La domenica della nonviolenza. 65



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 65 del 19 marzo 2006

In questo numero:
Luca Baranelli ricorda Sebastiano Timpanaro

MEMORIA. LUCA BARANELLI RICORDA SEBASTIANO TIMPANARO
[Dalla sempre ottima rivista "Una citta'", n. 92, febbraio 2001 (disponibile
anche nel sito: www.unacitta.it) riprendiamo questa bella intervista a Luca
Baranelli su Sebastiano Timpanaro. Alla conversazione ha partecipato anche
Fiamma Bianchi Bandinelli.
Luca Baranelli (Siena, 1936), intellettuale di forte impegno civile, e'
vissuto per trentadue anni a Torino lavorando nell'editoria, e' poi tornato
a Siena. Dal sito www.cultura.toscana.it riprendiamo la seguente scheda di
alcuni anni fa: Luca Baranelli: "Luca Baranelli e' stato consulente
editoriale della casa editrice Einaudi a partire dagli anni '60 fino al
1982, quando e' passato alla casa editrice Loescher. Presso Einaudi e' stato
direttore della collana editoriale 'Serie Politica'. Recentemente ha
lasciato la citta' di Torino per tornare a vivere a Siena, sua citta'
natale. Di lui si ricordano le traduzioni: Edward H. Carr, Storia della
Russia sovietica. III/I, [trad. di Luca Baranelli e Piero Bernardini],
Torino, Einaudi, 1968 (Biblioteca di cultura storica, 78); Edward H. Carr,
1917. Illusioni e realta' della rivoluzione russa, trad. di Luca Baranelli,
Torino, Einaudi 1970 (Nuovo Politecnico, 38). Noam Chomsky, I nuovi
mandarini. Gli intellettuali e il potere in America, [trad. di Luca
Baranelli et al.], Torino, Einaudi, 1969 (Nuovo Politecnico, 34); Sara
Lidman, Rapporto dal sottosuolo svedese, [trad. di Margareta Josephson,
introduzione di Fiamma Bianchi Bandinelli Baranelli e Luca Baranelli],
Torino, Einaudi, 1969 (Serie politica, 38). Inoltre ha curato: Quaderni
piacentini. Antologia, a cura di Luca Baranelli e Grazia Cherchi, Milano,
Gulliver, 1977-1978, 2 voll.; Raniero Panzieri e la casa editrice Einaudi.
Lettere e documenti 1959-1963, a cura di Luca Baranelli, in "Linea d'ombra",
n. 12, novembre 1985; Italo Calvino, Romanzi e racconti, edizione diretta da
Claudio Milanini, a cura di Mario Berenghi e Bruno Falcetto, prefazione di
Jean Starobinski. 3: Racconti sparsi e altri scritti d'invenzione, con una
bibliografia degli scritti di Italo Calvino a cura di Luca Baranelli,
Milano, Mondadori, 1994; Album Calvino, a cura di Luca Baranelli e di
Ernesto Ferrero, Milano, Mondadori, 1995 (I Meridiani); Romano Bilenchi, Le
parole della memoria. Interviste 1951-1989, a cura di Luca Baranelli,
prefazione di Romano Luperini, Fiesole, Cadmo, 1995; Italo Calvino, Lettere
1940-1985, a cura di Luca Baranelli, introduzione di Claudio Milanini,
Milano, Mondadori, 2000 (I Meridiani); Racconti italiani del Novecento, a
cura e con un saggio introduttivo di Enzo Siciliano, notizie
biobibliografiche sugli autori a cura di Luca Baranelli, Milano, Mondadori,
2001 (I Meridiani); Eugenio Colorni, Un poeta e altri racconti, a cura di
Luca Baranelli, prefazione di Claudio Magris, Genova, Il melangolo, 2002
(Nugae, 107)". Aggiungiamo la piu' recente curatela di Cesare Cases,
Sebastiano Timpanaro, Un lapsus di Marx. Carteggio 1956-1990, Edizioni della
Normale, Pisa 2004.
Fiamma Bianchi Bandinelli (Livorno, 1937), intellettuale di forte impegno
civile, ha curato o supervisionato la traduzione di libri prevalentemente di
argomenti scientifico; ha tradotto tra l'altro volumi di Isaac Asimov,
Charles Darwin, Sara Lidman, Jean Piaget, Niko Tinbergen, Jean-Didier
Vincent; nel sito di "Jura Gentium. Centro di filosofia del diritto
internazionale e della politica globale" cura con Raja Bahlul la sezione "La
questione palestinese".
Sebastiano Timpanaro, nato a Parma nel 1923, studioso di filologia classica,
della cultura dell'Ottocento, di questioni inerenti al materialismo e il
marxismo, ma anche alla linguistica ed alla psicoanalisi; uno dei piu' acuti
interpreti di Leopardi e dei piu' rigorosi intellettuali della sinistra
italiana; e' deceduto nel novembre 2000. Tra le opere di Sebastiano
Timpanaro segnaliamo almeno La filologia di Giacomo Leopardi, Le Monnier,
Firenze 1955, poi Laterza, Roma-Bari 1978, 1997; La genesi del metodo del
Lachmann, Le Monnier, Firenze 1963, poi Liviana, Padova 1981; Classicismo e
illuminismo nell'Ottocento italiano, Nistri-Lischi, Pisa 1965, 1969, 1988;
Sul materialismo, Nistri-Lischi, Pisa 1970, 1975, poi Unicopli, Milano 1997;
Antileopardiani e neomoderati nella sinistra italiana, Ets, Pisa 1982; Il
lapsus freudiano, La Nuova Italia, Firenze 1974, poi Bollati Boringhieri,
Torino 2002; Aspetti e figure della cultura ottocentesca, Nistri-Lischi,
Pisa 1980; La "fobia romana" e altri scritti su Freud e Meringer, Ets, Pisa
1992; Nuovi studi sul nostro Ottocento, Nistri-Lischi, Pisa 1995; segnaliamo
anche particolarmente la sua traduzione di Cicerone, Della divinazione, e
quella di Holbach, Il buon senso, ambedue presso Garzanti, Milano
rispettivamente 1985 e 1988, con vasto ed eccellente suo apparato critico.
La rivista "Una citta'" cosi' lo presentava in apertura di questa intervista
di ricordo: "Filologo e latinista di fama mondiale, uomo schivo e appartato,
insegnante in scuole medie e professionali e poi, per tantissimi anni,
'correttore di bozze' com'egli amava definirsi, marxista e materialista,
militante del Psi e poi del Psiup con simpatie per Trotsky, intellettuale
attentissimo e appassionato alle vicende politiche e culturali italiane e
internazionali, autore di testi sul materialismo, lo strutturalismo, la
psicoanalisi, accolti dal silenzio degli specialisti eppur fondamentali,
studioso massimo del Leopardi..."]

- "Una citta'": Tu sei stato amico di Sebastiano Timpanaro. Un aspetto che
impressiona e' constatare quanto egli sia stato importante per tantissimi
intellettuali e militanti della sinistra e quanto poco fosse invece
conosciuto. Ce ne puoi parlare?
- Luca Baranelli: Provo a dire perche' e' stato importante per me, anche se
non si dovrebbe partire da se' per parlare di una persona del suo livello
intellettuale, culturale e morale. In queste settimane, dopo la sua morte,
ripensavo a quando l'ho conosciuto: poteva essere il '59 o il '60. Sapevo
chi era, perche' mio padre, un pittore nato nel 1895, aveva conosciuto il
padre di Timpanaro, amico di tanti artisti, e conosceva il figlio. Il padre
si chiamava come lui, Sebastiano, tanto che il nostro Timpanaro, per diversi
anni dopo la morte prematura del padre, che se non sbaglio avvenne nel '49,
per distinguersi si firmava "Timpanaro jr"; poi naturalmente, col passare
degli anni, siccome del padre purtroppo pochi parlano e i suoi libri non
sono stati ristampati, tolse questo "junior" e Sebastiano Timpanaro rimase
solo lui. Il padre era uno storico della scienza di valore (fu per molti
anni direttore della Domus Galileiana a Pisa); era inoltre un uomo di grande
apertura culturale e intellettuale, amico di letterati, poeti, scrittori, di
tutti quelli piu' conosciuti della prima meta' del '900 italiano (quando
mori', Montale gli dedico' un articolo sul "Corriere della sera"). Era anche
amico di moltissimi pittori e incisori, tanto che con gli anni aveva messo
insieme una grande raccolta di opere grafiche, quasi tutte regalategli dagli
artisti stessi: dopo la sua morte, Sebastiano e sua madre, la signora Maria
Cardini, donarono la Collezione Timpanaro all'Universita' di Pisa, che a
quanto mi risulta non ha ancora dato ad essa una sistemazione degna del
valore delle opere e della eccezionale generosita' dei donatori. La signora
Maria Cardini Timpanaro era una studiosa di filosofia greca antica e di
Galileo: mi pare si fosse occupata soprattutto dei presocratici e aveva
curato un'edizione del Sidereus Nuncius. Era anche lei una persona
straordinaria, di grande modestia e, al contempo, di grande intelligenza e
cultura: un po' come Sebastiano. Dopo la morte del marito, visse col figlio
per trent'anni; e anche quando Sebastiano si sposo' con Maria Augusta
Morelli, la signora Maria rimase con loro fino alla morte, avvenuta nel '78.
Uno degli ultimi saggi di Sebastiano e' proprio l'ampia introduzione a una
raccolta di scritti di sua madre che sara' presto pubblicata dall'Ets di
Pisa.
Di Sebastiano, oltre che da mio padre, avevo sentito parlare fra la fine
degli anni '50 e i primi anni '60 da due amici senesi: Alceste Angelini,
insigne grecista e raffinato poeta della generazione di Timpanaro, e Roberto
Barzanti, che in seguito ha fatto politica (e' stato sindaco di Siena per il
Psiup, poi deputato europeo del Pci-Pds per tre legislature) e che allora
era un giovane che studiava a Pisa storia contemporanea; si occupava molto
anche di Leopardi e, naturalmente, come tutti gli studiosi che stavano a
Pisa, anche giovani come lui, conosceva Timpanaro, anche se Timpanaro non
insegnava all'universita'.
*
- "Una citta'": Timpanaro insegnava all'avviamento professionale?
- Luca Baranelli: E' cosi'. Timpanaro, credo anche per la difficolta'
d'impartire lezioni dalla cattedra a un pubblico numeroso (forse collegata
all'agorafobia e claustrofobia che l'hanno afflitto un po' per tutta la
vita), non se l'era mai sentita di fare concorsi universitari. Esattamente
non saprei dire, di questo con lui non ho mai parlato; pero' era un fatto
noto, e sorprendente, che Timpanaro, uomo di cosi' grande valore - il piu'
grande filologo classico italiano dopo la morte di Pasquali, e insieme con
Scevola Mariotti e Antonio La Penna il piu' grande latinista - non
insegnasse filologia classica o storia della lingua latina o letteratura
latina in un'universita'. Mi e' stato raccontato che una volta si era
lasciato convincere da un professore amico a tenere un seminario alla Scuola
Normale di Pisa. Sebastiano era un po' a disagio e chiuse presto la seduta.
Usciti dall'aula, uno studente del seminario lo accompagno' fuori e sulla
scalinata della Normale gli chiese una spiegazione. Mentre gli rispondeva,
Sebastiano quasi non si accorse che si erano radunati intorno a loro molti
altri studenti, i quali poterono ascoltare a lungo una vera e propria
lezione. Va detto, per inciso, che invece non cessava mai di studiare, di
leggere, di documentarsi; e proprio a Pisa, quando poteva, partecipava ai
seminari di Arnaldo Momigliano o del filologo Eduard Fraenkel. Aveva pero'
insegnato per una quindicina d'anni in scuole medie e d'avviamento della
provincia di Pisa, e a questo suo passato d'insegnante teneva molto. In Una
testimonianza su Gianfranco Ciabatti, apparsa nel n. 34-35 (gennaio-agosto
2000) della rivista "Allegoria", Sebastiano scrive della sua esperienza
d'insegnante: "Dal 1945 al '48, appena laureato, io insegnai nella scuola
media di Pontedera. Ricordo ancora quell'esperienza come una delle poche
'riuscite' della mia vita, al pari di altre successive esperienze
d'insegnamento in scuole di avviamento professionale (specie di
post-elementari: oggi non esistono piu') della provincia di Pisa,
specialmente a San Frediano a Settimo nel comune di Cascina". Dedico' un suo
manualetto di prosodia e metrica latina "Ai miei scolari di Pontedera
1945-1948".
*
- "Una citta'": Quando ti e' stato presentato?
- Luca Baranelli: Mi fu presentato dal carissimo amico comune Alceste
Angelini, grande grecista, come ho gia' detto, che e' morto a Siena nel '94.
Alceste, che aveva tre anni piu' di Timpanaro, aveva studiato a Firenze nei
primi anni della guerra e anche Timpanaro si era laureato a Firenze,
nonostante in quel periodo stesse a Pisa (Timpanaro era allievo di Pasquali,
anche se poi si laureo' con Terzaghi, con una tesi su Ennio). Con Alceste
Angelini si erano conosciuti durante gli anni dell'universita', quando
Sebastiano avra' avuto diciannove o vent'anni: Angelini era rimasto
folgorato non solo dalla sua intelligenza straordinaria, ma dalla sua
dottrina, dalla sua cultura gia' profonda e dalla conoscenza perfetta che
quel giovane aveva della lingua latina, dei testi, degli strumenti della
filologia classica. Pur essendo legati da profonda amicizia e stima
reciproca (di Angelini, Timpanaro diceva che conosceva il greco e gli autori
greci come pochi) sia Alceste sia Sebastiano si muovevano di rado, erano
restii a fare viaggi anche brevi, fosse pure da Pisa a Siena e viceversa. Ma
una volta, dev'essere stato il '60 o il '61 perche' lavorava gia' alla Nuova
Italia, Timpanaro venne a Siena a trovare Angelini. In quella giornata - mi
pare fosse presente anche Roberto Barzanti - ci conoscemmo, stemmo insieme a
lungo, e naturalmente io, che ero un giovane di ventiquattro anni, provai
subito una grande ammirazione per quest'uomo, con il quale ci si sentiva
subito a proprio agio. Colpiva quel suo viso bellissimo, e nei suoi occhi
luminosi e sorridenti si leggeva subito un'intelligenza fuori del comune, ma
anche una totale assenza di boria e di sussiego intellettuale, la sua
umanita' e generosita'. Con lui si poteva parlare di tante cose, e anche chi
non era in grado di affrontare i suoi argomenti disciplinari (io ad esempio
non potevo farlo, essendo un normalissimo studente di legge) si trovava
subito bene. Lui poi era un militante attivo della sinistra socialista e
anch'io lo ero nel mio piccolo e quindi si parlo' anche di quello, penso.
Era una persona che metteva a proprio agio chiunque fosse di cultura
inferiore alla sua: cioe' praticamente tutti quelli che incontrava. Si
poteva parlare con lui di politica, di storia, di letteratura, anche di
musica (era un appassionato dell'opera, e in particolare delle opere di
Verdi, ma ovviamente gli piaceva anche il resto, Mozart in testa). Insomma
si parlava di tutto, e molto delle comuni amicizie. Questo non toglie che
Sebastiano potesse scandalizzare molto le persone, urtare il "buon senso",
anche quello di sinistra. Oggi ad esempio non e' elegante, anche per uno che
lo sia, definirsi ateo (casomai, se proprio costretto, si dira' "agnostico"
o "laico"). Per lui, invece, l'ateismo era un dato esplicito della sua
formazione, della sua cultura, della sua visione del mondo (altra
espressione non piu' di moda). Le cose che pensava le diceva, non aveva
nessuna reticenza: se si trattava di idee, di dibattiti culturali e
politici, diceva quello che pensava anche a costo di dispiacere
all'interlocutore.
Bada bene, era un uomo di grande finezza, buono e comprensivo, non pensare
che maltrattasse gli amici e i conoscenti, tutt'altro; s'informava sempre in
modo non formale, non rituale, dello stato di salute dei parenti e degli
amici, e s'interessava delle loro attivita' di studio e di lavoro. Aveva
questi aspetti di affettuosita', pero' le sue idee le manifestava senza
nessun orpello o ipocrisia, andando diritto alla sostanza dei problemi.
A volte, di primo acchito, poteva sembrare che qualche sua affermazione,
qualche suo giudizio (soprattutto di argomento politico o culturale) fossero
semplificatori; ma poi si capiva - o almeno io capivo - che non semplificava
affatto, ma andava all'essenza, alla radice. E' questo un aspetto che
colpisce anche nel suo stile di scrittore.
*
- "Una citta'": Era un grandissimo filologo, ma non solo...
- Luca Baranelli: Non era certo uno specialista e basta. Aveva una
conoscenza vasta e profonda della letteratura italiana, ed e' stato uno dei
piu' grandi studiosi e conoscitori di Leopardi, nel senso letterale della
conoscenza di tutti i suoi testi: cosa che, forse, nessun leopardista di
formazione tradizionale puo' dire di se'. Lui aveva un interesse
straordinario anche per il suo pensiero filosofico, manifestatosi poi in una
serie di scritti importantissimi, che hanno fatto epoca nella bibliografia
su Leopardi. Naturalmente conosceva alla perfezione lo Zibaldone, ma anche
gli scritti infantili e adolescenziali e poi tutti quelli filologici, che
normalmente gli studiosi di Leopardi non leggono; di questi, anni dopo,
insieme col professor Giuseppe Pacella di Pisa, suo amico, fece quella che
resta l'unica edizione degli scritti filologici di Leopardi, pubblicata da
Le Monnier nell'edizione nazionale delle opere. Insomma, credo che per
quanto riguarda i testi di Leopardi, Timpanaro sia stato quello che nel
Novecento li ha conosciuti meglio. E poi era praticamente completa la sua
conoscenza dell'Ottocento italiano. Per esempio si e' occupato a lungo di
quel grande autore e scrittore che e' Cattaneo. Su Cattaneo gli chiesi
consiglio perche' facevo una tesi sul suo federalismo e le sue idee
politiche, e lui di Cattaneo sapeva tutto, aveva letto tutto, molto piu',
ovviamente, di quanto non avessi fatto io. Lui poi ha scritto sul Cattaneo
glottologo e linguista. Tutto questo per dire che nessun autore gli era
ignoto: fu lui, ad esempio, il primo a consigliarmi di leggere Svevo. Credo
che solo sull'immediata contemporaneita' non fosse cosi' documentato, ma
giustamente, non essendo lui un contemporaneista; se uscivano venti romanzi
al mese e' chiaro che aveva tutto il diritto di non leggerli. Pero'
conosceva benissimo la poesia italiana del Novecento, anche perche'
attraverso suo padre aveva conosciuto personalmente molti poeti, a
cominciare da Montale...
*
- Fiamma Bianchi Bandinelli: A proposito dei suoi studi, per esempio su
Leopardi, e' straordinario come riusciva a tenere insieme i due aspetti: lo
studio filologico e quello filosofico e politico. Lo studio puntuale, che si
avvaleva delle tecniche piu' raffinate, non era mai fine a se stesso, non
era mai disgiunto dalla ricerca di una conoscenza piu' generale e profonda
che riguardasse la vita e il mondo. Cosi', in Leopardi vedeva non solo il
poeta da analizzare e amare, ma anche l'uomo, il filosofo e, in un certo
senso, il maestro di vita. Quindi il suo interesse per Leopardi era un
interesse vitale: Leopardi era per lui non un semplice argomento di studio
intercambiabile con altri, come quando si mira solo a un obiettivo
accademico, ma era un interlocutore con cui confrontarsi, con cui dialogare,
che lo aiutava a capire meglio il mondo.
- Luca Baranelli: Si', questo e' vero, soprattutto per i suoi autori
prediletti e, in particolare, per Leopardi. Pero' non bisogna pensare che
poi lui non si sia occupato di cose strettamente tecniche. Questo lui lo
diceva, a me lo ha detto tante volte: "Tutti pensano che io sia un grande
materialista, un grande filosofo; si', ho scritto le cose che mi stavano a
cuore, pero' io scrivo tante cose strettamente tecniche che non interessano
a nessuno".
- Fiamma Bianchi Bandinelli: Magari in questo modo tendeva a minimizzare la
sua produzione specialistica di fronte a noi profani.
- Luca Baranelli: Si', forse lo diceva anche per scusarsi di non essere
impegnato sempre in studi e in attivita' piu' utili all'umanita' e alla
sinistra.
- Fiamma Bianchi Bandinelli: Comunque, nella maggior parte dei casi, i suoi
scritti non erano cosi' "strettamente tecnici" da non presentare spunti
d'interesse anche piu' generali e comprensibili a tutti. E viceversa, se
interveniva su un problema di attualita' che riteneva importante, lo faceva
con lo stesso rigore scientifico con cui avrebbe affrontato un tema
specialistico. Il libro sul lapsus, ad esempio, e' fondato sulla sua cultura
specialistica, ma e' soprattutto un libro di battaglia culturale. Anche per
questo, poi, ne subi' le conseguenze: sostenendo un punto di vista che gli
stava a cuore, andava a colpire lobby potenti che lo ripagarono ignorandolo.
*
- "Una citta'": Poi Timpanaro lascio' la scuola...
- Luca Baranelli: Come dicevo, di questo non ho mai parlato con lui, ma
credo che l'insegnamento, il rapporto con gli studenti gli costasse molta
fatica, gli procurasse ansia. Allora cerco' e trovo' immediatamente lavoro
alla Nuova Italia di Firenze, citta' dove in seguito si trasferi'.
*
- "Una citta'": Ando' a fare il "correttore di bozze", definizione ormai
leggendaria riferita a Timpanaro...
- Luca Baranelli: Alla Nuova Italia lavoro' piu' di vent'anni, dal 1960 al
1983, quando ando' in pensione. Per le collane universitarie e di cultura
della Nuova Italia credo che seguisse il libro dall'inizio alla fine, anche
se a tutti diceva di fare il "correttore di bozze": poteva essere o sembrare
un vezzo, una civetteria, ma non era comunque solo questo. In una casa
editrice che, a quanto sappiamo, era diretta in modo accentratore e
decisionista da Tristano Codignola, sicuramente Timpanaro non poteva, ne'
avrebbe voluto, fare il direttore editoriale: faceva pero' il redattore a
pieno titolo e fra i compiti di un buon redattore, anche se ormai non e'
piu' cosi', c'era quello di correggere attentamente le bozze in modo che non
ci fossero errori, refusi, inesattezze di ogni genere. Di certo lui diceva a
tutti che faceva il correttore di bozze alla Nuova Italia.
*
- "Una citta'": Il breve romanzo di Steiner, Il correttore, era in pratica
disegnato su Timpanaro...
- Luca Baranelli: Il libro di Steiner irrito' moltissimo Sebastiano. In una
telefonata mi disse che era veramente offeso e disgustato dal libro di
Steiner, uno studioso venerato da tutti, che aveva avuto il torto di far
sapere alla stampa di essersi ispirato a Timpanaro. Mi disse cose
irripetibili, usando due parole che facevano parte del suo lessico:
"mascalzone" e "mascalzonata". "Ma come fa a pensare che io sia una persona
cosi', a mettermi in caricatura in un libercolo orrendo?". Se l'era proprio
presa, era davvero furibondo. Probabilmente Steiner voleva, a modo suo,
rendergli omaggio, e il libro, a chi lo leggesse senza sapere nulla del
protagonista, poteva piacere o non piacere. Ma per chi lo leggeva conoscendo
Sebastiano, a prescindere dal modesto valore letterario, era effettivamente
irritante, stonato, fuori fuoco: non aveva proprio colto. Non credo, fra
l'altro, che si conoscessero perche' in quello sfogo mi pare che dicesse:
"Noi non ci siamo mai visti ne' conosciuti" (su questo punto pero' potrei
sbagliarmi).
*
- "Una citta'": Torniamo ad allora...
- Luca Baranelli: Da quando, nel '62, mi trasferii a Torino per lavorare
alla Einaudi, la nostra amicizia fu alimentata soprattutto da scambi
epistolari e da lunghe telefonate. Tuttavia, quando tornavo a Siena per le
ferie, andavo qualche volta a trovarlo, prima a Pisa (in via San Paolo) e
poi a Firenze, nella centralissima via Ricasoli, dove si era trasferito con
la madre e la moglie Maria Augusta, che lavorava all'Archivio di Stato. A
Torino ero entrato in contatto col gruppo dei "Quaderni rossi" e con Raniero
Panzieri, che purtroppo mori' quasi subito, a quarantatre' anni,
nell'ottobre del '64. E informavo spesso per lettera Sebastiano di quello
che facevo sia in casa editrice (dove lui, naturalmente, conosceva tante
persone) sia fuori, col gruppo dei "Quaderni rossi". Lui conosceva Panzieri,
che era stato un dirigente del Psi: avevano grande stima e simpatia
reciproca, e a un certo punto, fra il '63 e il '64, ebbero un lungo e
cordialissimo incontro a Firenze, quando sembrava che Panzieri potesse
svolgere un'attivita' di consulenza per la Nuova Italia (poi la cosa non
ando' in porto). Ricordo bene che quando Panzieri mori' gli scrissi una
lettera, dicendo fra l'altro una cosa ovvia, che il gruppo si sarebbe presto
dissolto perche' a tenerlo insieme era stato Raniero. Sebastiano, come al
solito, mi rispose subito con una lunga lettera, ma purtroppo devo averla
persa, o almeno per ora non l'ho ritrovata. Rileggere le sue lettere e'
sempre un grande piacere intellettuale.
*
- "Una citta'": Timpanaro prediligeva il rapporto epistolare?
- Luca Baranelli: Sebastiano e' stato, almeno fino a una decina di anni fa,
un epistolografo fenomenale. Penso che sia stato uno degli epistolografi
piu' fecondi fra i pochi grandi intellettuali italiani, e sono certo che la
qualita' delle sue lettere sia altissima sia per i contenuti sia per lo
stile (del tutto immune, ovviamente, dal manierismo iperletterario che
troviamo ad esempio nelle lettere di Gianfranco Contini). Aveva una
capacita' di scrivere e rispondere all'istante alle lettere, ai biglietti, e
a tutti i suoi interlocutori, davvero strabiliante. E quando, negli ultimi
anni, ha cominciato a diradare la corrispondenza, questo e' stato visto
anche dagli amici come un segno di stanchezza, d'isolamento e di
autoisolamento da un mondo e da una societa' che sentiva sempre piu' ostili,
estranei e distanti. Credo che quando, auspicabilmente, si fara' un
epistolario di Timpanaro, ci troveremo fra le mani non solo un tesoro d'idee
e di stimoli, ma in molti casi dei veri e propri saggi. Per esempio ho
ritrovato una lunga lettera che mi scrisse il 5 dicembre 1981 per avere
notizie su un giovane professore di Genova, Giorgio Bertone, che lui non
conosceva e che insieme con un altro studioso, Pino Boero, aveva curato
un'edizione di Primo maggio di De Amicis. Si tratta di un romanzo
"socialista" che De Amicis aveva scritto e poi abbandonato; in seguito aveva
ricominciato a lavorarci ma alla fine l'aveva lasciato perdere. Questi due
studiosi ne fecero un'edizione per Garzanti, che usci' senza una prefazione
perche' quella che gli autori avevano scritto era una tale stroncatura del
libro, e del socialismo di De Amicis, che l'editore non l'accetto'. Quando
questa prefazione usci' su una rivista di Genova, Timpanaro ne fu molto
colpito: gli sembrava del tutto sbagliata, tanto che decise di scrivere un
saggio per difendere Primo maggio e le idee socialiste a cui De Amicis era
approdato dopo essere stato militarista, monarchico e conservatore (Il
socialismo di Edmondo De Amicis. Lettura del "Primo maggio", Bertani, Verona
1983). La lettera che mi scrisse in quell'occasione anticipava le idee
sviluppate poi nel libro e conteneva fra l'altro questa frase significativa:
"Credo che tu mi conosca abbastanza per non sospettare che un leninista e
trotzkista (magari troppo testardamente leninista e trotzkista) come me sia
diventato all'improvviso un 'socialista deamicisiano'".
Credo che di lettere cosi' ne abbia scritte tante a tante persone.
Sebastiano era estremamente generoso nei rapporti di amicizia e se riceveva
una sollecitazione, fosse una lettera, una telefonata, la richiesta di un
parere o di un consiglio, si metteva a scrivere lettere di due, tre,
quattro, a volte anche cinque pagine a spazio uno.
Auguriamoci quindi che le sue lettere vengano raccolte e pubblicate un
giorno non lontano. Sono convinto che il suo epistolario rivelera' una
ricchezza straordinaria di temi disciplinari, ma anche morali, politici e
filosofici. Sebastiano ha avuto, fra i tanti, un rapporto lungo e intenso,
di grande amicizia, con Cesare Cases, conosciuto a Pisa negli anni '50. E
poiche' anche Cases e' un epistolografo eccelso, il carteggio
Timpanaro-Cases, se e quando potremo leggerlo, sara' di enorme interesse e
ricchezza [Il carteggio Cases-Timpanaro e' stato poi pubblicato: Cesare
Cases - Sebastiano Timpanaro, Un lapsus di Marx. Carteggio 1956-1990, a cura
di Luca Baranelli, Edizioni della Normale, Pisa 2004 - ndr].
*
- "Una citta'": La sua scrittura com'era?
- Luca Baranelli: Questa sua grande dottrina, cultura e capacita' di
penetrazione si manifestava nella pagina in maniera estremamente diretta e
precisa con una "prosa scientifica" che si puo' definire classica. Scriveva
senza fronzoli e abbellimenti retorici, in uno stile asciutto e denso.
Leggere i suoi saggi era sempre un piacere anche se, spesso, un lettore come
me perdeva tante cose, tanti riferimenti. Erano naturalmente testi che
andavano in qualche modo studiati, ma anche leggendoli da profani il
godimento intellettuale che se ne ricavava era grande.
*
- "Una citta'": Il lapsus freudiano, che prima e' stato citato, e' un libro
molto particolare, descritto da alcuni come un capolavoro e ignorato pero'
da tutti gli addetti ai lavori...
- Luca Baranelli: Quando Timpanaro pubblico' il suo saggio sul lapsus
freudiano, esso fu sostanzialmente ignorato da quasi tutti gli
psicoanalisti, o da chiunque avesse rapporti professionali o di conoscenza
approfondita con la psicoanalisi. Per noi fu un enorme piacere leggerlo,
perche' c'imparavamo tante cose e perche' la lettura ci convinceva,
divertiva e avvinceva e ci faceva capire qualcosa della filologia. Al metodo
della psicoanalisi, in particolare sul problema del lapsus, lui affiancava o
addirittura sostituiva - mi esprimo in modo un po' approssimativo e potrei
dire anche cose inesatte - gli strumenti e la metodologia della filologia.
Sebastiano fu molto dispiaciuto del fatto che quasi nessuno prese in
considerazione il suo libro; di questo si dolse molto, e ricordo che agli
amici diceva: "Ho scritto questo libro perche' speravo di suscitare una
discussione, per esempio con uno come Cesare Musatti...": stimava Musatti
per ragioni sia scientifiche sia politiche, perche' come lui era stato un
militante del Psi, e Sebastiano era molto attento anche a questi aspetti di
appartenenza, di militanza. Ma anche il vecchio Musatti, al quale aveva
mandato il libro, credo che gli rispose con due righe di circostanza, ma nel
merito non si dette neanche la pena di entrare. Ci fu un'eccezione
significativa che, sia pure a distanza di tempo dalla pubblicazione del
libro, rallegro' molto Sebastiano: quella di Giovanni Jervis, forse l'unica
personalita' di rilievo dell'ambiente psicoanalitico italiano che gli
manifesto' il suo consenso: nel convegno Sull'interpretazione. Ermeneutica e
testo letterario svoltosi a Siena nel 1987, egli espresse un giudizio
decisamente favorevole sul Lapsus freudiano. Non so se a quell'epoca Jervis
praticasse gia' la psicoanalisi; era comunque uno psichiatra di vasta
cultura teorica che aveva fatto parte sia dell'equipe di Franco Basaglia sia
della redazione di "Quaderni piacentini". Sebastiano ebbe molta piu'
soddisfazione dall'estero, e soprattutto dagli inglesi, che erano forse meno
provinciali, estranei alla logica dei compartimenti stagni italiani, e
pronti a cogliere l'importanza di quel suo contributo. Timpanaro pubblico'
addirittura sulla principale rivista della sinistra inglese, la "New Left
Review" (il direttore Perry Anderson era legato a Sebastiano da stima e
amicizia), prima che in Italia, su una piccola rivista culturale che usciva
a Livorno, una risposta alle obiezioni e alle critiche, poche per la
verita', che erano state mosse al suo libro.
Ho saputo recentissimamente che sul Lapsus freudiano, ma non solo su quello,
Sebastiano ebbe nel corso degli anni '70 un intenso e prolungato carteggio
con Francesco Orlando, uno studioso del quale - pur nel dissenso - egli
aveva la massima stima, autore fra l'altro del libro Per una teoria
freudiana della letteratura. E' facile supporre che anche tale carteggio sia
di straordinario interesse teorico.
Sebastiano spesso s'illudeva, perche' credeva sul serio nel dibattito delle
idee; d'altra parte, anche il suo fondamentale saggio Considerazioni sul
materialismo, che usci' su "Quaderni piacentini" nel 1966, sollecito' al
dibattito solo alcuni studiosi piu' giovani - Francesco Ciafaloni, Paolo
Cristofolini e altri - ma i grossi calibri della filosofia italiana,
compresi i marxisti, lo snobbarono. Un accenno negativo allo strutturalismo,
contenuto in quel saggio, riusci' invece a suscitare le osservazioni e le
obiezioni di due autorevoli linguisti, Giulio Lepschy e Tullio De Mauro, ai
quali Timpanaro rispose nel lungo scritto Lo strutturalismo e i suoi
successori. Ancora nel gennaio del '97, concludendo la prefazione -
intitolata Venti anni dopo - alla terza edizione di Sul materialismo
(Unicopli, Milano 1997) avrebbe scritto: "Non sara' certo la ripubblicazione
di questo mio vecchio libro a smuovere le montagne: non ho cosi' folli
ambizioni senili. Mi accontenterei (...) se qualcuno lo leggesse e poi,
magari, lo discutesse anche aspramente. Ho sempre pensato che le
stroncature, quando non si riducono a invettive generiche, facciano bene
alla salute dei libri: quello che davvero li uccide e' il silenzio".
*
- "Una citta'": Veniamo all'esperienza dei "Quaderni piacentini".
- Luca Baranelli: Tornando a questi nostri rapporti, credo di poter dire che
l'amicizia e la vicinanza s'intensificarono nel momento aureo dei "Quaderni
piacentini", che comincia fra il '63 e il '65. Sicuramente furono
Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi ad andare a Firenze a conoscerlo:
nacque tra loro un'autentica, duratura amicizia e Sebastiano s'impegno'
molto nella collaborazione con la rivista, dove pubblico' il primo saggio
sul materialismo, divenuto poi il nucleo del suo libro del 1970, e altri
scritti, ad esempio quello su Engels. Piergiorgio mi ricordava che in quel
periodo, dai primi anni '60 in poi, Sebastiano, quasi a ogni numero che
usciva, immediatamente, appena gli arrivava, lo leggeva tutto e poi scriveva
una lettera con i suoi commenti.
Con Grazia e Piergiorgio egli ebbe un'amicizia veramente intensa, nutrita di
affetto e ovviamente anche di grande stima reciproca. Moltissime volte mi ha
scritto e parlato di quanto loro fossero intelligenti e capaci nel riuscire
a fare una rivista cosi' vivace e cosi' letta dai giovani, e non solo dai
giovani, radunando forze anche diverse, magari contrastanti dal punto di
vista politico.
Sebastiano era convinto che i veri artefici della riuscita di questa rivista
fossero loro. Pensava che con l'allargamento del comitato redazionale,
dovendo per forza mediare di piu' e tener conto delle esigenze di questo e
di quello, la rivista avrebbe perso mordente e iniziato a decadere; secondo
lui la diarchia di Piergiorgio e Grazia era perfetta. L'ha detto e scritto
piu' volte, che provava nostalgia per la rivista quando era fatta solo da
loro due. Per citare le sue parole, in un breve ricordo di Grazia del 1998,
rimasto inedito, Sebastiano scriveva: "Io cominciai a ricevere la rivista
dal numero 13 (novembre-dicembre 1963), mi abbonai, conservo ancora tutti i
fascicoli. Li ho riletti adesso, e mi si e' riconfermata l'opinione che
avevo gia' da tempo: il periodo migliore della rivista fu il primo, quello
in cui la diressero da soli quei due giovani, Piergiorgio Bellocchio e
Grazia Cherchi (il nome di Grazia compare come condirettrice per la prima
volta nel fascicolo di maggio-giugno del '64, ma essa vi aveva lavorato fin
dall'inizio). Quante volte si e' detto - a proposito della direzione di una
rivista, di un partito, di uno stato - che l'optimum e' la collegialita'? In
linea di massima anch'io l'ho sempre pensato e mi guarderei dal negarlo.
Eppure sono convinto che i "Q.P." abbiano rappresentato un'eccezione. Il
massimo d'intelligenza, di anticonformismo, di liberta' di discussione senza
per questo cadere nell'eclettismo fu raggiunto in quel primo periodo
(includo in esso anche la fase in cui si aggiunse alla direzione Goffredo
Fofi, che si occupo' specialmente di cinema)".
A questo si aggiunga che Sebastiano considerava Piergiorgio Bellocchio uno
scrittore eccellente; gli diceva, e diceva agli amici comuni, che avrebbe
dovuto scrivere di piu', che era l'unico moralista che valesse la pena di
leggere in Italia.
La stima, la solidarieta' e la collaborazione che lui ha sempre manifestato
a Grazia e Piergiorgio per l'impresa cosi' felice di questa rivista, sono
state sempre costanti. E poi erano davvero legati da grande affetto...
La morte di Grazia, nell'estate del 1995, fu per Sebastiano un dolore
enorme.
*
- "Una citta'": Il '68 lui come l'ha vissuto?
- Luca Baranelli: L'ha vissuto con grande simpatia, e tuttavia, mi pare,
anche con una certa distanza, non solo generazionale. Sebastiano non era
certo il tipo da mettersi a civettare con gli aspetti piu' folcloristici,
piu' esteriori del movimento; e soprattutto, pur non avendo ovviamente nulla
a che fare con i gruppetti e i partitini marxisti-leninisti, era piuttosto
diffidente nei confronti dello spontaneismo a oltranza. Credo che, prima del
'68, Sebastiano fosse stato abbastanza vicino ai giovani pisani che avevano
costituito il Potere operaio di Pisa (puo' darsi che io associ
impropriamente a quel gruppo pisano anche persone che non vi parteciparono,
ma spero che non me ne vogliano per questo): Luciano Della Mea, che era
l'unico della sua generazione, Paolo Cristofolini, Romano Luperini, Franco
Petroni, Gian Mario Cazzaniga, Adriano Sofri, Gianfranco Ciabatti (di
Ciabatti, intellettuale militante e poeta, che lavorava anch'egli
nell'editoria, alla Sansoni di Firenze, morto prematuramente pochi anni fa,
aveva una grande stima). Poi le storie politiche si erano divise.
Sebastiano, se non sbaglio, scrisse qualche articolo per "Nuovo impegno",
rivista politico-culturale dei pisani, anche se continuava a privilegiare i
"piacentini". Era sempre disposto a collaborare e a intervenire. Grazie alla
sua capacita' d'inquadrare l'attivita' politica in una prospettiva storica,
riusciva sempre a capire e a cogliere, anche nel vivo di una situazione in
atto, gli antecedenti, le matrici o le ispirazioni ideologiche anche remote.
E cosi', anche quando era diffidente, per esempio verso lo spontaneismo di
Lotta continua, che gli era sostanzialmente estraneo come pensiero, capiva
che il movimento non si limitava a questo aspetto e quindi manteneva un
atteggiamento solidale, di collaborazione e di simpatia.
*
- "Una citta'": Come si potrebbe definire la sua posizione?
- Luca Baranelli: Si dichiarava marxista, sia pure sui generis, come del
resto ogni marxista che abbia pensato e detto qualcosa di originale e di
nuovo. Dal punto di vista teorico, metteva praticamente sullo stesso piano
il pensiero di Marx e quello di Engels; dal punto di vista politico si
considerava un leninista antistalinista: aveva scarsa simpatia per Mao e il
maoismo occidentale, e aveva invece una grandissima ammirazione per Trotsky,
per il suo pensiero e la sua azione durante e dopo la rivoluzione russa.
Questo suo personalissimo trotskismo non l'ha mai nascosto, anzi lo ha
manifestato in piu' occasioni, lamentando la scarsa attenzione della
sinistra italiana (anche quella dei "piacentini") per Trotsky. Uno dei
requisiti primari di una vera politica di sinistra "anticapitalistica" -
Sebastiano usava spesso quest'aggettivo, come pure l'espressione "estrema
sinistra", oggi considerati impronunciabili, se non addirittura blasfemi -
era per lui l'esercizio costante della democrazia socialista. A un certo
punto, mi pare nel libro sul materialismo, si e' definito
"marxista-leopardista". Oltre a non farsi nessuna illusione sulle
"magnifiche sorti e progressive" dell'umanita', era convinto che il pensiero
filosofico di Leopardi, dei Canti, delle Operette e dello Zibaldone, fosse
un reale arricchimento teorico per il marxismo, o almeno per il marxista che
lui era. Mi rendo conto che sto semplificando e banalizzando il suo
pensiero, che era in proposito assai piu' complesso, ramificato e
strutturato di quanto possa apparire da poche frasi generiche. Vorrei
percio' citare testualmente alcune sue frasi, tratte dalla bellissima
Introduzione all'edizione del De divinatione di Cicerone (Garzanti, Milano
1988): "Cicerone... senti' fortemente... 'íinflusso di Teofrasto.
Nell'etica, Teofrasto aveva sentito... un salutare bisogno di antiascetismo,
di consapevolezza della dipendenza dell'uomo dai beni e dai mali 'esterni',
di assenza di boria filosofica, in contrasto con lo spirito predominante
nelle filosofie ellenistiche... La virtu' rimane sempre il bene piu' alto,
ma vi sono felicita' (salute, agiatezza) e infelicita' (malattie, poverta')
che non possono essere dichiarate inesistenti nemmeno dal saggio... Anche il
saggio e' un uomo e ha un corpo (e l'anima stessa non e' del tutto autonoma
dal corpo). In cio', come ben vide Giacomo Leopardi, Teofrasto fu piu'
veracemente materialista e edonista di Epicuro; e forse, dopo millenni di
speculazione filosofica, non ha ancora vinto del tutto la sua battaglia".
*
- "Una citta'": Ma aveva una grande passione anche per la politica
militante?
- Luca Baranelli: Dopo la scissione del Psi, s'iscrisse al Psiup. Chi l'ha
conosciuto nelle sezioni del Psi e poi del Psiup, a Pisa e a Firenze,
ricorda che frequentava la sezione, interveniva nei dibattiti, insomma
faceva la vita di un militante di base di una sezione del Psi degli anni
'50-'60. Mi pare di ricordare che in sezione giocasse anche a scopone con i
compagni. Alla fine degli anni '50, quando nel Psi si manifestarono e
cristallizzarono le correnti, Sebastiano aveva aderito alla corrente di
Lelio Basso; poi, pero', negli anni successivi, Basso lo aveva abbastanza
deluso. Comunque non fu mai un settario: per fare un solo esempio, e' nota e
documentata l'alta considerazione che aveva per la figura di un socialista
riformista come Giacomo Matteotti. E direi che col passare degli anni si e'
sempre piu' allontanato dalla milizia attiva nei partiti, pur continuando a
seguire con grande attenzione e partecipazione tutto quello che succedeva
nella sinistra, in Italia e nel mondo.
*
- "Una citta'": Mi accennavi anche alle sue ultime posizioni, di opposizione
radicale agli interventi militari come quello nel Kossovo...
- Luca Baranelli: La sua opposizione agli interventi militari degli ultimi
dieci anni, in Irak e in Kossovo, era fin troppo scontata. Ma non vorrei
parlare di questo, anche perche', pur sapendo perfettamente come la pensava
in proposito, con lui ne ho discusso troppo poco. Sul suo antimiltarismo ho
invece un ricordo personale, che riguarda anche mio padre. Con lui
Sebastiano, almeno fino al 1983, ebbe rapporti abbastanza frequenti. Mio
padre andava spesso alla Nuova Italia perche' era un vecchio amico di
Calamandrei e del gruppo del "Ponte": ci andava per salutare gli amici o per
comprare qualche libro, ma soprattutto, col passare degli anni, ci andava
perche' c'era Timpanaro. E spesso Sebastiano mi scriveva o mi diceva: "Ho
visto tuo padre, abbiamo parlato molto, mi ha fatto ridere, e' un uomo
simpaticissimo". Ricordo con piacere che diceva: "Tuo padre e' una persona
straordinaria perche', fra gli uomini della sua generazione, e'
difficilissimo trovarne uno che abbia fatto la prima guerra mondiale e
ricordi quell'esperienza con orrore e indignazione. Se ci fai caso, quasi
tutti quelli della sua generazione o con qualche anno di piu', come per
esempio anche Calamandrei, erano interventisti".
In effetti e' impressionante notare come il cosiddetto "interventismo
democratico" sia stato una malattia che ha colpito moltissimi uomini di
cultura, per non parlare dell'interventismo che poi e' diventato fascismo.
(Naturalmente ci sono le eccezioni, come quella di Palazzeschi). Anche tra i
padri nobili della democrazia italiana, l'interventismo nella prima guerra
mondiale ha fatto strage; e Sebastiano apprezzava moltissimo che una persona
normale come mio padre, che non era un grande intellettuale, ma ne aveva
conosciuti e frequentati molti, avesse questa posizione di totale ripulsa e
schifo della guerra. Bisogna dire che mio padre si era fatto quattro anni di
guerra da soldato semplice, anche in trincea; e che suo fratello, a diciotto
anni, vi aveva perso tutte e due le gambe per congelamento. Ovviamente
queste sono cose che contano; e Sebastiano, da buon materialista, le capiva
meglio di altri.
*
- "Una citta'": Torniamo al suo lavoro di filologo. Il riconoscimento almeno
per quello l'ha avuto?
- Luca Baranelli: Della comunita' scientifica internazionale l'ha senz'altro
avuto. Lui era ed e' considerato il migliore allievo di Giorgio Pasquali, un
grandissimo filologo, e insieme con Mariotti un latinista sommo. Se non
avesse avuto le difficolta' di rapporto con un uditorio numeroso gia'
ricordate e avesse avuto un po' di ambizione, avrebbe potuto insegnare non
solo in Italia, ma anche in Germania, in Inghilterra, in Svezia,
dappertutto. La sua autorita' e notorieta' scientifica (trasmessa dalle
riviste, e Sebastiano, anche se di questo non so molto, collaborava a tutte
le principali riviste filologiche) erano indiscusse nel mondo. Da questo
punto di vista, il fatto di non essere nell'universita' non esclude il
riconoscimento nella comunita' scientifica nazionale e internazionale. Si sa
che Scevola Mariotti, che e' morto un anno fa, aveva una stima sconfinata
per Sebastiano; con Antonio La Penna ha avuto un rapporto intensissimo che
solo in anni recenti si era un po' allentato; si sa anche della
considerazione che aveva avuto di lui Fraenkel, il grande filologo tedesco.
Non ci sono dubbi, quindi, che abbia avuto i massimi riconoscimenti per la
sua lunga e intensa attivita' di filologo classico e di latinista, compreso
il Premio Antonio Feltrinelli nel 1995 per la filologia e la linguistica.
Quando "sconfinava" nella filosofia o nella politica, o conduceva le sue
battaglie culturali contro la moda strutturalistica o semiotica, trovava
poco ascolto e poca considerazione. Avvertiva nei filosofi, nei linguisti o
negli psicoanalisti ai quali si rivolgeva una sorta di fastidio per queste
sue incursioni in campi da cui secondo loro avrebbe dovuto tenersi lontano;
e lui naturalmente, per quanto uomo modesto, era consapevole di dire cose
che dovevano essere prese in considerazione, o almeno dibattute. Il fatto
che spesso non fossero ne' discusse ne' contestate gli dispiaceva, ma non
perche' tenesse a un qualche riconoscimento personale - di quello non gliene
importava assolutamente nulla - ma perche' voleva che le idee diverse si
confrontassero.
Pinuccia Magnaldi, un'amica torinese, latinista e filologa che ha conosciuto
bene Timpanaro, che ha avuto con lui scambi intensi di lettere e consigli,
mi diceva che la sua introduzione al De divinatione di Cicerone, che anch'io
avevo letto come puo' leggerla un profano, e' un testo mirabile, quanto c'e'
di meglio per capire la filosofia di Cicerone. Eppure del De divinatione
Sebastiano diceva che e' un'edizione "divulgativa"; in una Nota alla
ristampa corretta del 1998 precisava comunque che aveva mantenuto "il
carattere di edizione seriamente divulgativa (anche se, spero, non del tutto
inutile nemmeno agli specialisti)". Nella sua modestia tendeva a minimizzare
i suoi lavori, come quando ha scritto, nella Prefazione a Contributi di
filologia e di storia della lingua latina (Edizioni dell'Ateneo, Roma 1978):
"Questi si potrebbero chiamare gli 'scritti minori' di un filologo che non
ha al suo attivo 'scritti maggiori'". Ma appena si cercano verifiche o
riscontri specifici, si ha la conferma che era uno studioso eccezionale. Noi
abbiamo conosciuto, amato e apprezzato di piu' l'uomo politicamente
impegnato, appassionato alle sorti dell'Italia e del mondo, l'amico che
s'interessava della nostra salute e del nostro lavoro, pero' bisogna stare
attenti a non ridurre Timpanaro a questo. Era un grand'uomo anche perche'
nella sua disciplina, nelle sue discipline, ha lasciato un'impronta
fondamentale.
*
- "Una citta'": Gli ultimi anni sono stati tristi?
- Luca Baranelli: Nei decenni in cui ci siamo scritti, parlati di persona o
per telefono (perche' con lui c'era anche questo modo di comunicare: al
telefono si poteva parlare e farlo parlare anche un'ora, di tutto) e' sempre
stato molto partecipe, attento alle vicende del mondo anche se sempre piu'
isolato, sempre piu' angosciato per quello che succedeva. Aveva una
sensibilita' acutissima sia per il degrado crescente della natura e del
pianeta sia per la decadenza del corpo e della salute degli umani. Parlava
molto delle condizioni di salute proprie, dei parenti e degli amici; la
morte di amici e conoscenti lo angosciava sempre. Pur non essendo un
militante ecologista, aveva un'altissima consapevolezza che il mondo puo'
andare alla rovina anche per il disprezzo e la noncuranza degli uomini, per
sete di profitto.
Era convinto che capitalismo e degrado ambientale sono inscindibili. Negli
ultimi anni era angosciato e disgustato dalla dissoluzione della sinistra e
dalla fine stessa della lotta politica. Secondo lui tutti, ormai,
sostenevano piu' o meno le stesse cose e non c'era piu' nessun punto di
riferimento possibile: la sinistra aveva sostituito alla lotta
anticapitalistica la lotta contro "un solo capitalista".
Quest'isolamento era doloroso per lui e anche per gli altri, per chi non
poteva avere con lui il dialogo e la discussione degli anni precedenti;
pero' non gli impediva di dire verita' che quasi nessun altro diceva piu',
se non per ragioni strumentali o di propaganda. I suoi anatemi
anticapitalistici e antimperialistici, secondo me, proprio perche'
pronunciati da lui, avevano piu' forza, che so, delle denunce di
Rifondazione. Anche se da moltissimo tempo non militava piu' nei partiti,
non ha mai passato sotto silenzio i fatti della politica nazionale e
internazionale che lo indignavano e confermavano le ragioni del suo impegno.
Le sue parole, anche quando si sono diradate e affievolite, sono sempre
state estremamente precise, "essenziali"; il suo modo di dire le cose era
diretto; e il timbro della sua voce e' sempre stato personale, unicamente
suo: penso, spero, che questo lo si potra' apprezzare meglio dalle sue
lettere, e dalle testimonianze delle persone che, soprattutto a Firenze, gli
sono state piu' vicine negli ultimi tempi.
In questi ultimi anni non era facile incontrarsi con lui e parlare, se non
per telefono. Io sono tornato a Siena nel '94, pero' direi che ho avuto con
Sebastiano rapporti molto piu' frequenti e intensi prima, quando stavo a
Torino. Ma questo non riguarda solo me: non credo che l'amicizia fosse
diminuita, era una sorta di sua progressiva sfiducia che prendeva il
sopravvento. Lui credeva molto a una comunita' di lotte, di obiettivi, al
fare politica insieme e questo era completamente venuto meno nell'ultimo
decennio. E tuttavia, per cio' che riguarda i suoi studi e interessi
disciplinari, sapevo da un amico, un giovane ricercatore senese che
frequenta l'Istituto di filologia classica dell'Universita' di Firenze, che
anche in questi anni di progressivo isolamento Sebastiano, quando poteva,
andava la' perche' li' arrivano le riviste, arrivano le novita', arrivano i
libri da tutto il mondo, e lui ci andava per leggere, per documentarsi e
aggiornarsi perche' voleva scrivere un pezzo, che poi scriveva.
Una delle cose piu' straordinarie, se si pensa che era nato nel '23, e' che
fino all'ultimo, fino alle ultime telefonate, quando forse cominciava a
stare veramente male, mi ha sempre detto: "Non riesco quasi piu' a
studiare", "non riesco neanche piu' a studiare, riesco appena a leggere il
giornale". "Non riesco piu' a studiare": come avrebbe potuto dire un giovane
ricercatore. Per lui, ovviamente, lo studio e la ricerca non finivano mai;
ed erano anche ossigeno, mezzo per sopravvivere. Ha avuto pero' anche la
fortuna di avere vicino a se' Maria Augusta, una compagna intelligente,
attenta e amorevole...
Negli ultimi tempi, quando lo sentivo al telefono, mi parlava spesso di guai
fisici. Pur soffrendo sempre di agorafobia, aveva superato un periodo di
depressione. Ma anche quando stava meglio, era difficile trovarlo sereno.
Invece di accalorarsi come prima, esprimeva con amarezza la sua rassegnata
disperazione per come andavano le cose in Italia e nel mondo. Nella politica
inestricabilmente legata al potere e agli affari, nell'Italia delle
televisioni e dei giornali, Sebastiano non si riconosceva piu': tutto gli
faceva schifo. Voglio leggere, per concludere, quello che mi scrisse diversi
anni fa, quando, dovendo aggiornare per Il materiale e l'immaginario della
Loescher una scheda bio-bibliografica su di lui, gliene avevo mandato una
bozza perche' mi segnalasse eventuali inesattezze e modifiche. Mi rispose il
28 dicembre del 1992 con questa lettera brevissima, una delle ultime che ho
ricevuto da lui: "Caro Luca, ecco, ti restituisco il mio curriculum riveduto
e corretto. Ma per arrivare a quest'epoca maledetta, forse la peggiore della
storia umana, valeva la pena di studiare? Era meglio non nascere! Il '93
sara' un anno pessimo. Ti faccio tuttavia i migliori auguri personali per
Fiamma (che spero in condizioni di salute discrete) e per te. Un abbraccio,
anche da Maria Augusta. Sebastiano". Credo che negli otto anni successivi
questo stato d'animo cosi' angosciato non sia cambiato.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 65 del 19 marzo 2006

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