Nonviolenza. Femminile plurale. 68



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 68 del 15 giugno 2006

In questo numero:
1. No al golpe
2. Alcuni siti utili
3. Luisa Muraro: Come una rosa che sboccia
4. Lea Melandri: Bambole
5. Alain Touraine: La parola delle donne
6. Anna Folli: Annie Vivanti (con una poesia di Giosue Carducci)
7. Riccarda Novello presenta "Prima della quiete" di Elena Gianini Belotti

1. REFERENDUM. NO AL GOLPE

Tra dieci giorni si svolgera' il referendum sulla cosiddetta "riforma
costituzionale" imposta al parlamento con un colpo di mano dalla destra
eversiva sul finire dello scorso anno.
Se nel referendum vincessero i "si'" al colpo di stato berlusconiano,
l'ordinamento democratico e lo stesso stato di diritto verrebbero gravemente
vulnerati, e con cio' verrebbero aggrediti, mutilati e fin annientati
fondamentali diritti di liberta', fondamentali doveri di solidarieta',
fondamentali guarentigie di riconoscimento ed inveramento dell'uguaglianza
di diritti e della pari piena dignita' di ogni essere umano.
Il 25 e 26 giugno diciamo no al colpo di stato.

2. REFERENDUM. ALCUNI SITI UTILI

Tra i molti siti che presentano vari materiali di documentazione e di
riflessione (invero talora di diseguale valore) sul referendum
costituzionale del 25-26 giugno, segnaliamo in primo luogo il sito del
Coordinamento nazionale "Salviamo la Costituzione":
www.referendumcostituzionale.org o anche www.salviamolacostituzione.it
Poi, almeno anche i seguenti, che indichiamo in ordine alfabetico:
Astrid: www.astrid-online.it
Carovana per la Costituzione: www.carovanaperlacostituzione.it
Costituzionalismo: www.costituzionalismo.it
Giuristi democratici: www.giuristidemocratici.it
Liberta' e giustizia: www.libertaegiustizia.it
Magistratura democratica: www.magistraturademocratica.it

3. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: COME UNA ROSA CHE SBOCCIA
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "il manifesto",
nell'edizione speciale per i 35 anni in edicola dal 28 aprile 2006. Una sola
obiezione su un punto che puo' dar luogo a qualche fraintendimento ci sia
consentita: e' vero ed insieme non e' vero che "c'e' violenza e violenza":
ogni violenza e' sempre nostra nemica, nemica dell'umanita' intera - e chi
scrive questa glossa non puo' dimenticare quante persone sono state uccise
in nome dei piu' roboanti ideali e di una visione sacrificale di se' che in
quanto tale allucinatamente, vampirescamente presumeva autogiustificare la
mostruosa pretesa di sacrificare altri; lungo gli anni Settanta dal
femminismo, e anche da Luisa Muraro quindi, tutte e tutti quelli che
ragionammo sulla necessita' della coerenza tra i fini e i mezzi nell'agire
politico apprendemmo allora - e non dimenticammo piu' - la necessita' di
contrastare il militarismo, il fascismo e il maschilismo assassini che
maculavano, corrompevano, alienavano e indracavano anche parte non piccola
dei movimenti di contestazione; alla scuola del femminismo cogliemmo allora
la necessita' della scelta della nonviolenza per la liberazione, la
degnificazione e la preservazione dell'umanita': l'umanita' intera,
l'umanita' di tutti, la mia e la tua medesima (p. s.). Luisa Muraro, una
delle piu' influenti pensatrici viventi, ha insegnato all'Universita' di
Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito
delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda
biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque
fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione
allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di
Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera
accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella
scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia
dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba
Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista
dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al
femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della
differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva:
La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981,
ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La
Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti,
Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla
nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria
delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via
Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima
(1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero
della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della
maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel
1997"]

Comincio sempre dicendo: il Sessantotto ha inizio nel Sessantasette, e di
solito aggiungo che Gesu' e' nato nell'anno quattro prima di Gesu' Cristo
per concludere con la sublime battuta di Pogo: il peggio e' quando il
venerdi' diciassette cade di mercoledi'. Le date che scherzano fra loro,
accennano ad un passato incerto come il futuro, ma piu' insidiosamente e si
ha voglia di riderci sopra.
Questa volta comincio dicendo che il Sessantotto e' finito nel Novantanove,
ma non fa ridere. Mi riferisco a quel giorno del marzo 1999 in cui gli aerei
della Nato si alzarono in volo dagli aeroporti italiani per andare a
bombardare la Serbia. Il perche', lo sappiamo, anzi non lo sappiamo,
ufficialmente era per aiutare una parte della popolazione del Kosovo, da cui
il nome di "guerra umanitaria", primo di una serie di fantasiosi nomi per
guerre di nuovo tipo. Come noto, la guerra fu decisa e difesa da una schiera
di ex del Sessantotto, Solanas, Clinton, D'Alema, Fischer, Sofri, Deaglio,
per nominare quelli che ricordo.
Tu dov'eri, ci siamo chiesti e raccontati dopo l'11 settembre. Raccontero'
dov'ero io quando ebbi la notizia che l'Italia faceva guerra alla Serbia. Mi
trovavo a Parigi e lessi la notizia su "Le monde", il quotidiano sul quale
avevo seguito, trent'anni prima, la guerra del Vietnam. La decisione era
nell'aria ma fu ugualmente un colpo terribile, in Europa era tornata la
guerra ad opera di paesi europei, dunque la ferita del 1914 (per la quale io
porto un lutto ereditato dalle mie antenate) non era sanata. "Le monde"
mostrava chiaramente di essere d'accordo con la decisione del segretario
della Nato. Mi sentii solissima. Di li' a poco dovevo incontrarmi con alcune
persone al ristorante, quattro eccellenti signore due delle quali mie amiche
di vecchia data. Ma la brutta sorpresa del giornale mi spinse a tacere,
nascondendo la mia angustia. Speravo e temevo che l'argomento venisse fuori
ma non capito'.
*
Parlo, naturalmente, del mio Sessantotto, che pero' non e' un affare solo
mio perche', se anche non sono nominata nei libri che lo raccontano, io, al
pari di tanti anonimi, ne sono stata protagonista a pieno titolo, sono stata
presente e attiva nelle prime occupazioni, in molte assemblee, nelle
manifestazioni di piazza, ho scritto volantini e comunicati stampa, ho
volantinato chiese e fabbriche, ho partecipato al "movimentino" degli
insegnanti e del dissenso cattolico... Ricordo perfino un minitentativo di
contestazione della Casa della cultura, eravamo in tre, io, Sergio e
Giuseppe, e fummo respinti da Laura Conti che non uso' le mani ma il petto,
che aveva generoso come la mente.
Fra le tante cose, la principale fu per me l'impegno per la pace nel
Vietnam. Per me, ma eravamo una legione a pensarla cosi', la superiorita'
dei vietcong nella giungla e la nostra presenza nelle piazze avevano il
valore di una dimostrazione morale e politica. Quella domanda che certi
ripetono ancora, hai mai fumato uno spinello? andrebbe riportata a quei
tempi e all'intenzione dei fumatori di erba, che era di trasformarsi in
persone imbelli (inadatte alla guerra) e dare cosi' corso ad una
smobilitazione generale e definitiva. In quel contesto, anche lo spinello
aveva la sua moralita'. Altro esempio, la violenza. Recentemente si e'
parlato della violenza come cultura diffusa del Sessantotto, ma si e'
dimenticato di dire che c'e' violenza e violenza, quella che ci animava era
tipica di chi andava in battaglia, ben diversa dalla violenza della guerra
dove non soffre chi la decide ma chi la subisce. Non intendo assolvere il
ricorso che si fece allora alla violenza, ma che sia possibile ragionarci.
La parola "violenza" e' diventata un ricatto ambulante o, nella migliore
delle ipotesi, una perdita di tempo, e funziona come una trappola per le
persone politicamente meno preparate. Non bisogna lasciarla in questo stato,
bisogna uscire dalla genericita' e ristabilire certe differenze e sfumature
che appartengono al vissuto di un'esperienza. O forse abbiamo sognato? Forse
hanno ragione quelli che pensano che la violenza costituisca per l'umanita'
un continuum indifferenziato? Mi chiedo pero' se questo senso di fatale
uniformita' non sia invece un effetto che s'impone a noi oggi, cosi' come
sappiamo che l'odierna piattezza che domina le discussioni morali nei mass
media e che ha uniformato il paesaggio politico, non e' da sempre.
Non si tratta solo di sconfiggere il ricorso alla guerra. Io l'ho presente
come la quintessenza di un compito dal quale non possiamo distoglierci, se
la parola civilta' ha un senso, che e' di mettere al primo posto le cose che
il sentimento comune giudica le piu' importanti, come appunto la pace. Alla
stessa stregua ho in mente anche la scuola e la sanita'. E il lavoro. A
proposito della rivolta degli studenti francesi contro il Cpe, ossia contro
un futuro di precariato in cambio di niente (prima sembrava che fosse in
cambio di una fioritura di buoni posti di lavoro, ma si e' visto che non era
vero), e' stato detto che non ha nulla a che vedere con quelle del
Sessantotto. Mi sono meravigliata, perche' tutto o quasi e' diverso, si', ma
l'essenziale no, ed e' la rivolta per esserci e far valere le cose basiche
di una convivenza civile.
*
Si puo' essere sconfitti, ma che non sia al punto di non capirlo, al punto
di perdere di vista l'essenziale per andare dietro a cose secondarie e
fuorvianti. Se capita, ed e' capitato, ritroviamo l'orientamento perduto. Ho
pensato che una genealogia di queste perdite di orientamento possa aiutarci.
Quella che io ho ricostruito, ci porta proprio nel cuore del Sessantotto, in
cio' che lo caratterizza piu' positivamente, che e' la nascita della
soggettivita' nella sfera dell'agire politico.
Secondo l'esperienza piu' condivisa e per molti la piu' significativa, con
il Sessantotto abbiamo scoperto che si puo' ribellarsi contro cose che si
credeva immodificabili, seguendo non un dettato superiore, com'era nelle
organizzazioni di massa, ma il proprio desiderio messo in parole e condiviso
con altri.
Ma il protagonismo che abbiamo cosi' scoperto, rispecchiava una cultura
politica in termini di vita attiva e di mobilitazione personale, che, come
sappiamo anche da analisi e studi venuti piu' recentemente, non faceva posto
alla parte bisognosa e dipendente del soggetto, escludendo cosi' dalla
dimensione politica gli aspetti e i momenti d'impotenza, di passivita', di
fragilita'. Che politica finira' per essere questa? In queste condizioni,
quello che si sviluppa e' il linguaggio di un soggetto che in parte non
esiste. Capita cosi' che questo soggetto in parte inesistente, con il suo
protagonismo in parte finto, faccia posto, senza volerlo, ai poteri che
agiscono fuori scena e restituisca le sue ragioni al vecchio che era stato
sconfitto.
Esito, direi, inevitabile dopo che alla soggettivita', risvegliata dalla
rivolta, si nega l'accesso al deposito inesauribile delle grandi emozioni e
passioni del venire al mondo in uno stato di estrema bisognosita' e
dipendenza.
Questo giornale s'interroga e c'interroga sul suo ruolo. Non sono brava a
disegnare prospettive per gli altri e poco anche per me; riesco ad
interagire e in questi semplici termini suggerisco la lotta contro la
finzione e l'irrealta', da portare avanti anche con la scrittura, perche'
sappiamo come sia facile, con le parole, istituire un soggetto che non
esiste e difficile invece iscrivere la fragilita' di quello che esiste.
*
Sopra, ho fatto riferimento ad analisi e studi, ma quello che ha fatto
chiarezza, fondamentalmente, e' stata la rivolta delle donne dentro la
rivolta del Sessantotto. I fatti a grandi linee sono noti, sebbene sia
giusto l'invito di Ida Dominijanni ad una piu' fine ricostruzione. Il
femminismo non si sviluppo' dal Sessantotto, giacche' esisteva da prima ed
ha camminato in relativa indipendenza, ma il quadro non e' completo senza
l'esplosione del femminismo dall'interno, nella forma che ho detto, di una
rivolta nella rivolta, come una rosa che sboccia in pieno.
Per anni sono girati luoghi comuni tipo "angelo del ciclostile". Io non ho
mai ciclostilato, c'erano ragazzi che lo facevano benissimo, la questione
era ben altra, che si andava, si faceva, si parlava, si scriveva, e mai una
parola, mai un riferimento su certe faccende che mi opprimevano, come il
senso di colpa per un bambino lasciato troppo solo. Sembrava una mostruosa
inezia della quale si poteva solo tacere. Lo era, alla luce di quella
genealogia che ho tracciato sopra. Ricordo che un giorno un amico, davanti
alla Cattolica, al momento occupata non da noi ma dalla polizia che ci aveva
buttati fuori, mi guardo' e disse: ma tu non sorridi mai. No, mi sbaglio,
disse esattamente: dovresti sorridere qualche volta, e mi fece arrabbiare:
non bastava tacere, bisognava metterci sopra un sorriso.
Cosi', avendo imparato che ribellarsi si puo', un giorno, a Trento
(all'epoca abitavo a Rovereto), in una grandiosa assemblea indetta da alcune
studentesse di sociologia, mi ribellai agli uomini del Sessantotto e andai
dietro alle femministe.

4. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: BAMBOLE
[Dal sito dell'Universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente articolo apparso sul
quotidiano "Liberazione" del 4  giugno  2006 nell'inserto "Queer" sul tema
"I nostri burqa".
Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista,
redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della
rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione
teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente
L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma
1997. Cfr. anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo
strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore,
Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996.
Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea
Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti.
Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita'
delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal
1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della
rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba
voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte
attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla
problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le
pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977
(Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 (
ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La
Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di
foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica
dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione
Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei
sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di
posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto',
'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha
diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione
femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione
aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle
donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'".
Edmondo De Amicis (Oneglia 1846 - Bordighera 1908), scrittore e giornalista,
dopo una giovanile esperienza militare visse della sua attivita' letteraria
e pubblicistica, e dal 1891 aderi' al movimento socialista. Tra le opere di
Edmondo De Amicis: La vita militare (1868); Cuore (1886); Il romanzo di un
maestro (1890); Fra scuola e casa (1892); postumo, nel 1980, e' apparso
Primo maggio. Opere su Edmondo De Amicis: per un avvio cfr. Bruno
Traversetti, Introduzione a De Amicis, Laterza, Roma-Bari 1991; ovviamente
cfr. anche almeno il classico studio di Sebastiano Timpanaro, Il socialismo
di Edmondo De Amicis, Bertani, Verona 1983]

Nel gioco della bambina con la bambola si e' creduto a lungo di vedere
precocemente all'opera l'"istinto materno". Ma che dire allora delle
modelle, delle "veline" e delle conduttrici televisive sempre piu' simili
alle Barbies, e viceversa? Le bambine hanno sempre avuto un rapporto ambiguo
con quel corpo inanimato in tutto simile al loro, fatto per specchiarsi piu'
che per apprendere la difficile arte della relazione con l'altro. Lo
coccolano e, al medesimo tempo, lo invidiano. La sua bellezza e seduzione
inducono ansie e voglie devastatrici: diventa necessario impadronirsene,
sottometterne il mistero imponendogli norme e leggi. Dietro la copertura
apparente dell'iniziazione alla maternita' trapelano inequivocabili rituali
erotici: vestire per svestire, abbellire per degradare. Su quel corpo i
gesti e le parole consumano curiosita' e vendetta, il gioco diventa
esercizio di un dominio. La relazione, trasgressiva rispetto alle attese
educative, rimanda a un corpo femminile visto "da fuori", come se corpo e
pensiero si fossero separati, collocandosi su poli opposti.
Analogo e' quello che solitamente avviene nel rapporto sessuale, tanto da
far nascere il dubbio che sia la donna stessa a muoversi dentro il rituale
maschile dell'appropriazione, ad assecondarlo, forse a prepararlo. Il corpo
che si consegna all'uomo e' gia' stato guardato e porta gia' segni di
manipolazione, sia pure immaginaria. Il desiderio, la curiosita', la voglia
di dominio del maschio, sono gia' stati preceduti da sentimenti analoghi, da
parte della bambina, per il corpo che le e' simile, e quindi per il suo
stesso corpo: per vincere quello che "dal di dentro" di quel corpo le si
oppone, lo fa proprio. Ma se questa per l'uomo e' una vittoria, non lo e'
per la donna che condanna se stessa al destino di bambola, che e' "lasciarsi
fare", divenire oggetto in mano di altri.
La "bambola" che l'uomo e la donna incontrano all'inizio della loro vita
sembra dunque assommare in se' aspetti diversi: e' il corpo che genera, il
corpo della madre, se visto dall'interno, ma e' anche, guardato da fuori,
l'oggetto d'amore che si consegna, muto e seducente, al desiderio sessuale.
Inoltre, dato che la bambola viene tradizionalmente associata al figlio
futuro, si puo' pensarla anche come immagine di quel femminile
narcisisticamente appagato di se stesso, che Freud accosta al bambino e ad
alcuni animali da preda.
*
Che la bambola abbia poco a che fare con la maternita', lo dimostra in modo
evidente un breve racconto di Edmondo De Amicis, Il re delle bambole
(Sellerio, 1980). Nella bottega di colui che le fabbrica, o le ripara, le
bambole sono "bambine inanimate", ma con "belle gambe di donna", che gli
sguardi delle ragazzine "rubano con gli occhi" e poi con le mani, travolte
da "un'orgia di desideri". Da subito si confondono "bambole e bimbe",
"vocine naturali" e "vocine meccaniche", "braccini di carne" e "braccini di
legno", "occhietti viventi" e "occhietti di vetro". La ricerca della bambola
si carica di slanci erotici, ma anche di fantasie devastanti, a cui
contribuiscono "mani fanciullesche eccitate dalla curiosita' istintiva
dell'anatomia del giocattolo".
"Se vedessi che sguardi lanciavano alle bambole a cui debbono rinunziare,
sguardi d'amore, sospiri, addii, col capo rivolto all'indietro... Bisogna
vedere le mosse, lo slancio con cui alcune se ne impossessano e se le
serrano al petto: tigrette affamate che abbracciano la preda".
"E la sala delle operazioni e' la pressa, tutta ingombra di ferri, di pinze,
di fili... vi si vedono sui tavoli, sulle seggiole, sul davanzale delle
finestre, buttate in tutti gli atteggiamenti, grandi bambole nude, con le
capigliature tragicamente arrovesciate, con gli occhi mobili, stralunati,
con le bocche parlanti, spalancate, le une cieche, le altre zoppe, le altre
mutilate, teste separate dal busto, tronchi con le braccia tese, braccia e
gambe disperse; uno spettacolo orrendo, che mi ricordo' un cert'antro
fantastico di Jack lo squartatore".
"Il Bonini mi mostro' le bambole piu' belle, chiomate e vestite... tutte con
quel visetto fatto a pesca, con quella bocca a botton di rosa, con quegli
occhi grandi e freddi di donnine senza cuore e cocottes senza pensieri".
"E quante carezze amorose, quante parole gentili, quanti teneri baci avranno
quei corpicini insensibili... su quante innocenti e soavi nudita' premeranno
queste fantocce i loro labbruzzi freddi di porcellana, strette tra due
braccini candidi e scaldate da un alito odoroso, dentro un lettuccio
visitato da sogni azzurri".
Fin qui la bambola sembra rimandare unicamente al corpo femminile come
oggetto erotico, che muove desideri e voglie aggressive. Ma c'e' un
passaggio imprevisto che fa comparire altri aspetti: nel momento in cui la
bambola si anima, si fa "attiva", avviene una specie di trasmutazione e,
dietro la "donnina senza cuore", compaiono le figure della madre e del
figlio.
"Stavo ancora amoreggiando con la bella varallese, quando mi vedo buttare
sul banco una grossa bambola che agita le braccia e le gambe, gnaulando come
un bimbo in culla, ed ecco un'altra bambola enorme, che alterna dei passi
sul pavimento, tenuta per le mani da un commesso, tale e quale come un bimbo
che impara a camminare. Un'altra bambola tanto fatta nello stesso tempo mi
viene incontro sul banco a passi risoluti, dritta, gettando delle strida di
folletto... non so dire lo strano senso di stupore e quasi di inquietudine
che provai in mezzo a quella insospettata eruzione di vita artificiale... mi
parve ad un tempo di trovarmi al teatro regio, a una scena del ballo
Puppenfee e in una sala della Maternita' in un momento di scompiglio".
*
La sessualita' e la maternita', il rituale erotico e l'accudimento, il
piacere e la fame, ipocriticamente separati nelle immagini dei media, della
moda, della pubblicita', ricompaiono come una specie di Giano bifronte nel
simbolo piu' universale del destino femminile, la bambola, e aiutano a
capirne il successo duraturo, oggi incredibilmente esteso.

5. RIFLESSIONE. ALAIN TOURAINE: LA PAROLA DELLE DONNE
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente articolo apparso sul quotidiano "Il sole 24 ore" del
4 giugno 2006. Riportiamo anche la presentazione redazionale dell'articolo:
"Alain Touraine e' un sociologo militante; del suo recente libro Le monde
des femmes (Fayard, pp. 246, euro 19) dice: 'Da uomo, non avrei mai osato
scrivere un libro che tratta direttamente delle donne, se non per mostrare
che esse creano una nuova cultura e segnalarne la natura storica e sociale,
questo libro e' rivolto a quegli uomini che ignorano l'esistenza di donne
che si autodefiniscono e che si legittimano tra loro'". Alain Touraine
(Hermanville-sur-Mer, 1925), illustre sociologo e cattedratico francese,
docente all'Ecole Pratique des Hautes Etudes (ora Ecole des Hautes Etudes en
Sciences Sociales), e' uno degli intellettuali piu' noti e prestigiosi a
livello internazionale. Tra le numerose opere di Alain Touraine segnaliamo
particolarmente: La produzione della societa', Il Mulino, Bologna 1975; Per
la sociologia, Einaudi, Torino 1978; Il ritorno dell'attore sociale, Editori
Riuniti, Roma 1988; Critica della modernita', Il Saggiatore, Milano 1993;
Eguaglianza e diversita', Laterza, Roma-Bari 1997; Liberta', uguaglianza,
diversita', Il Saggiatore, Milano 1998; Come liberarsi del liberismo, Il
Saggiatore, Milano 2000]

Il soggetto e' una figura dell'individualismo occidentale, liberato dalle
regole della comunita', della tradizione e degli apparati del potere e
questo sarebbe ancora piu' vero per le donne. Sottomesse alla propria
funzione sociale e insieme al potere degli uomini in gran parte del mondo,
sperano nella liberta' di lavorare per sottrarsi alla tutela del marito o
della suocera, nell'indipendenza economica, nell'uguaglianza giuridica e
nella liberta' sessuale. L'emancipazione non e' forse il principio stesso
della formazione del soggetto? La donna occidentale della classe media
incarnerebbe quindi l'idea di soggetto, mentre nel resto del mondo gli
ideali femminili sarebbero contraddetti dalle pressioni comunitarie e dai
divieti religiosi.
Questa visione "liberale" si oppone all'idea si soggetto come io l'ho
definita e posta al centro della mia analisi: il soggetto non dipende da una
qualche forma di individualismo o di emancipazione. E' l'affermazione del
diritto di ognuno alla liberta' e alla responsabilita' e cio' implica che la
liberta' individuale sia concepita da un lato come liberazione, dall'altro
come solidarieta' e almeno altrettanto come ricerca della produzione del se'
contro tutte le determinanti sociali, culturali, psicologiche o politiche
che riducono l'individuo a mero consumatore. La formazione del soggetto piu'
imboccare ognuna delle strade tracciate della modernizzazione e,
necessariamente, ha effetti sull'ambiente sociale, sulle istituzioni sulle
rappresentazioni.
*
La parola delle donne che si fa sentire mentre si esaurisce una modalita'
particolare della modernizzazione e' propria delle societa' occidentali,
piu' deboli e al contempo piu' dolci, nelle quali un'idea collettiva irrompe
con forza. Combattere gli effetti negativi della modernizzazione che ha
creato forme di dominio estreme e distrutto la natura mentre la conquistava.
Noi cerchiamo di ricomporre l'esperienza collettiva ed individuale che e'
stata lacerata, legami tra termini che fasi anteriori della modernizzazione
avevano contrapposto: il corpo e la mente, l'interesse e l'emozione, il
diverso e il simile. E' questo il progetto del mondo presente, dal quale
dipende la nostra sopravvivenza come dicono i militanti dell'ecologia
politica: all'interno di questo nuovo orientamento, quali sono gli autori
della ricostruzione? Chi occupa il posto dei lavoratori manuali nella
societa' industriale, o dei mercanti che distrussero il sistema feudale?
Sono le donne rispondo, perche' sono state le vittime piu' complete della
polarizzazione di societa' che avevano accumulato tutte le risorse nelle
mani di un'elite dirigente fatta di uomini bianchi, adulti, padroni o
proprietari di ogni reddito ed armati; le donne considerate come non-attori,
prive di soggettivita', definite dalle proprie funzioni invece che della
propria coscienza.
A farne le attrici sociali piu' importanti e' il fatto che non agiscono in
quanto movimento sociale quale e' stato il movimento femminista oggi passato
in secondo piano. Coscienza femminile e mutamento sociale non sono piu'
separabili e le donne costituiscono piuttosto un movimento culturale.
Nel ribaltamento che porta da una societa' di conquistatori del mondo a una
societa' della costruzione del se', la societa' degli uomini e' sostituita
da quella delle donne. Non c'e' alcun motivo di pensare che l'inferiorita'
delle donne lasci ora il posto all'uguaglianza: oggi le donne piu' che gli
uomini hanno la capacita' di comportarsi come soggetti in quanto portatrici
dell'ideale storico della ricomposizione del mondo e del superamento di
antichi dualismi, e perche' si fanno direttamente carico del proprio ruolo
di creatrici di vita, della propria sessualita'.
Per un lungo periodo, gli uomini hanno gestito la storicita' e creato la
coscienza di se'. Da alcuni decessi ormai, e per un tempo indeterminato
forse senza una fine prevedibile, siamo in una societa' ed abbiamo una vita
individuale il cui "senso" sta nelle mani, nelle teste e nel sesso delle
donne, piu' che nelle mani, nelle teste e nel sesso degli uomini.
*
L'universalismo, in cui vedo un attributo essenziale della modernita', e'
altrettanto sinonimo di difesa dei diritti individuali che dei risultati
della scienza. E l'importanza suprema del femminismo e' che, al di la' delle
lotte contro la disuguaglianza e l'ingiustizia, ha formulato e difeso i
diritti fondamentali di ogni donna, che si possono riassumere con una
formula: il diritto di essere un individuo libero, gestito dai propri
orientamenti e nel rispetto delle proprie capacita' e potenzialita', di un
"poter essere" per riprendere l'espressione con la quale Paul Ricoeur ha
reso il termine "capability" usato da Amartya Sen.
Per due secoli abbiamo ascoltato la voce dei cittadini che hanno rovesciato
lo Stato assoluto, dei lavoratori che hanno difeso i propri diritti
all'interno delle imprese, dei popoli colonizzati che si liberavano da un
dominio straniero e delle donne che rifiutavano il dominio maschile. Ma il
postfemmminismo di cui si occupa il mio libro incita ad andare oltre, non a
combattere un dominio in nome di una verita' oggettiva o di una volonta'
collettiva, ma dare per scopo all'azione collettiva la proclamazione della
liberta' di soggetti creatori e liberatori di se stessi. E questo rende
caduca quella sociologia basata sull'idea di un sistema sociale che mira
all'integrazione e a gestire i cambiamenti.

6. MEMORIA. ANNA FOLLI: ANNIE VIVANTI (CON UNA POESIA DI GIOSUE CARDUCCI)
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente
articolo. La poesia di Giosue Carducci e' in Rime e ritmi, poi in Poesie di
Giosue Carducci MDCCCL-MCM, Zanichelli, Bologna 1901 e successive edizioni
(nella sedicesima edizione del 1921 - quella in cui chi scrive questa breve
nota lesse e amo' tutta la poesia carducciana negli anni in cui quasi
nessuno piu' la leggeva o intendeva - alle pp. 957-958).
Anna Folli insegna letteratura moderna e contemporanea all'Universita' di
Ferrara; si e' occupata in particolare di letteratura femminile, pubblicando
Penne leggere, uno studio sulle scrittrici dell'Ottocento e del Novecento
(Guerini e Associati 2000); oltre alla riproposta di alcune opere di Ada
Negri e Neera, ha curato il carteggio di Corrado Govoni con Eleonora Duse
(Pura fiamma di poesia, Bulzoni 1984), di Clemente Rebora con Sibilla
Aleramo (Per veemente amore lucente, Scheiwiller 1987), di Giosue Carducci
con Annie Vivanti (Addio caro orco. Lettere e ricordi 1889-1906,
Feltrinelli, 2004).
Su Annie Vivanti dalla Wikipedia riprendiamo la seguente notizia biografica:
"Anna Emilia (Annie) Vivanti (Norwood (Londra) 1866 - Torino 1942), figlia
di Anselmo, patriota mantovano di antico ceppo ebraico, e di Anna Lindau
(scrittrice tedesca, sorella dei celebri letterati Paul e Rudolph,
d'importante casata germanica), nacque il 7 aprile 1866 a Londra, dove il
padre, seguace degli ideali mazziniani, aveva trovato rifugio politico in
seguito ai moti di Mantova del 1851. Cresciuta fra l'Italia, l'Inghilterra,
la Svizzera e gli Usa, dopo aver vissuto esperienze stravaganti come artista
di teatro esordi' nel mondo letterario con la raccolta poetica Lirica
(Milano, Treves 1890), pubblicata in Italia con la prefazione di Giosue
Carducci, che le dette subito un vasto successo di pubblico e lego' il suo
nome a quello del grande poeta italiano per il quale Annie nutri' un intenso
sentimento che duro' fino alla morte di lui. Nel 1891 pubblico' il primo
romanzo, Marion artista di caffe' concerto (Milano, Galli) ma dopo il
matrimonio con l'irlandese John Chartres - celebrato in Inghilterra nel
1892 - la Vivanti trascorse quasi venti anni fra l'Inghilterra e gli Usa,
scrivendo soltanto in inglese racconti (Perfect, 1896; En Passant, 1897;
Houp-la', 1897; A fad, 1899), romanzi (The Hunt for Happiness, 1896; Winning
him back, 1904) e opere teatrali (That man, 1898; The ruby ring, 1900). In
Italia sembro' aver lasciato la letteratura, con l'unica eccezione del
dramma La rosa azzurra, rappresentato in teatro fra il 1898 e il 1899,
l'unico clamoroso insuccesso della sua fortunata carriera, mai pubblicato.
Un nuovo capitolo della sua vita si apri' dopo il 1900, anche a seguito di
un difficile periodo vissuto a cavallo fra i due secoli, quando la figlia
Vivien - nata nel 1893 - comincio' ad affermarsi come enfant prodige del
violino ed in breve divenne una acclamata celebrita' internazionale.
Dall'esperienza del successo di Vivien, Annie trasse motivo per un suo
rilancio in letteratura, prima col racconto The true story of a Wunderkind
(1905) e poi con l'opera sua piu' celebre, The devourers, scritta e
pubblicata in Inghilterra nel 1910 e poi riscritta in italiano col titolo I
divoratori (1911) con cui, dopo vent'anni, torno' a dominare il mercato
editoriale italiano. Da questo momento in poi, fino alla fine degli anni
'30, Annie Vivanti conobbe un successo ininterrotto con romanzi come Circe
(1912), Vae Victis (1917), Naja tripudians (1920), Mea culpa (1927);
raccolte di novelle (Zingaresca,1918; Gioia, 1921; Perdonate
Eglantina,1926); drammi (L'Invasore, 1915; Le bocche inutili, 1918); opere
per l'infanzia (Sua altezza, 1924; Il viaggio incantato, 1933); reportages
di viaggio (Terra di Cleopatra, 1925). Le sue opere furono accompagnate
sempre da un notevole successo internazionale di pubblico e di critica,
furono tradotte in tutte le lingue europee e recensite da grandi nomi della
cultura quali Benedetto Croce e Giuseppe Antonio Borgese in Italia, George
Brandes, Jaroslav Vrchlicky, Rado Antal e Paul Heyse in Europa. Durante la
prima guerra mondiale, la Vivanti si impegno' a difendere la causa italiana
sulle colonne dei principali giornali inglesi e nell'immediato dopoguerra
abbraccio' la causa delle nazionalita' oppresse principalmente in chiave
antibritannica, avvicinandosi sempre di piu' a Mussolini e al nascente
fascismo. Contemporaneamente sostenne col marito - attivista sinnfeiner - la
causa dell'indipendenza irlandese, impegnandosi su varie testate
giornalistiche europee e facendo da assistente alla delegazione irlandese a
Versailles nel 1919, dove strinse un rapporto d'amicizia personale anche con
Zagloul Pascia' d'Egitto. Stabilitasi da anni definitivamente in Italia,
accompagnata sempre dal fedele segretario Luigi Marescalchi, Annie Vivanti
era una celebrata ed ormai anziana scrittrice quando la svolta anglofoba del
regime fascista la colpi', nel 1941, con un provvedimento di domicilio
coatto ad Arezzo, in quanto cittadina britannica. Presto liberata per
diretta intercessione di Mussolini, pote' tornare a Torino, dove risiedeva,
ma l'aggravarsi delle sue condizioni fisiche e la notizia della morte di sua
figlia Vivien, suicidatasi a Brighton nell'autunno 1941, precipitarono la
situazione ed ella mori', il 20 febbraio 1942, poco dopo essersi convertita
al cattolicesimo. E' sepolta al Cimitero Monumentale di Torino, e sulla sua
semplice tomba sono scritti i primi versi della piu' celebre fra le poesie
che Carducci le aveva dedicato: "Batto alla chiusa imposta con un ramicello
di fiori / Glauchi ed azzurri come i tuoi occhi, o Annie". L'incontro fra
culture, lingue, nazionalita' e religioni diverse costituisce
l'eccezionalita' dell'esperienza di vita e di letteratura di Annie Vivanti,
unica nel contesto italiano. Nata e cresciuta a diretto contatto con la
realta' inglese, italiana, tedesca ed americana, Annie assimilo' e fuse
quelle diverse componenti culturali e spirituali, filtrandole attraverso la
lente di un sentimentalismo tutto latino ma anche di un pragmatismo
puramente anglosassone che in lei si sono esaltati e riassunti. Il marito
John Chartres, uomo d'affari e giornalista, ma anche attivista sinnfeiner
per l'indipendenza irlandese, aggiunse una componente di passione politica
nella vita di Annie - che gia' aveva ricevuto l'impronta dell'esempio
paterno - che la condusse, negli anni della maturita', a prendere parte
attiva alle vicende politiche irlandesi ed italiane, in chiave
irredentistica, contro lo status quo imposto dalle grandi nazioni,
principalmente dall'Inghilterra. La conversione al cattolicesimo compiuta a
pochi giorni dalla morte, nel 1942, rappresenta l'anello conclusivo di un
percorso eterogeneo e affascinante attraverso tutte le forme della
spiritualita' umana, un traguardo cui la Vivanti giunse alla fine di un
complesso itinerario spirituale ed esistenziale. Grande viaggiatrice,
inserita appieno nei contesti in cui visse, ordinatrice della propria
realta', Annie Vivanti nutri' sempre un sentimento contraddittorio verso
l'Inghilterra - paese in cui nacque e di cui resto' sempre cittadina -,
sentiva congeniale la vita e la mentalita' americana, ma elesse l'Italia
come sua patria. Pero' ogni attribuzione di carattere nazionale e' riduttiva
per il suo temperamento apolide e poliedrico...".
Giosue Carducci (1835-1907), poeta sovente sublime, critico acuto, docente
universitario illustre e vivacissimo polemista di appassionato impegno
civile, Nobel per la letteratura nel 1906, e' un autore anche in Italia da
decenni pressoche' dimenticato dopo essere stato in vita quasi un dittatore
delle lettere. Ma chi in silenzio e tensione nuovamente si accostasse
all'opera sua in versi - a cominciare dalla parte meno enfatica e
tonitruante - ritroverebbe una voce che non si dimentica piu'. Tra le opere
di Giosue Carducci ci piace qui segnalare particolarmente una recente
edizione economica dell'opera in versi integrale e commentata, a cura di
Pietro Gibellini e annotata da Marina Salvini: Giosue Carducci, Tutte le
poesie, Newton & Compton, Roma 1998. Opere su Giosue Carducci: per un avvio,
Antonio Piromalli, Introduzione a Carducci, Laterza, Roma-Bari 1988]

Annie Vivanti nacque a Londra il 7 aprile 1866 (ultima di sei fratelli) da
Anselmo, mazziniano di antico ceppo ebraico in esilio dalla patria dopo i
moti del '51, e da Anna Lindau, giovane scrittrice tedesca sorella dei
letterati Rudolph e Paul. Seguendo la famiglia nei suoi grandi spostamenti
dietro le rotte del commercio della seta - e dunque da Londra a New York a
Yokohama e poi Como e Milano - Annie imparo' molte lingue che coltivo' senza
mescolarle. L'inglese era la lingua in cui pensava e in cui era sgridata; il
tedesco quella delle fiabe e delle poesie; l'italiano quella delle canzoni e
del melodramma. Aveva una bella voce coltivata di soprano, suonava con
scioltezza pianoforte e chitarra, tirava di scherma, cavalcava come
un'amazzone, disegnava con delicatezza; ma la vita ("terribile Romanziera")
l'aveva resa scaltra e giocava il ruolo della fanciulla ignorante.
Nel 1880 a Milano mori' la madre. Fu mandata in collegio in Svizzera. Al
ritorno - aveva sedici anni - trovo' in casa la giovane matrigna, e fuggi'.
Per vivere cantava e suonava per le strade e certo fece qui le esperienze
perturbanti che furono poi al centro di tutti i suoi romanzi. Di nascosto
scriveva versi. Comincio' a presentarsi da se' a editori e poeti illustri
con letterine ardenti, ironiche e ingegnose. La piu' bella la mando' a
Giosue Carducci il 5 dicembre 1889. Il "sommo dei poeti viventi" la amo', la
protesse, la innalzo', e fu ricambiato con profondissima intelligente
tenerezza.
Dopo il successo enorme del libro di versi lanciato dalla prefazione di
Carducci (Lirica, 1890), butto' giu' la storia scabrosa di una piccola
chanteuse che chiamo' Marion, suo nome d'arte. Marion artista di
Caffe'-concerto (1891) fu accolto tiepidamente, cosi' che fino al 1911 Annie
non pubblico' in Italia, ma molto in America e con successo. Racconti
ironici e frizzanti che guardano con sagacia i paradossi del vivere sociale:
innamoramenti e disincanti, sogni grandi e piccole realta', miserie
affettuose e bisogni crudeli, in un gioco senza fine. Sempre inseguendo
forsennatamente una chimera che Annie chiamava felicita': In cerca di
felicita' (The Hunt for Happiness) intitolo' un romanzo del 1896. Ne scrisse
altri, e commedie spassose rappresentate a Brodway da compagnie di grido e
in Europa a Parigi, a Praga. Il 17 febbraio 1907 mori' Carducci (il grande
Orco, com'era nei loro scherzi) dopo il conferimento del Nobel (1906). Annie
chiese invano di essere ricevuta dalla famiglia mentre soffriva
disperatamente la fine della sua favola bella. Su quest'onda nel 1909
comincio' a comporre The Devourers - I divoratori - il romanzo che subito
tradotto la riporto' al successo e all'Italia.
La grande Annie, come la chiamava Sibilla Aleramo, chiuse dolorosamente la
sua vita. Internata ad Arezzo perche' cittadina inglese, ebbe la' la notizia
della morte della figlia Vivien sotto i bombardamenti di Londra, ma in
realta' suicida a Brighton nel settembre 1941. Liberata, mori' a Torino il
20 febbraio 1942 dopo essersi convertita al cattolicesimo, nel silenzio
imposto dalle leggi razziali.
Sulla sua tomba al Cimitero Monumentale di Torino ci sono i versi che le
dedico' Carducci: "Batto a la chiusa imposta con un ramicello di fiori /
glauchi ed azzurri, come i tuoi occhi, o Annie...".
E' merito di Elvira Sellerio se oggi non siamo piu' costretti a cercare i
libri di Annie Vivanti in biblioteca. Procede la traduzione dei titoli
americani mentre la serie di quelli italiani si inaugura col primo, Marion
artista di Caffe'-concerto, dopo 125 anni esatti. Non e' impresa da poco far
rivivere uno scrittore accantonato o fuori canone, figuriamoci una
scrittrice come Annie Vivanti che si e' destreggiata tra due secoli. Come
viatico di questo ritorno dedichiamo a chi ci legge un vero gioiello.
*
Ad Annie

Batto a la chiusa imposta con un ramicello di fiori
glauchi ed azzurri, come i tuoi occhi, o Annie.

Vedi: il sole co 'l riso d'un tremulo raggio ha baciato
la nube, e ha detto - Nuvola bianca, t'apri -

Senti: il vento de l'alpe con fresco susurro saluta
la vela, e dice - Candida vela, vai -

Mira: l'augel discende da l'umido cielo su 'l pesco
in fiore, e trilla - Vermiglia pianta, odora -

Scende da' miei pensieri l'eterna dea poesia
su 'l cuore, e grida - O vecchio cuore, batti -

E docile il cuore ne' tuoi grandi occhi di fata
s'affisa, e chiama - Dolce fanciulla, canta -

(Giosue Carducci)
*
Bibliografia
Giosue Carducci-Annie Vivanti, Addio caro Orco. Lettere e ricordi
(1889-1906), saggio introduttivo e cura di Anna Folli, Feltrinelli, Milano
2004; Annie Vivanti, Racconti americani, introduzione, traduzione e cura di
Carlo Caporossi, con una nota di Anna Folli, Sellerio, Palermo 2005; Annie
Vivanti, Marion artista di caffe-concerto, Introduzione e cura di Carlo
Caporossi, con una nota di Anna Folli, Sellerio, Palermo 2006.

7. LIBRI. RICCARDA NOVELLO PRESENTA "PRIMA DELLA QUIETE" DI ELENA GIANINI
BELOTTI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it).
Riccarda Novello e' docente universitaria, saggista e traduttrice.
Elena Gianini Belotti, pedagogista e scrittrice, e' nata a Roma, dove
attualmente vive alternando lunghi soggiorni nella campagna toscana; dal
1960 al 1980 ha diretto il Centro Nascita Montessori di Roma, per molti anni
ha insegnato in un Istituto professionale statale per assistenti
all'infanzia; collabora con quotidiani e periodici, ed e' autrice di saggi e
romanzi che hanno fortemente contribuito alla riflessione sui temi legati
all'essere donna in tutte le eta'; particolarmente con il suo Dalla parte
delle bambine - considerato il manifesto del femminismo pedagogico - e'
stata una delle voci piu' vive nella denuncia dell'oppressione maschile
sulle donne. Opere di Elena Gianini Belotti: Dalla parte delle bambine,
Feltrinelli, Milano 1973; Che razza di ragazza, Savelli, Roma; Prima le
donne e i bambini, Rizzoli, Milano 1980; Non di sola madre, Rizzoli, Milano
1983; Il fiore dell'ibisco, Rizzoli, Milano 1985; Amore e pregiudizio, 1988;
Adagio un poco mosso, 1993; Pimpi' Oseli', 1995; Apri le porte all'alba,
1999; Voli, 2001; Prima della quiete, Rizzoli, Milano 2003; Pane amaro,
Rizzoli, Milano 2006.
Italia Donati (1963-1886) "nata in una famiglia poverissima, in cui si lotta
per la semplice sopravvivenza, ha invece lottato per la sua anima, per il
suo spirito, per la sua istruzione: ed e' riuscita a diventare maestra
comunale. Ma il suo desiderio di emancipazione contrasta con il modo di
vivere di tutto il paese, povero e analfabeta, urta i poteri di un sindaco
feudale, disturba le certezze di tutta la comunita'. E Italia, quando non
riesce piu' a sopportare la diffamazione, l'insulto, l'isolamento, reagisce
nell'unico tragico modo possibile"]

"A Porciano la giovane non aveva che nemici... Piu' recisi e convinti
s'erano mostrati il medico condotto e il farmacista, che avevano ricordato
anche i suoi meriti durante l'epidemia di colera, la sua generosita', la sua
dedizione: ma costoro erano uomini istruiti, illuminati e riservati,
un'esigua, insignificante minoranza...". Per inesperienza delle cose del
mondo e ingenua sprovvedutezza, la giovane insegnante Italia Donati, nata il
primo gennaio del 1863 e scomparsa il primo giugno 1886, cadde vittima di
un'infame spirale di malevolenza e invidie, per la sua semplice bellezza, la
sua onesta' e il desiderio di affermazione personale come maestra comunale.
Erano tempi, ammonisce l'autrice Elena Gianini Belotti nelle prime pagine
del suo toccante romanzo Prima della quiete, tempi bui, in cui la gente
pativa le privazioni estreme, e "l'istruzione doveva apparire un lusso
inconcepibile, una pretesa scandalosa, un'ambizione colpevole che suscitava
soltanto biasimo". E, aggiunge puntuale: "Sotto il biasimo covava
l'invidia".
Niente venne risparmiato a una figura dolce e operosa, "immagine di
gentilezza e ritrosia, sensibilita' e timidezza": le infami tecniche della
diffamazione, del vilipendio, la prepotenza e l'inaudita crudelta' di una
comunita' pronta a difendere il signorotto locale, costringeranno questa
Italia dal nome cosi' simbolico, che sperava di costruirsi un futuro con la
fatica, la determinazione, il sacrificio, a una situazione insostenibile di
isolamento.
La Gianini Belotti ha ripercorso una vicenda drammaticamente reale del
nostro Ottocento, e ha trovato la propria necessaria motivazione nella
storia della madre, maestra elementare, a cui i familiari avevano riservato
solo un'assoluta incomprensione: "perche' nessuno... capiva la fatica
tremenda di insegnare in una classe di sessanta scolari, e le buttavano in
faccia l'unica vera fatica secondo loro, il lavoro manuale". Eppure,
aggiunge la figlia, "Aveva studiato con accanimento, senza respiro".
Ben piu' tragicamente si concludera' l'esistenza di Italia, l'innocente
travolta dalle feroci maldicenze, e che il maestro di un tempo ricordero'
come "bambina seria e intelligente".
L'autrice conclude il suo libro con una nota appassionata, ricordando la
povera gente massacrata dai nazisti a Fucecchio nel '44, auspica che la
memoria dei martiri del nazifascismo sia conservata e tramandata alle future
generazioni, ma sottolinea anche come lo stesso diritto, in passato, non
fosse riservato a figure come quelle di Italia, "a una martire del sessismo
perche' non si dimenticassero gli atroci delitti consumati contro le
donne... E perche' le donne, venendoli a conoscere, si ribellassero
all'ingiustizia".
Tra le eccezioni, annota, si distinsero Matilde Serao che scrisse per il
"Corriere di Roma" un articolo sulla solitudine drammatica di quelle donne
coraggiose che affrontavano la via dell'emancipazione, a dispetto di odiose
calunnie e malgrado fossero sottoposte alle angherie dei poteri locali, e
l'azione illuminata del "Corriere della Sera" che pubblico' numerosi
interventi, dimostrando il suo interesse per questa figura femminile, una
delle tante di questa Italia ancora arretrata, che pago' un prezzo troppo
alto per il desiderio di liberta' e autonomia, per la sua intelligenza e
dignita'.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 68 del 15 giugno 2006

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