La nonviolenza e' in cammino. 1331



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1331 del 19 giugno 2006

Sommario di questo numero:
1. No
2. Luigi Ferrajoli: Lo scempio
3. Ida Dominijanni: Le collusioni
4. Giulio Vittorangeli: La democrazia, giorno per giorno
5. Guido Caldiron intervista Zainab Salbi
6. Elena Loewenthal presenta "Islam: l'identita' inquieta dell'Europa" di
Farian Sabahi
7. Arrigo Quattrocchi ricorda Gyorgy Ligeti
8. A Pisa dall'8 all'11 settembre
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. NO

A chi vuole imporre la dittatura del primo ministro sul parlamento, noi
diciamo no.
A chi vuole frantumare il diritto di tutti cittadini all'eguaglianza, noi
diciamo no.
A chi vuole asservire la magistratura, noi diciamo no.
A chi vuole passare dalla democrazia rappresentativa al fascismo
plebiscitario, noi diciamo no.
A chi vuole fare strame della Costituzione nata dalla Resistenza, noi
diciamo no.
Al fascismo che torna, noi diciamo no.

2. RIFLESSIONE. LUIGI FERRAJOLI: LO SCEMPIO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 giugno 2006. Luigi Ferrajoli, illustre
giurista, nato a Firenze nel 1940, gia' magistrato tra il 1967 e il 1975,
dal 1970 docente universitario. Opere di Luigi Ferrajoli: della sua vasta
produzione scientifica segnaliamo particolarmente la monumentale monografia
Diritto e ragione, Laterza, Roma-Bari 1989; il saggio La sovranita' nel
mondo moderno, Laterza, Roma-Bari 1997; e La cultura giuridica nell'Italia
del Novecento, Laterza, Roma-Bari 1999]

Mancano solo otto giorni al referendum sullo scempio della Costituzione
repubblicana e il centrosinistra sembra non aver ancora iniziato la campagna
elettorale per il "no". Frattanto la televisione - quella pubblica, e non
solo quella di Berlusconi - illustra i contenuti del referendum spiegando
che si andra' a votare semplicemente sulla diminuzione del numero dei
parlamentari e su una piu' razionale e per tutti vantaggiosa
differenziazione di competenze tra camera e senato e tra stato e regioni.
Torniamo allora a raccontare l'incubo che ossessiona e tormenta quanti
conoscono - un'infima minoranza dell'elettorato - cio' su cui andremo a
votare: la possibilita', niente affatto inverosimile visti i sondaggi e la
totale disinformazione, che prevalgano i "si'" a questa manomissione della
nostra democrazia.
*
Avremmo, se vincessero i "si'", 20 sistemi sanitari, 20 sistemi scolastici e
20 sistemi di polizia diversi, con i relativi apparati burocratici e,
soprattutto, con la lesione dell'uguaglianza dei cittadini nei diritti alla
salute, all'istruzione e alla sicurezza, in danno di quanti abitano nelle
regioni piu' povere.
Avremmo un'ulteriore personalizzazione e verticalizzazione del sistema
politico all'insegna di una sua degenerazione antiparlamentare e
antirappresentativa. Tutti i poteri politici sarebbero di fatto concentrati
nella figura autocratica di un "primo ministro" reso di fatto inamovibile e
irresponsabile. Ne risulterebbe infatti capovolto il rapporto di fiducia tra
parlamento e governo: non sarebbe piu' il governo che dovrebbe avere la
fiducia del parlamento, bensi' il parlamento che dovrebbe avere la fiducia
del primo ministro, il quale potrebbe sempre sciogliere la camera sotto la
sua "esclusiva responsabilita'".
Sarebbe d'altro canto praticamente impossibile la sfiducia, dato che essa
comporterebbe, oltre alle dimissioni del primo ministro, lo scioglimento
della camera e nuove elezioni; a meno che essa non fosse accompagnata dalla
designazione di un nuovo primo ministro, che pero' dovrebbe essere votata
dagli stessi "deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni
in numero non inferiore alla maggioranza dei componenti della camera".
Sarebbero percio' impossibili le crisi di governo parlamentari. Solo la
maggioranza, quasi all'unanimita', potrebbe sfiduciare il primo ministro.
Maggioranza e minoranza verrebbero blindate, in un parlamento ridotto a una
specie di societa' per azioni controllata, con un decimo o anche meno dei
deputati, dal capo della coalizione vincente. Sarebbe cosi' alterato lo
statuto del parlamentare, vincolato al primo ministro da un mandato
imperativo dall'alto, in contrasto con il principio basilare della
democrazia politica, stabilito dall'art. 67 della Costituzione, che "ogni
membro del parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni
senza vincolo di mandato".
La separazione tra potere esecutivo e potere legislativo sarebbe d'altro
canto dissolta anche sul piano funzionale dal sabotaggio, oltre che dei
poteri di controllo, anche delle classiche funzioni legislative del
parlamento. Avremmo infatti ben quattro tipi di fonti che darebbero luogo ad
altrettanti conflitti: 1) leggi di competenza della camera su ben 22
materie, con parere non vincolante del senato; 2) leggi di competenza del
senato con parere non vincolante della camera in tema di sanita',
organizzazione della scuola, programmi scolastici, polizia amministrativa e
in ogni altra materia non di competenza della camera; 3) leggi di competenza
congiunta di entrambe le camere su un'altra serie interminabile di materie;
4) leggi di competenza del senato cui il governo, su autorizzazione del
presidente della Repubblica chiamato a "verificar(n)e i presupposti
costituzionali", potrebbe proporre modifiche "essenziali per l'attuazione
del suo programma" che, se non approvate, sarebbero decise dalla camera a
maggioranza assoluta.
E' facile immaginare il caos istituzionale che proverrebbe da questo
labirinto di competenze e dagli infiniti contenziosi generati
dall'inevitabile incertezza dei confini tra le innumerevoli materie
distribuite tra queste quattro fonti. Si sono addirittura previsti due nuovi
organi - una commissione paritetica di 60 membri e un comitato di 8 membri
designato dai due presidenti - per risolvere l'uno il disaccordo tra camera
e senato sulle leggi bicamerali e l'altro i conflitti di competenza tra le
quattro fonti. A questi conflitti si aggiungerebbero d'altro canto i
conflitti tra conflitti: tra quelli intra-parlamentari affidati al comitato
degli 8 e quelli sulle stesse materie tra stato e regioni, rimasti di
competenza della corte costituzionale.
Ne risulterebbe - tra un parlamento articolato di fatto in quattro camere
(camera, senato, commissione dei 60 e comitato degli 8) e le 20 regioni -
una conflittualita' intraistituzionale permanente; la possibilita' di
ostruzionismi illimitati; la paralisi della funzione legislativa del
parlamento in favore della decretazione governativa d'urgenza; una valanga
di questioni procedurali sui due presidenti (e sul loro comitato) e sulla
corte costituzionale; lo squilibrio in senso autoritario dell'intero assetto
istituzionale; il crollo della certezza del diritto, il declino della legge
e l'indebolimento della funzione garantista della giurisdizione, la cui
"soggezione alla legge" risulterebbe sostituita dalla soggezione ai decreti
legge del governo. Una frana, insomma, dell'intero edificio dello stato di
diritto e della democrazia rappresentativa.
*
Siamo quindi di fronte non gia' a una semplice "revisione" della
Costituzione, ma a una Costituzione nuova, che modifica simultaneamente la
forma di stato, da nazionale a federale, e la forma di governo, da
parlamentare a monocratica, e decostituzionalizza di fatto la Repubblica. E'
infatti l'intera Costituzione, e non solo la sua seconda parte, che ne
risulta stravolta: per la disuguaglianza nei diritti sociali provocata dalla
cosiddetta devolution; per il nesso funzionale che lega la seconda parte
della Carta alla prima; perche' infine la crisi della legge, che e' la fonte
primaria di attuazione della Costituzione, non potrebbe non risolversi in un
indebolimento di tutti i diritti fondamentali da questa stabiliti.
Di qui la radicale illegittimita' di tutta questa operazione. Il potere di
revisione non e' infatti un potere costituente, ma un potere costituito, che
in quanto tale puo' produrre singoli emendamenti e non una costituzione del
tutto diversa, se non in violazione della sovranita' popolare sancita dal
primo articolo della Carta del '48.
E' difficile capire se i dirigenti dell'Unione si rendano conto della
portata dello sfascio prospettato da una vittoria del "si'". Non sembra, a
giudicare dalla loro inerzia e dalle loro proposte di tornare, dopo il
referendum, a trattare con l'opposizione non si sa bene su quali di tutte
queste trovate. Due cose almeno dovrebbero allora essere chiare anche ai
nostri rappresentanti: che un'eventuale vittoria del "si'" ben difficilmente
indurrebbe la destra a rimettere in questione la sua riforma; e che la
vittoria del "no" e' essenziale anche per quanti hanno a cuore, se non il
futuro della democrazia, la sopravvivenza dell'attuale governo, che
dall'entrata in vigore della costituzione di Berlusconi, Fini, Bossi e
Calderoli risulterebbe pesantemente delegittimato.

3. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: LE COLLUSIONI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 giugno 2006 (ivi col titolo: Il
fantasma della bicamerale; il titolo da noi adottato - lo dichiariamo senza
esitazioni - e' una forzatura, ovvero una scelta ermeneutica, critica e
ortativa, della redazione di questo notiziario che - come e' noto - ritiene
che il "no" al golpe berlusconiano debba valere come opposizione anche ad
ogni ulteriore tentativo di stravolgimento della Costituzione - p. s.). Ida
Dominijanni, giornalista e saggista, docente a contratto di filosofia
sociale all'Universita' di Roma Tre, e' una prestigiosa intellettuale
femminista. Tra le opere di Ida Dominijanni: (a cura di), Motivi di
liberta', Angeli, Milano 2001; (a cura di, con Simona Bonsignori, Stefania
Giorgi), Si puo', Manifestolibri, Roma 2005]

"Puo' darsi che un giorno ci saranno le condizioni per riprendere in mano il
lavoro da dove lo abbiamo lasciato", disse Massimo D'Alema l'8 giugno 1998
chiudendo il capitolo della commissione bicamerale da lui presieduta. Silvio
Berlusconi aveva fatto saltare il tavolo all'ultimo momento, quando gia'
tutti, politici cronisti e commentatori, davano per fatta l'approvazione in
aula della bozza di riforma licenziata il 4 novembre del '97 dalla
commissione istituita il 24 gennaio. Per uno di quei paradossi di cui la
politica e' fatta, quelle condizioni evocate da D'Alema potrebbe essere
proprio il referendum del 25 a crearle; e proprio la vittoria del "no".
Come che vada, ci dicono infatti da destra e da sinistra, "il processo di
riforma" riprendera'. Ma mentre se vincesse il "si'" Berlusconi potrebbe
avere piu' interesse a incassare la nuova Costituzione scagliandola contro
il governo che non a destabilizzarlo riaprendo il tavolo delle "larghe
intese", se prevarra' il "no" c'e' poco da sperare che i vertici del
centrosinistra lo interpreteranno come invito a sospendere la corsa alla
revisione costituzionale: la parola d'ordine del "no per il cambiamento" su
cui e' stata impostata la (modestissima) campagna referendaria annuncia gia'
che lo interpreteranno al contrario come autorizzazione a riprenderla. La
coazione a ripetere finira' dunque col prevalere sull'esigenza di fermarsi a
riconsiderare criticamente l'intero arco - ormai piu' di venti anni - dei
tentativi di revisione costituzionale, che sono approdati al paradossale
risultato di delegittimare la Carta del '48 senza riuscire a riformarla.
La coazione a ripetere trionfa nel metodo prima che nel merito. Gia' e'
tornata a galla, per il dopo-referendum, la stessa disputa sullo strumento -
commissione bicamerale, convenzione o assemblea costituente - che occupo' il
campo prima dell'istituzione della bicamerale. Allora di convenzioni non si
parlava - l'ipotesi spunta ora a imitazione dell'organismo che ha partorito
il trattato costituzionale europeo - e la scelta fra bicamerale e assemblea
costituente rifletteva un problema tutt'altro che tecnico. A invocare
l'assemblea costituente era infatti quella parte del campo politico convinta
che si trattasse non di riformare ma di riscrivere la Costituzione: le tre
componenti del centrodestra, estranee al patto del '48, ma anche i settori
piu' "nuovisti" del centrosinistra, quelli cioe' che avevano visto
nell'esplosione di tangentopoli, nella crisi del sistema politico che ne era
conseguita e nell'introduzione del maggioritario una cesura storica tale da
formalizzare l'avvento della "seconda Repubblica" in una nuova Costituzione.
Rispetto a questa marea montante (non va dimenticato che nel '96 il
centrosinistra aveva vinto le elezioni favorito dal maggioritario, ma il
centrodestra aveva ottenuto piu' voti e avrebbe probabilmente avuto la
maggioranza in un'assemblea costituente eletta col proporzionale)
l'istituzione della bicamerale parve il male minore anche a quanti avevano a
cuore le sorti della Carta del '48, o comunque non vedevano nel biennio
'92-'94 una cesura rivoluzionaria o traumatica tale da giustificare
l'evocazione del potere costituente. Un argomento che resta valido oggi
quanto allora.
La bicamerale D'Alema era la terza della serie, dopo quelle presiedute da
Bozzi nell'83-'85 e da De Mita e Jotti del '93-'94. Risale all'83, dunque,
la prassi di concepire le riforme in apposite commissioni, derogando dalla
procedura prevista dall'articolo 138 (doppia votazione delle camere,
maggioranza assoluta nella seconda votazione e possibilita' di chiedere il
referendum se questa maggioranza e' inferiore ai due terzi). Con la
bicamerale D'Alema, tuttavia, comincia un'altra storia, sia per il suo
mandato assai ampio (l'elaborazione di una proposta di riforma dell'intera
seconda parte della Carta), sia per la congiuntura politica in cui si svolse
e per il peso che la posta delle riforme costituzionali ha assunto da allora
nell'andamento della transizione italiana.
In gioco non c'era "solo" il cambiamento della forma di stato e di governo,
del bicameralismo e dell'ordinamento giudiziario. C'era la partita simbolica
cui abbiamo gia' accennato del passaggio dalla prima alla seconda
Repubblica, il bisogno di legittimazione della nuova destra extra, anti e
post costituzionale (rispettivamente An, la Lega, Forza Italia), l'imporsi
della "questione settentrionale" contro la storica questione meridionale, i
desideri di revanche berlusconiani (e non solo) contro il controllo di
legalita' della magistratura sulla classe politica.
I giudizi prevalenti su quella stagione sono com'e' noto, a sinistra e
soprattutto nella parte piu' "giustizialista" della sinistra, molto severi.
Ma le accuse rivolte alla bicamerale, e segnatamente al suo presidente, di
"legittimazione del nemico" e compromissione col medesimo soprattutto in
materia di giustizia dovrebbero prima o poi misurarsi con almeno tre fatti:
la necessita' di provare a contenere nella bicamerale la "marea montante"
anticostituzionale di cui sopra, la legittimazione che a Berlusconi era gia'
venuta dal voto popolare, il siluramento finale della bozza di riforma
voluto in corner dallo stesso Berlusconi proprio perche' sulla giustizia non
aveva ottenuto quello che voleva. Piu' che di legittimazione del nemico, si
tratto' di un - ottimistico - tentativo di educarlo al galateo democratico,
costituzionale e istituzionale, destinato al fallimento data la natura
geneticamente ostile al costituzionalismo democratico novecentesco della
destra che nel '94 si e' aggregata in Italia attorno a Berlusconi, e anche
altrove ha fatto la sua comparsa al passaggio di secolo.
Restano invece addebitati sul conto della bicamerale altri effetti. L'aver
definitivamente consolidato l'idea - maturata gia' nel decennio craxiano -
che cio' di cui la democrazia italiana soffre sia un deficit di
governabilita', e dunque l'aver spostato la terapia dalla rappresentanza
alla verticalizzazione dell'esecutivo. L'aver accreditato una concezione
negativa delle funzioni dello stato, scisse dal legame sociale. E
soprattutto l'aver alimentato la delegittimazione della Costituzione del '48
dipingendola come una Carta in perenne attesa di riforme incompiute, e la
riduzione della revisione costituzionale a posta del gioco (se non dello
scambio) politico e a protesi delle storture del sistema dei partiti e delle
coalizioni. Attraverso queste quattro porte sono passate insieme, in Italia,
la messa in mora della Costituzione e una concezione riduttiva della
democrazia.
Che insieme si sono ulteriormente saldate nella riforma della Costituzione
varata dal centrodestra l'anno scorso e oggi sottoposta a referendum. In
questo caso la procedura regolare del 138 e' stata formalmente ripristinata,
ma, com'era gia' accaduto nel 2001 con la riforma di centrosinistra del
Titolo V, con un sostanziale stravolgimento dello spirito garantista del 138
stesso, cioe' procedendo a colpi di maggioranza in parlamento. Il ricorso al
referendum e' la garanzia estrema che la Costituzione ci mette a
disposizione per la sua salvaguardia, e speriamo che risponda all'obiettivo
di dire "no". Dopodiche' la coazione a ripetere del "processo di riforma"
tornera', ancora una volta impastata con la lotta politica. Si dovrebbe
invece finalmente aprire il tempo della riflessione. Venti anni e piu' di
tentate riforme lasciano infatti al ceto politico il compito di tornare ad
assumere la legge fondamentale come limite, e non come posta, del gioco
politico. E ai costituzionalisti il compito di pensare un rilancio del
costituzionalismo novecentesco all'altezza delle sfide antropologiche,
etiche e geopolitiche del Duemila.

4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LA DEMOCRAZIA, GIORNO PER GIORNO
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori
di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da
sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

Nel nostro occidente siamo tutti "democratici", destra e sinistra, almeno a
parole. Ma quali sono le caratteristiche della democrazia, considerata "il
meno cattivo dei sistemi politici"?
Se parliamo di democrazia, vengono immediatamente in mente le elezioni.
Troppe volte pero' ci si dimentica che di elezioni esistono molti tipi, piu'
o meno democratici; e comunque per quanto necessarie sono insufficienti.
Necessarie, perche' rappresentano un primo passo, insostituibile. Senza
elezioni, niente democrazia. Ma e' chiaro che non bastano, e per molti
motivi che ci possono introdurre ad una democrazia piu' vera. Pensiamo a
quanto e' stato scritto sul tema della democrazia rappresentativa e della
democrazia partecipativa.
Una democrazia puramente formale finisce inevitabilmente con il produrre una
democrazia incapace di mobilitare quelle energie politiche e morali di cui
invece abbiamo estremo bisogno.
Per molti di noi, la democrazia non e' solo metodo: un modo per scegliersi
dei governanti cui obbedire e a cui delegare la rappresentanza; la
democrazia e' anche contenuto ideale, e' un concetto-limite, cui tendere,
per il quale lottare, premendo dal basso, giorno dopo giorno. Fare in modo
che i cittadini decidano il piu' possibile insieme cio' che li riguarda. Il
primo soggetto della democrazia, non bisognerebbe mai smetterlo di
ricordarlo, e' il popolo. Il punto di partenza della politica democratica e'
il potere che promana dal popolo. La sovranita' democratica non e' la
sovranita' nazionale, ma la sovranita' popolare. Per tutto questo la
democrazia rappresenta un'idea-forza che comporta un ideale politico nella
viva trama dei rapporti quotidiani fra le persone.
*
Ma, tanto per restare in Italia, che cosa succede quando nel segreto della
cabina in molti scelgono chi promette di far pagare meno tasse... e chi se
ne importa se questo incide sul bilancio pubblico in modo da togliere
assistenza, sicurezza, una vita decente a chi ne ha piu' bisogno?
Succede che nel momento elettorale si sceglie non l'interesse pubblico, ma
l'interesse privato; succede che prevale l'egoismo rendendo evidenti i segni
del degrado che s'identificano nel trionfo dell'indifferenza, nel caotico
abbrutimento di un'informe massificazione, nel dominio del becero marasma
televisivo, nella violenza latente di larghi strati della popolazione
"silenziosa".
Cosi', come con l'erosione sistematica di ogni legalita', la nostra
democrazia entra in crisi.
E se nel 2001 il popolo di destra che aveva votato Berlusconi esprimeva
ottimismo, vitalita' ingenua ma reale, voglia di arricchimento facile, oggi
esprime solo paura: un sentimento su cui non si puo' costruire granche' di
buono. Su questo si registra la vera difficolta' odierna del Berlusconi
politico: "Non piu' uomo dei sogni ma degli incubi, non solo degli italiani
che lo detestano, ma anche di quelli speculari e contrapposti degli italiani
che lo votano" (Gianpasquale Santomassimo).
*
Siamo nel pieno dell'involuzione della democrazia italiana: pensiamo alla
personalizzazione e verticalizzazione della rappresentanza politica. La
diffusione del modello presidenzialista o di sistemi di tipo maggioritario
tende sempre piu' a identificarsi con la persona del "capo".
Inoltre abbiamo assistito, quasi impotenti, al venir meno della separazione
tra sfera pubblica e interessi privati, tra istituti politici e potentati
economici. E' quotidianamente sotto i nostri occhi l'affermazione del
primato del mercato sulla sfera pubblica, con conseguente subordinazione dei
poteri pubblici ai grandi interessi economici privati e la stretta alleanza
tra poteri politici e poteri mediatici.
*
Ma certamente l'elemento piu' evidente di questa involuzione e'
rappresentato dalla manomissione della Costituzione del '48, del paradigma
stesso della democrazia costituzionale.
La Costituzione e' cosa seria, e come tale dovrebbe essere sottratta alla
disponibilita' delle contingenti maggioranze.
Per tutto questo voteremo "no" al referendum del prossimo 25-26 giugno; con
la consapevolezza, peraltro, che la democrazia la dobbiamo conquistare e
difendere giorno per giorno, a partire dalla vita quotidiana, e non soltanto
nelle grandi e solenni scadenze elettorali.

5. RIFLESSIONE. GUIDO CALDIRON INTERVISTA ZAINAB SALBI
[Dal quotidiano "Liberazione" del 7 giugno 2006.
Guido Caldiron e' giornalista e saggista. Opere di Guido Caldiron: Gli
squadristi del 2000, Manifestolibri, Roma 1993; AA. VV., Negationnistes: les
chifonniers de l'histoire, Syllepse-Golias, 1997; La destra plurale,
Manifestolibri, Roma 2001; Lessico postfascista, Manifestolibri, Roma 2002.
Zainab Salbi, scrittrice e giornalista irachena, esule negli Stati Uniti, e'
presidente dell'organizzazione "Women for Women International" che sostiene
le sopravvissute alle guerre]

"Come ricordo la mia infanzia in Iraq ai tempi della dittatura? Con la paura
che provavo e con un'immagine: il volto di Saddam Hussein era dappertutto,
le sue foto dominavano ogni strada, il suo sguardo ti seguiva ovunque. A
scuola ci facevano imparare delle filastrocche che parlavano del dittatore,
ci insegnavano a festeggiare il suo compleanno, che era una vera festa
nazionale. Non solo, spesso gli insegnanti chiedevano a noi bambini se a
casa i nostri genitori parlavano di Saddam e come ne parlavano. Le risposte
a quelle domande potevano avere conseguenze anche molto gravi: c'e' chi e'
finito in prigione per quello che suo figlio aveva detto del tutto
ingenuamente. Insomma, avevamo paura, sempre paura".
Zainab Salbi vive da molti anni negli Stati Uniti, e' presidente
dell'organizzazione "Women for Women International" che aiuta le donne
sopravvissute alle guerre, e' una scrittrice e una giornalista di successo.
Eppure, quando le si chiede di tornare con la memoria alla sua infanzia
trascorsa nell'Iraq di Saddam, sembra rabbrividire ancora oggi.
Nata nove anni prima dell'ascesa al potere del tiranno di Tikrit, Zainab
Salbi e' cresciuta in una famiglia borghese di Baghdad, il padre era pilota
della compagnia di bandiera irachena, la madre insegnante di biologia. Alla
serenita' dei suoi primi anni di vita si e' poi sovrapposta l'ombra temibile
del dittatore, divenuto una figura familiare, ma non per questo meno
inquietante, dopo che il padre di Salbi era stato scelto come proprio pilota
personale dallo stesso Saddam. Non sopportando piu' il clima di oppressione
che si respirava in tutto il paese e che si viveva anche nella sua famiglia,
Zainab Salbi acconsenti' a un matrimonio combinato con un connazionale
residente negli Stati Uniti, ma una volta giunta a Los Angeles si rese conto
che il marito era un uomo violento e che accanto a lui la sua liberta'
sarebbe stata ancora una volta condizionata. Una volta separata dall'uomo,
Salbi ha scelto cosi' di occuparsi stabilmente dei diritti delle donne e ha
raccolto in un volume, Una donna tra due mondi (pp. 320, euro 16,60), appena
pubblicato da Corbaccio, la storia della sua "vita all'ombra di Saddam
Hussein". L'abbiamo incontrata nei giorni scorsi a Roma dove e' venuta a
presentare il suo libro.
*
- Guido Caldiron: Il dittatore dell'Iraq frequentava la casa della sua
famiglia, era una presenza costante nella sua vita. Che effetto aveva su di
lei?
- Zainab Salbi: Saddam mi appariva un po' come un gas venefico che si stava
infiltrando nella nostra casa e che ci stava uccidendo poco per volta. Del
resto, non era solo una paura generica, Saddam aveva fatto uccidere il
miglior amico di mio padre. E mia madre, in quanto sciita, temeva di poter
essere arrestata da un giorno all'altro. Vivevo la mia paura e insieme
quella dei miei genitori, li scoprivo deboli e vulnerabili, spaventati
quanto me se non di piu'. E arrivavo anche a odiarli per quella che mi
sembrava la loro debolezza. Inoltre ogni emozione doveva essere tenuta sotto
controllo quando c'era la possibilita' di incrociare Saddam.
*
- Guido Caldiron: Per consentirle di fuggire dall'Iraq, sua madre l'ha
spinta a sposare uno sconosciuto che viveva in America. Cosa ha pensato
quando le ha fatto questa proposta?
- Zainab Salbi: Intanto c'e' da dire che mia madre mi aveva spiegato che a
Baghdad si sentiva in una gabbia, una gabbia invisibile ma che le andava
sempre piu' stretta. E voleva offrirmi una possibilita', la sola che aveva,
perche' almeno io potessi fuggire da quella gabbia. Quando mi spiego' che
c'era quest'uomo in America che avrei potuto sposare, aveva le lacrime agli
occhi. E anch'io stavo male: non capivo come proprio lei, che mi aveva
sempre parlato del matrimonio come di un atto d'amore, potesse propormi una
cosa del genere. Mi sono sentita tradita dal suo comportamento e poi, anche
dopo che mi ero trasferita a Los Angeles, ho continuato per molti anni a
provare rabbia nei confronti della mia famiglia. Solo dopo molto tempo,
quando ho iniziato a lavorare con "Women for Women" mi sono resa conto che
il comportamento di mia madre era stato molto simile a quello delle donne
che incontro ora: donne che pur di offrire un futuro ai loro figli sono
disposte a darli via, a separarsene e ad affidarli ad altri, come succedeva
ad esempio alle vietnamite che affidavano i loro figli ai soldati americani
perche' li portassero lontani dalla guerra, salvandogli cosi' la vita. Ci ho
messo tanto a capire che i miei genitori era stati comunque molto coraggiosi
e che, convivendo con il terrore della dittatura, avevano fatto tutto quello
che potevano per farmi crescere libera.
*
- Guido Caldiron: E oggi, cosa significa per lei essere una donna irachena
in America, mentre la sua patria d'adozione e' in guerra con il paese in cui
e' nata?
- Zainab Salbi: Diciamo che non mi vedo solo come una donna irachena. Ero
contro la dittatura di Saddam, ma sono contraria anche alla guerra in corso
oggi in Iraq. Non ho mai pensato che le mie idee o la mia storia potessero
essere utilizzate negli Stati Uniti per appoggiare le posizioni dei
repubblicani o dei democratici, il mio punto di vista vuole essere sempre
quello delle donne prima di ogni altra cosa. Negli Stati Uniti mi batto
perche' oggi gli iracheni possano decidere liberamente del loro futuro e
credo che se in questo processo di rinascita del paese la voce delle donne
avra' un peso e una rappresentanza precisa, le cose non potranno che
migliorare. Anche se ci vorra' ancora molto tempo.
*
- Guido Caldiron: Quella dell'Iraq e' stata presentata dall'amministrazione
Bush come una "guerra per la liberta' e la democrazia". In questo caso, come
gia' per l'Afghanistan, c'e' chi ha parlato anche di una "guerra in nome dei
diritti delle donne". E le donne, secondo lei, cosa pensano di una guerra
condotta in loro nome?
- Zainab Salbi: Se non fosse un quesito drammatico, lo troverei quasi buffo.
Questo perche' credo di poter dire che le donne non sono mai favorevoli alle
guerre. Anche perche' quando si parla della guerra si immagina solo il
fronte, i combattimenti, le truppe e non si considera cio' che succede nelle
retrovie: i problemi quotidiani, la fame, l'istruzione dei bambini, la
paura. Questa e' l'altra faccia della guerra, che vede le donne in prima
fila, e che spesso viene dimenticata. Non voglio pero' dire che le donne
sono sempre e solo vittime, parlo anche del loro eroismo, della resistenza
che riescono a organizzare perche' la vita continui, nonostante tutto. Solo
che la politica non ascolta mai le voci di queste donne. In guerra come in
pace.

6. LIBRI. ELENA LOEWENTHAL PRESENTA "ISLAM: L'IDENTITA' INQUIETA
DELL'EUROPA" DI FARIAN SABAHI
[Dal quotidiano "La stampa" del 17 marzo 2006 riprendiamo la seguente
recensione del libro di Farian Sabahi, Islam: l'identita' inquieta
dell'Europa. Viaggio tra i musulmani d'Occidente, Il Saggiatore, pp. 323,
17,50 euro, apparsa col titolo "Non tollerare mai l'intolleranza".
Elena Loewenthal, limpida saggista e fine narratrice, acuta studiosa; nata a
Torino nel 1960, lavora da anni sui testi della tradizione ebraica e traduce
letteratura d'Israele, attivita' che le sono valse nel 1999 un premio
speciale da parte del Ministero dei beni culturali; collabora a "La stampa"
e a "Tuttolibri"; sovente i suoi scritti ti commuovono per il nitore e il
rigore, ma anche la tenerezza e l'amista' di cui sono impastati, e fragranti
e nutrienti ti vengono incontro. Nel 1997 e' stata insignita altresi' del
premio Andersen per un suo libro per ragazzi. Tra le opere di Elena
Loewenthal: segnaliamo particolarmente Gli ebrei questi sconosciuti, Baldini
& Castoldi, Milano 1996, 2002; L'Ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani,
Milano 2002; Lettera agli amici non ebrei, Bompiani, Milano 2003; Eva e le
altre. Letture bibliche al femminile, Bompiani, Milano 2005; con Giulio Busi
ha curato Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal
III al XVIII secolo, Einaudi, Torino 1995, 1999; per Adelphi sta curando
l'edizione italiana dei sette volumi de Le leggende degli ebrei, di Louis
Ginzberg.
Farian Sabahi, storica, saggista, giornalista, docente di storia dell'Iran
contemporaneo all'Universita' di Ginevra, docente al master
sull'immigrazione dell'Universita' Bocconi di Milano; collabora a "Il Sole -
24 Ore", "Diario", di Radio Svizzera, Radio24 e Radio Popolare. Tra le opere
di Farian Sabahi: Storia dell'Iran, Bruno Mondadori, Milano 2003; Islam:
l'identita' inquieta dell'Europa, Il Saggiatore, Milano 2006]

"La tradizione liberale e democratica non teme il rischio", scrive Farian
Sabahi verso la fine del suo libro Islam: l'identita' inquieta dell'Europa.
Viaggio tra i musulmani d'Occidente (prefazione di Ferruccio De Bortoli, Il
Saggiatore, pp. 323, euro 17,50). Il viaggio si e' aperto con un esergo di
Baruch Spinoza dedicato al difficile ma imprescindibile rapporto fra fede e
liberta': un rapporto che nelle parole del filosofo non ammette ambiguita'.
La liberta' non solo e' compatibile con la religione "ma, anzi, essa non
puo' essere soppressa se non insieme alla pace dello Stato e alla
religione".
Il coraggio di non schivare il rischio e la liberta' di coscienza, che in
una sorta di chiasmo spirituale apre e chiude questo saggio, ne e' anche il
filo conduttore. Da Parigi a Ginevra e poi Londra, Stoccolma, Anversa,
Amburgo e Madrid: Farian Sabahi compie un viaggio in alcune delle comunita'
islamiche europee. Ogni sua meta e' affrontata con strumenti diversi: il
microfono per l'intervista, un bagaglio storico culturale, sinossi di film e
libri, bibliografie, cronologie e siti Internet. C'e', soprattutto, il suo
sguardo attento e partecipe: "Come i giovani che ho intervistato mi sento
anch'io, secondo le circostanze, italiana, europea e iraniana... Per questo
l'esperienza su cui ho scritto e' stata sia professionale sia umana:
consegnato il testo all'editore, riconosco di non essere piu' la stessa
persona".
Uno dei temi centrali e' la condizione femminile all'interno di queste
comunita' che lo sguardo di Farian Sabahi esplora. Ma non si parla soltanto
di velo, poligamia, lapidazione per le adultere. Si parla anche, ad esempio,
di come un sistema articolato di borse di studio riservate alle ragazze
musulmane rappresenterebbe una buona strada verso l'emancipazione, spesso
frenata perche' quando in famiglia c'e' da pagare gli studi si prediligono,
ovviamente, i maschi. E poi il dato di un universo migrante. "Essere
immigrati non e' necessariamente un dramma", ma e' certamente, in questa
nuova Europa multietnica, una condizione comune che influisce in vario modo
sulla sensibilita' e i comportamenti della comunita' islamica.
Nel libro si incontrano leader di centri islamici, giovani e attempate
convertite, intellettuali, integralisti, studiosi. Ma anche luoghi e
immagini, di questo Islam sparpagliato dai fiordi nordici alla penisola
iberica. L'approccio e' sempre diretto, mai retorico e men che meno ambiguo.
Come quando Sabahi domanda a Tariq Ramadan: "Chi si fa saltare in aria e'
uno shahid, un martire, oppure un terrorista?", e non pare soddisfatta
dall'esclamazione di risposta, "Dio solo lo sa!": "la retorica
dell'affascinante intellettuale ginevrino non e', in fin dei conti, cosi'
articolata da farmi cambiare opinione: per rendere veramente compatibili
Islam e democrazia e' necessario abrogare quei precetti coranici - e di
conseguenza la tradizione contenuta nei detti del Profeta, gli hadith - che
discriminano la donna e i non musulmani".
Proprio questa e' la notevole, originale forza del libro. Una forza etica
che va al di la' del contenuto culturale, del principio della divulgazione.
In queste pagine Sabahi non rinuncia mai al dettato spinoziano che sta
all'inizio: l'intolleranza verso l'intolleranza. Che e' il principio
fondamentale, forse l'unico, per la convivenza in una societa'
multiculturale.

7. LUTTI. ARRIGO QUATTROCCHI RICORDA GYORGY LIGETI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 giugno 2006.
Arrigo Quattrocchi e' un noto e apprezzato musicologo; nato a Roma, dove
vive e lavora, scrive come critico musicale sul quotidiano "Il manifesto" e
collabora con Rai-Radiotre prevalentemente per trasmissioni sui materiali
d'archivio; come musicologo ha pubblicato un volume sulla storia
dell'Accademia Filarmonica Romana (di cui e' membro), un volume su La musica
in cento parole. Un piccolo lessico (Carocci, Roma 2003), saggi e articoli
su Beethoven, Rossini, Verdi, Dallapiccola, ed ha inoltre curato la
revisione sull'autografo della "Jerusalem" di Verdi; e' altresi' impegnato
nel campo della vita indipendente delle persone con disabilita'.
Gyorgy Ligeti (1923-2006) e' uno dei grandi musicisti del Novecento]

"Quando moriro', se proprio ci tenete a chiamare qualcosa con il mio nome,
dedicatemi una strada sbagliata Gyorgy Ligeti". Cosi' disse una volta a
Budapest, con il suo umorismo tagliente, il compositore transilvano, nato
nel 1923.
Ligeti si e' spento ieri mattina a Vienna, all'eta' di 83 anni, per una
grave malattia, e la "strada sbagliata" da lui imboccata e' oggi considerata
come una delle prospettive piu' affascinanti e personali della musica del
secondo Novecento.
E' una strada di ricerca maturata attraverso drammatici rivolgimenti
biografici: l'interruzione degli studi a Budapest, nel 1943, i lavori
forzati cui venivano destinati i cittadini di origine ebraica; la
limitazione della creativita' da parte del regime, negli anni dopo la
guerra. Quindi, l'invasione sovietica del 1956 e la decisione di trasferirsi
in occidente. Anche per queste vicende, Ligeti non fu un autore precoce;
dopo gli esordi in Ungheria, nel segno di Bartok, il suo approdo a Vienna,
nel 1956, lo porta in contatto con le figure di spicco dell'avanguardia
tedesca, Stockhausen, Koenig e Eimert; inizia cosi' a lavorare presso lo
studio di musica elettronica della radio di Colonia, per passare in seguito
alla trattazione diretta di voci e strumenti.
Questo lento sviluppo dell'esperienza compositiva doveva far si' che Ligeti
rimanesse sostanzialmente estraneo al dibattito degli anni Cinquanta intorno
al pensiero seriale e al cosiddetto "post-webernismo", e sviluppasse invece
il suo pensiero a partire da presupposti differenti da quelli del calcolo
predeterminato e strutturale degli eventi sonori. In sostanza alle strategie
della composizione, cioe' alle preoccupazioni relative alla astratta tecnica
compositiva, Ligeti ha anteposto le strategie della ricezione, cioe' le
preoccupazioni relative al suono in se' e per se' e agli effetti del suono
sull'ascoltatore; una posizione che ha fatto apparire la musica di Ligeti
ancora attualissima, anche dopo il tramonto della stagione piu' rigorosa
dell'avanguardia storica. Nulla di estetizzante c'e', comunque, nel pensiero
musicale di Ligeti; e questo perche' - almeno a partire da uno dei suoi
capolavori, Atmospheres per orchestra, del 1961 - la ricerca sul suono, la
predilezione per le fasce di materia sonora, in cui sono annullati precisi
rapporti intervallari fra i suoni, e per le loro trasmutazioni presuppongono
un ripensamento del concetto di tempo musicale, verso la fissazione
dell'attimo.
L'esempio forse piu' celebre di questo procedimento - anche per gli impieghi
cinematografici del brano - e' quello di Lux aeterna (1966) per sedici voci
a cappella - che fa seguito al Requiem dell'anno precedente, in una
direzione di liturgia funebre - in cui la sovrapposizione delle linee vocali
crea un magma sonoro senza inizio e senza fine, teso verso l'eternita', in
una prospettiva neoplatonica. C'e', dietro questo tipo di procedimento,
l'esperienza della musica elettronica trasportata su voci e strumenti
acustici, che viene ripetuta anche in altre forme, ad esempio con Volumina
(1962) per organo e Lontano per orchestra, o anche il Concerto per
violoncello (1966). Ma Ligeti doveva guardare poi verso esperienze diverse.
All'inizio degli anni Settanta nelle sue partiture fanno la comparsa
elementi melodici, come nel Doppio concerto per flauto e arpa basato, come
altri brani, su due movimenti contrastanti, su una trasparenza di scrittura
che lascia spazio a tratti ironici.
Non e' un caso che l'esperienza maggiore di quel decennio, poi rielaborata
negli anni successivi, sia l'opera Le grand macabre (1978), visione
sarcastica, surreale, pessimistica del mondo moderno, in cui fanno irruzione
in modo sfrontato il sesso e la politica; e', Le grand macabre, uno degli
approdi piu' trasgressivi e importanti del teatro contemporaneo. Ma gli
interessi di Ligeti dovevano guardare ancora oltre. La prospettiva degli
anni Ottanta e' quella della musica africana e della poliritmica, che
innerva le sue opere piu' recenti. Polemista instancabile, ricco di un
sarcasmo graffiante che deborda nei suoi scritti e nelle sue interviste -
l'ultima, imperdibile, e' il volume Lei sogna a colori?, un colloquio con
Eckhard Roelcke edito in Italia da Alet lo scorso anno - Ligeti ha
attraversato il secondo Novecento da grande indipendente, senza mai essere
uomo di parte e di scuola, e forse anche per questo si e' imposto come uno
dei pochi autentici maitres-a'-penser della musica del nostro tempo. Alle
sue partiture occorre oggi augurare un vasto fiorire di studi, e,
soprattutto in Italia, molte occasioni di pubblica esecuzione.

8. INCONTRI. A PISA DALL'8 ALL'11 SETTEMBRE
[Nuovamente diffondiamo il seguente invito, e nuovamente ringraziamo Rocco
Altieri (per contatti: roccoaltieri at interfree.it) per aver promosso insieme
al Centro Gandhi di Pisa e alla redazione tutta di "Quaderni Satyagraha"
questa importante iniziativa. Rocco Altieri e' nato a Monteleone di Puglia,
studi di sociologia, lettere moderne e scienze religiose presso
l'Universita' di Napoli, promotore degli studi sulla pace e la
trasformazione nonviolenta dei conflitti  presso l'Universita' di Pisa,
docente di Teoria e prassi della nonviolenza all'Universita' di Pisa, dirige
la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le opere di Rocco Altieri segnaliamo
particolarmente La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale
di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998]

L'11 settembre 1906 si svolgeva nel vecchio Teatro Imperiale di
Johannesburg, convocata dal giovane avvocato Gandhi, una grande assemblea
degli Indiani immigrati in Sud Africa. Essi decidevano di intraprendere una
campagna di lotta e di disobbedienza civile contro leggi discriminatorie ed
umilianti. Successivamente il Mahatma Gandhi riconobbe in quell'evento
l'atto di nascita del Satyagraha, cioe' di un modo nuovo di lottare che
sostituisce alla forza fisica il ricorso a una Forza piu' grande, che nasce
dall'amore per gli altri e per la Verita'.
*
Nell'avvicinarsi del centenario di quello storico evento, il Centro Gandhi
di Pisa e i "Quaderni Satyagraha" vogliono avviare una riflessione e una
ricerca comune che indichino i percorsi attuali e ininterrotti del
Satyagraha di Gandhi. Di fronte alla grande confusione semantica e politica,
all'uso spesso strumentale del termine "nonviolenza" e della stessa immagine
di Gandhi, vogliamo ribadire che la sua nonviolenza non e' passivita',
negativita', o scelta del male minore; e' invece obiezione di coscienza alle
strutture di dominio e scelta rivoluzionaria di trasformazione sociale per
costruire il potere di tutti (l'"omnicrazia" di Aldo Capitini) a partire dai
piccoli gruppi.
Il mondo della politica sembra oggi ipnotizzato, incapace di rompere gli
schemi retorici che tengono prigioniere le menti. L'abbattimento del muro di
Berlino e la riunificazione europea attraverso l'azione nonviolenta dei
popoli non e' servita a immaginare un ruolo per l'Europa al di fuori delle
ambizioni di "grande" potenza economica e militare. Adottando pratiche
discriminatorie verso i migranti e accodandosi al richiamo di una "guerra di
civilta'" il nostro sistema politico nasconde in realta' un'aggressione
neocoloniale di sfruttamento dei paesi del Sud del mondo.
Su tutte le questioni cruciali della pace e della guerra, la lotta
Satyagraha indica una via di uscita radicale e globale, che va cioe' alla
radice dei problemi angoscianti e dei conflitti apparentemente irrisolvibili
della modernita', rovesciando i modelli politici ed economici dominanti,
costruendo alternative realistiche all'imperialismo economico e alla
politica di aggressione militare, scegliendo nuovi stili di vita e un nuovo
modello di sviluppo. Questo percorso non puo' prescindere dalla cooperazione
con i movimenti indigeni degli altri continenti, che ci suggeriscono la
possibilita' di cambiare il mondo senza ricreare strutture di dominio,
tessendo reti internazionali di cittadinanza attiva che valorizzino le
identita' locali.
*
Durante tre giorni di studio con tavole rotonde e intense discussioni, dalla
sera dell'8 settembre all'11 settembre 2006, vogliamo ricordare un evento
che non ha dato inizio alla strategia del terrore e della guerra preventiva,
ma a un metodo rivoluzionario e nonviolento di liberazione sociale. Al
termine del laboratorio di discussione, che si terra' in una struttura
residenziale sul mare, ci sposteremo il giorno 11 settembre a Pisa per un
evento pubblico di celebrazione del centenario e presentazione della via
gandhiana alla pace e alla giustizia.
A tal fine convochiamo le amiche e gli amici italiani della nonviolenza, i
lettori e gli abbonati ai "Quaderni Satyagraha", per ridefinire un programma
attuale per la rivoluzione nonviolenta sui temi cruciali dell'organizzazione
del potere dal basso, dell'economia solidale e della parsimonia, della
ridefinizione del rapporto pace-giustizia, del servizio civile e della
difesa popolare nonviolenta, degli interventi civili e non-armati nelle
situazioni di crisi, del disarmo atomico, della critica alla scienza
dominante, della definizione di una bioetica, della laicita' e della riforma
di religione.
Attraverso un percorso di maggiore consapevolezza e di mutua chiarificazione
vogliamo costruire una rete capace di agire in senso culturale e politico
per far crescere l'alternativa nonviolenta.
Il Centro Gandhi e la redazione di "Quaderni Satyagraha".
*
Il convegno si svolgera' presso il Regina Mundi (www.cifpisa.com), viale del
Tirreno 62, a Calambrone, Pisa. Si tratta di una struttura alberghiera
affacciata sulla pineta e la spiaggia, dove i partecipanti ed i loro
accompagnatori potranno alloggiare e consumare i pasti (abbiamo chiesto alla
direzione di prepararci pranzi vegetariani).  Vi aspettiamo per la sera
dell'8 settembre e vorremmo che restaste fino alla tavola rotonda dell'11
settembre che si svolgera' a Pisa e potra' concludersi con una cena in
centro. Il programma sara' pubblicato sul sito www.centrogandhi.it non
appena sara' stato definito.
*
Iscrizione entro il 31 luglio: compilare il modulo disponibile nel sito del
Centro Gandhi (www.centrogandhi.it) e inviarlo all'indirizzo e-mail:
11settembre.nonviolenza at centrogandhi.it  oppure tramite fax al 1782205126
(per i ritardatari, dopo il 31 luglio contattare Leila al 3355861242).

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1331 del 19 giugno 2006

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