molto
violenti. Ma a Parigi, ricordo, c'era una comprensione reciproca tra le
diverse tendenze antifasciste, o meglio tra le diverse persone. E' evidente
che la tendenza di "Giuszia e Liberta'" era quella che piu' si avvicinava a
noi. Erano socialisti, e al tempo stesso molto preoccupati della sussistenza
della liberta' in seno alla rivoluzione. Mio padre naturalmente avvertiva
che bisognava stare attenti a non considerare "Giustizia e Liberta'" come un
movimento libertario, in quanto essa continuava a muoversi sul piano delle
istituzioni tradizionali parlamentari, con idee molto nuove, pero' sempre
nell'ambito di uno schema democratico tradizionale. Era questo che suscitava
in lui certe diffidenze per il futuro ma aveva molta simpatia per le
persone, per la loro buona fede e anche vedeva con molto piacere
l'avvicinamento di questa tendenza, che era socialista, a posizioni di tipo
quasi libertario, soprattutto in un momento in cui il dogmatismo comunista
si faceva sentire in modo piuttosto forte ed esercitava un certo fascino
perche' sembrava piu' efficace nella lotta antifascista. Era un modo di
uscire dalla strettoia di un assolutismo che suscita l'assolutismo
contrario. Quello che preoccupava mio padre era cio' che "Giustizia e
Liberta'" avrebbe realmente fatto all'indomani di un movimento antifascista
trionfante se fosse stata maggioritaria di fronte alle altre tendenze, e
avesse avuto il potere, o una parte del potere nelle mani.
*
Violenza, furto, banditismo
- Gianpiero Landi: Tuo padre ha sofferto molto per l'esperienza dell'esilio?
In Sud America e' riuscito a inserirsi nell'ambiente dei compagni?
- Luce Fabbri: L'esilio gli e' pesato moltissimo. Lui era attaccatissimo
all'Italia, agli amici, alla sua biblioteca, e veramente doverli lasciare e'
stato un sacrificio terribile. A Montevideo aveva intorno a se' un gruppo di
compagni soprattutto italiani, ed ebbe relazioni molto cordiali con numerosi
altri. L'Uruguay era un paese accoglientissimo. Attraversava in quel momento
condizioni difficili dal punto di vista economico, c'era una crisi molto
forte. Noi avemmo subito appoggio morale e aiuto materiale da parte di
compagni ed amici, da parte anche di persone che non erano proprie del
nostro campo. Le nostre idee nell'Uruguay erano molto popolari, molto
appoggiate. Avevano attorno a se' tutta un'aureola tradizionale, perche'
erano state il punto di partenza del movimento operaio. Avere delle idee
significava essere anarchici. "Anch'io da giovane avevo delle idee", ci
dicevano, e voleva dire "sono stato anarchico". S'e' trovato pero' in
dissenso teorico, con molti compagni latino-americani, sulla questione
sindacale, cui ho gia' accennato. Poi c'e' stato un motivo di tristezza
supplementare per il fatto che dal gruppo anarchico italiano di Buenos Aires
era partito un fenomeno di banditismo legato al nome di Severino Di
Giovanni, che fu molto amaro, per lui anzi amarissimo. Voglio appunto
approfittare dell'occasione per fare alcune precisazioni. E' uscito un libro
di Osvaldo Bayer su Di Giovanni. Si tratta di un buon libro, ma presenta mio
padre come difensore di Di Giovanni, sulla base di una lettera che mio padre
effettivamente scrisse, ma non tiene conto poi di tutto il resto, che
evidentemente Bayer ha ignorato. Mio padre si oppose al fenomeno del
banditismo in modo molto energico fin dal primo momento. Scrisse quella
lettera in difesa di Di Giovanni, e partecipo' nello stesso senso a un
giuri' posteriore, perche' Di Giovanni stesso era stato accusato di essere
un agente della polizia, con un'evidente falsita'. Evidentemente era la
passione del momento che aveva portato i compagni della "Protesta", il
quotidiano anarchico di Buenos Aires, a esagerare. Volevano dire che Di
Giovanni faceva il gioco della polizia. Questo era vero, perche' metteva in
cattiva luce il movimento e rendeva piu' popolari, o meno impopolari, le
persecuzioni contro gli anarchici, ma cio' non significava che egli fosse un
agente. In conseguenza di quest'accusa ci fu l'assassinio di Lopez Arango,
il direttore della "Protesta", posteriore alla lettera di mio padre. Il
fatto suscito' in mio padre una indignazione tale che egli scrisse un
articolo in cui lo definiva un episodio di tipo fascista. L'articolo
provoco' minacce serie di Di Giovanni contro di lui. Mando' a dire che
stesse bene attento, perche' egli era pronto a passare il fiume, cioe' ad
andare da Buenos Aires a Montevideo. Credo quindi che non si possa sostenere
che mio padre abbia difeso Di Giovanni, e meno ancora il fenomeno come tale.
L'ha difeso sul terreno su cui pensava che fosse da difendere, cioe' sul
terreno della verita' di fronte a un'accusa infamante che Di Giovanni
evidentemente non meritava. Ma considerava addirittura disastroso per il
movimento quel fenomeno.
*
- Gianpiero Landi: A tuo avviso era soltanto una divergenza di opportunita'
politica, oppure vi erano anche motivazioni etiche?
- Luce Fabbri: Non era una questione di opportunita'. Lui aveva scritto un
opuscolo, "Infiltrazioni borghesi nell'anarchismo", in cui sosteneva che il
furto e' un'infiltrazione borghese, un fenomeno di parassitismo di tipo
borghese nell'anarchismo. Aveva in realta' una ripugnanza di carattere
morale per quel tipo speciale di sfruttamento che e' il vivere senza
lavorare appropriandosi del frutto del lavoro degli altri. In realta' si
tratta di un fenomeno dello stesso tipo del capitalismo. E non solo:
riconosceva che potevano esserci della generosita', del disinteresse e della
purezza, come indubbiamente c'erano, in alcuni che approvavano e mettevano
in pratica quel metodo, ma che esso rovinava gli altri; aveva un effetto
pedagogicamente negativo sul movimento e soprattutto sui giovani che
potevano entusiasmarsi per quella tattica. Inoltre un fenomeno di quel tipo
attrae i delinquenti comuni che praticano il furto per interesse, e che
vedono nel dichiararsi anarchici o rivoluzionari una giustificazione, un
modo di continuare la stessa vita pero' in un'aureola particolare, di essere
aiutati come vittime politiche quando cadono nelle mani della polizia.
*
- Gianpiero Landi: Come collochi tuo padre nell'anarchismo? Ritieni che
abbia portato dei contributi teorici al pensiero libertario?
- Luce Fabbri: Egli si considerava un divulgatore, e se si puo' dire cosi',
un completatore e sistematizzatore del pensiero di Malatesta: un
sistematizzatore, perche' Malatesta non era sistematico, scriveva sempre
sotto lo stimolo della necessita' del momento. Mio padre piu' volte ha
cercato di portarlo su un piano di elaborazione teorica sistematica, e
Malatesta si e' sempre schermito dicendogli: "per quello ci sei tu". Insieme
formavano un tandem molto efficiente. Mio padre diceva di essere solo
quello. Io non ne sono completamente convinta. Ritengo che egli abbia
portato un contributo teorico, su un piano direi umanistico, di maggior
contatto con le fonti anche letterarie. Malatesta non citava quasi mai; mio
padre ha avuto sempre la tendenza a ricollegare. Nel 1926, durante il
fascismo, quando ci furono vari sequestri successivi e praticamente
"Pensiero e Volonta'" non poteva uscire, compilo' da solo un numero
interamente pieno di citazioni di classici (Machiavelli, Foscolo, Dante
ecc.) che naturalmente non potevano essere sequestrati, ed erano tutti inni
alla liberta'. Lui sentiva molto quell'aspetto, il collegamento con tutta la
storia della cultura. Questo fa si' che il pensiero malatestiano acquisti in
lui un tono personale. Poi direi che in quei due o tre anni che e'
sopravvissuto a Malatesta, ha pensato molto sul problema della violenza,
sulle radici morali dell'anarchismo. Era arrivato alla conclusione che
l'amore e' piu' anarchico della stessa idea di giustizia. Negli ultimi anni
lavorava intorno a questo problema, ci pensava molto. Mi diceva che bisogna
estendere alla societa' quel fattore che c'e' nella famiglia, dove
spontaneamente il debole ha dei diritti perche' e' debole. E' protetto dagli
altri che sono piu' forti. I genitori si preoccupano dei bambini perche'
questi non si possono difendere da soli. Questo amore reciproco da' un tipo
di organizzazione naturale che rende possibile l'esistenza di tutti. E' di
li' che bisogna partire.
Vorrei dire un'altra cosa su mio padre. Credo che sia molto importante la
sua campagna contro la guerra nel 1914-'15. Parlando di lui, credo sia una
cosa significativa e caratteristica la sua disperazione di fronte alla
possibilita' prima dello scoppio di una guerra in generale, e poi
dell'entrata dell'Italia in guerra. Egli ha preveduto gli effetti della
guerra, le sofferenze umane e gli sbocchi involutivi sul piano politico, e
ha cercato di fare tutto quello che poteva per contribuire ad evitarla, in
modo veramente disperato. Pensava che fosse una lotta in cui valeva la pena
di bruciarsi tutti perche' ci fosse risparmiata quella prova terribile. Mi
pare che sia uno dei punti piu' importanti nella vita di mio padre,
perlomeno un punto di vista biografico, perche' lo scoppio della guerra ha
costituito per lui una scossa profonda.
*
Sotto la minaccia totalitaria
- Gianpiero Landi: Nel tuo opuscolo "Sotto la minaccia totalitaria", dopo
una chiarificazione dei termini del linguaggio politico che avevano perso
nel corso delle vicende dell'ultimo secolo gran parte del loro significato,
e dopo aver definito esattamente e storicamente che cosa significano
liberalismo, socialismo, democrazia e anarchia, tu arrivi a sostenere che
l'anarchismo e' l'erede della parte migliore del liberalismo e del
socialismo. Esiste una continuita', a tuo avviso, tra questo tuo giudizio e
il pensiero di tuo padre? Condividi ancora quella tua opinione?
- Luce Fabbri: Direi di si' in tutti e due i casi. Io sento questa posizione
come una continuazione del pensiero di mio padre. Eravamo d'accordo in quel
campo. Lui mi ha educato sugli scrittori liberali, mi ha messo nelle mani i
loro libri, mi ha interpretato la rivoluzione francese in senso liberale. In
seno al processo rivoluzionario del secolo scorso c'e' una tradizione
giacobina e una liberale. Mio padre si riattaccava piuttosto alla tradizione
liberale. Non vorrei che il termine inducesse a un equivoco. Nell'opuscolo
definivo liberalismo "la dottrina che si preoccupa della difesa della
personalita' individuale e considerando lo Stato come un male (il
liberalismo classico lo considerava come un male necessario) cerca di
limitarne le attribuzioni, di diminuirne il potere". In Italia oggi, come
quando scrissi l'opuscolo, liberalismo e' termine ambiguo. Nell'opinione
pubblica e' diventato sinonimo di conservazione sociale, di difesa della
proprieta' privata e del capitalismo. Questo significato e' abusivo. Il
termine liberalismo non lo implica, e non lo ha implicato in passato.
Diciamo che quelli che hanno ereditato il termine lo hanno ereditato male.
Per fortuna in italiano abbiamo il termine "liberismo" per riferirsi alla
libera impresa, o per meglio dire, all'impresa privata, che non e' affatto
libera. Quindi posso dire che quello a cui mi riferisco e' un liberalismo
che non ha niente a che vedere con il liberismo.
*
- Gianpiero Landi: Anche il socialismo liberale che si ispira a Rosselli ha
la pretesa di occupare lo stesso spazio, di essere la sintesi delle stesse
due correnti di pensiero. Quali sono allora i rapporti tra socialismo
liberale e anarchismo?
- Luce Fabbri: Secondo me l'anarchismo, come l'intendo io, come l'intendeva
anche mio padre, e mi pare anche Malatesta, vede il problema in modo piu'
chiaro. L'anarchismo e' uscito dagli schemi tradizionali delle istituzioni
democratiche sorte nel secolo scorso, a partire dalla rivoluzione francese,
per mettere la questione su un terreno diverso, sgombro da tante eredita'.
Il socialismo liberale si ferma a meta', non porta il processo alle sue
estreme e piu' coerenti conseguenze. Io trovo che il socialismo liberale,
cosi' come si e' posto storicamente, e' troppo legato al gioco delle
istituzioni tradizionali. Il suo fine mi sembra piu' nebuloso. Ritengo
possibile, probabile, che i metodi adottati possano portare i socialisti
liberali fuori strada. Anche questo puo' marcare una differenza: la coerenza
mezzi-fini che contraddistingue l'anarchismo. Non escludo pero', e non lo
escludeva mio padre, che ci possa essere una convergenza tra i due
movimenti; questo dipendera', piu' che dal movimento libertario, dal
maggiore o minore distacco dei socialisti liberali dalle strutture
tradizionali.
*
I ministri anarchici
- Gianpiero Landi: Durante la rivoluzione spagnola taluni comportamenti
della Cnt-Fai, in particolare l'ingresso di ministri anarchici nel governo,
provocarono aspre critiche nel movimento anarchico di tutti i paesi. Tu hai
assunto all'epoca, e anche successivamente, un atteggiamento di sostanziale
comprensione nei confronti di quei compagni spagnoli. Qual e' precisamente
la tua posizione?
- Luce Fabbri: Si e' trattato appunto di comprensione, non approvazione.
Evidentemente io ritengo che l'ingresso nel governo non e' stato un atto
anarchico; e' stato uno di quegli atti di compromesso che si compiono sotto
l'impero delle circostanze. E' stato commesso in buona fede, con
l'impressione di non poter fare altrimenti. E' difficile per noi dire se
sarebbe stato possibile o no fare altrimenti e non credo che noi che stavamo
fuori, che non soffrivamo l'urgenza terribile del dilemma, e che non abbiamo
fatto probabilmente tutto quello che si poteva fare per aiutare
dall'esterno, abbiamo il diritto di condannare. Possiamo pero' osservare il
fatto per trarne insegnamenti, e notare che e' stata un'esperienza che ci
da' ragione, in quanto gli anarchici al governo hanno sperimentato
direttamente, a spese loro, la non creativita' del potere. Pur essendo
personalmente integri e dotati di buona volonta', i "ministri anarchici" non
sono stati in grado di fare qualche cosa in senso rivoluzionario. Federica
Montseny probabilmente ha realizzato qualcosa al ministero della Sanita',
nel campo degli ospedali, dell'igiene, ecc., ma non sul terreno della
creazione rivoluzionaria, della creazione di un mondo nuovo. Gli altri poi,
in ministeri politicamente meno neutri, non hanno fatto assolutamente
niente. Garcia Oliver ha fatto delle leggi, dei decreti, che sono restati
lettera morta. In tutta la Catalogna e l'Aragona con le collettivita' e'
sorto un mondo nuovo, pero' dal governo non e' stato possibile realizzare
niente. Tutto si e' ridotto a questo: occupare un posto che poteva occupare
un altro che avrebbe potuto fare del male. Nel dar un giudizio, va tenuto
conto del fatto che la decisione molto sofferta di entrare nel governo e di
sciogliere il comitato delle Milizie, e' avvenuta in un secondo tempo,
quando la guerra civile si era trasformata in guerra internazionale, e i
lavoratori spagnoli da soli non potevano piu' vincere. La guerra uccide la
rivoluzione. Cosi' e' successo per tutte le rivoluzioni del passato. La
guerra e' sempre un fatto antilibertario, di per se stessa, perche' crea la
necessita' di un'organizzazione in un certo senso totalitaria. Un clima di
liberta' non e' un clima di guerra.
*
- Gianpiero Landi: Tu sei stata la prima a introdurre nel movimento
anarchico di lingua italiana lo studio del fenomeno tecnoburocratico. Gia'
in alcuni articoli di "Studi Sociali", e poi in tutti i tuoi opuscoli,
esponi la convinzione che il mondo si trovi di fronte a una trasformazione
decisiva: la fine del capitalismo tradizionale, e per certi aspetti della
stessa democrazia tradizionale, e l'avvento di una nuova classe al potere,
formata da tecnici e burocrati, con numerose varianti nei vari paesi. Un
tipo di analisi che nel movimento anarchico in Italia verra' ripreso e
sviluppato solamente a partire dagli anni '60 da gruppi inizialmente molto
ridotti, arricchendosi col tempo di contributi sempre piu' articolati e
complessi. Come arrivasti a quelle conclusioni?
- Luce Fabbri: Anzitutto mediante tutta una serie di letture: l'opera che
piu' mi ha impressionata e' "La rivoluzione dei tecnici" di Burnham; nel
Nord America c'erano riviste molto interessanti; poi la corrente francese
del "Movimento dell'Abbondanza" (Rodrigues, Valois, ecc.), che oggi appare
in molti aspetti obsoleta, perche' l'abbondanza non e' stata affatto
raggiunta, ma quando e' nata ha suscitato una quantita' di analisi
collaterali sulle trasformazioni in atto; sempre in Francia, lo stesso
movimento cattolico di Mounier, il personalismo, ha condotto analisi su
questi problemi; infine, piu' tardi, e' apparsa "La nuova classe" di Gilas.
Io leggevo queste cose. Poi vi era l'osservazione della realta',
indipendentemente dagli studi. La crisi capitalista e' stata analizzata in
modo diffuso. Ci sono state discussioni tra economisti, sui giornali.
Nell'Uruguay a un certo momento si senti' molto forte la necessita' di
studiare questi problemi. Si costitui' un piccolo gruppo, il Gea (Gruppo de
Estudio y Accion Economico-Social) creato appunto per studiare i vari
problemi in modo capillare e soprattutto locale. In Uruguay c'era un
tentativo di statalizzazione molto accentuato, e cosa piu' interessante, era
stato condotto in modo abbastanza decentralizzato. Volevamo studiare i
trasporti, la produzione, ecc. sul piano locale, per trovare soluzioni
locali. Pensavamo che in ogni localita', in ogni paese, bisognava fare un
lavoro di quel genere, per poi riunire e confrontare le esperienze,
elaborando pero' anche tattiche differenti nell'azione e nella creazione
perche' ogni paese ha le sue proprie esigenze. Le grandi teorie, valide per
tutti i paesi e per tutti i momenti, sono pericolose, rischiano di cadere
nell'autoritarismo, se non si studiano le condizioni del momento e del
luogo.
*
- Gianpiero Landi: Ritieni ancora valida l'analisi tecnoburocratica? Pensi
che costituisca una chiave di lettura attuale per quello che sta succedendo
adesso nel mondo?
- Luce Fabbri: Io credo di si', in quanto non era una chiave interpretativa
legata troppo al momento. Credo che ci siano stati alcuni errori da parte
mia. Io ho creduto per alcuni anni, ad esempio, a una soluzione prossima del
problema dell'alimentazione ad opera della tecnica. Era un'idea
completamente sbagliata, e gli avvenimenti successivi lo hanno rivelato. Ma
questo non toglie nulla alla validita' del concetto di fondo.
*
Tecnoburocrazia e totalitarismo
- Gianpiero Landi: Nei tuoi opuscoli stabilivi un legame tra tecnoburocrazia
e totalitarismo. Dalla lettura sembra che per la democrazia non ci sia un
futuro, e che la scelta sia sostanzialmente tra un socialismo libero o
libertario, e il totalitarismo. Ritieni ancora valida anche questa parte
dell'analisi, oppure pensi che sia possibile una via non totalitaria alla
tecnoburocrazia?
- Luce Fabbri: Io non so se ho mai pensato che la tecnoburocrazia fosse
fatalmente totalitaria. Rilevavo che c'era in atto una progressiva
convergenza tra gli Stati di tipo capitalista e gli Stati che si definivano
socialisti, verso un tipo di organizzazione totalitaria. Pero' non credo di
aver mai pensato che quello fosse lo sbocco fatale dell'evoluzione in corso,
e che non ci fosse la possibilita' di una democrazia tecnoburocratica.
Allora ritenevo che la democrazia fosse debole di fronte al progressivo
potere dello Stato. Non che le istituzioni democratiche fatalmente
degenerassero in totalitarismo, ma esse non avevano in se stesse la forza
per resistere, e anche quando resistevano si rivelavano insufficienti. Era
il caso, per esempio, della Spagna, dove la repubblica sarebbe stata
completamente impotente se non ci fossero stati i sindacati operai; la
struttura democratica spagnola contro il colpo di Franco non avrebbe
resistito dieci giorni. Oggi vedo maggiori possibilita' di sopravvivenza di
una democrazia di tipo borghese, per come si sono svolti i fatti. In quegli
anni si vedeva la fine del capitalismo come molto piu' prossima. Ora c'e' il
fenomeno del neo-capitalismo, che ha riportato sul tappeto alcune questioni
che sembravano superate. In ogni modo anche allora io pensavo che valesse la
pena di battersi contro il totalitarismo per la conservazione delle liberta'
fondamentali. Pero' io pensavo che le istituzioni democratiche non erano un
baluardo sufficiente. Erano un baluardo debole. Puo' darsi che adesso le
possibilita' di sopravvivenza del mondo tradizionale siano un pochino
aumentate. Le vecchie istituzioni hanno ripreso un po' di respiro. Non credo
che sia nel senso di una sopravvivenza definitiva, assolutamente. Pero' esse
hanno dimostrato piu' vitalita' di quanto si riconosceva loro. Sarebbe una
questione da studiare e da approfondire. In ogni modo mi pare che il
problema per noi non sia molto cambiato. Abbiamo sempre di fronte il fatto
che le classi in senso tradizionale non si sostengono piu', che il
proletariato come classe sta perdendo contorno, nel mondo contemporaneo la
figura tradizionale dell'operaio sta quasi scomparendo, e quindi tutto,
anche il vocabolario della lotta sociale sta perdendo attualita'.
*
- Gianpiero Landi: In questi ultimi anni abbiamo assistito al fenomeno del
ritorno al governo di partiti conservatori in diversi paesi occidentali
compresi gli Stati Uniti con la vittoria di Reagan. Si tratta di partiti che
si caratterizzano per una lotta contro il Welfare State, o Stato del
benessere. C'e' in atto una tendenza a contrastare l'allargamento delle
attribuzioni dello Stato nei campi della produzione, dell'assistenza, dei
servizi sociali, ecc. A tuo avviso questo fenomeno puo' essere considerato
come una forma di resistenza da parte del capitalismo tradizionale nei
confronti della tecnoburocrazia?
- Luce Fabbri: Puo' essere una trasformazione della tecnoburocrazia. Una
presa di posizione diversa da parte della tecnoburocrazia. Non credo che si
tratti tanto di una ripresa del capitalismo tradizionale, quanto di un
ritorno a posizioni tradizionali tipiche del capitalismo da parte della
nuova classe dominante. Il fordismo, ossia in parole povere, l'idea di
allargare il mercato arricchendo gli operai, ha portato a una politica di
assistenza da parte dello Stato, e ha provocato lo stesso sviluppo dello
Stato, che lo porta ad essere quasi una classe sociale in se stesso, ad
adempiere nuove funzioni in seno alla societa', ad attribuirsi nuovi poteri.
Questa politica ha urtato contro ostacoli, ha dovuto affrontare una crisi
interna, a cui ora risponde con un ritorno a posizioni tradizionali. Mi
sembra comunque che la linea di tendenza rimanga la stessa.
*
- Gianpiero Landi: L'ultimo articolo tuo apparso su "Volonta'", nel n. 6 del
1978, si intitola "Natura anarchica del linguaggio e sua funzione
liberatrice". Ultimamente tu hai dedicato molto interesse alla problematica
del linguaggio. In questo campo esistono molte concezioni e diverse scuole.
Tra gli studiosi del linguaggio a chi ti ricolleghi in particolare?
- Luce Fabbri: Devo premettere che il mio lavoro professionale si e' svolto
nell'ambito della storia e della critica letteraria. Non nel campo della
linguistica, e neppure della filosofia della lingua. Quindi non sono una
specialista, e quello che dico sul linguaggio non ha la pretesa di essere
una teoria linguistica, di entrare nel merito delle discussioni delle
diverse tendenze. A me il linguaggio interessa moltissimo, perche' ci vedo
la radice stessa della liberta' dell'uomo, direi quasi dell'essenza
dell'uomo come uomo. L'essere umano e' definito dal suo linguaggio, che non
e' solo un veicolo, ma e' la sua sostanza stessa. Non c'e' differenza tra il
pensiero e la parola. Non c'e' un pensiero senza parole. Un'idea che non si
sa esprimere e' un'idea che non si ha chiaramente nella testa. C'e' un
rapporto d'identita', si puo' dire. Quindi il nostro interesse per la
personalita' umana e' in fondo un interesse per questo aspetto, che e'
l'aspetto che permette di vederci, di sentirci reciprocamente. Mi sembra che
il linguaggio sia importante per noi anarchici. Noi l'accettiamo in modo
scontato, come si accetta l'acqua che beviamo o l'aria che respiriamo.
Ritengo invece che sia importante pensarci sopra. Il linguaggio e' insieme
una struttura organica e una manifestazione spontanea; e' insieme creazione
individuale e creazione collettiva; e' insieme norma e liberta'. E' la
creazione piu' anarchica che ci sia nel campo delle realizzazioni dell'uomo,
e nello stesso tempo si identifica con quello che l'uomo ha di piu' umano.
E' la definizione stessa di umanita'. Per me questo e' molto importante da
un punto di vista nostro, in quanto mi pare che le nostre idee vadano alla
radice stessa dell'umanita' come tale. L'umanita' e' capace di creare in
modo organico, vitale, continuativo, un ambito nel quale l'individuo e'
libero: libero nella misura in cui sa superare il condizionamento di tutti
gli innumerevoli contributi che attraverso il linguaggio formano la sua
personalita'. Se si nega la liberta' di linguaggio si nega l'uomo.
(Parte seconda - Segue)

5. LETTURE. FONDAZIONE VENEZIA PER LA RICERCA SULLA PACE: OLTRE LA GUERRA.
ANNUARIO GEOPOLITICO DELLA PACE 2005
Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, Oltre la guerra. Annuario
geopolitico della pace 2005, Terre di mezzo - Altreconomia, Milano 2005, pp.
286, euro 18. Giunto alla quinta edizione, l'annuario promosso dalla
Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace, e curato da Luca Kocci con il
contributo di molte collaborazioni, propone materiali di documentazione e di
approfondimento di notevole interesse.

6. LETTURE. REPORTERS SANS FRONTIERES: IL LIBRO NERO DELLA GUERRA IN IRAQ
Reporters sans frontieres, Il libro nero della guerra in iraq, Newton
Compton, Roma 2005, pp. 256, euro 9,90. Pubblicato in Francia in edizione
originale sul finire del 2004, questo volume a cura della nota
organizzazione non governativa di giornalisti impegnati per la difesa della
liberta' d'informazione (per contatti: www.rsf.org) e' un'utile raccolta di
documenti sulla guerra in Iraq e i crimini di cui essa consiste (e la guerra
e' in se' il primo e piu' grande crimine): con documenti e rapporti a cura
di Human Rights Watch, Reporters sans frontieres, Amnesty International,
Bertrand Ramcharan (alto commissario ad interim delle Nazioni Unite per i
diritti umani), e due interventi in apertura e conclusione di Robert Menard
e Olivier Weber.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1158 del 28 dicembre 2005

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