La nonviolenza e' in cammino. 1272



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1272 del 21 aprile 2006

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace: Come volevasi dimostrare
2. Severino Vardacampi: Le elezioni di Baskerville
3. Cindy Sheehan: Non attaccate l'Iran
4. Contro tutti i terrorismi
5. Margot Badran: Femminismo islamico
6. Enrico Peyretti: Costituzione
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: COME VOLEVASI DIMOSTRARE
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. Nelle elezioni
politiche del 9-10 aprile 2006 e' stata eletta senatrice. La maggior parte
degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani
e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il
futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo.
Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento
politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia
Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza
sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara
Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il
papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna,
Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto
Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004]

Come volevasi dimostrare: Berlusconi - dopo cinque anni di governo
incontrastato per maggioranza ampia quanto mai successe nella storia
repubblicana, con tutte le televisioni che voleva, una stampa non
particolarmente eroica e indipendente, una condotta del tutto spregiudicata
della campagna elettorale e un calcolo molto attento dell'intrico dei tempi
del cosidetto "ingorgo istituzionale" - non vince e si dimostra incapace di
governare l'Italia; pero' nel contempo e' in grado di rendere quasi
impossibile a chicchessia di farlo al suo posto. Lo stallo politico e'
grande.
A questo punto se il centrosinistra non sa ritrarsi dalle sue meschine
logiche di concorrenza interna e di manuale Cencelli, allora l'Italia e'
davvero un paese sull'orlo della crisi di nervi. Sto per dire che
addirittura, per dimostrare indifferenza agli equilibrismi, non mi
spiacerebbe che - a parte Prodi, indicato dall'elettorato stesso come laeder
della coalizione che ha vinto - tutti gli altri fossero sorteggiati, dato
che la sorte per pure ragioni statistiche forse tirerebbe su anche qualche
nome di donna, mentre per intanto non se ne vede o sente nemmeno mezzo,
vergogna!
Non so che cosa dobbiamo ancora fare: mi aspetto che sara' fatto appello al
nostro ben noto senso di responsabilita', al nostro non meno noto spirito di
servizio, alla nostra eterna capacita' di sopportazione di mariti figli
suocere nuore e cognate, sicche' persino i nostri colleghi parlamentari
dovrebbero essere da noi sopportabili.
*
Cominciamo a dire che non e' cosi' e che in ogni modo non rinuncero' a far
presente per iscritto e a divulgare le richieste che intendo avanzare, dopo
averle confrontate con le colleghe e compagne elette.
Ne ho accennato in alcuni primi dibattiti di bilancio elettorale e politico
e trovo approvazioni. Una elezione cosi' risicata ha bisogno del consenso
attivo, attivato, richiesto, organizzato, canalizzato con apposite forme di
espressione, degli elettori e delle elettrici, non certo di una corte di
uomini ben troppo visti e venuti a noia al mondo intero, che si parlano
addosso: serve intanto una buona analisi del voto per sapere quali
sommovimenti sono avvenuti.
Ad esempio le donne erano fino alle ultime elezioni le piu' astensioniste,
forse rispondono poco agli exit poll, forse il campione scelto era poco
equilibrato dal punto di vista del genere; causa dell'astensione era
considerata una politica astratta e litigiosa e virtuale che non ci
interessa molto mentre siamo alle prese con problemi concreti pesanti e
urgenti: e' successo qualcosa? l'aumento dei voti viene dalle donne, e da
quali? si e' spostata a destra una parte considerevole dell'elettorato
femminile, per paura del peggio? per paura dei "comunisti"? e in cio' ha
pesato la pressione della chiesa?
Si e' anche palesata una corrente di donne che si sposta coscientemente
dall'astensione a sinistra anche sulla base di candidature femminili
significative. Se e' cosi', che cosa si pensa di fare per intercettare
questa corrente e favorire la sua capacita' di discorso verso le altre
donne? Femministe, donne delle associazioni, del movimento, soprattutto del
sindacato, dopo "Usciamo dal silenzio" si sono decise a votare il
centrosinistra e si sono dette molto interessate a stabilire una relazione
politica autonoma e libera, ma stretta, con le elette, per rimanere attive e
costruire (e' la prima volta che succede) una relazione tra movimento e
donne che stanno anche nelle istituzioni.
*
Il centrosinistra finora non ha nemmeno trovato il tempo per ringraziare
elettori ed elettrici per il risultato, ottenuto spesso piu' per decisione
degli stessi che per abilita' nostra. Stanno ad aspettare improbabili e del
resto inutili telegrammi tra loro (per una volta ha persino ragione
Berlusconi che dice essere quella un'abitudine americana che non si e' mai
vista da noi: e' vero, non ricordo Togliatti e De Gasperi che si mandano
telegrammi di reciproco riconoscimento). Ma un minuto per dire grazie non lo
trovano?
C'e' una espressione nel mio dialetto nativo che e' "scoeur", scuore,
scoramento, caduta del coraggio, sentimento di delusione e perdita di voglia
di fare: a me non capita, perche' sono una testa durissima, ma non mi
meraviglierei che ad altre/i  invece venisse lo "scuore".

2. EDITORIALE. SEVERINO VARDACAMPI: LE ELEZIONI DI BASKERVILLE

Forse non sara' inopportuno che un vecchio barbogio scriva qui tre cosucce,
e le scriva chiare e tonde.
*
Le elezioni politiche eleggono i membri del parlamento, non i capi di
governo: la finzione della scelta diretta del premier da parte del corpo
elettorale e' solo una scelleraggine golpista cui anche il cosiddetto
centrosinistra si e' adeguato dal '96 in qua nella sua sostanziale crescente
subalternita' a questo che e' un vecchio progetto sia del partito
neofascista sia della P2.
Poiche' si eleggono i membri del parlamento il risultato della consultazione
elettorale si esprime non in altro che in attribuzione di seggi alla Camera
e al Senato.
Che la legge elettorale attualmente in vigore sia un'aberrazione e meriti di
essere abrogata al piu' presto e' cosa di dominio pubblico, ma con essa si
sono svolte le elezioni politiche del 9-10 aprile 2006 ed e' invero bizzarro
che proprio coloro che tale legge hanno spavaldamente imposto ora si lagnino
dei risultati conseguenti alla sua applicazione.
E i risultati sono che al Senato sono stati eletti in maggioranza, sia pur
di strettissima misura, i candidati presentatisi nelle liste della
coalizione del cosiddetto centrosinistra; ugualmente alla Camera, ove il
premio di maggioranza attribuito sulla base del collegio unico nazionale - e
non su base regionale come per il Senato - enfatizza la differenza, hanno
vinto, sia pure di poche decine di miglaiia di voti, i candidati delle liste
della coalizione del cosiddetto centrosinistra. Tutto qui: la coalizione del
cosiddetto centrosinistra ha vinto sia al Senato che alla Camera - sia pure
di un soffio, ma ha vinto in entrambi i rami del Parlamento.
Che adesso, a bocce ferme e a risultati proclamati, chiunque abbia da
eccepire sull'esito del voto possa adire tutte le forme di verifica e
controllo previste dalla legge, e' cosa buona e giusta; ma fino a prova
contraria i risultati sono validi e il Parlamento e' composto da quanti
sulla base dei risultati accertati sono stati legittimamente eletti.
Quando poi il Presidente della Repubblica attribuira' l'incarico di formare
il governo, e il governo si formera' e si presentera' alle Camere, ebbene,
allora si vedra' se esso avra' la maggioranza dei voti dei membri del
Parlamento.
E questo sul piano, come dire, aritmetico, e tecnico-giuridico.
*
Poi c'e' il piano politico.
Anche se il ceto politico e il sistema dei mass-media hanno fatto di tutto
per nasconderlo (trovando anche una sconcertante complicita' in vasti
settori dell'intellettualita' diffusa, quell'opinione pubblica composta da
chi avendo accesso a consistenti livelli di benessere puo' permettersi di
amabilmente conversare mentre sempre piu' esseri umani sono trascinati nella
poverta', nell'umiliazione, nella sofferenza, nella paura, nella morte), il
nocciolo di queste elezioni era la vittoria o la sconfitta del colpo di
stato pianificato e in corso d'opera da parte del blocco berlusconiano (e
intendiamo dire, gramscianamente, del blocco storico di cui e' stato
espressione il governo Berlusconi).
Golpe bianco che aveva gia' raggiunto uno stadio assai avanzato con la
recente legge che faceva a pezzi la Costituzione della Repubblica Italiana e
che sara' oggetto tra alcune settimane di un referendum decisivo per la
democrazia, la legalita' e la liberta' nel nostro paese, non meno delle
elezioni appena concluse.
E se sul piano dell'attribuzione dei seggi il risultato del voto e' stato di
una prevalenza di stretta misura del cosiddetto centrosinistra rispetto alla
coalizione berlusconiana, sul piano politico il risultato e' invece di una
evidenza palmare: il progetto golpista berlusconiano e' stato sconfitto.
Tutto qui.
Ed e' stato sconfitto nonostante l'astuta gestione della campagna elettorale
da parte di Berlusconi e dei suoi infiniti complici (gerarchi del cosiddetto
centrosinistra compresi), gestione che e' riuscita a distrarre l'attenzione
da cio' che era in gioco spostandola altrove, su argomenti di gran lunga
meno rilevanti come l'arte dell'ingiuria, o certe brillanti trovate come
quella sull'Ici (che peraltro e' tassa ragionevolmente abolibile per la
prima casa, e il cui mancato introito effettivamente surrogabile con diversa
fonte).
Consapevole o meno che fosse la gran parte del corpo elettorale della posta
realmente in gioco, il progetto berlusconiano e' stato sconfitto dal voto
popolare. Amen.
*
Ma il fatto che il voto abbia sancito la secca sconfitta del golpe
berlusconiano, non significa automaticamente che esso abbia espresso una
netta vittoria del fronte democratico.
Anche perche' il fronte democratico e' stato appunto un fronte, inclusivo di
soggetti assolutamente eterogenei, ed ha avuto come referente elettorale
obbligato liste bloccate e dirigenze di partiti in gran parte peggio che
discutibili.
E qui non diciamo delle liste inventate per sedurre la parte piu' beota
dell'elettorato (esiste anche quella, anche quella vota avendone pieno
diritto; cosi' come del resto esitono anche i mascalzoni e anch'essi votano
avendone pieno diritto), ma delle liste maggiori.
Poiche' la coalizione cosiddetta di centrosinistra ha candidato in posizioni
dominanti - imponendone quindi l'elezione - anche non pochi personaggi che
non vorremmo certo incontrare in un vicolo di notte: bombardieri e
squadristi, ladroni di lungo corso e pagliacci per tutte le stagioni,
irresponsabili parassiti ed impenitenti totalitari, personaggi rotti ad ogni
corruttela, manutengolii, vassalli ed eredi del sistema di potere che ha
saccheggiato il nostro paese lungo mezzo secolo ed oltre, e - last but not
least - le camarille che incessantemente con il berlusconismo hanno cercato
il compromesso e trescato sottobanco.
Intendiamoci: sono state elette anche svariate brave persone, ed alcune
bravissime; e comunque almeno alcuni dei partiti del centrosinistra non sono
riducibili a fameliche clientele di dirigenze malversatrici (nella storia
della sinistra italiana ci sono pur stati Anna Kuliscioff e Giacomo
Matteotti, Piero Gobetti e Antonio Gramsci, i fratelli Rosselli e i fratelli
Cervi, Placido Rizzotto e Pippo Fava, Laura Conti e Giulio A. Maccacaro, e
Mario Tommasini che ci appena lasciato...); ed infine sia per necessita'
obiettiva, sia per interesse materiale, sia per mera ragionevolezza, la
maggioranza parlamentare dovra' pur esprimere un governo e svolgere
un'attivita' legislativa che ripristini la legalita' e la democrazia
abolendo almeno le leggi berlusconiane piu' spudoratamente criminali e
cirminogene.
Ma detto questo, c'e' ancora una terza cosuccia da dire. E diciamola dunque.
*
Ha chiarito una volta per sempre Norberto Bobbio che una democrazia si regge
su due pilastri: il pilastro delle leggi e delle istituzioni, e il pilastro
dei costumi e della cultura.
Per quanto attiene alle istituzioni e alle leggi, una volta salvata la
Costituzione antifascista col prossimo voto referendario, una volta
ristabilito il principio della separazione dei poteri, una volta riaffermato
il principio di legalita', una volta abolite le leggi piu' scellerate
imposte dal governo berlusconiano (ed anche alcune non meno scellerate
frutto dei governi precedenti), si potra' tornare a ragionare. Con un po' di
buona volonta', far piazza pulita almeno del peggio non sarebbe intrapresa
particolarmente ardua.
Sul versante dei costumi e della cultura invece sara' un impegno lungo e
faticoso; come ognuno intuisce, anni e anni di pervasivo rimbambimento, di
spasmodica esibizione di immoralita' fino a farne paradigma di affermazione
sociale, di promozione dell'ignoranza e della volgarita', di irrisione e fin
negazione di ogni decenza e di ogni sentimento civile, di corruzione
sfrenata e di abietta prostituzione di ogni bene e valore, ebbene, tutto
cio' ha scavato in profondita', e un risanamento, una riforma intellettuale
e morale non sara' un impegno lieve, ci vorra' uno sforzo tenace e protratto
(e proprio perche' si trattera' di un lungo lavoro, prima si comincia a
ripristinare il rispetto del vero e del giusto, l'amore del bene e del
degno, la serieta' e la misericordia, e meglio e').
Un segnale che si potrebbe e dovrebbe dare subito sarebbe quello di
stabilire subito la parita' di genere nelle cariche istituzionali e negli
incarichi governativi: meta' donne e meta' uomini; sarebbe un buon inizio, e
una riforma feconda e aggettante, di grande valore sia politico che
culturale. Alcune intellettuali ed alcuni movimenti femlministi anno
promosso un appello a tal fine: sarebbe interesse di tutte e di tutti che su
esso convergesse il consenso persuaso dell'intera parte democratica del
parlamento e del paese.
*
Ci attendono adesso due passaggi decisivi: le elezioni amministrative di
maggio; il referendum costituzionale subito dopo.
Le elezioni amminsitrative, consultazioni nelle quali solitamente il
cosiddetto centrosinistra ha risultati piu' favorevoli rispetto alle
elezioni politiche poiche' la potenza propagandistica berlusconiana e' per
ovvi motivi meno efficiente, possono notevolmente consolidare il risultato
delle elezioni politiche (e favorire anche qualche processo disgregativo
nella stessa coalizione berlusconiana e nella sua base di consenso
elettorale). Occorre quindi che esse siano considerate non solo negli
aspetti locali, ma anche nel loro valore politico nazionale complessivo: da
questo punto di vista esse sono prolungamento e verifica delle elezioni
politiche, ed e' essenziale che il fronte democratico sconfigga di nuovo il
blocco berlusconiano ed anzi incrementi lo scarto. Pertanto almeno chi
scrive quesate righe ritiene che in senso generale e globalmente occorre non
solo votare per le coalizioni cosiddette di centrosinistra anche nelle
elezioni amministrative ovunque possibile, ma anche sostenerle
esplicitamente, se non altro per le stesse identiche ragioni per cui
occorreva sostenere la coalizione cosiddetta di centrosinistra alle
politiche del 9-10 aprile. Fatta salva, come e' ovvio, una verifica caso per
caso, luogo per luogo.
Un'importanza particolare hanno le elezioni regionali siciliane: la vittoria
di Rita Borsellino e della coalizione che si e' riconosciuta nella sua
figura e quindi nel suo programma che ha al suo cuore la lotta contro la
mafia, e' decisiva: decisiva a livello nazionale ed internazionale.
Cosicche' da tutta Italia, come molte e molti hanno proposto, tutte le
persone di volonta' buona devono fare quanto in loro potere per sostenere la
campagna elettorale di Rita Borsellino in Sicilia: innumerevoli sono le cose
che si possono fare, a ciascuna e ciascuno di fare la propria parte.
E' inutile dire che se per sventura perdessimo il referendum sulla
Costituzione e venisse confermata la legge di riforma costituzionale
golpista, la stessa sconfitta berlusconiana alle politiche sarebbe
effettualmente revocata in dubbio; l'assetto istituzionale democratico
sarebbe squassato; si aprirebbe una fase politica confusa e convulsa i cui
esiti potrebbero essere catastrofici. E' imperativo (nel senso
dell'imperativo categorico kantiano) vincere il referendum, salvare la
Costituzione repubblicana.
Quindi nessun dorma, nessuno si adagi sui discutibili allori della risicata
vittoria del fronte antigolpista alle elezioni politiche, ma tutte e tutti
ci si impegni per le amministrative e per il referendum. Ci attendono un
paio di mesi di impegno intenso e concentrato, ed insieme occorre esercitare
la massima vigilanza democratica rispetto a possibili tentativi di
destabilizzazione eversiva da parte del blocco golpista.
*
Se tutto andasse nel migliore dei modi, se alla fine di giugno avessimo un
presidente della Repubblica decente, un governo democratico, un parlamento
rispettabile, una conferma della tenuta della democrazia nel voto
amministrativo, e soprattutto la conferma della Costituzione antifascista
come esito del referendum, allora, e  solo allora, si riaprira' la
prospettiva di una nuova e piu' limpida dialettica politica, e si aprira' lo
spazio per un'opera ad un tempo di chiarificazione e costruttiva nella
direzione di una sinistra nuova, una nuova sinistra responsabile e solidale,
antiautoritaria e antipatriarcale, libertaria e socializzatrice, dei diritti
e dei doveri, fondata sull'assunzione persuasa della scelta pienamente
consapevole della nonviolenza.
*
La scelta della nonviolenza: che non e' la pagliacciata o l'ideologia di
ricambio di cui cianciano i mascalzoni che se ne riempiono la bocca per
cercar di far dimenticare i loro sciagurati trascorsi sui quali hanno
costruito le loro presenti carriere. La nonviolenza di cui parlano costoro
e' il contrario della nonviolenza, e' vergogna ed infamia, e' ciancia e
ipocrisia, e' menzogna e corruttela, e' crimine e stoltezza.
Ben altra cosa e' la scelta della nonviolenza.
E' la scelta del rigore morale e intellettuale, la scelta del riconoscimento
di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani, la scelta della lotta
la piu' nitida e la piu' intransigente contro tutte le violenze e le
menzogne, la scelta della solidarieta' con l'umanita' intera.
La nonviolenza e' hic et nunc non solo l'eredita' di Gandhi e di King, di
Capitini e di Dolci, di Marianella Garcia e di Chico Mendes, di Etty
Hillesum e di Simone Weil; e' anche lo sviluppo necessario del pensiero
critico antitotalitario di Rosa Luxemburg e di Victor Serge, di Ernst Bloch
e di Herbert Marcuse; e' l'ascolto del pensiero e delle prassi delle donne:
la massima esperienza storica e teoretica nonviolenta; e' la ripresa della
corrente calda della tradizione delle lotte del movimento operaio; la
consapevolezza olistica della nuova ecologia; la decolonizzazione culturale
e mentale che le lotte e le riflessioni degli infiniti sud del mondo da
Mariategui a Mandela ci hanno insegnato; la costruzione di una societa'
conviviale fondata sul riconoscimento delle differenze e sull'uguaglianza di
diritti di tutte e tutti; l'inveramento delle tradizioni autenticamente
liberali, libertarie e liberatrici, come di quelle socialiste e solidali;
l'adeguamento della politica alle etiche fondate sulla relazione all'altro e
sul principio responsabilita', l'apprendimento della lezione di Emmanuel
Levinas e di Hans Jonas, di Hannah Arendt e di Guenther Anders, di Franco
Basaglia e di Franca Ongaro Basaglia; la verace essenziale lezione delle
grandi tradizioni religiose fondate sul principio dell'amore che da' vita;
l'assunzione del portato delle grandi tradizioni giuridiche e dei grandi
monumenti giuridici contemporanei; l'accoglimento e l'estrinsecazione di
cio' che ci hanno insegnato Virginia Woolf e Simone de Beauvoir, di cio' di
cui sono viventi esempi Vandana Shiva e Rigoberta Menchu'.
La nonviolenza e' in cammino.

3. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: NON ATTACCATE L'IRAN
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di
Cindy Sheehan. Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq;
per tutto il mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch
in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di
parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua
figura e alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio
movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro
Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel
sito www.koabooks.com]

Fresco del rinomato successo in Iraq, George Bush si e' gonfiato sul ponte
della Uss "Abraham Lincoln", e con orgoglio e fiducia ha dichiarato la
vittoria. E' stata una bella guerra, una guerra pulita, non c'e' mai stata
una vittoria americana cosi' veloce e sorprendente, ed e' venuta
meravigliosamente bene sugli schermi della Cnn. Con oltre 2.000 soldati
uccisi, miliardi di dollari buttati via, migliaia di giovani mutilati,
centinaia di migliaia di innocenti iracheni uccisi, e ancora niente
elettricita' o acqua pulita nel loro paese, questo spaccone imbecille ha la
faccia tosta di tentare di venderci una nuova guerra in Iran. I neocon ed il
loro presidente fantoccio pensano davvero che siamo tutti stupidi? Se ci
avete preso in giro una volta, la vergogna e' nostra, ma se ci prendete in
giro ancora... ebbene, non lo farete.
"Il nostro obiettivo e' impedire loro di avere armi nucleari" (George W.
Bush sull'Iran, alla Johns Hopkins University, il 10 aprile scorso). Allora,
fatemi capire: per prevenire l'Iran dall'acquisire armi nucleari, noi
useremo contro di loro armi nucleari! La continua ipocrisia di questo regime
toglie letteralmente il fiato. Se il solo possedere armi nucleari e',
com'e', una follia, parlare di usarle e' pazzia furiosa. Il generale in
pensione Anthony Zinni ha detto oggi alla Cnn che l'Iran non restera' fermo,
se attaccato: hanno i mezzi e la capacita' di contrattaccare. I nostri
giovani in Iraq saranno bersagli fissi, e cosi' Israele, le nostre riserve
di gas naturale e di petrolio verranno grandemente compromesse.
Ma io ho ragioni piu' spaventose di queste: non sono la sola a credere che
un attacco nucleare all'Iran potrebbe dare inizio alla terza (o quarta)
guerra mondiale. Mentre i fanatici religiosi pregano per l'avvento
dell'Armageddon, questa riflessione diventa ancora piu' spaventosa se si
pensa che i finti credenti della Casa Bianca stanno usando l'idea dei
fanatici che Gesu' fosse un guerrafondaio e che quindi qualsiasi cosa il
nostro grande leader faccia e' ben fatta, perche' lui e' un cristiano!
E attacchi nucleari a parte, ci stiamo dimenticando il terribile potere
distruttivo delle armi convenzionali. Non dobbiamo, neppure un solo momento,
contemplare l'ipotesi di un'invasione convenzionale dell'Iran. Non ha
importanza quanto George Bush menta su come vanno bene le cose in Iraq, non
vanno bene affatto, e l'Iraq e' la prova che la guerra, di qualsiasi tipo,
e' un modo orribilmente sbagliato di affrontare i problemi.
Non dobbiamo credere a Bush e compagnia sull'Iran: il presidente ha mentito
per la gola troppe volte in passato. Dalle armi di distruzione di massa al
terrorismo in Iraq, al fatto che nessuno poteva prevedere il disastro a New
Orleans. Non dobbiamo permettergli di terrorizzarci un'altra volta. La
dottrina della guerra preventiva e' abominevole, soprattutto quando si ha un
tale vuoto di leadership politica in questo paese, un vuoto che permette di
sottoscrivere ogni atto maniacale venga in mente al presidente di compiere.
Non possiamo permettere al nostro governo di distruggere il mondo
combattendo contro i mulini a vento, contro chi non minaccia la nostra
sicurezza ne' la nostra vita.
Dobbiamo eleggere politici che vadano alle radici delle cause del
terrorismo, e non pretendano la morte di ogni terrorista come soddisfazione
a quella sorta di primordiale sete di sangue che scaturisce dalla macchina
della guerra. Quando costoro vanno a caccia di terroristi uccidono uomini,
donne e bambini innocenti, e diventano essi stessi la cosa che stanno
tentando di insegnarci a odiare.
Per favore, andate al sito "Don't attack Iran" e firmate la petizione con
cui diciamo di non sostenere un attacco all'Iran. Noi membri di Gold Star
Families for Peace, Code Pink Women for Peace, Traprock Peace Center,
AfterDowningStreet.org, Democrat.com, Progressive Democrats of America, The
Velvet Revolution e Global Exchange vi chiediamo con urgenza di proibire ai
nostri leader di commettere ulteriori crimini di guerra e crimini contro
l'umanita' in nome nostro.
Dobbiamo ripudiare questi crimini a voce alta, almeno per non esserne
complici. Non possiamo permettere un attacco all'Iran. Dobbiamo ristabilire
la sanita' di mente nel nostro paese, se non e' gia' troppo tardi per farlo.

4. RIFLESSIONE. CONTRO TUTTI I TERRORISMI

E' terroristica sia la strage compiuta dal singolo, sia quella compiuta dal
gruppo criminale, sia quella compiuta dallo stato, sia quella compiuta
dall'impresa economica o dalla formazione ideologica, sia quella compiuta
dalle coalizioni ed istituzioni inter e sovrastatali.
Pensare di opporsi al terrorismo con altri atti di terrorismo il terrorismo
reduplica, e moltiplica le vittime.
Delle diverse epifanie del terrorismo la guerra e' la piu' ampia e profonda,
la guerra e' il terrorismo nella forma piu' massiva, piu' distruttiva.
Opporsi a tutte le guerre e' il primo passo per opporsi a tutti i
terrorismi.

5. RIFLESSIONE. MARGOT BADRAN: FEMMINISMO ISLAMICO
[Dal sito www.socialpress.it riprendiamo il seguente articolo, che riprende
una conferenza tenuta dall'autrice all'American Research Center del Cairo.
La traduzione dall'inglese e' di Jolanda Guardi. Margot Badran e' senior
fellow al Center for Muslim-Christian Understanding, alla Georgetown
University, specializzata in studi di genere nelle societa' musulmane]

Cosa indica un nome? Cosa si cela dietro un nome? Cos'e' il femminismo
musulmano? Possiamo darne, innanzitutto, una definizione concisa: e' un
discorso e una pratica femminista articolata all'interno del paradigma
islam. Il femminismo islamico che deriva il suo discernimento e il suo
mandato dal Corano, ricerca diritti e giustizia per le donne e per gli
uomini nella totalita' della loro esistenza. Il femminismo islamico e' tanto
contestato fermamente quanto abbracciato fermamente. Relativamente a questo
movimento ci sono state diverse incomprensioni, rappresentazioni menzognere,
e divergenze. Questo nuovo femminismo ha dato simultaneamente vita a paure e
speranze. Vedremo chi lo produce, dove, perche' e a quale scopo.
*
Femminismo
Come giustamente e' stato notato i concetti e i termini - cosi' come le
pratiche nate intorno ad essi - hanno una storia. Il termine femminismo e'
stato coniato in Francia nel 1880 da Hubertine Auclert, che lo introdusse
nella sua rivista "La Citoyenne" per criticare la predominanza (e la
dominazione) maschile e per farsi portavoce dei diritti e dell'emancipazione
delle donne promessi dalla rivoluzione francese. La storica del femminismo
Karen Offen ha dimostrato che, sin dal suo apparire, al vocabolo sono stati
dati molti significati e definizioni; e' stato utilizzato a scopi diversi e
ha ispirato movimenti diversi. Nel primo decennio del XX secolo il termine
fa la sua apparizione in inglese, prima in Gran Bretagna e, successivamente,
nel 1910, negli Stati Uniti; all'inizio degli anni '20 era utilizzato in
Egitto, dove circolava in lingua francese e in arabo come nisa'iyya. Si', il
vocabolo ebbe origine in occidente, nello specifico in Francia. No, il
femminismo non e' occidentale. Il femminismo americano non e' quello
francese (come affermerebbero a gran voce sia le americane che le francesi).
Il femminismo egiziano non e' quello francese e non e' occidentale. E'
egiziano, come affermano le sue fondatrici e come chiarisce la storia.
I femminismi si generano in luoghi particolari e sono articolati in termini
locali. Le studiose e coloro che hanno fatto la storia delle donne, che
prese forma come nuovo campo di studi negli anni sessanta e si diffuse
specialmente tra il 1970 e il 1980, registrano l'esistenza di una pletora di
femminismi in luoghi differenti. Il volume Feminisms and Nationalism in the
Third World della studiosa dello Sri Lanka Fumari Jayawardena, pubblicato
nel 1986, documenta i movimenti femministi emergenti in diversi paesi
asiatici e del Medio Oriente all'interno dei movimenti di liberazione
nazionali o di riforma religiosa, inclusi i movimenti di riforma islamica.
L'Egitto, come sappiamo, e' stato un pioniere nell'articolare il pensiero
femminista e nell'organizzarne l'attivismo. Nonostante un'ampia letteratura
in molte lingue che documenta questo femminismo sparso ovunque, tuttavia,
l'idea che il femminismo sia occidentale viene ancora diffusa da coloro che
ignorano la storia o che, forse, volontariamente, utilizzano il termine in
modo da delegittimarlo. Alcuni parlano ancora di "femminismo occidentale" in
termini essenzialisti, monolitici e statici, per mascherare una certa
mentalita' occidentalista o, forse, per un progetto politico che vuole
"frammentare" il femminismo. Il femminismo, in ogni caso, e' una pianta che
cresce nel suo stesso terreno (il che non significa che sia impermeabile a
influenze esterne).
Femminismo islamico: il termine femminismo islamico comincia ad apparire
negli anni novanta negli scritti delle musulmane. Le studiose iraniane
Afsaneh Najamabadeh e Ziba Mir-Hosseini hanno spiegato la sua nascita e
utilizzo in Iran da parte delle donne che scrivono nella rivista "Zanan",
fondata da Shahla Sherkat nel 1992. La saudita Mai Yamani ha usato il
termine nel suo libro - pubblicato nel 1966 - Feminism and Islam. Le turche
Yesim Arat e Feride Acar nei loro articoli, e Nilufer Gole nel suo The
Forbidden Modern (pubblicato in turco nel 1991 e in inglese nel 1996), usano
l'espressione femminismo islamico nei loro scritti degli anni novanta per
descrivere un nuovo paradigma femminista emergente in Turchia. L'attivista
sudafricana Stamina Shaikh ha utilizzato l'espressione femminismo islamico
nelle sue conferenze e nei suoi articoli negli anni '90, imitata da
attivisti di ambo i sessi nel suo paese. Gia' alla meta' degli anni '90
l'espressione femminismo islamico circolava fra musulmani in diversi angoli
della umma.
E' importante distinguere tra femminismo islamico come progetto esplicito
dichiarato, come termine analitico, e femminismo islamico come termine di
identita'. Alcune donne musulmane, come evidenziato nelle considerazioni
precedenti, descrivono il loro progetto di articolare e avocare a se' la
pratica, insita nel Corano, di equita' di genere e giustizia sociale come
femminismo islamico. Altre lo descrivono come un progetto islamico di
rilettura del Corano, di letture dei testi religiosi centrate sul genere
femminile o di "attivismo dottrinale", come viene denominato nel testo di
Gisela Webb Windows of Faith (2001).
Usano e producono discorsi di femminismo islamico anche molti che non
accettano di essere etichettati o identificati come "femministi islamici",
inclusi i cosiddetti musulmani religiosi (termine con il quale si intende
l'osservante), i cosiddetti musulmani secolarizzati (il cui essere musulmano
puo' essere meno evidente in pubblico), nonche' i non musulmani. Molti
musulmani usano gli aggettivi religioso e secolare per denotare se stessi e
gli altri; altri si sentono a disagio con questi termini. E' importante
storicizzare e contestualizzare l'uso di questi vocaboli, poiche' hanno un
significato diverso in luoghi e tempi diversi. Va pertanto sottolineato che
i termini religioso e secolare non sono impermeabili; ci sono, e ci sono
sempre state, interazioni fra i due. Alcune delle donne impegnate
nell'articolazione e nella pratica del femminismo islamico affermano
un'identita' femminista e musulmana fin dall'inizio. Queste includono
autrici della rivista "Zanan", esegete e attiviste sudafricane, nonche'
donne appartenenti al gruppo "Sister in Islam" in Malesia. Altre, fra cui
molte delle pensatrici chiave del discorso femminista islamico, o della
nuova interpretazione del Corano sensibile al genere, sono state riluttanti
a identificare se stesse come femministe musulmane. Alcune, tuttavia, hanno
modificato la loro posizione in anni recenti. Amina Wadud, la teologa
musulmana afro-americana autrice del libro chiave Qur'an and Woman (1991),
ad esempio, si opponeva all'essere "bollata" con questa etichetta. Oggi si
mostra meno preoccupata che gli altri la identifichino come tale; cio' che
e' importante per lei e' che il suo lavoro venga compreso. Quello che irrita
Wadud e' l'essere classificata come "femminista occidentale". Nella
prefazione all'edizione inglese del suo libro (1999), denuncia l'utilizzo
peggiorativo dei termini "occidentale" e "femminista". Questa musulmana
devota si chiede: cosa c'e' di male a essere occidentale (non dimentichiamo
che il numero dei musulmani occidentali e quello dei musulmani in occidente,
cui Wadud appartiene, e' in aumento.) Quanto allo screditare il femminismo
rimbrotta: "Non viene mai associata alla definizione di femminismo la
consapevolezza radicale che le donne sono esseri umani". La teologa Riffat
Hassan, di origine pakistana, ma residente negli Stati Uniti, ha anch'essa
accettato la designazione di femminista islamica, preoccupata piuttosto,
come lo e' Wadud, che il suo lavoro sia compreso.
*
Fenomeno globale
Il femminismo musulmano e' un fenomeno globale. Non e' un prodotto dell'est
o dell'ovest. Trascende entrambi. Come gia' suggerito, il femminismo
islamico viene prodotto in luoghi diversi nel mondo da donne all'interno del
proprio paese sia che provengano da paesi a maggioranza musulmana sia che
appartengano a una minoranza di vecchia data. Il femminismo islamico e' in
aumento nella diaspora musulmana e nelle comunita' di convertiti in
occidente. Il femminismo islamico circola con frequenza crescente nel
ciberspazio - per nominare solo un sito: marymams.com
L'inglese e', globalmente, la lingua principale nella quale il discorso
femminista islamico viene espresso e in cui circola. Allo stesso tempo,
viene espresso in un gran numero di lingue locali. Per poter interpretare il
Corano e leggere attentamente gli altri testi religiosi musulmani la
conoscenza dell'arabo e' essenziale. Tuttavia, poiche' l'inglese viene usato
come lingua comune del femminismo islamico, la terminologia disponibile e'
in questa lingua. E, con il diffondersi dell'esegesi femminista, molti
prestiti dall'arabo, come il termine "ijtihad", stanno entrando nell'uso
comune in inglese.
Il femminismo islamico trascende e distrugge i tradizionali binomi
religioso/secolare, oriente/occidente, riduce le differenze e manifesta
interessi e scopi comuni, a cominciare dall'affermazione fondamentale
dell'uguaglianza di genere e della giustizia sociale. Suggerire un possibile
scontro fra femminismo secolare e femminismo religioso puo' essere il
prodotto della mancanza di conoscenza storica o, come accade in molti casi,
un tentativo motivato politicamente di nascondere una piu' vasta
solidarieta' fra donne.
Le pioniere del femminismo secolare in Egitto e in altri paesi arabi hanno
sempre dato spazio alla religione. Il discorso fondante del femminismo
egiziano era ancorato contemporaneamente al discorso della riforma islamica
e a quello del nazionalismo secolare. Il femminismo secolare (spesso
chiamato semplicemente femminismo) aveva argomenti islamici quando
rivendicava il diritto delle donne all'educazione, al lavoro, ai diritti
politici insieme al nazionalismo secolare, ai diritti umanitari (poi umani)
e alla democrazia. Quando le femministe chiedono modifiche al Codice dello
Statuto Personale, ovviamente lo fanno sulla base di motivazioni islamiche.
Il femminismo islamico rivendica i diritti delle donne, l'eguaglianza di
genere, la giustizia sociale utilizzando il discorso islamico come un
paradigma, anche se non e' necessariamente l'unico: in Iran si basa su
discorsi e metodologie secolari per rafforzare ed estendere le sue
rivendicazioni. Wadud, nella sua interpretazione del Corano dal punto di
vista femminile, combina metodologie islamiche classiche coi nuovi strumenti
scientifici e con discorsi secolari sui diritti e la giustizia, mantenendo
una ferma e fondamentale base nel pensiero islamico.
*
Costruire un discorso
Come viene costituito il discorso femminista islamico? Questo argomento
include cio' che alcuni chiamano teologia musulmana femminista. L'argomento
base del femminismo islamico e' che il Corano afferma il principio di
uguaglianza di tutti gli esseri umani, ma che, nella pratica, l'uguaglianza
di uomini e donne (e altre categorie di persone) e' stata impedita o
sovvertita da idee (ideologie) e pratiche patriarcali. La giurisprudenza
musulmana, fiqh, consolidata nella sua forma classica nel IX secolo, era
essa stessa pesantemente saturata dal pensiero patriarcale e dai
comportamenti dell'epoca. E' stata questa giurisprudenza influenzata
dall'ideologia patriarcale che ha informato le diverse formulazioni
contemporanee della shari'a. Anche gli hadith, cioe' i detti e i fatti del
profeta Muhammad, non sempre autentici, sono stati spesso utilizzati per
sostenere idee e pratiche patriarcali. A volte gli hadith sono di
provenienza dubbia e a volte vengono usati fuori dal contesto. Una priorita'
del femminismo islamico e' dunque quella di andare direttamente al testo
sacro fondamentale e centrale dell'islam, il Corano, in uno sforzo di
recuperare il suo messaggio ugualitario. Alcune donne si concentrano
esclusivamente sul Corano (Amina Wadud, Rifaat Hassan, la saudita Fatima
Naseef); altre applicano la loro lettura del Corano all'esame delle diverse
formulazioni della shari'a (la libanese Aziza al-Hibri, la pakistana Shaheen
Sardar Ali); altre ancora si concentrano sul riesame degli hadith (Fatima
Mernissi, la turca Hidayet Tuksal).
La metodologia base di questo femminismo islamico e' quella classica
dell'ijtihad (ricerca indipendente sulle fonti religiose) e del tafsir
(interpretazione del Corano). Oltre a questi metodi vengono utilizzate la
linguistica, la storia, la critica letteraria, la sociologia,
l'antropologia, e cosi' via.
Nell'approccio al Corano le donne portano nella loro lettura la propria
interpretazione e si interrogano in quanto donne. Sottolineano come
l'interpretazione classica e post-classica sia basata sull'esperienza
dell'uomo e sull'influenza patriarcale diffusa nelle societa' in cui gli
interpreti vivevano.
*
Ermeneutica femminista
Questa ermeneutica sensibile al genere o femminista, fornisce conferma
dell'uguaglianza di genere nel Corano persa di vista dagli interpreti maschi
che hanno costruito un corpus di tafsir che promuovono la superiorita' del
maschio. Esistono molti versetti (ayat) del Corano che sembrano affermare
l'uguaglianza uomo-donna. Uno di questi si trova nella sura aI-hujarat: "Oh
umani, vi abbiamo creato da un'unica coppia di uomo e donna, abbiamo fatto
di voi poi tribu' e nazioni in modo che possiate conoscervi l'un l'altro
[non disprezzarvi l'un l'altro]. Il piu' nobile fra di voi agli occhi di Dio
e' colui che e' piu' giusto [colui che maggiormente pratica taqwa,
devozione]" (1). Essenzialmente, ontologicamente, tutti gli esseri umani
sono uguali, si distinguono fra loro solo in virtu' della loro pratica del
principio coranico fondamentale della giustizia. Dunque non c'e
contraddizione tra essere femminista e musulmana, una volta che intendiamo
il femminismo come la consapevolezza delle costrizioni imposte alle donne in
relazione al genere, il rifiuto di queste costrizioni e lo sforzo per
costruire e incrementare un sistema piu' equo fra i generi.
L'ermeneutica femminista distingue tra principi universali e particolari e
contingenti o effimeri. Nel caso di questi ultimi alcune pratiche erano
concesse in modo limitato e controllato per limitare comportamenti
prevalenti nella societa' al tempo della rivelazione, incoraggiare i
credenti e porli sulla via della completa giustizia ed uguaglianza nelle
interazioni umane. L'ermeneutica femminista utilizza tre tipi di approccio:
- rivisitazione di ayat del Corano per correggere storie false in
circolazione, come ad esempio i racconti sulla creazione e gli eventi nel
giardino dell'Eden utilizzati a sostegno della superiorita' dell'uomo;
- citazione di ayat che enunciano inequivocabilmente l'uguaglianza di uomini
e donne;
- decostruzione di versetti attenti alla differenza fra uomini e donne
comunemente interpretati in modo da giustificare la dominazione maschile.
Come esempio di nuova interpretazione possiamo osservare la sura IV, verso
34: "Gli uomini sono responsabili (qawwamun) per le donne perche' Dio ha
dato ai primi piu' che alle seconde (bima faddaIa), e perche' essi le
mantengono con i loro beni". Sebbene fondamentalmente uguali, gli esseri
umani sono stati creati biologicamente differenti per perpetuare la specie.
Solo in particolari eventi e circostanze gli uomini e le donne assumono
ruoli e funzioni contingenti diversi. Solo le donne possono partorire e
allattare e quindi, in questa circostanza particolare, al marito viene
ingiunto dal Corano di fornire supporto materiale come indicato nel verso
citato.
Wahdud-Muhsin, Hassan, Al-Hibri, Naseef, ecc. dimostrano che qawwamun
trasmette la nozione di "provvedere per" e che il termine e' usato in modo
prescrittivo per indicare che gli uomini devono provvedere alle donne nel
contesto della gravidanza e dell'allattamento. Non significa necessariamente
che le donne non possano provvedere a se stesse in quella circostanza. Il
termine qawwamun non e' un'affermazione assoluta della superiorita' e
dell'autorita' del maschio sulle donne una volta per sempre, come gli
interpreti maschi tradizionalisti hanno affermato. Le donne esegeti, dunque,
mostrano come le interpretazioni classiche maschili abbiano trasformato il
contingente e lo specifico nell'universale. Non vogliamo entrare qui in una
disputa esegetica, quanto piuttosto indicare le motivazioni interpretative
delle femministe islamiche. Riguardo all'argomento maschilista che gli
uomini hanno autorita' sulle donne, mentre vengono smantellati versetti
specifici come quello succitato, le esegeti pongono anche la loro attenzione
su altri versetti che affermano la mutua responsabilita' come IX, 71 che
afferma: "I credenti, uomini e donne, sono protettori gli uni delle altre".
*
A quale fine?
Il femminismo islamico e' d'aiuto ai singoli individui e puo' anche essere
una forza nel promuovere lo stato e la societa'. La seconda generazione di
donne musulmane che vivono nelle comunita' occidentali della diaspora e
nelle comunita' musulmane minoritarie si trova spesso stretta tra le
pratiche e le regole delle culture d'origine dei genitori emigrati dal Medio
Oriente o dai paesi dell'Asia meridionale e i modi di vita nelle loro nuove
patrie. Il femminismo islamico aiuta queste donne a districarsi tra
religione e sistema patriarcale; fornisce loro modi islamici di comprendere
l'uguaglianza di genere, le opportunita' sociali e il loro proprio
potenziale.
D'altro canto il discorso femminista islamico e' altrettanto rilevante nei
paesi a maggioranza musulmana. Costituisce una formulazione diversa della
visione, della comprensione e dell'attaccamento alla religione e alla
cultura in quanto tentativo di articolazione forte e islamica
dell'uguaglianza di genere.
Riesaminando il Corano e gli hadith, le femministe islamiche portano
argomenti forti affermando che l'islam non condona le pratiche di violenza
contro le donne e promuovendo la nozione che la violenza contro le donne e'
anti-islamica. Questo non porra' certo fine a tali pratiche, ma e' una delle
molte armi contro di esse. Il gruppo malese "Sisters in Islam" e' uno dei
tanti che hanno descritto la violenza contro le donne perpetrata nel nome
dell'islam in una brochure che viene diffusa capillarmente. La sudafricana
Saadiya Shaikh ha completato uno studio sull'argomento e attualmente compie
ricerche sulla nozione di sessualita' nei testi religiosi.
Il femminismo islamico, nel complesso, e' piu' radicale del femminismo
secolare. Esso insiste sulla completa uguaglianza fra uomini e donne nello
spettro pubblico/privato (il femminismo secolare, storicamente, accettava
l'idea di uguaglianza nel pubblico e la nozione di complementarita' nel
privato). Il femminismo islamico argomenta che le donne possono essere capi
di stato, giudici e mufti e possono condurre la preghiera congregazionale.
In alcuni paesi a maggioranza musulmana le donne sono giudici, alcune primo
ministro e una e' capo di stato. Il femminismo islamico, dunque, e' a
beneficio di tutte noi, musulmane di entrambi i sessi e non musulmane che
vivono fianco a fianco con i musulmani in ogni parte del mondo. Crediamo che
il femminismo islamico sia per tutti.
Il femminismo islamico e' un discorso femminista espressamente articolato
all'interno del paradigma islamico e i comportamenti e l'attivismo da esso
ispirati vengono attuati nel nome dell'islam. Alcune musulmane che parlano
del femminismo islamico sono fra le produttrici del nuovo discorso o
attiviste ispirate da esso. Altre musulmane, come le studiose, le
giornaliste e le intellettuali, commentano il femminismo islamico,
partecipano a dibattiti e ne scrivono stando al di fuori di questo movimento
emergente. La sociologa e femminista marocchina Fatima Mernissi, ad esempio,
e' stata una delle prime ad articolare il femminismo islamico senza assumere
un'identita' femminista islamica.
*
Note
1. La traduzione dei versetti del Corano e' stata condotta dall'arabo
all'inglese dalla stessa autrice e quindi resa in italiano.

6. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: COSTITUZIONE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha
fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il
foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel
Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian
Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro
Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo
comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione
col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento
Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora
a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del
"non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto
il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; Esperimenti con la verita'. Saggezza e
politica di Gandhi, Pazzini, Villa Verucchio (Rimini) 2005; e' disponibile
nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di
cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie
Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico
Peyretti ha curato la traduzione italiana), e che e stata piu' volte
riproposta anche su questo foglio, da ultimo nei fascicoli 1093-1094; vari
suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e
alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

Possiedo una preziosa copia della Costituzione firmata nientemeno che da
Pietro Ingrao e da Oscar Luigi Scalfaro. Ottenni senza alcuna difficolta' il
loro autografo il 15 gennaio 2003, a Roma, palazzo Marini, in occasione di
un dibattito tenuto da loro due sull'art. 11. Mi sembra di vedere nelle loro
persone come le due gambe del cammino dell'Italia repubblicana.
E' vero, non ci sono solo le gambe in un corpo vivo: esse si saldano nel
busto che rappresenta la continuita', la storia centrale, per l'Italia
lunghi secoli, la liberta', l'unita', il travaglio di guerre, tirannia,
riscatto, liberazione, col contributo di tanti. La testa contiene tutti i
ricordi e i pensieri del passato e sogni e progetti per il futuro, e discute
tra se' e se'.
Ma le gambe, guidate dagli occhi, fanno il lavoro del procedere, su terreni
e sotto stagioni diverse.
Non sono uguali le gambe: se mettete la scarpa destra nel piede sinistro, e
viceversa, i piedi soffrono, camminano male. Ma sono entrambi ugualmente
necessari per fare un passo dopo l'altro.
Mi si perdoni il paragone, tutt'altro che irrispettoso... Ora che si deve
parlare e pensare alla nostra preziosa Costituzione, in vista del
referendum, ho voluto partecipare l'orgoglio di questa copia autografata,
che sta sempre, ben protetta in una busta trasparente, ritta sul mio tavolo.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1272 del 21 aprile 2006

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