La nonviolenza e' in cammino. 1208



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1208 del 16 febbraio 2006

Sommario di questo numero:
1. Il 17 febbraio a Ferrara
2. Il 18 febbraio a Massa
3. Il 18 febbraio a Pisa
4. Il 10 marzo "Diamo voce alla pace"
5. Luisa Muraro: Di Dio che e' amore, e di un'enciclica
6. Umberto Galimberti: Un principio di civilta'
7. Simona Forti presenta "Hannah Arendt. La vita, le parole" di Julia
Kristeva
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. INCONTRI. IL 17 FEBBRAIO A FERRARA
[Da Elena Buccoliero (per contatti: e.buccoliero at comune.fe.it) riceviamo e
volentieri diffondiamo. Elena Buccoliero, nata a Ferrara nel 1970, collabora
ad "Azione nonviolenta" e fa parte del comitato di coordinamento del
Movimento Nonviolento; lavora per Promeco, un ufficio del Comune e
dell'azienda Usl di Ferrara dove si occupa di adolescenti con particolare
attenzione al bullismo e al consumo di sostanze, e con iniziative rivolte
sia ai ragazzi, sia agli adulti; a Ferrara, insieme ad altri amici, anima la
Scuola della nonviolenza. E' autrice di diverse pubblicazioni, tra cui il
recente (con Marco Maggi), Bullismo, bullismi, Franco Angeli, Milano 2005.
Un piu' ampio profilo biobibliografico di Elena Buccoliero e' nel n. 836 di
questo foglio]

Venerdi' 17 febbraio 2006, alle ore 21, presso il Centro "Alexander Langer",
in viale Cavour 142, a Ferrara, nell'ambito della "Scuola della nonviolenza"
si svolgera' un incontro con Elena Buccoliero sul tema del bullismo.
C'e' quasi un senso di estraneita' che avvolge e separa dagli adulti il
mondo dei ragazzi e degli adolescenti, a maggior ragione quando essi si
rendono protagonisti di episodi che paiono fuori controllo, impossibili da
riconoscere e, quasi, da comprendere.
Eppure non sono necessari i fatti piu' eclatanti, e pure presenti in tante
citta' e anche nella nostra, per sapere che il bullismo e' una realta'
ricorrente, sotto forma di prepotenze che avvengono ripetutamente, tra i
ragazzi e le ragazze, all'interno delle scuole. Ma non e' neppure corretto -
come pure accade soprattutto sui media - nominare cosi' ogni irrequietezza,
ogni difficolta' di relazione, ogni situazione di conflitto che si presenti
nel contesto scolastico, quasi che l'etichetta avesse l'effetto di
criminalizzare i diretti protagonisti e sfumare le responsabilita' degli
adulti.
L'incontro di venerdi' sera sara' l'occasione per una prima esplorazione del
mondo della scuola e dei rapporti di ordinaria, piccola grande prepotenza
che vi si svolgono, tra i ragazzi e con gli adulti - dove la violenza agita
si accompagna e si nutre di omerta' e indifferenza.
Lasceremo spazio alla parola dei ragazzi, alla realta' che essi vivono
dall'interno, ma ci saranno stimoli anche per ritrovare i segni che
esperienze di questo tipo lasciano sui percorsi di crescita di ognuno di
noi. Solo un piccolo assaggio prima di incontrare i due prossimi ospiti, che
raccomandiamo - Salvatore Pirozzi, maestro di strada napoletano (24
febbraio) e Roberto Maurizio, giudice minorile onorario (3 marzo) - con la
ricchezza di esperienza e l'ampiezza, la profondita' di sguardo che li
contraddistingue.
Per questo ci vediamo venerdi' 17 febbraio alle ore 21, presso il Centro di
documentazione "Alexander Langer", in viale Cavour 142 a Ferrara.
*
La Scuola della Nonviolenza di Ferrara e' promossa congiuntamente da
Movimento Nonviolento, Pax Christi, Legambiente, Gruppo Ferrara Terzo Mondo
e Commercio Alternativo, ed ha il patrocinio del Comune di Ferrara -
progetto "Ferrara citta' per la pace".
Per informazioni: Centro "Alexander Langer", tel 0532204890, e-mail:
langer at ferraraterzomondo.it oppure: daniele.lugli at libero.it

2. INCONTRI. IL 18 FEBBRAIO A MASSA
[Da Gino Buratti (per contatti: buragino at tin.it) riceviamo e volentieri
diffondiamo. Gino Buratti e' fortemente impegnato nell'esperienza
dell'Accademia apuana della pace, del cui notiziario settimanale e'
l'infaticabile animatore]

Sabato 18 febbraio, dalle ore 16 alle ore 20, a Massa, nella Sala della
Resistenza del Palazzo Ducale si terra' l'assemblea annuale dell'Accademia
apuana della pace.
*
Programma dei lavori
- ore 16: apertura dei lavori
- ore 16.15: presentazione di esperienze e testimonianze significative (tra
cui la Scuola della pace di Lucca e il Coordinamento comasco per la pace)
- ore 17: saluto delle autorita'
- ore 17.15: relazione del portavoce uscente
- ore 17.30: relazione del tesoriere
- ore 17.45: dibattito
- ore 19: approvazione delle linee operative programmatiche emerse in
assemblea e delle proposte nominative per l'elezione dei membri della
struttura direttiva e del nuovo portavoce.
*
La pace e' proprio un'altra storia rispetto a quella che vediamo
quotidianamente.
A due anni e mezzo dalla costituzione dell'Accademia apuana della pace e'
giunto il momento di fare un primo bilancio, ripensando il cammino fatto per
costruire le condizioni del procedere di domani, con l'obiettivo di
realizzare quello spazio aperto, condiviso, abitato da associazioni e
singoli, nel quale sperimentare pratiche e culture di pace, al fine di
contribuire, nel nostro piccolo, alla realizzazione, fin dal nostro
territorio provinciale, di un altro mondo possibile.
Vi invitiamo a partecipare ai lavori di questa assemblea, portando ciascuno
il proprio contributo per costruire questo spazio.
*
Per ulteriori informazioni: www.aadp.it

3. INCONTRI. IL 18 FEBBRAIO A PISA
[Da Giovanni Mandorino (per contatti: gmandorino at interfree.it) riceviamo e
volentieri diffondiamo. Giovanni Mandorino e' una delle piu' rigorose e
attive persone impegnate per la nonviolenza, partecipa all'esperienza del
Centro Gandhi di Pisa e cura il sito della rivista "Quaderni satyagraha"
(pdpace.interfree.it)]

Il "Centro Gandhi" di Pisa, il "Gruppo Franz Jaegerstaetter per la
nonviolenza" di Pisa e la "Tavola della pace e della cooperazione" di
Pontedera promuovono e invitano al convegno sul tema "Servizio civile e
Difesa popolare nonviolenta. Un convegno sulle proposte di riforma del
Servizio civile e sull'attuazione della Difesa popolare nonviolenta" che si
svolgera' il 18 febbraio 2006 con inizio alle ore 15 presso la ex Stazione
Leopolda (vicino Piazza Guerrazzi) a Pisa.
Si confrontano (l'elenco e' ancora provvisorio): Antonino Drago (Universita'
di Pisa, Centro Gandhi), Alberto L'Abate (Universita' di Firenze, Corpi
Civili di Pace), Licio Palazzini (Responsabile nazionale Servizio civile
Arci), Luca Orsoni (Responsabile regionale della Toscana Servizio civile
Caritas), Elettra Deiana (parlamentare, Prc), Silvana Pisa (parlamentare,
Ds).
*
Studiosi e attivisti della nonviolenza, rappresentanti di alcuni dei
maggiori enti che utilizzano personale in servizio civile, esponenti
politici a confronto sul tema del servizio civile, un tema di grande
importanza (e lo sara' ancor piu' nella prossima legislatura): sono state
presentate alcune proposte di legge per la sua riforma, suscitando un
dibattito molto acceso sull'ipotesi di rendere obbligatorio il servizio
civile per tutti i cittadini, e sulle finalita' del servizio (attivita'
"assistenziali", difesa del territorio, difesa nonviolenta). E' essenziale
che questo dibattito sia svolto in modo pubblico e allargato, e che si tenga
conto delle esperienze molto importanti fatte negli ultimi anni nel campo
della difesa popolare nonviolenta, della interposizione nonviolenta, della
gestione/trasformazione dei conflitti.
Tutti gli interessati sono invitati a partecipare.
Ulteriori informazioni e documenti sono disponibili nel sito:
http://pdpace.interfree.it

4. INIZIATIVE. IL 10 MARZO "DIAMO VOCE ALLA PACE"
[Dalla Tavola della pace (per contatti: e-mail: segreteria at perlapace.it,
sito: www.tavoladellapace.it) riceviamo e volentieri diffondiamo. la Tavola
della pace e' il principale network pacifista italiano]

Cari amici,
come sapete, il 10 marzo si svolgera' la Giornata nazionale per una
informazione e comunicazione di pace "Diamo voce alla pace".
Vi rinnoviamo l'invito ad aderire alla Giornata (l'appello lo trovate nel
nostro sito: www.tavoladellapace.it).
Non possiamo infatti restare a guardare. Il grave stato dell'informazione
nel nostro paese (sottolineato oggi dai ripetuti interventi di Ciampi) e
l'assenza dalla campagna elettorale di ogni attenzione ai grandi problemi
della pace non ci puo' lasciare indifferenti. Facciamo in modo che il 10
marzo, in tanti, nelle scuole, nelle citta', negli enti locali, diano voce
alla pace.
Da oggi e' possibile scaricare direttamente dal nostro sito il manifesto e i
loghi della giornata (www.tavoladellapace.it nelle news della homepage e
nella sezione attivita' dedicata alla Giornata del 10 marzo 2006).
Sono disponibili inoltre dei manifesti cartacei che e' possibile richiedere
contattando la segreteria nazionale della Tavola della pace al numero
0755736890 o scrivendo all'indirizzo 10marzo at perlapace.it.
Contiamo sulla Vostra collaborazione e partecipazione e vi inviamo i nostri
cari saluti,
la Tavola della pace
*
Per maggiori informazioni rivolgersi a: Tavola della Pace, via della viola
1, 06100 Perugia, tel. 0755736890, fax: 0755739337, e-mail:
10marzo at perlapace.it, sito: www.tavoladellapace.it

5. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: DI DIO CHE E' AMORE, E DI UN'ENCICLICA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 febbraio 2006 (in cui questo articolo
e' apparso col titolo "Dio e' amore e gli piace la politica"). Luisa Muraro,
una delle piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato all'Universita' di
Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito
delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda
biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque
fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione
allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di
Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera
accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella
scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia
dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba
Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista
dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al
femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della
differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva:
La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981,
ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La
Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti,
Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla
nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria
delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via
Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima
(1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero
della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della
maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel
1997"]

Esclusi alcuni testi dirompenti come la Pacem in terris, fino a dieci anni
fa, chi di noi andava a leggere quello che scriveva il papa? i piu' neanche
sapevano che cosa fosse un'enciclica, o i relativi commenti. E chi li
scriveva, dove si trovavano, questi commenti, visto che i giornali che noi
leggiamo non li pubblicavano, per non parlare del testo dell'enciclica,
praticamente introvabile prima che ci fosse internet. Faceva eccezione,
qualche volta, "Il manifesto".
Adesso, della Deus caritas est di Benedetto XVI, tutt'altro che un testo
dirompente, nel senso giornalistico della parola, troviamo notizie,
anticipazioni e commenti su tutti i giornali, perfino sulla prima pagina. Va
detto che i giornalisti non cattolici si sono trovati in difficolta', si
sente dalla loro prosa stiracchiata, non sapendo da che parte prendere un
testo di questa natura. Ma questo non fa che evidenziare la novita' che
dicevo.
E' una novita' ambigua di cui molti di noi farebbero a meno. Infatti, a
questo cambiamento contribuisce non poco la volonta' di assegnare il
cristianesimo alla civilta' occidentale e di tirare la Chiesa di Roma da una
determinata parte politica. Ma c'e' anche altro e va tenuto presente.
Alcuni, molti, molte, fra noi, quanti non so, quanto consapevolmente non so,
hanno smesso di vedere nella religione un ostacolo alla liberta' e
all'intelligenza, anzi, si sono convinti che l'assenza di religione ci rende
forse piu' razionali e calcolatori ma non moralmente migliori ne' piu'
felici, per dirla con Giacomo Leopardi.
Ho continuato a dire "noi": intendo quelli, quelle, che non aderiscono a un
credo ma non sono anticlericali. Paradossalmente, siamo questi "noi", che
non appartengono a nessuna chiesa, quelli che ristabiliscono, in qualche
modo, una liberta' religiosa che era andata perduta. Intendo non la liberta'
religiosa che il papa e le gerarchie reclamano per se' e i loro fedeli nei
confronti dello Stato o della societa' decristianizzata, ma quella che
toccherebbe a loro, semmai, promuovere, quella che ha fatto fiorire la
ricerca mistica, liberta' di cercare Dio senza subordinare la propria
ricerca alle istituzioni e agli uomini che fanno da intermediari. Edoardo
Benvenuto, un teologo laico, fa l'esempio di Dante che, senza venir meno
alla sua fede religiosa, mette tre papi in una buca dell'inferno, compreso
quello regnante. E commenta: oggi una simile liberta' non sarebbe piu'
ammissibile, il tramonto della cristianita' come civilta' comune ha trovato
una specie di rimedio nell'imposizione della Chiesa (e del suo capo) quale
oggetto di fede dei fedeli, da soggetto della fede qual era prima. Anche noi
rifiutiamo l'oggettivazione e cerchiamo, con i nostri mezzi, di ritrovare
una dimensione religiosa soggettiva per quello che ha di liberante e di
inverante.
Per strade che adesso non importa ricostruire, mi sono resa conto che la
civilta' religiosa premoderna e' ricca di idee che si puo' tentare di
tradurre in parole e forme buone per noi oggi, nel senso della possibilita'
di essere liberi e di dire il vero, purche' non abbiamo rinunciato a
quest'ultima possibilita' e purche' non cadiamo nella mera conservazione o,
peggio, restaurazione del passato, come a un certo momento si e' messa a
fare la pur grande e a molti carissima Cristina Campo.
*
Lo splendore di quelle idee della civilta' religiosa premoderna traluce
anche in certi passi della prima enciclica di Benedetto XVI, come in quello
su "l'agire imprevedibile e in un certo senso inaudito di Dio", che richiama
le ultime righe della Medea di Euripide ("quello che abbiamo previsto non
accade, dio si apre la strada per l'impossibile"), insieme al pensiero di
una donna dotata di un vivo senso della liberta' religiosa, Simone Weil. Un
altro esempio, piu' articolato, del valore che possono prendere certe idee
religiose nel nostro presente, ce lo da' la critica del marxismo (e del
comunismo) fatta dal papa con un argomento inedito. Al marxismo il papa
oppone non il diritto alla proprieta' privata, tanto caro al pensiero
borghese, ma la priorita' del qui e ora rispetto al futuro, perche'
l'essenziale domanda e' di valere al presente e non venire usato come
strumento per carpire l'obbedienza delle masse. Valere al presente, ma come?
Con la testimonianza della carita' cristiana, e' la risposta. Non
necessariamente una trascendenza, ma un'apertura si' - apertura
dell'orizzonte, qui e ora, ad altro da quello che gli uomini pretendono di
conoscere e controllare.
Presentando l'enciclica, un signore della curia romana ha attribuito al suo
autore la tesi di un superamento definitivo del comunismo. Non puo' essere
che il papa abbia inteso questo, perche' sarebbe storicismo, cioe' chiusura
dell'orizzonte. O forse si', ma in tal caso il suo testo si esporrebbe allo
stesso trattamento, quello di un giudizio storico che mette fuori gioco i
perdenti. E si spegnerebbe.
*
E' vero, come e' stato notato anche da Rossana Rossanda, che l'enciclica non
sprizza novita', che la sua prosa e' un po' scolastica e la composizione
risulta disuguale perche' nella prima parte e' una teologia dell'amore che
lascia il posto a un discorso sul senso delle opere di carita' dei
cattolici, discorso per tanti aspetti interessante (e destinato a qualche
controversia, prevedo), ma rispondente a una maniera chiaramente limitata
d'intendere il Dio che e' amore. Eppure, ogni tanto, questo testo non
brillante in se', si mette a brillare. Non sono i ragionamenti per sistemare
questo e quello, la ragione e la fede, lo Stato e la Chiesa, la politica e
la carita', che lo fanno brillare, ma quello che, invece, non si lascia
mettere a posto, che in definitiva e' proprio quella parola, amore, e
quell'idea, che Dio e' amore (e non ci lascia stare, aggiungo io), che
compaiono nel titolo dell'enciclica.
Che cosa voglio dire con questo strano parlare? Che in mezzo ai tanti
squilibri, contrasti e contraddizioni che gli umani, compreso l'uomo che ha
scritto la Deus caritas est, tentano di affrontare e risolvere, con maggiore
o minore successo, permane, senza risoluzione, uno scarto tra le
realizzazioni umane e cio' che puo' dare loro un qualche senso e valore.
Separate da questo, quelle scadono, lo sappiamo bene, che si tratti di fare
un giornale (o di scrivere un'enciclica), di gestire un ospedale, di
sposarsi e crescere dei bambini, di governare una casa o un paese...
Dove lo prendiamo questo valore senza il quale cio' dietro a cui ci
affatichiamo, scade nella sua risibile pochezza, e noi pure, ancora piu'
scadenti? Le donne che si spendono dietro ai bambini, molte di loro almeno,
una buona risposta devono averla trovata, ma qui parlo per quelli, in primis
il papa, che non sono mamme ne' maestre di scuola. Allora, dove? O lo
troviamo nel mondo dei rapporti di forza, sotto forma di soldi, prestigio,
successo, padronanza sugli altri, oppure... Oppure lottiamo per un altro
ordine di rapporti, non pero' da rimandare al futuro (e qui Ratzinger, lo
ripeto, ha ragione su Marx) ma da praticare qui e ora. Subito. E troviamo il
senso delle nostre vite nel tenere aperto il passaggio a quel di piu' che ha
tanti nomi, anche Dio, e puo' illuminare il nostro agire dal suo stesso
interno.
In breve, io sto parlando di politica, la politica in cui mi riconosco, che
ho imparato con il movimento delle donne, in cui si riconosce anche un
numero crescente di uomini. Politica che fa anche la Chiesa, comprese
naturalmente le Chiese che non fanno capo a Roma, quando non cedono ai
poteri e ai calcoli di questo mondo, ma, costrette a starci, continuano a
lottare, anche al loro interno, compreso l'interno di ogni singola persona,
per aprire l'orizzonte alla possibilita' di Dio che e' amore (volendo
parlare questo meraviglioso linguaggio).
*
Questo lo dico in parziale contrasto con quello che si legge nell'enciclica.
A un certo punto, infatti, sembra che il suo autore voglia assecondare
quell'idea di origine ottocentesca e borghese secondo cui la Chiesa non
dovrebbe fare politica. Quest'idea viene meccanicamente ripetuta da tante
parti, da persone che credono forse che serva a risolvere i problemi che
nascono da quello scarto senza risoluzione che dicevo prima. Non e'
veramente possibile che la Chiesa non agisca politicamente, tant'e' che non
ha mai smesso di farlo, lo sappiamo, piaccia o non piaccia, bene o male,
perche' lo scarto che dicevo esiste ed e' anzi piu' forte per uno spirito
religioso (forse e' perfino troppo forte tanto da portare ad una scissione,
ma questo e' un problema ulteriore, quello di Dante quando se la prende con
papa Celestino). Nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004)
c'e' scritto e sottolineato che "il lavoro ha una priorita' intrinseca
rispetto al capitale": in certi contesti, oggi piu' che mai, se prese
onestamente, queste parole sono pari pari una sfida politica - per fare solo
un esempio.
Molto dipende da quale politica abbiamo in mente, mi sono detta notando che
la definizione che della politica da' l'enciclica - realizzazione della
giustizia nel contingente (qui e ora) da parte dello Stato - non risponde al
mio agire politico, e di tanti altri, che e' piuttosto di attivare un senso
di indipendenza simbolica da tutte le forme di dominio, insieme alla
capacita' di mettere il proprio bene in circolo con il bene del maggior
numero possibile di altri esseri umani. Tuttavia, a pensarci bene e,
soprattutto, se teniamo presente la profonda idea cristiana di giustizia, le
due concezioni, quella del papa e la mia (si parva licet...) non sono
irrelate, a parte il ruolo dello Stato in cui mi pare che Ratzinger conceda
qualcosa di troppo alla filosofia tedesca (Hegel). Ho letto che un altro
papa, Paolo VI, ha detto che la politica e' la forma piu' alta di carita':
confesso che mi pare esagerato, ma e' un'affermazione che corregge o integra
alla grande il corso di pensieri seguito da questo papa nella sua prima
enciclica.
Qualcosa, in effetti, dipende anche da quale Chiesa. Ci vuole una Chiesa
piu' libera, non nel senso moderno liberale ma in quello che gli sta a
monte, di cui ha parlato san Paolo. All'inizio ho citato Edoardo Benvenuto,
che era come Dante, un uomo polemico e fedele verso la Chiesa di Roma.
Faccio riferimento a lui ma anche ad altre persone, le femministe cattoliche
e riformate che conosco, come anche alla mia passata appartenenza al
cattolicesimo, per dire che l'ansia dell'unita', la paura della divisione,
la diffidenza verso la laicita', non servono l'impegno politico di
un'istituzione che si pone dichiaratamente tra la terra e il cielo. Non c'e'
da confezionare su questa terra una parvenza di quello che sara' possibile
solo in cielo, che non sappiamo neanche che cosa sia, ma da tenere viva e
feconda l'inevitabile tensione fomentatrice di politica.

6. RIFLESSIONE. UMBERTO GALIMBERTI: UN PRINCIPIO DI CIVILTA'
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 6 febbraio 2006 riprendiamo il seguente
articolo, li' apparso col titolo "Ma il sacro esige rispetto assoluto".
Umberto Galimberti, filosofo, saggista, docente universitario; dal sito
http://venus.unive.it riprendiamo la seguente scheda aggiornata al settembre
2004: "Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, e' stato dal 1976
professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore
associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 e' professore ordinario
all'universita' Ca' Foscari di Venezia. Dal 1985 e' membro ordinario
dell'international Association for Analytical Psychology. Dal 1987 al 1995
ha collaborato con "Il Sole-24 ore" e dal 1995 a tutt'oggi con il quotidiano
"la Repubblica". Dopo aver compiuto studi di filosofia, di antropologia
culturale e di psicologia, ha tradotto e curato di Jaspers, di cui e' stato
allievo durante i suoi soggiorni in Germania: Sulla verita' (raccolta
antologica), La Scuola, Brescia 1970; La fede filosofica, Marietti, Casale
Monferrato 1973; Filosofia, Mursia, Milano 1972-1978, e Utet, Torino 1978;
di Heidegger ha tradotto e curato: Sull'essenza della verita', La Scuola,
Brescia 1973. Opere di Umberto Galimberti: Heidegger, Jaspers e il tramonto
dell'Occidente, Marietti, Casale Monferrato 1975, Il Saggiatore, Milano
1994); Linguaggio e civilta', Mursia, Milano 1977, seconda edizione ampliata
1984); Psichiatria e Fenomenologia, Feltrinelli, Milano 1979; Il corpo,
Feltrinelli, Milano 1983; La terra senza il male. Jung dall'inconscio al
simbolo, Feltrinelli, Milano 1984; "Antropologia culturale", ne Gli
strumenti del sapere contemporaneo, Utet, Torino 1985; Invito al pensiero di
Heidegger, Mursia, Milano 1986; Gli equivoci dell'anima, Feltrinelli, Milano
1987; "La parodia dell'immaginario", in W. Pasini, C. Crepault, U.
Galimberti, L"immaginario sessuale, Cortina, Milano 1988; Il gioco delle
opinioni, Feltrinelli, Milano 1989; Dizionario di psicologia, Utet, Torino
1992, nuova edizione: Enciclopedia di Psicologia, Garzanti, Milano 1999;
Idee: il catalogo e' questo, Feltrinelli, Milano 1992; Parole nomadi,
Feltrinelli, Milano 1994; Paesaggi dell'anima, Mondadori, Milano 1996;
Psiche e techne. L'uomo nell'eta' della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999; E
ora? La dimensione umana e le sfide della scienza (opera dialogica con
Edoardo Boncinelli e Giovanni Maria Pace), Einaudi, Torino 2000; Orme del
sacro, Feltrinelli, Milano 2000;  La lampada di psiche, Casagrande,
Bellinzona 2001; I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano 2003;
e' in corso di ripubblicazione nell'Universale Economica Feltrinelli
l'intera sua opera"]

Jean Daniel concludeva, qualche giorno fa su questo giornale ["La
Repubblica" - ndr], il suo articolo La lezione di Voltaire con queste
parole: "Le caricature del giornale danese possono essere condannate in nome
dell'arte e della sensibilita', ma non si possono vietare in nome dei
principi di civilta'". Non sono d'accordo, perche' tra i principi di
civilta' c'e' anche l'assoluto rispetto delle religioni altrui.
E quando dico "assoluto" mi riferisco al fatto che la religione, siccome
affonda le sue radici nella parte pre-razionale di ciascuno di noi, dove e'
anche la matrice della nostra identita' e della nostra appartenenza, se non
vogliamo offendere questa matrice, nei confronti della religione propria e
altrui dobbiamo avere tutti il massimo rispetto.
Quanto poi alla sensibilita', la nostra e' cosi' rozza da non farci
avvertire che il rapporto che noi occidentali laicizzati abbiamo con la
nostra religione (cristiana) non e' lo stesso che i musulmani hanno con la
loro? Se, in occasione del Natale, un vignettista musulmano rappresentasse
su un giornale arabo la nascita di Gesu' su una piattaforma per l'estrazione
del petrolio, invece che in una mangiatoia, noi, forse, per effetto della
nostra laicita', ci limiteremmo a sorridere. Ma la laicita', che noi abbiamo
guadagnato a fatica e non ancora del tutto da soli due secoli, non e' ancora
una conquista del mondo musulmano. E non e' con le vignette che mettono in
ridicolo il loro profeta che si accelerano i processi culturali e storici.
Che reazione avrebbero gli ebrei se, in occasione di un'occupazione dei
territori palestinesi, qualche giornale pubblicasse quelle terribili
vignette, frequenti sulla stampa fascista e nazista, che denigravano gli
ebrei? Quanto poi alla liberta' di satira, a cui fa riferimento Vittorio
Feltri su "Libero" e Giordano Bruno Guerri su "Il Giornale", noi italiani, e
soprattutto la parte politica che quei giornali sostengono, dopo
l'allontanamento dagli schermi televisivi dei nostri uomini di satira, per
non parlare dei giornalisti, dovremmo essere gli ultimi a metter parola.
Lo stesso dicasi per la liberta' di stampa. Che ne sappiamo davvero della
guerra prima in Afghanistan e poi in Iraq, e delle carceri di tortura
disseminate in Europa, oltre alle informazioni che ci provengono
dall'amministrazione americana? Voltaire, ci ricorda Jean Daniel, ha
scritto: "Non sono affatto d'accordo con cio' che dite, ma mi battero' fino
alla morte perche' nessuno vi impedisca di dirlo". Questo e' senz'altro il
nostro supremo principio di civilta', ma ci siamo arrivati solo due secoli
fa. Prima con le Crociate e poi con l'Inquisizione, ci comportavamo
esattamente come si comportano con noi i musulmani. I processi storici sono
lenti come i processi culturali che coinvolgono le matrici antropologiche
dei popoli. Vogliamo lasciare anche ai musulmani il loro tempo?
Pretendere reciprocita' di comportamenti oggi significa non avere alcuna
sensibilita' in ordine ai tempi che i processi culturali e antropologici
richiedono. Significa, direbbero gli studiosi di antropologia comparata:
"Imperialismo culturale". "Gioca coi fanti e lascia stare i santi" dice
saggiamente un proverbio popolare. Nel sacro, nel santo affondano, infatti,
in modo pre-razionale, l'identita' e l'appartenenza di un popolo. E proprio
perche' la matrice e' pre-razionale non c'e' argomento razionale che tenga.
Per questo, come opportunamente ha scritto su "Repubblica" Piero Ottone, le
religioni al massimo si discutono, ma non si dileggiano con vignette
derisorie che, lungi dall'avvicinare i popoli e le culture, li provocano e
li rendono ancora piu' nemici.

7. LIBRI. SIMONA FORTI PRESENTA "HANNAH ARENDT. LA VITA, LE PAROLE" DI JULIA
KRISTEVA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 febbraio 2006.
Simona Forti e' docente universitaria di storia del pensiero politico;
laureatasi in filosofia presso l'Universita' di Bologna, ha conseguito il
dottorato di ricerca nel 1989 in storia del pensiero politico presso
l'Universita' di Torino; ha svolto attivita' di ricerca e didattica presso
l'Universita' di Bologna, di Torino e presso la Graduate Faculty della New
School for Social Research di New York. Fa parte del comitato di redazione
di "Filosofia politica" e collabora a numerose riviste tra cui "Teoria
politica", "Il Mulino", "L'Indice dei libri", "MicroMega", "Iride". E' nel
comitato di redazione della rivista internazionale "Arendt's Newsletter"; e'
autrice di numerosi saggi sulla filosofia politica contemporanea e sul
pensiero di Hannah Arendt. Tra le opere di Simona Forti: Vita della mente e
tempo della polis. Hannah Arendt tra filosofia e politica, Milano, Franco
Angeli, Milano 1994, 1996; (a cura di), Filosofia e politica. Saggi su
Hannah Arendt, Bruno Mondadori, Milano 1999; Il totalitarismo, Laterza,
Roma-Bari 2001; (a cura di), La filosofia di fronte all'estremo.
Totalitarismo e riflessione filosofica, Einaudi, Torino 2004. Ha curato e
introdotto i due volumi: Archivio Arendt 1, Feltrinelli, Milano 2001;
Archivio Arendt 2, (Feltrinelli, Milano 2003; ha curato anche la
"Bibliografia delle opere di e su Hannah Arendt", in Hannah Arendt, La vita
della mente, il Mulino, Bologna 1987 (poi ristampata in Roberto Esposito (a
cura di), La pluralita' irrapresentabile. Il pensiero politico di Hannah
Arendt, Quattroventi, Urbino 1987).
Julia Kristeva e' nata a Sofia in Bulgaria nel 1941, si trasferisce a Parigi
nel 1965; studi di linguistica con Benveniste; intensa collaborazione con
Sollers e la rivista "Tel Quel"; impegnata nel movimento delle donne,
psicoanalista, ha dedicato una particolare attenzione alla pratica della
scrittura ed alla figura della madre; e' docente all'Universita'  di Paris
VII. Opere di Julia Kristeva: tra quelle tradotte in italiano segnaliamo
particolarmente: Semeiotike', Feltrinelli, Milano; Donne cinesi,
Feltrinelli, Milano; La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio,
Venezia; In principio era l'amore, Il Mulino, Bologna; Sole nero,
Feltrinelli, Milano; Stranieri a se stessi, Feltrinelli, Milano; I samurai,
Einaudi, Torino; Colette, Donzelli, Roma; Hannah Arendt. La vita, le parole,
Donzelli, Roma. In francese: presso Seuil: Semeiotike', 1969, 1978; La
revolution du langage poetique, 1974, 1985; (AA. VV.), La traversee des
signes, 1975; Polylogue, 1977; (AA. VV.), Folle verite', 1979; Pouvoirs de
l'horreur, 1980, 1983; Le langage, cet inconnu, 1969, 1981; presso Fayard:
Etrangers a nous-memes, 1988; Les samourais, 1990; Le vieil homme et les
loups, 1991; Les nouvelles maladies de l'ame, 1993; Possessions, 1996; Sens
et non-sens de la revolte, 1996; La revolte intime, 1997; presso Gallimard,
Soleil noir, 1987; Le temps sensible, 1994; presso Denoel: Histoires
d'amour, 1983; presso Mouton, Le texte du roman, 1970; presso le Editions
des femmes, Des Chinoises, 1974; presso Hachette: Au commencement etait
l'amour, 1985. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze
filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente scheda: "Julia
Kristeva e' nata il 24 giugno 1941 a Silven, Bulgaria. Nel 1963 si diploma
in filologia romanza all'Universita' di Sofia, Bulgaria. Nel 1964 prepara un
dottorato in letteratura comparata all'Accademia delle Scienze di Sofia; nel
1965 ottiene una borsa di studio nel quadro di accordi franco-bulgari e dopo
il 1965 prosegue gli studi e il lavoro di ricerca in Francia all'Ecole
Pratique des Hautes Etudes. Nel 1968 consegue il dottorato sotto la
direzione di Lucien Goldmann (con Roland Barthes e J. Dubois). Sempre nel
1968 e' eletta segretario generale dell'Association internationale de
semiologie ed entra nel comitato di redazione del suo organo, la rivista
'Semiotica'. Nel 1973 consegue il dottorato di stato in lettere sotto la
direzione di J. C. Chevalier. Dal 1967 al 1973 e' ricercatrice al Cnrs di
linguistica e letteratura francese, al Laboratoire d'anthropologie sociale,
al College de France e all'Ecole des Hautes Etudes en sciences sociales. Nel
1972 tiene un corso di linguistica e semiologia all'Ufr di Letteratura,
scienze dei testi e documenti dell'Universita' Paris VII 'Denis Diderot'. E'
nominata direttore del Dea di Etudes Litteraires. Nel 1974 viene eletta
Permanent visiting professor al Dipartimento di letteratura francese della
Columbia University, New York. Nel 1988 e' responsabile del Draps (Diplome
de recherches approfondies en psycopathologie et semiologie). Nel 1992 e'
nominata direttore della Scuola di dottorato "Langues, litteratures et
civilisations, recherches transculturelles: monde anglophone - monde
francophone", all'Universita' di Paris VII 'Denis Diderot' e Permanent
Visiting Professor al Dipartimento di Letteratura comparata dell'Universita'
di Toronto, Canada. Nel 1993 e' nominata membro del comitato scientifico,
che affianca il ministro dell'educazione nazionale. Attualmente e'
professoressa all'Universita' Paris VII 'Denis Diderot'. Dal 1978 dopo una
psicoanalisi personale e una analisi didattica presso l'Institut de
psychanalyse, esercita come psicoanalista. Gli interessi scientifici di
Julia Kristeva vanno dalla linguistica alla semiologia, alla psicoanalisi,
alla letteratura del XIX secolo. Esponente di spicco della corrente
strutturalista francese e in particolare del gruppo di 'Tel Quel', che ha
sviluppato in Francia le ricerche iniziate dai formalisti russi negli anni
Venti e continuate dal Circolo linguistico di Praga e da Jakobson, Julia
Kristeva ritiene che la semiotica sia la scienza pilota nel campo delle
cosiddette 'scienze umane'. Pervenuta oggi a un'estrema formalizzazione, in
cui la nozione stessa di segno si dissolve, la semiotica si deve rivolgere
alla psicoanalisi per rimettere in questione il soggetto senza di cui la
lingua come sistema formale non si realizza nell'atto di parola, indagare la
diversita' dei modi della significazione e le loro trasformazioni storiche,
e costituirsi infine come teoria generale della significazione, intesa non
come semplice estensione del modello linguistico allo studio di ogni oggetto
fornito di senso, ma come una critica del concetto stesso di semiosi. Opere
di Julia Kristeva: Semeitike'. Recherche pour une semanalyse, Seuil, Paris
l969; Le texte du roman, Mouton, La Haye l97l; La revolution du language
poetique. L'avant-garde a' la fin du XIX siecle: Lautreamont et Mallarme',
Seuil, Paris l974; Des chinoises, Editions des femmes, Paris l974;
Polylogue, Seuil, Paris l977; Pouvoirs de l'horreur. Essai sur l'abjection,
Seuil, Paris l980; Le language, cet inconnu. Une initiation a' la
linguistique, Seuil, Paris l98l; Soleil noir. Depression et melancolie,
Gallimard, Paris l987; Les Samourais, Fayard, Paris l990; Le temps sensible.
Proust et l'experience litteraire, Gallimard, Paris l994. Numerosi articoli
di Julia Kristeva sono apparsi sulle riviste 'Tel Quel', 'Languages',
'Critique', 'L'Infini', 'Revue francaise de psychanalyse', 'Partisan
Review', 'Critical Inquiry' e molte altre. Tra le opere della Kristeva
tradotte in italiano, ricordiamo: Semeiotike'. Ricerche per una semanalisi,
Feltrinelli, Milano l978; La rivoluzione del linguaggio poetico, Marsilio,
Venezia 1979; Storia d'amore, Editori Riuniti, Roma 1985; Sole nero.
Depressione e melanconia, Feltrinelli, Milano l986; In principio era
l'amore. Psicoanalisi e fede, Il Mulino, Bologna 1987; Stranieri a se
stessi, Feltrinelli, Milano; Poteri dell'orrore, Spirali/Vel, Venezia; I
samurai, Einaudi, Torino 1991; La donna decapitata, Sellerio, Palermo 1997".
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

A tutta prima, sembra un'inedita Kristeva l'autrice di Hannah Arendt. La
vita, le parole (il volume, uscito per le edizioni Fayard nel '99 e ora
tradotto da Donzelli - pp. VI + 296, euro 23, traduzione di Monica Guerra -,
e' parte di una trilogia intitolata "Il genio femminile", dedicata ad Hannah
Arendt, Melanie Klein e Colette). Insolito, infatti, e' il tocco leggero e
chiaro della scrittura con cui l'intellettuale di origine bulgara e di
cultura francese dipana il racconto biografico. Ironico e paradossale puo'
apparire l'intento del libro: esporre il pensiero di Hannah Arendt - cosi'
esplicitamente avverso alla psicoanalisi - a una sorta di sguardo analitico.
Il risultato, per quanto teoreticamente discutibile, e' comunque molto
interessante.
Credo, infatti, che sebbene vogliano tenersene lontano, le opere arendtiane
si prestino piu' di quanto si possa credere a questo tipo di lettura. Il
messaggio che Kristeva tacitamente invia ai suoi lettori richiama
innanzitutto l'esemplarita' dell'esistenza di Hannah Arendt: una vita
femminile che riesce a rendere produttivi i paradossi del secolo che
attraversa. E il gioco di specchi tra la vita di chi racconta e la vita
raccontata, che senza dubbio trapela tra le righe, riesce a tenersi distante
da ogni fastidioso narcisismo. Con grande finezza vengono ritratti tutti i
segni della differenza arendtiana: il suo essere una donna, costantemente
immersa in ambienti quasi esclusivamente maschili; il suo essere ebrea, ma
non praticante e non sionista, studiosa appassionata di teologia cristiana e
filosofia tedesca.
*
Per Kristeva, insomma, tutto nella vita di Hannah Arendt, dalle opere alle
scelte personali, parla dal punto prospettico di un'irriducibile
estraneita'. Non soltanto gioca un ruolo centrale l'esilio, che la vede a
Parigi negli anni Trenta e poi a New York dal 1940. Ogni episodio della sua
esistenza, persino i lineamenti somatici cosi' precocemente invecchiati,
reca tracce di una lotta, la lotta tipica di chi e' costretto a strapparsi
da cio' che e' familiare: luoghi, abitudini, lingua.
Ecco allora che la differenza tra il semiotico e il simbolico - nucleo
teorico della riflessione kristeviana - trova nel dedalo dei segni offerti
dall'"universo-Arendt" una possibilita' d'applicazione particolarmente
promettente. Questo fa del testo non un volume di semplice esegesi
arendtiana, che si aggiungerebbe a una produzione ormai sterminata, ma un
godibile esempio di come possono interagire tra loro, in maniera
intelligente e misurata, narrazione e psicoanalisi, analisi testuale e
critica filosofica.
Alla fine, Julia Kristeva riesce davvero a trasformare la biografia di
Hannah Arendt nella testimonianza di un percorso tortuoso, sofferto,
contraddittorio quanto si vuole, ma riuscito, in quanto capace di rispondere
alla chiamata del proprio daimon. Il "demone" arendtiano chiedeva gia'
tirannicamente alla giovane ebrea di cultura tedesca di spendere l'esistenza
nella ricerca del senso, nell'interminabile inseguimento di una verita': la
radicale finitezza del mondo umano intessuta da una pluralita' irriducibile.
*
In controtendenza rispetto a tante recenti interpretazioni iperpolitiche
della filosofia arendtiana, l'autrice francese ritiene che l'interrogativo
che assorbe, affatica e appassiona Hannah Arendt - dalla tesi di dottorato
su Agostino a La vita della mente - sia in fondo uno solo: che cos'e'
diventata la vita umana; che cosa resta di essa dopo il crollo dei sistemi
di riferimento normativi? Se ancora la vita ci appare il bene ultimo, come
pensarla a partire dal fatto incontrovertibile che cio' che ha accomunato e
accomuna tutti gli "animali totalitari" - quelli del passato e quelli
latenti - e' esattamente la pulsione a renderla superflua e a distruggerla
nella sua singolarita'? Sarebbe infatti questa la minaccia a fronte della
quale The Human Condition, l'opera del '58, intona un inno all'unicita'
della vita spesa nell'azione e nella narrazione (bios), di contro a una vita
biologicamente riproducibile (zoe). E' la disperazione prodotta dalla storia
del secolo, a far scommettere Hannah Arendt su un agire politico pensato
come espressione e prolungamento del "miracolo della natalita'". "Donna
senza figli - ci dice Julia Kristeva - la Arendt ci lascia in eredita' una
versione moderna (e secolarizzata?) del legame giudaico-cristiano con
l'amore per la vita, attraverso il suo canto reiterato del 'miracolo della
nascita', dove si coniugano la casualita' dell'inizio e la liberta' degli
uomini di amarsi, pensare e giudicare". E' perche' ci sono nascite - frutto
della liberta' di donne e di uomini, prima che prodotti delle combinazioni
genetiche - che esiste la possibilita' di essere liberi. La nostra liberta',
infatti - commenta Kristeva -, non e' soltanto una costruzione psichica, e'
la conseguenza dell'inizio come esperienza della rinnovabilita' del senso.
Proseguendo in modo assai eterodosso il discorso arendtiano - in questo caso
portandolo al limite del tradimento - l'autrice francese ribadisce qui la
propria visione dello psichismo materno come luogo di passaggio dalla zoe al
bios. Piu' in generale, presenta il legame con la madre - o meglio,
l'incontro primario col femminile - come radice, nel singolo, della
possibilita' di "amore per il qualunque", condizione, in ognuno,
dell'apertura verso il prossimo, verso la sua stessa fragilita'. E questo
varra', conclude Kristeva, almeno fino a quando la tecnica non avra'
eliminato, oltre alla novita' della nascita, anche la minaccia della morte.
Fino ad allora, l'unico modo per la vita umana di trascendere la propria
naturalita' sara' riposto nell'immortalita' della narrazione, o nella
possibilita' istantanea, da parte della vita singolare, di essere
riconosciuta dal gioco plurale delle parole e degli sguardi altrui.
*
Proprio sull'"enigmatica essenza" del chi arendtiano si concentrano le
pagine piu' belle e penetranti del libro. Altamente problematica appare a
Kristeva la sottovalutazione dell'espressivita' del corpo e della psiche
nella rivelazione dell'identita' del singolo che agisce. Per eccesso di
coerenza con gli assunti della filosofia heideggeriana, Hannah Arendt si
precluderebbe cosi' la strada per una compiuta decostruzione della
soggettivita' metafisica. Come sostenere, infatti, che la psiche e' abitata
in ognuno dalle stesse e identiche pulsioni? Come ignorare che anche a
livello del Dna il corpo biologico e' altissimamente individualizzato? Certo
rifiutarsi di riconoscere la singolarita' della psiche e del corpo e' un
gesto intenzionalmente provocatorio, la cui forza dovrebbe servire a marcare
la differenza tra un soggetto che puo' essere tale solo se e quando agisce
in mezzo agli altri e un individuo che diviene inevitabilmente un oggetto
ogni volta che e' preso nella rete delle funzioni sociali e dei determinismi
biologici.
La nettezza di questa separazione sembra attenuarsi nell'ultima opera di
Hannah Arendt, La vita della mente. La parte dedicata al Pensare,
soprattutto, riuscirebbe a ridare al processo del pensiero il carattere di
un'esperienza incarnata e sensibile. Tuttavia una nuova insidia teorica si
ripresenta nella sezione sul Volere. E' chiara, e per Kristeva anche
condivisibile, la scelta nietzscheana della filosofa di contrastare una
volonta', che in virtu' del senso di impotenza verso il passato, si
trasforma in risentimento, a sua volta foriero di appetito di vendetta e
sete di dominio. Se, per sospendere l'accanimento contro il tempo, la
risposta di Nietzsche e' l'oblio, quella arendtiana e' il perdono. Tuttavia,
come e' possibile per qualcuno perdonare, se si trova privato della sua
interiorita' psichica? E' ancora una volta il medesimo desiderio arendtiano
di negare la profondita' della psiche a rilanciare una liberta' del tutto
svincolata dalla volonta' e abbandonata alla dinamica plurale dell'"io
posso". Ma, si chiede polemicamente Julia Kristeva, il potere politico,
quand'anche separato dal dominio, puo' davvero fare a meno
dell'intenzionalita' della volonta'? Nella sua ricerca di un fondamento non
soggettivistico della politica - polemico tanto nei confronti del marxismo
quanto dell'esistenzialismo francese - Hannah Arendt non solo non risolve,
ma nemmeno affronta queste aporie.
*
Secondo l'autrice francese, auspicare il perdono al posto della vendetta
risentita, puntare sul legame della promessa invece che sul controllo del
dominio, significa lasciar emergere, filosoficamente, le risonanze cristiane
della formazione giovanile.
E insieme a questa eredita', mai esplicitamente ammessa da Arendt, verrebbe
alla luce la negazione - in senso propriamente analitico - su cui si regge
l'intero edificio arendtiano. Hannah Arendt avrebbe avuto bisogno, per
continuare a vivere, ad agire e a pensare, di attaccarsi alla possibilita'
che da qualche parte - al di la' forse delle singole persone concrete - e in
qualche modo - al di fuori delle parentesi totalitarie - il "senso comune"
rimanga "sano". Era questa gia' la tesi di Lyotard che Kristeva sviluppa
rintracciandone i segni palesi. "Non e' la lingua tedesca che e'
impazzita!"; perche' Hannah Arendt ripete cosi' spesso e ansiosamente questa
affermazione? Come ad esempio nella bellissima intervista con Gaus
(confronta Archivio Arendt 2. Feltrinelli, 2003). Perche', per quanto abbia
genialmente ripensato alla vita come alla possibilita' del miracolo
dell'inizio, Hannah Arendt non e' riuscita ad ammettere fino in fondo che in
ogni cosa - sia essa la lingua, l'umanita', la madre, il padre, ogni
singolo, persino l'essere - e' racchiusa la sua possibilita' di non essere.
Resta, tuttavia, l'unica filosofa, non a caso una donna, che ci ha offerto
un pensiero dell'inizio come possibilita' per ciascuno di rilanciare la
questione del senso della propria vita.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1208 del 16 febbraio 2006

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