La nonviolenza e' in cammino. 1181



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1181 del 20 gennaio 2006

Sommario di questo numero:
1. Nando dalla Chiesa: Verita' e' morta, generale dalla Chiesa
2. Luciano Minerva intervista Anna Nadotti
3. Luigia Sorrentino intervista Fernanda Pivano
4. Augusto Cavadi presenta "Agli estremi della filosofia" di Giuseppe
Ferraro e Francesca Rigotti
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. TESTIMONIANZE. NANDO DALLA CHIESA: VERITA' E' MORTA, GENERALE DALLA
CHIESA
[Ringraziamo gli amici di Italia Democratica (per contatti:
italiademocratica at tiscali.it) per averci inviato il seguente articolo di
Nando dalla Chiesa apparso sul quotidiano "l'Unita'" del 18 gennaio 2006.
Nando dalla Chiesa e' nato a Firenze nel 1949, sociologo, docente
universitario, parlamentare; e' stato uno dei promotori e punti di
riferimento del movimento antimafia negli anni ottanta; e' persona di
straordinaria limpidezza morale. Tra le opere di Nando dalla Chiesa
segnaliamo particolarmente: Il potere mafioso, Mazzotta; Delitto imperfetto,
Mondadori; La palude e la citta' (con Pino Arlacchi), Mondadori; Storie,
Einaudi; Il giudice ragazzino, Einaudi; Milano-Palermo: la nuova resistenza
(a cura di Pietro Calderoni), Baldini & Castoldi; I trasformisti, Baldini &
Castoldi; La politica della doppiezza, Einaudi; Storie eretiche di cittadini
perbene, Einaudi; La legge sono io, Filema; La guerra e la pace spiegate da
mio figlio, Filema. Ha inoltre curato (organizzandoli in forma di
autobiografia e raccordandoli con note di grande interesse) una raccolta di
scritti del padre, Carlo Alberto dalla Chiesa, In nome del popolo italiano,
Rizzoli. Opere su Nando dalla Chiesa: suoi ritratti sono in alcuni libri di
carattere giornalistico di Pansa, Stajano, Bocca; si veda anche l'intervista
contenuta in Edgarda Ferri, Il perdono e la memoria, Rizzoli]

Riposa in pace, generale dalla Chiesa. Non scrutare, se mai lo puoi, quel
che accade in questo paese, che e' il tuo paese. Non scrutare nemmeno le
memorie televisive, nemmeno quelle che dovrebbero consegnare il tuo esempio
alle nuove generazioni. Nemmeno quelle che si nutrono delle dichiarazioni
dei tuoi figli, dei tuoi amici o dei tuoi ufficiali di un tempo. C'e' sempre
lo spazio per i veleni che ad altri martiri si eviterebbero. C'e' sempre la
voglia di rivelazioni. Una voglia piu' forte del rispetto, non dico della
pieta', che non e' cosa degli storici e tanto meno dei giornali. Non basta
quel che hai fatto, detto, spiegato, sofferto. C'e' sempre pronto un Cossiga
al quale si lascia dire che la nostra e' stata una famiglia di massoni. Tu,
tuo padre, tuo fratello. E noi, figli, che non lo sapevamo. Fessi a non
accorgerci, per decenni, che c'era una tradizione massonica in casa nostra,
l'idea di uno Stato parallelo dietro un'educazione tutta rivolta a
trasmettere il senso delle istituzioni, con la parola e con l'esempio, mai
un trasferimento rifiutato, anche tre in un anno, mai accolte le sirene che
promettevano tanti guadagni in piu' in questa o in quell'industria privata,
mai un sacrificio scansato se c'era di mezzo lo Stato da servire. Fosse il
banditismo in Sicilia, le indagini difficili, la vita da latitante, la
famiglia trascinata in mezzo ai rischi. Tutte balle. L'ha avuta lui,
Cossiga, l'ultima parola. Massoni, ha detto. Sulla base di nulla, di non si
sa che cosa. Ma l'ha detto, come tante altre volte, ed e' stata la sua
l'ultima parola, quella che rimarra' incisa nella mente del giovane che non
sa nulla, del figlio di chi (ce ne sono, sai?) non ha voglia di raccontargli
la tua vera storia, come quel ragazzo che a scuola fece trovare a tuo nipote
Carlo Alberto una scritta accanto al suo nome: "nipote di massone". Ci sono,
sai, questi esemplari umani, e d'altronde se non ci fossero forse avresti
vissuto piu' a lungo. Massone.
*
E questo, questo fango la Rai, anzi Rai educational (pensa tu se fosse
"diseducational"...), ossia il fior fiore del servizio pubblico, va a
offrire come ghiotta anticipazione alla stampa quotidiana della trasmissione
in tua memoria. Anzi, questo fango e altro ancora. Gia', perche' Cossiga
mica qui si e' fermato. Macche'. Ha pure aggiunto che la lista della P2
aveva una pagina strappata in corrispondenza del tuo nome. Pensa che fessi,
che grulli, quelle due toghe rosse e tonte, Gherardo Colombo e Giuliano
Turone, che non si accorsero di quella pagina mancante indagando su
Castiglion Fibocchi. Pensa che dilettanti allo sbaraglio, che nulla videro e
capirono e te la fecero scampare. E pensa com'e' ridotto questo paese, dove
queste cose uno non le dice subito, e nemmeno dopo cinque anni, o mentre
c'e' il processo, ma dopo un quarto di secolo, pur  essendo stato presidente
del Senato e presidente della Repubblica. Il tempo, gli anni passano. Ma il
tempo non e' galantuomo come dicevi tu. Quante cose, su di te, sono state
raccontate da chi aveva pubbliche funzioni solo dopo tanti anni, come quel
maresciallo delle guardie carcerarie che ando' da Santoro in prima serata,
accreditato li' come il tuo "braccio destro" e che dopo undici anni che
nessuno sapeva chi fosse racconto' cose da non credere, ma che avevano
un'efficacia straordinaria nel presentarti (senza contraddittorio, proprio
come l'altra sera da Minoli) alla stregua di un mestatore. Cose smentite dal
tuo diario, scritto, come si dice, "in velo d'ignoranza", ossia senza sapere
che cosa sarebbe successo e che cosa si sarebbe insinuato su di te negli
anni a venire. Ma il tuo diario di fronte ai "misteri" non fa fede, neanche
se rende incompatibili date, orari e luoghi. Non c'e' nessuno che si faccia
molti scrupoli quando ci sei di mezzo tu. Non se ne fecero nemmeno nella
Commissione stragi, che invece di occuparsi di Brescia o di Bologna si
occupava di te (!), ansiosa di trovare un mistero sempre piu' misterioso
nella tua attivita' di nemico delle Brigate rosse.
*
No, non voglio e nessuno pretende che tu non sia sottoposto a critiche.
Tutti sono discutibili, anche gli eroi. Sarebbe bello che pero' su di loro
si avesse un po' piu' di pudore a raccontare il falso, a dire cose non
provate. E a renderle verita' di fatto. E invece con te si segue esattamente
questo procedimento: si parte dalla tesi suggestiva che forse hai compiuto
questo o quel misfatto, poi non lo si riesce a dimostrare, e siccome non ci
si riesce si finisce con il dire che non si sa, che c'e' un mistero. Che ne
dici, generale? L'altra sera, per ricordarti come si deve, hanno anche detto
che non e' certo se le carte di Moro sono arrivate integre dalle tue mani a
quelle del governo, a cui le portasti personalmente. Si', la solita storia.
E dunque te lo chiedo anch'io, stavolta. Lascia perdere la tua etica di
soldato e dimmi: te le sei tenute tu le carte di Moro? Ma che volevi farne?
Tenerle nascoste al governo a cui dovevi in quel momento tutto il tuo potere
e il tuo prestigio? Metterti in condizione di farti licenziare da quel tonto
di Andreotti, che non si sarebbe mai accorto (questo pensavi, vero?) delle
pagine sottratte? Io che ti ho conosciuto bene non so spiegarmi che senso e
che utilita' avesse per te tenertele. E nemmeno come avresti potuto in
un'ora decidere che cosa tenerti, visto che quel che e' venuto comunque
fuori mica era acqua di rose, sarebbe bastato in un paese civile a far
dimettere a vita tre o quattro ministri.
*
No, non ti hanno trattato male l'altra sera, quanto alla vita privata. Molte
immagini tenere. Forse a noi figli sarebbe piaciuto di piu' che, raccontando
la tua lettera-testamento, invece di parlare della divisione dei pochi
gioielli di mamma, di quella divisione che avevi stabilito pensando anche
alla futura nipotina, si parlasse del tuo ultimo desiderio: vogliatevi
sempre bene come ve ne volete oggi. Ma sono ubbie da figli, che giustamente
possono anche apparire urtanti o sdolcinate o a un estraneo. Forse potevano
evitarti quel riferimento alla patta dei pantaloni ancora aperta in
prefettura mentre rientravi solo dalla toilette. Bocca, certo, poteva
lasciarselo scappare quel dettaglio, ma io, per un martire delle istituzioni
forse quell'immagine non l'avrei data in tivu', nemmeno, come si dice in
questi casi, per renderlo "piu' umano".
*
Ho dentro una grande amarezza, generale. L'altro giorno in Commissione
antimafia ho dovuto citare quel che avevi detto tu in quella sede,
trentacinque anni fa, quando ci andasti con il colonnello Russo con le
vostre antidiluviane planimetrie delle famiglie e degli affari (e degli
appoggi elettorali) mafiosi. Vuoi sapere che ho fatto? Ho preso i resoconti
verbali di allora e li ho letti durante il mio intervento. Ho fatto
risuonare li' le tue parole perche' troppa, troppo grande mi sembrava
l'offesa di trovare scritto, un terzo di secolo dopo, che la mafia non
sposta i voti, che quella che tu indicavi per iscritto al presidente del
Consiglio dei ministri dell'82 come "la famiglia politica piu' inquinata del
luogo" in realta' non ha avuto troppe responsabilita', nemmeno morali. Ho
riletto anche il passo del '70 in cui facevi per la prima volta il nome di
Ciancimino. E ho raccontato di quando la Commissione volle "rielaborare"
(usarono questo verbo) il rapporto mandato dalla Legione Carabinieri di
Palermo, quello in cui parlavi di Lima e di Gioia, che da quella
"rielaborazione" vennero fatti sparire.
*
Ti ho visto e seguito per tanto tempo. Abbiamo anche discusso e litigato e
quindi so che hai avuto atteggiamenti discutibili. Ed e' giusto che altri lo
dicano, se lo pensano, magari con quel di piu' di pieta' che si dovrebbe in
questi casi. Ma una cosa so per certo: le cose false, le insinuazioni
gratuite, se fanno trasmissioni su altri martiri della Repubblica non le
rimestano. Eppure anche su molti di loro, in vita, sono state dette
cattiverie e sono stati propalati dubbi. Con te si fa diversamente. Perche'
c'e' chi in fondo non ti amava quando combattevi il terrorismo, e
malvolentieri rinuncia del tutto a quel che penso' di te, l'uomo della
grande repressione. E c'e' poi chi non ti ha amato quando ti sei messo in
testa quella pazza idea di tagliare la testa della piovra. Messi insieme
fanno buona parte dell'establishment di oggi, un po' di istituzioni, un po'
di professioni, un po' di informazione. Per questo mi chiedo quel che mai ci
si vorrebbe chiedere quando si e' nella mia condizione, per questo mi pongo
l'interrogativo che raschia nel profondo ogni familiare: se ne sia valsa la
pena. Tu risponderesti, come diceva anche Falcone, che il problema non e'
mai se ne valga la pena, ma se sia il proprio dovere. Lo so benissimo. Ma io
lo stesso mi guardo intorno e per la prima volta provo un senso di sgomento
davanti a questa grande, sfumata, gelatinosa e resistente entita' sociale
che non ti meritava.
*
Percio' non scrutare, se puoi, questo paese. Non sentire queste parole che
ti consegno sperando che qualcuno te le sappia filtrare con amore. Dormi nel
gelo di Parma, tra l'ultimo biglietto di una scolaresca e il fiore appassito
di un tuo anziano carabiniere. Riposa in pace, generale.

2. RIFLESSIONE. LUCIANO MINERVA INTERVISTA ANNA NADOTTI
[Dal sito www.rainews24.it riprendiamo la seguente intervista (il testo, in
quanto trascrizione - non rivista - di una conversazione registrata,
presenta talvolta qualche oscurita' e la possibilita' di fraintendimenti: ne
tenga conto chi legge).
Luciano Minerva e' giornalista televisivo.
Su Anna Nadotti dalla medesima fonte, "Rai news 24", riprendiamo anche la
seguente scheda: "Anna Nadotti si definisce lettrice, traduttrice e
consulente editoriale. Ma queste tre funzioni, o passioni, non bastano a
dire chi e'. Nella sua vita e nella sua formazione hanno inciso il cinema,
il jazz, la poesia e le arti figurative, soprattutto la pittura, e
contribuiscono non poco alla sua attivita' di traduttrice. La sua passione
per l'India l'ha portata a scandagliare con attenzione la letteratura
contemporanea per proporre agli editori italiani autori e testi. Tra le sue
traduzioni, tutte dall'inglese, quelle dei libri di Amitav Ghosh, di Anita
Desai, di Satyajit Ray, Nayantara Sahgal e Vikram Chandra. Ha curato la
scelta e la traduzione dei racconti di Mahasweta Devi. Sue anche le
traduzioni dei testi della scrittrice inglese Antonia S. Byatt, delle
introduzioni ai libri della Bibbia della Piccola Biblioteca Einaudi e di
alcuni testi per ragazzi. Fa parte della redazione del mensile 'L'Indice' e
collabora con il quotidiano 'Il manifesto', la Scuola Holden e l'Aiace di
Torino, la Libera Universita' delle Donne di Milano e la rivista letteraria
indiana 'Biblio'. Opere di Anna Nadotti: Oltre alle traduzioni Anna Nadotti
e' autrice di: "Andate e ritorni dall'India (traduttrice per caso)", in S.
Bassi, S. Bertacco, R. Bonicelli (a cura di), In That Village of Open Doors.
Le nuove letterature crocevia della cultura moderna, Cafoscarina, Venezia
2002; "Fuori canone. Letterature, cinema, video nell'India contemporanea:
una mappa impossibile", in Emanuela Casti e Mario Corona (a cura di), Luoghi
e identita'. Geografie e letterature a confronto, Bergamo University Press -
Edizioni Sestante, Bergamo 2004; "Sognando Beckham", in AA. VV., Donne sullo
schermo, Aiace-Celid, Torino 2003; "Il punto di vista di Jo: uno sguardo
sbieco su se stesse e il mondo", in AA. VV., Ragazze e ragazzi nel cinema
contemporaneo, Aiace, Torino 2004"]

Il nome di Anna Nadotti viene regolarmente associato all'India, anzi alla
conoscenza italiana della cultura indiana. Tra le nostre interviste abbiamo
ritenuto opportuno dare parola e voce a chi ha un ruolo diverso da quello
della scrittrice. Anna Nadotti potrebbe essere forse meglio definita, oltre
che come traduttrice, come "mediatrice culturale", ossia una di quelle
persone a cui dobbiamo la possibilita' di leggere nella nostra lingua delle
opere gia' vagliate e selezionate tra un materiale particolarmente vasto.
L'abbiamo incontrata nella sua citta', alla Fiera del Libro di Torino.
*
- Luciano Minerva: Come e' cominciato questo rapporto con l'India e la
scrittura dell'India?
- Anna Nadotti: E' cominciato attraverso il cinema, in particolare il cinema
di Satyajit Ray, regista che io trovo straordinario. Curiosamente la mia
attivita' di traduttrice e' cominciata un po' per caso a meta' della vita;
e' cominciata proprio con la traduzione dei racconti di Satyajit Ray che
vennero pubblicati da Einaudi e si intitolano la notte dell'indaco,
bellissimi racconti tra cinema e narrazione per ragazzi. Da quel momento io
ho tradotto alcuni grandi autori indiani, Amitav Ghosh, Anita Desai, piu'
recentemente ho curato le edizioni italiane di Mahasweta Devi, e ho scritto
molte cose su di loro. L'India e' diventato un luogo dove periodicamente io
ritorno anche perche' oltre ad aver bisogno di conoscerla bene, l'India e'
quasi inconoscibile per quanto uno ci torni e abbia anche delle buone guide,
nel senso che le guide sono per me in primo luogo i miei autori (dico "i
miei" tra virgolette perche' ovviamente non mi appartengono), e alcune
persone che nel corso degli anni ho incontrato in India a volte per
intervistarli. E' stato il caso di alcuni scrittori che allora non erano
ancora tradotti in Italia, e di due editrici indiane, due donne che hanno
fondato case editrici molto importanti, una a Calcutta, una a Delhi, con cui
ci siamo incontrate e nel tempo siamo diventate amiche. Poi ho cominciato ad
andare alla Book Fair di Delhi, biennale molto interessante, e si sono
intensificate relazioni che stanno tra il lavoro e uno straordinario
interesse culturale che non riesco mai ad esaurire.
*
- Luciano Minerva: Tutto questo pero' senza conoscere le lingue indiane che
sono moltissime, quindi attraverso una lingua di mediazione che e'
l'inglese. In cosa consiste questo lavoro di doppia mediazione: come si fa
intanto a valutare il passaggio dalle lingue indiane all'inglese e poi come
si fa a ritradurre e a recuperare parte di quelle cose che si perdono?
- Anna Nadotti: Questo e' sicuramente un problema e io a un certo punto
avevo deciso di cominciare a studiare non sapevo se il bengali o l'hindi.
Qualche parola del bengali la conosco e mi sembra un po' anche di capirlo ma
e' una presunzione. Proprio gli editori indiani fanno un gran lavoro di
traduzione verso l'inglese di libri, sia saggi, che romanzi, che poesie che
loro ritengono importanti, perche' l'inglese in qualche modo e' insieme
all'hindi, la lingua unificante, tanto che considerano l'inglese la
sedicesima o diciassettesima lingua indiana. Questo mi consente di leggere
in inglese molti autori. E poi queste amiche mi consigliano a volte libri
che sono in traduzione e mi suggeriscono un'attenzione particolare verso
determinati autori o autrici che altrimenti sarebbe difficile raggiungere.
Perche' il problema in occidente e' che i grandi autori indiani che qui sono
conosciuti hanno degli agenti inglesi o americani. Mentre c'e' il
subcontinente indiano, considerando l'India e il Pakistan, che ha una
ricchezza di produzione culturale in senso molto lato, letteratura, cinema,
poesia, arti visive, di cui qui arrivano molte cose ma non tutte. Anche del
cinema adesso si parla di piu', non solo di Bollywood, ma anche del cinema
sperimentale: ci sono festival benemeriti come quello di Locarno, o il
festival cinema ambiente di Torino, che due anni fa ha fatto un'enorme
retrospettiva, ci sono registi e documentaristi molto interessanti. Andando
periodicamente ogni 15-18 mesi per un periodo di lavoro in India, riesco a
seguire abbastanza quello che succede. Io credo che si debba cercare di
mantenere la traduzione dall'inglese all'italiano per quello che e' comunque
un suono della lingua e una presenza di parole delle varie lingue perche'
sono tante, l'hindi, il punjabi, il tamil, il bengali, il malajalam, che e'
la lingua che si parla in Kerala, che e' una lingua dolcissima, mantenere
tutte le parole delle lingue indiane che questi autori mantengono
nell'inglese e lasciarcele, in modo da creare questa specie di armonia di
suoni che spezza l'inglese, lo addolcisce e gli da' una musicalita' diversa.
L'inglese e' una lingua straordinaria, ma loro la stanno molto felicemente
"meticciando", come si usa dire: ne alterano proprio il meccanismo
pause-silenzi, che nelle loro lingue e' molto segnato. Aggiungerei poi, come
dice un'autrice che ho tradotto e che secondo me e' una straordinaria
pensatrice, che "l'inglese e' una delle nostre lingue", e - pure dispiaciuta
di non conoscere bene almeno una delle lingue indiane - penso di non essere
troppo irrispettosa.
*
- Luciano Minerva: L'India e' al centro di una grande attenzione
dell'occidente. Una tensione cominciata negli anni '60-'70 e che via via si
e' trasformata. Come racconterebbe le trasformazioni di questo interesse per
l'India e dell'immagine dell'India che ci torna in occidente?
- Anna Nadotti: A parte i movimenti dei giovani che sono andati verso
l'India tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, e che Anita
Desai ha raccontato con grande ironia nel suo libro Viaggio a Itaca, c'e'
stato un interesse crescente verso l'India, che e' diventato un paese di
riferimento anche da un punto di vista economico. La cosa che e' cambiata,
ma non abbastanza, e' che si e' dismesso, abbandonato l'atteggiamento
esotista, sull'India dei colori, dei sapori, degli odori: ma queste cose ci
sono in tantissimi luoghi: io torno da Napoli ed e' piena di odori, colori,
sapori. E anche il Piemonte non e' da meno. Bisognerebbe invece pensare che
e' un mondo diverso, che va conosciuto il piu' possibile dall'interno, e che
sono altre lingue, altri linguaggi, altre forme, e noi siamo "altro"
rispetto a loro. Perche' il problema dell'occidente in genere e' che noi
consideriamo gli altri "altro", ma noi non pensiamo mai che noi siamo
"altro" rispetto a loro. Questa posizione mi piace molto e mi sento "altro"
con tutta la fragilita' e la limitatezza del mio "essere un altro". Sei come
in bilico, precaria. Faccio soltanto un nome, quello di Oni Baba che e' un
grandissimo studioso indiano, e Gaia Krispeeva, che e' una teorica della
lingua: loro fanno un discorso chiarissimo: bisogna avere uno sguardo
possibilmente a trecentosessanta gradi, ma almeno a centottanta, e
immaginarsi come persone che ruotano, guardano e sono guardate. Naturalmente
questo non vale solo per l'India ma per tutto, per qualunque luogo.
Altrimenti il rischio che vedo, anche nel mio lavoro, sia come consulente
editoriale sia quando scrivo delle recensioni, e' quello di non immaginarti
come una parte, una piccola parte parziale. L'occidente tende a fare questo,
lo fa purtroppo anche in termini molto bellicosi a volte, ma anche nella
produzione culturale bisogna avere questo senso della propria fragile
parzialita' di sguardo, che e' anche di comportamento e di azione. E' una
specie di alimento: se uno e' disposto a guardare e a lasciarsi guardare,
succede. Certo l'India e' un mondo talmente complesso e articolato che le
sollecitazioni e le suggestioni sono infinite. Io considero un privilegio il
fatto di poter guardare in parte attraverso gli occhi degli autori e le loro
descrizioni. Per esempio sono andata a cercare un certo luogo a Calcutta,
dopo averlo descritto in una traduzione. In qualche modo volevo verificare
se corrispondeva alla scrittura e mi sono resa conto di averlo immaginato
bene. E questo e' un tentativo che faccio ogni volta. Questo nel lavoro di
traduzione aiuta moltissimo, perche' la scelta di un aggettivo puo' essere
determinante in una frase, magari ci sono sette aggettivi che vanno bene per
rendere quell'aggettivo, e la conoscenza diretta ti aiuta nella scelta.
*
- Luciano Minerva: L'India ha anche un altro rapporto con l'occidente, in
modo particolare con l'informatica. Gli informatici indiani sono alla base
dei successi della Silicon Valley. Che rapporto c'e' tra la scienza e
letteratura indiana? Esiste la stessa separazione che c'e' da noi?
- Anna Nadotti: Forse un po' diversa, perche' la tradizione scientifica
indiana e' antica e robustissima in campo matematico. Nella citta' di
Bangalore c'e' una delle piu' importanti facolta' di ingegneria informatica
e la citta' si e' trasformata negli ultimi dieci anni non solo raddoppiando
i suoi abitanti ma perche' e' il luogo di produzione di tutto questo
personale specializzato, che mantiene un forte rapporto con l'India, perche'
studiano li' e magari poi vanno a fare il master o il PhD negli Stati Uniti,
in Germania, in Inghilterra, lavorano fuori un po' di anni e poi rientrano.
Questo, secondo me, cambia anche l'atmosfera delle citta' perche' e' una
immigrazione non definitiva e di ceti medi che poi trasformano le citta' in
un certo modo: ad esempio e' una citta' piena di gallerie d'arte. Ed e' una
citta' che mantiene un legame forte con quelli che si chiamano "non
residents indians", che sono persone che vivono altrove ma mantengono la
residenza nel loro paese. Un'altra cosa interessante e' la creazione, nei
villaggi di quella zona, di centri di collegamento Internet mobili: ci sono
dei piccoli furgoncini che permettono persino al villaggio piu' sperduto di
fare delle connessioni, con questa loro straordinaria capacita' di mettersi
in collegamento con gli emigrati indiani sparsi dappertutto. E da qualunque
parte dell'India ci si puo' collegare senza ricorrere al cellulare, puoi
parlare con qualunque luogo del mondo e secondo me questa e' la
continuazione del sincretismo indiano, che mescola le lingue, le religioni,
le economie. La storia dell'India e' storia di transiti, di spostamenti
verso est e verso ovest e viceversa, e all'interno dell'India. C'e' una
curiosita' verso gli altri che si materializza anche nel mettersi in
connessione con il cavo. Questo sta cambiando delle cose sul piano della
stratificazione sociale. Ci sono questi 200-220 milioni di indiani che sono
una sorta di middle class. Sono anche quella che viene chiamata Shining
India, che secondo me e' soltanto un aspetto dell'India, e questo ad esempio
Sonia Gandhi nella sua campagna elettorale l'ha ben chiarito: "saro' il
primo ministro di tutta l'India e non soltanto della Shining India", pur
riconoscendo a questa parte della popolazione indiana un ruolo importante
nella trasformazione economica. Pero' c'e' anche un grande movimento dei
ceti medi oltre che della popolazione dei villaggi sulle questioni
ambientali e questo mi pare importante perche' e' un segnale di apertura
intellettuale e culturale, e un tentativo di mettere insieme la natura e le
scienze. E poi c'e' una capacita' narrativa che secondo me e' anche legata
alla grandissima tradizione orale e teatrale indiana, per cui non si
racconta piu' soltanto il Mahabarata e il Ramayana, ma c'e' una
straordinaria capacita' di raccontare, con gli aneddoti, i dettagli, i
giochi di parole, e li' secondo me si mettono insieme moltissime cose.
Personaggi che hanno a che vedere con la scienza sono molto presenti nella
letteratura anche del vecchio Rao e in tanti scrittori anche dell'inizio del
secolo scorso.
*
- Luciano Minerva: Ci sono alcuni scrittori e scrittrici che sono una specie
di pendolo tra India e Stati Uniti, come Amitav Ghosh, Anita Desai, Bapsi
Sidhwa. Che cosa ci da' questo pendolo come scrittura, e' una scrittura che
possiamo chiamare indiana o indiano-americana o come altro?
- Anna Nadotti: Loro tendenzialmente si considerano soprattutto dei
cittadini del mondo, cosa che vale ormai per molte persone. Sono indiani che
piu' o meno a lungo, piu' o meno temporaneamente, a volte per vicende
personali, a volte per scelta, si spostano, e nelle loro opere migliori si
trova una fortissima componente di conoscenza del loro paese. Pero' la loro
scrittura e' davvero un tentativo di trovare dei ponti raccontando storie di
due mondi che vengono in contatto. Sono anche dei pensatori dell'oggi. Bapsi
Sidhwa vive a Londra, ma va e viene dagli Stati Uniti, mentre Ghosh sta
stabilmente a Calcutta quattro mesi all'anno, pur vivendo a New York.
L'ultimo suo libro ad esempio e' completamente indiano, si svolge nel golfo
del Bengala ed e completamente bengali. Ma questa e' la tendenza di molti
scrittori non solo indiani, a mettere insieme i pezzi. Sono profondamente
convinta che "all is connect" come diceva Foster e, come dice Antonia S.
Byatt - che e' l'altro mio versante, quello elisabettiano -, e' uno dei
nostri compiti civili, e anche culturale.
*
- Luciano Minerva: In questi ultimi anni c'e' invece una lettura italiana
dell'India, penso a Terzani, Cederna. Che altro occhio e' quello?
- Anna Nadotti: Io posso soltanto dire che per Terzani avevo una
venerazione, l'ho incontrato lassu', l'ho sempre incontrato in India, l'ho
anche cercato perche' gli volevo chiedere delle cose e ricordo una
conversazione straordinarie nella sua casa di Delhi. Terzani secondo me e'
stato uno straordinario conoscitore dell'India, dell'Afghanistan, di tutta
l'Asia, come ha dimostrato anche il modo in cui si era impegnato anche
politicamente, quando gia' era molto malato, con le Lettere contro la
guerra. Secondo me ha osservato il resto del mondo con un occhio
straordinario. Cederna e' di un'altra generazione e ha forse anche degli
altri obiettivi. Credo che oggi dall'Italia guardiamo a questo paese forse
con occhio piu' attento e anche piu' disincantato, meno esotico (e questa
secondo me era davvero la cosa piu' insopportabile). Da questo punto di
vista Terzani e' stato davvero un anticipatore, fin dalle sue corrispondenze
dal Vietnam. Secondo me lui non ha mai ceduto alla tentazione di fare
colore, ha cercato di fare racconto, memoria, storia, e questo credo sia il
nostro compito. Anche come letterata io ritengo che si debba garantire, nel
tradurre e nel proporre dei libri, una memoria complessiva, una storia da
raccontare.

3. RIFLESSIONE. LUIGIA SORRENTINO INTERVISTA FERNANDA PIVANO
[Dal sito www.rainews24.it riprendiamo la seguente intervista di Luigia
Sorrentino a Fernanda Pivano.
Luigia Sorrentino e' giornalista e scrittrice. Tra le opere di Luigia
Sorrentino: C'e' un padre, Manni, 2003.
Fernanda Pivano, intellettuale italiana impegnata nei movimenti per i
diritti civili, studiosa della cultura americana e personalmente
intensamente partecipe delle piu' rilevanti esperienze di impegno civile,
artistiche, letterarie e culturali nordamericane novecentesche (e
particolarmente di quelle legate alla cultura ed alla militanza democratica
e radicale, pacifista ed antirazzista, di opposizione e di contestazione, ed
agli stili di vita alternativi). Tra le opere di Fernanda Pivano: oltre a
numerose e giustamente celebri traduzioni (tra cui la classica versione
dell'Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters; la stupenda raccolta di
poesie di Allen Ginsberg, Jukebox all'idrogeno; la fondamentale antologia
Poesia degli ultimi americani), ha pubblicato tra altri volumi le raccolte
di saggi: La balena bianca e altri miti, 1961; America rosso e nera, 1964;
Le belle ragazze, 1965; L'altra America negli anni Sessanta, 1971; "Pianeta
Fresco", 1967; Beat hippie yippie, 1972, Mostri degli anni Venti, 1976,
C'era una volta il beat, 1976, Hemingway, 1985. Sempre dal sito di "Rai news
24" riprendiamo la seguente scheda: "Ferdinanda Pivano e' una figura di
rilievo nella scena culturale italiana soprattutto per il suo contributo
alla divulgazione della letteratura americana in Italia. Ha iniziato
l'attivita' letteraria sotto la guida di Cesare Pavese nel 1943 con la
traduzione dell'Antologia di Spoon River di Edgard Lee Masters. Da allora ha
tradotto molti romanzieri americani (fra gli altri Faulkner, Hemingway,
Fitzgerald, Anderson, Gertrude Stein) e a quasi tutte le traduzioni ha
preposto lunghi saggi bio-socio-critici. Come talent scout editoriale ha
suggerito la pubblicazione degli scrittori contemporanei piu' significativi
d'America, da quelli citati degli Anni Venti e a quelli del dissenso nero
(come Richard Wright) ai protagonisti del dissenso nonviolento degli anni
Sessanta (quali Ginsberg, Kerouac, Burroughs, Ferlinghetti, Corso) agli
autori ora giovanissimi quali Leavitt, McInerney, Ellis (per il quale ha
scritto un lungo saggio che costituisce una breve storia del minimalismo
letterario americano). Si e' presto affermata come saggista confermando in
Italia un metodo critico basato sulla testimonianza diretta, sulla storia
del costume e sull'indagine storico-sociale degli scrittori e dei fenomeni
letterari. Opere di Fernanda Pivano: La balena bianca e altri miti,
Mondadori, 1961, Il Saggiatore, 1995; America rossa e nera, Vallecchi, 1964;
Beat hippie yippie, Arcana, 1972, Bompiani, 2004; Mostri degli anni Venti,
Formichiere, 1976, Rizzoli, 1976; C'era una volta un Beat, Arcana 1976,
Frassinelli, 2003; L'altra America negli anni Sessanta, Officina-
Formichiere, 1971, 1993; Intervista a Bukowski, Sugar, 1982; Biografia di
Hemingway, Rusconi, 1985; Cos'e' piu' la virtu', Rusconi, 1986; La mia
kasbah, Rusconi, 1988, Marsilio, 1998; La balena bianca e altri miti, Il
Saggiatore, 1995; Altri amici, Mondadori, 1996; Amici scrittori, Mondadori,
1996; Hemingway, Rusconi, 1996, Bompiani 2001; Dov'e' piu' la virtu',
Marsilio, 1997; Viaggio americano, Bompiani, 1997; Album americano. Dalla
generazione perduta agli scrittori della realta' virtuale, Frassinelli,
1997; I miei quadrifogli, Frassinelli, 2000; Dopo Hemingway. Libri, arte ed
emozioni d'America, Pironti, 2000; Una favola, Pagine d'arte, 2001; Un po'
di emozioni, Fandango, 2002; Mostri degli anni Venti, La Tartaruga, 2002; De
Andre' il corsaro, con C. G. Romana e M. Serra, Interlinea, 2002; The beat
goes on, Mondadori, 2004"]

Fernanda Pivano, nome tutelare della Beat Generation in Italia, ha iniziato
la sua attivita' letteraria sotto la guida di Cesare Pavese, nel 1943, con
la traduzione dell'Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters.
Successivamente, ha tradotto molti altri romanzieri americani (Faulkner,
Hemingway, Fitzgerald, Anderson, Gertrude Stein...), corredando quasi tutte
le sue traduzioni con lunghi saggi critici. Come talent scout editoriale ha
suggerito la pubblicazione degli scrittori contemporanei piu' significativi
d'America, da quelli citati degli Anni Venti e a quelli del dissenso nero,
(come Richard Wright), ai protagonisti del dissenso nonviolento degli anni
Sessanta, (quali Ginsberg, Kerouac, Burroughs, Ferlinghetti, Corso), agli
autori ora giovanissimi quali Leavitt, McInerney, Ellis, (per quest'ultimo
ha scritto un lungo saggio che costituisce una breve storia del minimalismo
letterario americano). Si e' presto affermata come saggista confermando in
Italia un metodo critico basato sulla testimonianza diretta, sulla storia
del costume e sull'indagine storico-sociale degli scrittori e dei fenomeni
letterari.
*
- Luigia Sorrentino: All'inizio degli anni '40, in piena epoca fascista,
Cesare Pavese le propose la traduzione dell'Antologia di Spoon River. Un
libro considerato scandaloso per quei tempi, che divenne, con la
pubblicazione, un grande successo editoriale. Che cosa la convinse, in
particolare, di quel libro?
- Fernanda Pivano: Cesare Pavese mi consegno' l'Antologia di Spoon River
subito dopo essere ritornato dal confino dove era stato inviato per
attivita' antifascista: sembrava un fantasma. A proposito: non e' vero che
gli intellettuali andavano in vacanza al confino [In riferimento e' alla
seconda parte dell'intervista che il presidente del governo italiano Silvio
Berlusconi concesse alla "Voce di Rimini" e al settimanale inglese "The
Spectator", che fu pubblicata l'11 settembre del 2003, in cui Berlusconi
affermava: "Mussolini non ha mai ammazzato nessuno. Mussolini mandava la
gente a fare vacanza al confino" - nota di L. S.]. Per un anno e mezzo
Pavese aveva mangiato solo pane, ringraziando Iddio, quando ce l'aveva il
pane! E dal momento che gli avevano tolto anche i diritti civili, quando
torno' in Italia non poteva piu' insegnare nelle scuole pubbliche, e allora
mi disse: "Perche' non provi a guadagnarti da vivere con questo libro?". Mi
sembrava un affare spericolato tradurre Spoon River... gli risposi che non
ero capace, ma lui insisteva - come era Pavese, che insisteva sempre - e
allora io dissi: "Va bene". Presi in mano il libro, lo aprii a caso, come si
fa in questi casi, e la prima poesia che mi capito' sotto gli occhi fu
Francis Turner: "Io non potevo ne' correre ne' giocare / quando ero ragazzo.
/ Quando fui uomo potei solo sorseggiare dalla coppa, / non bere - / perche'
la scarlattina mi aveva lasciato il cuore malato. / Eppure giaccio qui /
consolato da un segreto che solo Mary conosce: / c'e' un giardino di acacie,
/di catalpe, e di pergole dolci di viti - / la' in quel pomeriggio di giugno
/ al fianco di Mary - / mentre la baciavo con l'anima sulle labbra / l'anima
d'improvviso mi fuggi' via". Signori e signore, e' facile dire che sono
stata una bella cretina se mi sono innamorata di questa poesia. Puo' darsi
che fossi una bella cretina. Bella magari e' vero! Cretina non ne sono
sicura... Fu una specie di sfida con la vita: a me piaceva tanto quell'uomo
che si fece volar via l'anima per baciare una ragazza.
*
- Luigia Sorrentino: Fra i poeti della Beat Generation che ha conosciuto e
frequentato negli Stati Uniti - William Burroughs, Allan Ginsberg, Jack
Kerouac, Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso - chi ha amato di piu'?
- Fernanda Pivano: Kerouac. Era un grosso genio, ha inventato tutto. Io una
volta gli ho detto: "Ma perche' sei cosi' disperato? Che cosa vorresti?
Cos'e' che vuoi per non essere piu' cosi' disperato?", "Voglio che Dio mi
mostri il suo volto" mi rispose lui. Il mio primo incontro con Kerouac e'
stato a San Francisco. Avevano fatto un reading alla galleria Six e c'era
questo gruppo di poeti che adesso sembra l'uovo di colombo ma che allora non
ci si pensava... c'era Ginsberg, che ha letto per la prima volta l'Urlo. Ed
era stato una specie di glorioso trionfo questo Urlo, era l'inizio di una
storia che ha cambiato il mondo.
*
- Luigia Sorrentino: On the Road, di Jack Kerouac. Perche' le era piaciuto
tanto?
- Fernanda Pivano: Era il libro della liberta'. E i giovani amano la
liberta'. Se non ci fosse la liberta' nessuna ragazza nemmeno oggi potrebbe
baciare liberamente il proprio fidanzato. Prima questo non si poteva fare. E
invece, secondo Kerouac, se avevi voglia di baciare il tuo fidanzato dovevi
poterlo baciare. Dopo aver letto On the Road preparai un giudizio editoriale
per la Mondadori e per poco non mi licenziarono. Scrissi: "Credo di poter
prevedere che questo libro sara' l'annuncio di una nuova generazione". Non
era mica male come idea, pero' i nostri consulenti - per carita'...
bravissimi, i nostri consulenti! - non ne volevano sapere di pubblicare
questo libro. E allora, io continuavo a leggere On the Road. Mio padre mi
diceva che io avevo disonorato il nome della famiglia perche' nelle vetrine
c'era scritto il mio nome grande grande. Sa, il nome della mia famiglia era
un affare grosso. E allora mio padre per punirmi mi disse di mangiare in
camera, da sola. Tutti i giorni mi mandava il vassoio con la cameriera
perche' non mi era piu' consentito di mangiare a tavola con loro.
*
- Luigia Sorrentino: Qual era, invece, il suo rapporto con Ernest Hemingway,
lo scrittore che piu' ha inciso sulla sua formazione letteraria?
- Fernanda Pivano: Nel '44 avevo tradotto Addio alle armi e per questo ero
stata in prigione. Lui mi considerava la sua Giovanna d'Arco e io mi
consideravo la sua Giovanna d'Arco.
*
- Luigia Sorrentino: Il suo primo incontro con Hemingway. Come avvenne?
- Fernanda Pivano: E' stato molto romantico! Lui era appena arrivato in
Italia e mi mando' una cartolina da Cortina. Io ho pensato che fosse uno
scherzo. E allora lui mi ha mandato una seconda cartolina dicendomi: "se non
vuoi venire tu a salutare me verro' io a salutare te". Io mi trovavo a
Torino e allora quando ho capito che era davvero lui che mi scriveva, sono
salita sul trenino delle Dolomiti e, dopo un viaggio estenuante, sono
arrivata all'albergo Concordia dove alloggiava Hemingway. Mi sono messa
sulla porta. Lui era li' in fondo alla sala e a me pareva di sognare... ha
capito che ero io perche' ero tutta sporca di fuliggine... Allora si e'
alzato dalla tavola - a lui piacevano le tavolate con almeno venti persone,
diceva che era cosi' perche' aveva visto tanta gente morire di fame -, e'
venuto verso di me con le braccia aperte e mi ha fatto uno hug, lui li
chiamava hug questi abbracci senza ritorno, come si diceva una volta. Era
tanto carino. Sono stata una gran cretina a non andare a letto con lui.
Avrei dovuto andarci, eccome. Io ero una signora vittoriana e le signore
vittoriane mica potevano fare l'amore con tutti...
*
- Luigia Sorrentino: Che ricordi ha di Fabrizio De Andre'?
- Fernanda Pivano: La voce di De Andre' sembrava la voce degli dei. Era di
una bellezza struggente. Era straordinario. Di Fabrizio ce n'e' stato uno
solo nella storia. Ha voluto fare un disco dall'Antologia di Spoon River, ma
ha scritto questa canzone - La canzone di Piero - che da sola era piu' bella
dell'Antologia di Spoon River...
*
- Luigia Sorrentino: Quando ha visto per l'ultima volta De Andre'?
- Fernanda Pivano: Il giorno prima che lui morisse.
*
- Luigia Sorrentino: Che cosa le disse?
- Fernanda Pivano: Non me lo faccia dire. Lui era davvero un uomo che
pensava solo agli altri. Era il contatto con l'aldila'. Gli altri erano Dio.
*
- Luigia Sorrentino: Anche per lei e' cosi'?
- Fernanda Pivano: Be', lui era un anarchico e noi avevamo sempre questo
sogno anarchico, perche' anarchia vuol dire liberta'.
*
- Luigia Sorrentino: Tornerebbe oggi a vivere, come in passato, negli Stati
Uniti?
- Fernanda Pivano: Nell'America democratica si', in quella totalitaria no.
*
- Luigia Sorrentino: Cos'e' cambiato da allora?
- Fernanda Pivano: Tutti i miei amici stanno andando via da New York,
perche' la nostra America non e' piu' quella di una volta. La nostra America
era quella dei Roosevelt, quella che si basava sul concetto di democrazia.
Oggi vi e' una cosiddetta democrazia, pero' e' una democrazia guerrafondaia,
una contraddizione in termini.
*
- Luigia Sorrentino: Secondo lei, quale sara' il futuro dell'occidente?
- Fernanda Pivano: Diventare un buon suddito della Cina.
*
- Luigia Sorrentino: Qual e' il suo sogno?
- Fernanda Pivano: "Voglio che Dio mi mostri il suo volto"... Io dico sempre
"quasi forse". Il mio motto e' "quasi forse".

4. LIBRI. AUGUSTO CAVADI PRESENTA "AGLI ESTREMI DELLA FILOSOFIA" DI GIUSEPPE
FERRARO E FRANCESCA RIGOTTI
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti:acavadi at lycos.com) per averci
messo a disposizione questa recensione.
Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e'
impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a
Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di
problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia.
Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della
consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a
questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo,
Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad.
portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera,
Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad.
portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico,
ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa
puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova
edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la
lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A
scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze
didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza
cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain
fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo.
Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce
"Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie,
Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici.
Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000;
Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato
in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente
bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla
mafia, DG Editore, Trapani 2005. Vari suoi contributi sono apparsi sulle
migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito:
http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa).
Su Remo Bodei dal sito www.emsf.rai.it riprendiamo la seguente scheda: "Remo
Bodei e' nato a Cagliari il 3 agosto 1938. Dopo la laurea all'Universita' di
Pisa e il diploma di perfezionamento, ottiene borse di studio per le
universita' di Tubinga e di Friburgo, dove segue le lezioni di Ernst Bloch e
Eugen Fink, e per l'universita' di Heidelberg, dove segue le lezioni di Karl
Loewith e di Dieter Henrich. Dal 1969 insegna storia della filosofia alla
Scuola normale superiore e, dal 1971, all'Universita' di Pisa. Dopo aver
ottenuto una borsa Humboldt presso la Ruhr-Universitaet di Bochum
(1977-1979), diviene Visiting Professor presso il King's College di
Cambridge, U. K. (1980) e successivamente presso la Ottawa University
(1983). Insegna, a piu' riprese, presso la New York University e,
recentemente, presso l'universita' di California a Los Angeles (dal 1992).
Attualmente ricopre la cattedra di storia della filosofia presso
l'Universita' di Pisa e ha insegnato anche presso la Scuola normale
superiore della stessa citta'. Gli interessi filosofici di Remo Bodei si
sono inizialmente focalizzati sulla filosofia classica tedesca,
sull'idealismo, sulla cultura e l'estetica del Goethezeit e del tardo
Ottocento; in seguito si sono spostati sul pensiero utopistico
dell'Ottocento e del Novecento e sulla filosofia politica contemporanea.
Nell'ultima decade le sue indagini si sono estese al mondo greco e romano,
ad Agostino e alla storia del concetto di individualita' e di passione. Piu'
recentemente ha orientato la sua ricerca sul tema del desiderio, cioe' sulla
funzione delle passioni volte al conseguimento di migliori condizioni di
vita. Opere di Remo Bodei: Oltre a numerosi articoli (oltre 220: su
Pirandello, Gramsci, Weber, Foucault, ecc.), a traduzioni ed edizioni di
testi (Hegel, Rosenkranz, Bloch, Rosenzweig, Adorno, Kracauer, Todorov,
Blumemberg), Remo Bodei ha pubblicato i seguenti volumi: Sistema ed epoca in
Hegel, Bologna, 1975; con F. Cassano, Hegel e Weber. Egemonia e
legittimazione, Bari, 1977; Multiversum. Tempo e storia in Ernst Bloch,
Napoli 1979, 1983 (nuova edizione); Scomposizioni. Forme dell'individuo
moderno, Torino, 1987; Holderlin: la filosofia y lo tragico, Madrid, 1990;
Ordo amoris. Conflitti terreni e felicita' celeste, Bologna 1991; Geometria
delle passioni. Paura, speranza e felicita': filosofia e uso politico,
Milano, 1991; Le forme del bello, Bologna, l995; Le prix de la liberte',
Paris, l995; Se la storia ha un senso, Bergamo, l997; La filosofia nel
Novecento, Roma, l997".
Francesca Rigotti (Milano 1951) dopo aver insegnato presso la facolta' di
Scienze politiche dell'Universita' di Goettingen, e' attualmente docente di
dottrine e istituzioni politiche presso la facolta' di Scienze della
comunicazione dell'Universita' di Lugano; ha pubblicato diverse monografie
dedicate alla metaforologia filosofico-politica e all'etica; suoi saggi sono
comparsi in numerose riviste italiane e straniere; svolge attivita' di
consulenza editoriale e di recensione libraria, soprattutto per il
quotidiano "Il Sole - 24 Ore". Tra le opere di Francesca Rigotti: L'onore
degli onesti, Feltrinelli, Milano; La verita' retorica, Feltrinelli, Milano.
Su Giuseppe Ferraro dal sito www.festivaletteratura.it riprendiamo la
seguente scheda: "Giuseppe Ferraro e' docente di filosofia presso il
dipartimento di filosofia "A. Aliotta" dell'Universita' di Napoli Federico
II, e al Philosophisches Seminar della Ludwigs Universitaet di Freiburg in
Germania. E' autore di studi di fenomenolgia, leopardiani e nietzscheiani;
ha pubblicato tra l'altro La verita' dell'Europa, La filosofia spiegata ai
bambini e Filosofia in carcere, di questi ultimi l'uno e' espressione di
un'esperienza didattica svolta in un paesino "a rischio" della provincia di
Caserta e l'altro di uníesperienza di didattica dei sentimenti tenuto tra i
ragazzi del carcere minorile di Nisida. E' attualmente impegnato anche a
Roma, specificamente sull'educazione ai sentimenti.  Opere di Giuseppe
Ferraro: Amore differenza mondo. Un'educazione sentimentale, con Marino
Simona, Filema, 1994; Il poeta e la filosofia. Filosofia morale e religione
in Giacomo Leopardi, Filema, 1996; La verita' dell'Europa e l'idea di
comunita'. La lezione di Edmund Husserl, Filema, 1998; Filosofia in carcere.
Incontri con i minori di Nisida, Filema, 2001; La scuola dei sentimenti.
Dall'alfabetizzazione delle emozioni all'educazione affettiva, Filema, 2003;
Tipologie di lavoro flessibile, Giappichelli, 2004; Il rapporto di lavoro,
Giappichelli, 2004; Pellegrino dell'amicizia, Lossografica, 2004; Palpiti
del cuore, Accademia Barbanera, 2005; Cristo e' l'altare, Ocd, 2005"]

Galeotto fu il premio di filosofia "Viaggio a Siracusa" e chi lo consegno'.
Infatti la cerimonia di consegna del premio, nel 2002, da parte del
copresidente di giuria Remo Bodei, costitui' l'occasione d'incontro fra
Francesca Rigotti (docente all'universita' di Lugano) e Giuseppe Ferraro
(docente all'universita' di Napoli). "La donna del lago" e "l'uomo del
mare" - come li qualifica scherzosamente Bodei - avvertirono d'essere
accomunati dalla convinzione che la filosofia, se proprio non vuole
spegnersi per asfissia nei recinti accademici, deve avere il coraggio di
abitare spazi inediti, luoghi marginali. Nel 2004, non certo casualmente,
vengono invitati a dialogare fra loro nell'ambito del Festivaletteratura di
Mantova. Un coraggioso editore della citta' resta affascinato dalla
conversazione e decide cosi' di pubblicarla, non senza averla impreziosita
con una Introduzione proprio di Remo Bodei, col titolo intrigante Agli
estremi della filosofia (Tre Lune Edizioni, Mantova 2005, pp. 59, euro 10).
Ma in che senso Francesca e Pino praticano filosofia "estrema"? Proprio
nell'accezione etimologia del superlativo di "estero", di "esterno".
L'autrice settentrionale de La filosofia in cucina e l'autore meridionale di
Filosofia in carcere pensano, e danno da pensare, extra-moenia: fuori dalle
mura ancestrali. Lo spiega efficacemente la stessa Rigotti: "Nel caso di
Pino, la sua peculiarita' e' quella di aver portato la filosofia in luoghi
desueti rispetto a dove la si fa oggi: nelle aule delle scuole e delle
universita', e poi pero' - e questa e' una novita' degli ultimi anni - anche
nei caffe' e negli studi filosofici, o al Festival di Modena. Pino Ferraro
ha portato la filosofia fuori le mura: nelle scuole, negli ospedali, nelle
carceri, nei luoghi di confine, nei luoghi, appunto, estremi. Perche', come
ha scritto in uno dei suoi libri, se 'il sapere della filosofia e' delle
questioni ultime, sul senso e sul perche' del mondo, sulla morale, sulla
liberta', la guerra e la morte', e' la' che bisogna portare la filosofia,
la' dove la vita e' offesa e la liberta' manca. Quanto a me, la mia
collocazione agli 'estremi' e' data dall'aver cercato di far filosofia
intorno a soggetti non tradizionalmente filosofici. Mi sono soffermata
infatti su soggetti minori, negli ultimi tempi, dopo aver scritto libri piu'
tradizionalmente accademici e che parlavano di cose importanti e grandi. Ora
invece scrivo filosoficamente di fili, fornelli, pentole, brocche, scope e
simili" (p. 22).
Dislocazioni di questo tipo possono indurre in parecchi equivoci.
Nel caso di Ferraro, che la filosofia venga utilizzata come una sorta di
terapia povera o di alternativa laica alla vecchia assistenza spirituale dei
fraticelli. Ma, leggendo il libretto, si hanno tutti gli elementi per
evitare fraintendimenti del genere. "Penso - afferma egli in sede di
autopresentazione - che la filosofia sia un bisogno sociale che aspetta ogni
volta di diventare un diritto, quello, per ognuno, di chiedersi delle
proprie condizioni e dei propri progetti di vita" (p. 59). Coscienza
politica, dunque: ma non solo. Consapevolezza epistemologica, anche: "Con
quei ragazzi in carcere ricordo che parlavo di cio' che non avevano: della
liberta', della fuga, della vita, del tempo. Tutto quanto mancava loro in
quel momento. Ma solo di cio' che manca si puo' parlare per capire che non
c'e'. A un certo punto ho cominciato a pensare che il filosofo e' chi dice
quel che manca in quel che c'e' e, dicendolo, lo fa vedere al modo come si
puo' vedere l'invisibile. Dice dell'essere che non e' in quel che c'e', o
perche' manca o perche' vi e' nascosto" (p. 34).
Nel caso della Rigotti, invece, la cattiva interpretazione della sua
rivalutazione filosofica della "casalinghitudine" (come si esprimeva Clara
Sereni) potrebbe consistere nell'intenderla come supporto all'ideologia
della donna - angelo del focolare, secondo cui (per riprendere le parole
dell'allora cardinale Ratzinger) il "genio" della donna starebbe nel suo
"ruolo insostituibile in tutti gli aspetti della vita familiare e sociale
che coinvolgono le relazioni umane e la cura dell'altro". Ma in proposito la
filosofa e' estremamente - per restare nell'ambito terminologico
privilegiato dai due autori - chiara: "No,  questa non e' la mia lunghezza
d'onda. Non credo a geni, essenze, nature e ruoli, sostituibili o
'insostituibili', tanto meno se a spiegarmi il genio della donna e' un uomo.
Se parlo della casa e' perche' a me come ad altre donne e' capitato di
starci perche' siamo state messe li' per ideologia e storia, non per natura,
perche' a noi ci hanno relegate all'interno (secondo il paradigma greco,
Odisseo per mare, Penelope a casa a tessere), dentro la casa, per amore o
per forza, e stando dentro ho conosciuto l'interno e ho voluto parlare
dell'interno, dell'intra, anche se attraverso l'esterno, l'extra, cioe'
l'approccio filosofico, arrivando cosi' all'estremo di una filosofia della
quotidianita', espressione che e' quasi un ossimoro" (p. 45).
Gia', quasi una contraddizione in termini. Perche' se e' vero che la
filosofia e' trascendimento, o trasgressione, rispetto ai dati quotidiani,
e' anche vero che non si puo' andare oltre una dimensione se non la si e'
percepita e attraversata. E' - come suggerisce Bodei a p. 14 -  quanto
ritengono "grandi filosofi", che "pure si elevano ad altezza
stratosferiche", come quel Plotino che ha lasciato scritto: "Andiamo con
stupore verso l'inconsueto, mentre avremmo ben ragione di stupirci ancora
delle nostre comuni esperienze" (Enneadi, IV, 4, 37).

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1181 del 20 gennaio 2006

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it