La nonviolenza e' in cammino. 1457



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1457 del 23 ottobre 2006

Sommario di questo numero:
1. Una vita, molte vite da salvare
2. Stefano Cristante: Gabriele Torsello
3. Federica Curzi: La verita' essenziale
4. Maria G. Di Rienzo: Una femminista in Iran
5. Gigi Roggiero intervista Chandra Talpade Mohanty
6. Lea Durante presenta "Il pensiero politico di Gramsci" di Carlos Nelson
Coutinho
7. L'agenda "Giorni nonviolenti" 2007
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE: UNA VITA, MOLTE VITE DA SALVARE
[Gabriele Torsello, giornalista, fotografo e documentarista freelance,
collaboratore di movimenti umanitari, impegnato contro la guerra e contro le
violazioni dei diritti umani, e' stato rapito in Afghanistan sabato 14
ottobre 2006]

Sia liberato Gabriele Torsello.
Cessi la guerra in Afghanistan.
L'Italia faccia cio' che le leggi e la giustizia richiedono: si adoperi per
salvare la vita di un nostro concittadino; cessi immediatamente di prendere
parte a una guerra terrorista e stragista; si impegni per la pace, la
liberta', la solidarieta', il riconoscimento di tutti i diritti umani per
tutti gli esseri umani.
Cessi la guerra in Afghanistan.
Sia liberato Gabriele Torsello.
*
Ogni persona faccia sentire la sua voce.
La pace si costruisce con la pace.
Cessino le uccisioni. Vi e' una sola umanita'.

2. TESTIMONIANZE. STEFANO CRISTANTE: GABRIELE TORSELLO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 ottobre 2006. Stefano Cristante e'
docente di sociologia all'Universita' di Lecce]

Guardo il calendario che mi e' arrivato brevi manu da qualche giorno. Sono
stato invitato dall'assessore alla cultura di Alessano a parlarne in una
libreria da poco attiva nel comune, alla presenza dell'autore. Un certo
Gabriele Torsello, dice l'assessore, un fotografo nato nella cittadina del
sud Salento ma residente a Londra. Aggiunge che il calendario rappresenta
una sintesi del suo lavoro sul campo e che Torsello e' molto bravo. C'e'
anche un sito dal misterioso indirizzo: www.kashgt.co.uk
Considero il calendario e penso con un certo timore alla presentazione.
L'oggetto mi colpisce e mi disturba. Pochi giorni prima della presentazione,
sfoglio ancora il calendario in cerca di ispirazione. Mi cade l'occhio su un
mese (ottobre) e fisso a lungo la foto: un giovanissimo giocatore di calcio
insegue una palla. Il giocatore si sorregge a una stampella. Ha solo la
gamba sinistra. Terribile. Invece no. A poco a poco l'occhio si abitua alla
situazione, ed emergono i dettagli. L'aria che si respira in quella foto non
e' affatto terribile. Lo sguardo del ragazzo e' impegnato, ma quasi
divertito. La gamba e' piegata, sta per partire un tiro o un passaggio. Si
puo' giocare a calcio anche cosi', dice la foto, si puo' vivere e mangiare e
giocare anche in quel modo, in quelle condizioni, a Kabul. Leggo la
didascalia: "Sandar e' un orfano i cui genitori sono stati uccisi durante la
guerra quando lui aveva solo tre mesi. A dieci anni una mina e' esplosa a
contatto con i piedi del ragazzo, strappandogli la gamba destra e
danneggiando gravemente il piede sinistro. Ciononostante, ai World Games del
2003 per disabili, Sandar ha vinto la medaglia d'oro nei 200 metri e nella 4
x 100, e quella d'argento sui 100 metri".
Il mese di maggio e' dedicato a una bambina che punta il dito sulla macchina
fotografica. Ha gli occhi azzurri, da quello destro parte una vistosa
concrezione tumorale, che la foto nasconde solo in parte. La didascalia di
Torsello dice che la madre della bambina, una volta che il fotografo le
chiedeva notizie sulla malattia della figlia, rispondeva soltanto invocando
un dottore, come se non potesse o non sapesse a chi rivolgersi. Le foto
seguenti (giugno e luglio) mostrano l'operazione subita dalla bambina a
Kabul grazie a un'equipe medica internazionale e l'inizio della sua
riabilitazione. Lo stato ordinario delle cose non prevede che qualcuno
inaspettatamente si prenda improvvisamente cura di una persona malata.
Shabana, la bambina, senza il caso di quell'incontro con il fotografo
italiano porterebbe ancora sul volto quella tremenda patologia.
*
La libreria di Alessano e' gremita di gente. Arrivo un po' in ritardo e mi
viene assegnata una sedia vicino a un tipo coi capelli lunghi e un gran
barbone nero, come lo sguardo. Magari senza barba sarebbe un salentino
tipico, ma cosi' sembra un santone in occidentali abiti casual.
Quando prende la parola a illustrare le diapositive che scorrono davanti al
pubblico la sua voce risente delle inflessioni inglesi. Ogni tanto gli
scappa un whatever o un and so on, ma il suo atteggiamento resta molto serio
anche quando si corregge e cosi' l'espressione, quasi ieratica. Racconta i
suoi viaggi, il suo Kashmir, il suo Afghanistan. Parla soprattutto di
persone conosciute, di episodi in cui ha dovuto riporre la macchina
fotografica e dare una mano. I giorni senza scatti, cercando di capire il
luogo dove si trovava. Non sembra affatto uno sprovveduto, parla con
competenza di citta' note a tutti e di regioni ignote o dimenticate. Ha un
certo humor: scherza anche sulla barba, dice che si poteva intrufolare nei
mercati e nelle situazioni piu' popolari perche' lo prendevano per autoctono
e lui si comportava in modo sempre controllato, scattando quando sentiva che
non dava fastidio alle persone.
E' un pacifista, lo dicono le cose che dice ma anche il modo in cui le dice:
si spiega senza caricare le espressioni, ripete con pazienza che la guerra
dopo l'11 settembre ha lasciato aperta una valanga di problemi e che la
temperatura del paese piu' sfortunato di tutti e' destinata a restare
rovente.
Mentre parla e vedo le sue immagini scorrere sulla parete penso che dalle
sue rappresentazioni emerga una grande curiosita' antropologica
disinteressata alla dimensione esotica e in grado invece di lasciar
trapelare una specie di universalita' dell'esperienza tragica e dei modi di
fronteggiarla.
*
Alla fine della presentazione scambiamo quattro chiacchiere, gli dico che mi
piacerebbe che potesse venire un giorno a Lecce a tenere una lezione a
Scienze della comunicazione. "Ti rimborsiamo il volo low cost da Londra e
discutiamo delle tue immagini con gli studenti della laurea specialistica".
Dice che a maggio sara' abbastanza libero. Fissiamo una data. "E' il mese
della foto della bambina", dico. "Ti vorrei regalare il mio libro di foto in
bianco e nero - risponde - Passiamo un attimo a casa che ne ho un po' di
copie, andiamo". Il libro e' bellissimo, alcune foto sembrano appartenere ad
altre epoche, ma non c'e' nessun effetto invecchiante: non e' colpa del
fotografo se piangere un morto nel Kashmir o a Kabul sembra un dipinto di
Caravaggio. Spero venga a lezione. Ai ragazzi piacera' senz'altro. E poi e'
giusto che i giovani salentini sappiano che dal Salento si puo' emigrare
anche per passione, non solo per necessita'.
*
Il fatto su cui a lezione si insiste di piu' e' inizialmente legato alla
biografia di Gabriele. I ragazzi vogliono sapere come ha cominciato, come ha
fatto a pubblicare i suoi primi lavori. Lui mostra immagini dal sito,
paziente e tranquillo. Spiega che senza una determinazione speciale quel
lavoro non ha semplicemente senso farlo. Occorre un tempo per imparare le
tecniche, anche. Le mille opportunita' di Londra lo hanno aiutato, ovvio.
Poi serve un investimento personale: di tempo, innanzitutto. Stare sul posto
significa assorbire il posto. Impossibile pensare di non farsi coinvolgere.
Come si puo' non farsi coinvolgere? Ci sono dei limiti alla liberta' del
reporter. In Iraq non andrei, dice, non amo il pericolo in quanto tale. Poi
racconta un episodio che colpisce molto chi lo ascolta, e, alla luce di
quello che sappiamo oggi, fa accapponare la pelle: il 19 novembre del 2001
sulla jeep intercettata da un gruppo armata sulla strada da Jalabad e Kabul,
oltre a Maria Grazia Cutuli del "Corriere della sera", Julio Fuentes del
"Mundo" e a due giornalisti della Reuter, nessuno dei quali scampati
all'attentato, doveva esserci anche lui. Aveva declinato l'offerta
all'ultimo istante. Anche in quel caso il pericolo gli sembrava estremo.
"Le mie foto non sono singoli scatti", continua dopo che il brusio nell'aula
si e' spento, "fanno parte di un progetto legato a una certa realta'. Per
questo ho volevo produrre il libro The heart of Kashmir, volevo mostrare
agli eventuali interlocutori come lavoro, che cosa intendo per lavoro sulle
immagini".
La seconda parte della conversazione e' dedicata al mestiere di freelance.
Dice che l'indipendenza di giudizio e la liberta' di azione per lui sono
fondamentali. Rispetto ai grandi media bisogna garantirsi in altri modi,
contare su se stessi e sulla propria rete di contatti. I suoi sono di
prim'ordine, da Amnesty all'Unfpa (United Nations Population Fund). Bisogna
anche, dice, guardarsi intorno davvero per essere un freelance: magari trovi
lavoro per un quotidiano giapponese, o per un settimanale canadese. Mi
colpisce che continui a parlare mostrando le foto e soffermandosi sulla
descrizione di cio' che la foto non mostra, ma che era presente al momento
dello scatto.
*
Mi fa rabbia che quelli che lo imprigionano non possano - o non vogliano -
vedere il mese di maggio del suo calendario.

3. RIFLESSIONE. FEDERICA CURZI: LA VERITA' ESSENZIALE
[Da Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004, p. 178.
Federica Curzi (per contatti: federica_curzi at libero.it), nata a Jesi
(Ancona), si e' laureata in filosofia nel 2002 presso l'universita' di
Macerata ove attualmente svolge un dottorato di ricerca; alla sua tesi e'
stato attribuito il premio dell'Associazione nazionale Amici di Aldo
Capitini; collabora alla rivista on line www.peacereporter.net Opere di
Federica Curzi: Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004. Scritti su Federica Curzi: cfr. l'ampio saggio
dedicato al suo libro da Enrico Peyretti ne "La domenica della nonviolenza"
n. 23.
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato
il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996;
segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri,
Edizioni Associate, Roma 1991; e la recentissima antologia degli scritti (a
cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della
nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)
sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di
Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di
un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90
e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui
apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un
volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione
ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo
Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il
messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno:
Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di),
Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988;
Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini.
Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi
Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova
Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume
monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante,
La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un
profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze
2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze
2005; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi,
Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una
bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito
citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito
dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it,
altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un
altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a
Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni:
l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803,
e-mail: azionenonviolenta at sis.it]

La verita' essenziale da cui muove il pensiero capitiniano e' l'evidenza
della distruzione inesorabile che in ogni sua manifestazione la violenza
produce. La costruzione di un lavoro che possa sradicare la violenza da ogni
sfera del vivere umano diviene l'itinerario di una conversione radicale
della realta' attraverso la nonviolenza, criterio del mutamento di ogni
sfera dello stare al mondo. Studiare oggi il pensiero di Capitini non
significa dunque confrontarsi con un'opera collocata nei decenni della
filosofia italiana della crisi, ne' con l'ideale di un mondo in realta'
sempre piu' lontano dalla realta' dei fatti; al contrario, significa porsi
in dialogo con una voce ancora presente che ci ricorda l'appello
dell'evidenza del male, che ci impedisce di sottrarci all'esperienza
dell'indignazione per la violenza, da un lato, e del suo ripudio dall'altro.
Rileggendo l'opera capitiniana affiora quella che e' la posta in gioco
implicita nel principio della nonviolenza. La storia ci testimonia come la
violenza produca soltanto devastazione e conduca inesorabilmente alla
ripetizione della violenza. Affermare la nonviolenza come principio
significa pensare al futuro della storia, pensare alla storia futura come a
un ascolto e a un riscatto delle vittime della violenza. In questo senso,
riflettere su quale sia l'attualita' del pensiero capitiniano significa
comprendere la portata veritativa della nonviolenza dall'interno del nostro
tempo e alla luce della situazione storica attuale.

4. PROFILI. MARIA G. DI RIENZO: UNA FEMMINISTA IN IRAN
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005.
Shahla Sherkat, intellettuale iraniana impegnata per i diritti delle donne,
e' direttrice del mensile "Zanan"]

Shahla Sherkat, giornalista da 26 anni, laureata anche in psicologia, edita
e dirige il mensile "Zanan" (Donne) a Teheran. Lo ha fondato nel 1991, dopo
essere stata licenziata dal posto di direttrice del settimanale
filogovernativo "Zan-e Rouz" (Donna oggi). Shahla Sherkat fu cacciata a
cause delle sue proteste sul tipo di servizi che la pubblicazione
prediligeva: l'immagine delle donna che ne emergeva era esclusivamente
quella di una conservatrice religiosa, un'immagine assai propagandata dal
governo iraniano.
Sherkat fondo' "Zanan" perche' vedeva che i media "ufficiali" ignoravano
sistematicamente le istanze ed i diritti delle donne. Si tratta del primo
giornale indipendente a concentrarsi sulle donne dopo la rivoluzione del
1979, e lei ne parla come di un figlio: "una creatura di quasi quindici anni
che ho allevato attraversando molte difficolta'".
*
Il clima in cui Sherkat opera e' in effetti difficile. Il controllo
giudiziario sui media, in Iran, e' molto stretto: oltre cento pubblicazioni,
in maggioranza progressiste, sono state chiuse dal 2000 ad oggi. "Zanan" e'
l'unico giornale nel paese a parlare di femminismo, diritti delle donne,
leggi sul divorzio, prostituzione, aids, violenza domestica e custodia dei
minori, tutti argomenti considerati tabu'.
Durante tutti gli anni '90 "Zanan" ha sofferto gli attacchi delle bande
fondamentaliste. In quel periodo, la sede del mensile era nello stesso
edificio di un'altra pubblicazione non allineata, "Kian".
I fondamentalisti sostenevano che i due giornali tramassero contro il
governo e attaccarono entrambi: entrati negli uffici spaccarono finestre e
scrivanie, distrussero materiali e attrezzatura. Sherkat li pesco' con le
mani nel sacco, in mezzo alle rovine, e discusse con loro per ben sei ore,
prima di riuscire a convincerli ad andarsene. La sua successiva denuncia non
ebbe nessun effetto, perche' la polizia si rifiuto' di intervenire. Per
proteggere il giornale, oggi non vi e' alcun segno esteriore che indichi
dove si trova la sede di "Zanan".
Anche le autorita' creano continui problemi alla pubblicazione, minacciando
di imprigionare Shahla Sherkat e le sue giornaliste. La direttrice e'
continuamente convocata davanti allo speciale tribunale iraniano per il
giornalismo, a rispondere di articoli specifici, inclusi uno del 2003 della
premio Nobel Shirin Ebadi, e la serie di servizi sulla legge islamica in
rapporto alle donne scritti dall'avvocata Mehrangiz Kar e dal teologo
islamico Mohsen Saidzadeh. Nel 1987 fu chiamata davanti ai giudici per aver
riportato la storia di una ragazza, picchiata sulla spiaggia dalla polizia e
poi arrestata perche' il velo non le copriva completamente la testa. Le
accuse contro Sherkat relative agli articoli pubblicati sono finora sempre
cadute.
Nel gennaio 2001, pero', fu multata e condannata a quattro mesi di prigione
per "attivita' anti-islamiche": aveva partecipato ad una conferenza promossa
dall'"Heinrich Boll Institute" a Berlino, intitolata "Il futuro delle
riforme in Iran". Durante l'incontro, la discussione tocco' anche la
possibilita' di un cambiamento politico nel paese, e cio' fu sufficiente per
accusare chi vi aveva partecipato di "attentato alla sicurezza nazionale".
Il contributo di Sherkat al "complotto" era stato di sostenere che "il
codice d'abbigliamento islamico puo' essere incoraggiato, ma non puo' essere
obbligatorio". In appello, Sherkat ottenne di non andare in galera, ma
dovette pagare una multa equivalente a due mesi del suo stipendio. A volte,
dello stipendio, lei e la redazione fanno a meno. Non ci sono sovvenzioni
per "Zanan" e la pubblicita' e' l'unico introito aggiuntivo alle vendite. Ma
donne come Sherkat e le sue colleghe non sono tipi da mollare l'impresa:
"Zanan" e' uno dei periodici maggiormente diffusi oggi in Iran.
*
"Ogni cosa che concerne le donne del mio paese non sfugge all'occhio
d'aquila del mensile", racconta Sherkat, "Abbiamo parlato della sofferenza
delle ragazzine che intrecciano tappeti e stuoie negli sweatshops. Abbiamo
celebrato la donna che ha vinto il primo premio in una gara automobilistica
contro dieci uomini. Abbiamo portato alla luce la storia di una donna
imprigionata in casa dal marito e pubblicato gli scritti della nostra
avvocata Shirin Ebadi, Nobel per la pace. Stiamo cercando di suscitare la
consapevolezza delle donne rispetto ai loro bisogni ed alle loro
aspettative; speriamo che la societa' utilizzera' le capacita' e le abilita'
delle donne: molto di quanto una persona fa dipende da cio' che l'ambiente
in cui vive si aspetta da lui o da lei. Io so che le donne in tutto il mondo
hanno in comune dei problemi di base, il principale dei quali e' l'essere
considerate il 'secondo sesso' e non avere eguaglianza di opportunita' con
gli uomini. Dappertutto i media ci descrivono come persone dai cervelli
ristretti, che e' meglio tener rinchiuse, come succede piu' frequentemente
da noi, o come belle bambole da cinema, come succede piu' frequentemente in
occidente. Noi donne d'oriente e d'occidente dobbiamo arrivare a conoscerci
meglio e per farlo abbiamo bisogno di diventare amiche, di parlarci cuore a
cuore".

5. RIFLESSIONE. GIGI ROGGIERO INTERVISTA CHANDRA TALPADE MOHANTY
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 ottobre 2006.
Gigi Roggiero e' autore di Intelligenze fuggitive. Le mobilitazioni contro
l'universita' azienda, Manifestolibri, Roma 2005.
Su Chandra Talpade Mohanty dalla medesima fonte riprendiamo la seguente
scheda: "Chandra Talpade Mohanty, femminista postcoloniale
indiano-americana, insegna nel dipartimento di Women's Studies della
Syracuse University. Una parte della sua ricca produzione di saggi e'
raccolta in Feminism Without Borders. Decolonizing Theory, Practicing
Solidarity (Duke University Press, 2003). Ha curato insieme ad Ann Russo e
Lourdes Torres il volume Third World Women and the Politics of Feminism
(Indiana University Press, 1991) e con M. Jacqui Alexander, Feminist
Genealogies, Colonial Legacies, Democratic Futures (Routledge, 1997). Tra i
suoi molti scritti su universita' e formazione, va segnalato il saggio On
Race and Voice: Challenges for Liberal Education in 1990s, apparso per la
prima volta sul numero dell'inverno 1989-'90 di 'Cultural Critique'. Nel
mese di ottobre ha organizzato alla Syracuse University una conferenza sul
femminismo transnazionale, in cui una delle questioni centrali sara': 'quale
femminismo e' usato negli Stati Uniti per mobilitare, giustificare e
sostenere la guerra?'. Insomma, l'universita' e' per Chandra Talpade Mohanty
uno dei campi di battaglia per la decolonizzazione dei saperi e delle
soggettivita', all'interno del suo percorso di militanza politica globale.
Il rapporto tra teoria e attivita' politica e' da lei illustrato con rara
chiarezza: 'La teoria e' un approfondimento della politica, non un
allontanarsi da essa: e' un distillato di esperienza e un'intensificazione
del personale'. Le parole con cui Feminism Without Borders si chiude suonano
come il possibile incipit di una nuova politica transnazionale: 'I confini
non sono fissi. Le nostre menti devono essere pronte a muoversi altrettanto
velocemente che il capitale, per seguire le sue traiettorie e immaginare
destinazioni alternative'"]

Tutte le giornate sembrano uguali negli ovattati palazzi dell'Hamilton
College. C'e' chi passeggia compiaciuto delle enormi possibilita' di
carriera professionale offerte dal college. Oppure si vive con addosso la
soffocante sensazione di essere "animali in un esperimento scientifico". In
una mattina d'autunno del 1993, la tranquilla e soporifera routine e' stata
infranta da una donna. Nell'atrio del dipartimento di scienze sociali,
sospesa a dieci piedi d'altezza una gabbia racchiudeva il corpo di Yance
Ford, scalza e con la testa rasata, avvolta in un lenzuolo lacero. Tra
studenti e docenti attoniti, la femminista afroamericana vi rimarra' per
cinque ore, in totale silenzio. Dopo essere scesa, la giovane donna ha
rivendicato la sua performance in quanto metafora dei tre anni passati nel
prestigioso liberal arts college. Poco piu' di vent'anni prima, il 19 aprile
1969, un'altra irruzione aveva squarciato l'ipocrita velo delle politiche
liberaldemocratiche: gli studenti neri avevano occupato - fucili in spalla -
la union della Cornell University. L'istituzione sara' costretta a trattare,
concedendo un programma di african studies. Rompere la gabbia d'acciaio
della domesticazione delle pratiche e dei saperi trasformativi e' da molto
tempo l'obiettivo della ricerca politica e della quotidiana esperienza
teorica della femminista postcoloniale Chandra Talpade Mohanty.
Chandra Talpade Mohanty e' una indiana-americana, autrice di molti e
discussi saggi sul femminismo postcoloniale e che in questi ultimi anni ha
sviluppato una pratica teorica volta alla critica dei modelli gerarchici
dell'accademia statunitense. L'intervista si e' svolta a New York, mentre
alcune universita' della grande mela e non solo conoscevano una
mobilitazione dei ricercatori precari o dei teacher assistants, cioe' dei
dottorandi che spesso svolgono attivita' di docenza non retribuita.
*
- Gigi Roggiero: Scrivendo dell'azione di Yance Ford, lei ha affermato che
quella performance era propedeutica alla costruzione di uno spazio pubblico
intessuto da narrazioni collettive e conflitti. Allo stesso tempo, lei vede
in quella manifestazione artistica e politica una concettualizzazione
innovativa rispetto alla tradizione socialista del rapporto tra singolarita'
e collettivo...
- Chandra Talpade Mohanty: Per lungo tempo, nel pensiero critico le
contraddizioni sono state interpretate alla luce del rapporto tra struttura
e sovrastruttura. Solo con il pensiero femminista si e' fatta strada l'idea
della presa di parola di soggettivita' resistenti che ha partire da se'
puntano alla costituzione di una sfera pubblica. Se guardiamo alle
universita' con questi occhi mettiamo facilmente a nudo il discorso
dominante nell'accademia statunitense. Nei campus degli Stati Uniti il
singolo e' visto con una nomade, mentre la valutazione e' basata sul
successo personale. Ma cosi' facendo si cancella il suo background di
classe, di razza e di sesso. Possiamo certamente affermare che tutto cio' si
e' accentuato con l'introduzione di una gestione aziendale dell'universita'.
La retorica sulle risorse scarse, sulla necessaria competitivita' e sulla
precarieta' dei rapporti di lavoro sono presentate come l'unica strada per
far sopravvivere l'istituzione universitaria. Una delle sfide da lanciare e'
che nei campus ci sia una presa di parola dei singoli in maniera tale che
emergano voci "decolonizzate" e si alzi il velo sulle gerarchie di razza,
classe, sessuale presenti nei campus. Inoltre, mi sembra che questa sia
l'unica strada per leggere se stessi in relazione alle gerarchie
"epistemologiche" presenti nell'accademia. Non e' certo una novita' che si
privilegino, in termini di finanziamenti e di status, alcune discipline
scientifiche rispetto ad altra.
*
- Gigi Roggiero: Dunque, una trasformazione che rimuova lo stigma della
gerarchie e senza la pretesa di "addomesticare" le singolarita'?
- Chandra Talpade Mohanty: Ho spesso parlato dei "saperi oppositivi"
presenti dentro e fuori l'universita'. L'unico modo per metterli in
relazione tra loro e' eccedere i confini posti dall'universita' in quanto
istituzione totale. Bisogna cioe' andare fuori dai recinti accademici. Ad
esempio, io propongo spesso ai miei studenti l'analisi di siti internet con
una forte caratterizzazione femminista. Questo per stimolare una modalita'
di lavoro in comune dove emergano differenze, ma anche elementi comuni.
*
- Gigi Roggiero: Le sostiene che la proliferazione delle ideologie del
pluralismo ha creato una "industria della razza". Allo stesso tempo, lei
afferma che il capitalismo funziona accumulando differenze...
- Chandra Talpade Mohanty: Il capitalismo trasforma costantemente le
differenze in gerarchie, per addomesticarle. La sfida radicale e' come
pensare a una differenza - di classe, di sesso, di razza - che irrompe
all'interno di un sistema di potere. Sono certo storie ineguali, ma possono
essere prodotte connessioni senza che venga meno quella differenza. Nelle
accademie americane c'e' molta enfasi sulla diversita', contemporaneamente
alle sfide alle affermative action. Abbiamo programmi di queer studies,
women's studies, black studies. Tutti corsi disciplinari importanti, ma che
devono vedersela con una militarizzazione della cultura e dell'universita'
dopo l'11 settembre. E gli studenti e i docenti che vi partecipano e
lavorano spesso sono considerati "antipatriottici". C'e' stata, inoltre, una
esacerbazione della sorveglianza verso gli studenti attraverso l'istituzione
di un database di informazioni sensibili sugli "stranieri" attraverso
l'estensione ad arabi, indiani e pakistani di quel profilo razziale usato
negli anni Settanta e Ottanta per le persone color, in particolare per i
neri e i chicanos. Tutto cio' alimenta una militarizzazione della cultura
quotidiana. Con una frase ad effetto, potrei dire che il legame tra il
progetto imperiale degli Stati Uniti, l'establishment scientifico e il
complesso militare-industriale e' oramai strutturato, visto che proliferano
programmi di terrorism o national security studies. Allo stesso tempo,
pero', i programmi di women's studies o i postcolonial studies non sono
stati cancellati, ma hanno subito un'accelerazione nel processo di
istituzionalizzazione, devono cioe' rispondere a una logica accademica che
tiene la realta' fuori dai cancelli dei campus.
*
- Gigi Roggiero: Per eccedere i confini dell'universita', mi sembra che la
figura del lavoratore intellettuale ma precario sia emblematica: ne'
outsiders ne' insiders. Possiamo tracciare un parallelo tra precarizzazione
e quella che lei chiama "domesticazione dei saperi"?
- Chandra Talpade Mohanty: Io parte dal presupposto che
l'istituzionalizzazione dei saperi oppositivi significa anche
marginalizzarli. Spesso chi vi lavora e' un precario, anche se la
precarieta' e' un fenomeno che riguarda trasversalmente tutte il mondo del
lavoro. Per quanto riguarda l'universita' possiamo pero' distinguere tra una
strategia accomodante o una strategia oppositiva della precarieta'. Nel
primo caso, accetti una dispersione all'interno dell'universita'. Oppure
lavori a costituire uno spazio autonomo e dunque di potere all'interno dei
campus.
*
- Gigi Roggiero: Recentemente nelle universita' americane ci sono state
diverse mobilitazioni contro la precarieta', segnate pero' dalla difficolta'
di andare oltre la rivendicazione del bread-and-butter, cioe' "del pane e
del burro". Inoltre, e' stata sottolinenata la scarsa partecipazione di
persone non bianche, quasi si sia riprodotta quella "linea del colore" che
ha cosi' contrassegnato il movimento operaio americano...
- Chandra Talpade Mohanty: Se le union pensano solo in termini di lotta di
classe e non anche di razza e di differenza sessuale sono destinate a essere
bianche e maschie. Le istanze avanzate dalle persone color vanno infatti ben
al di la' della rivendicazione di "pane e burro". Il problema e' coinvolgere
gli studenti migranti e color che devono vedersela con il razzismo
istituzionale. Prendiamo il caso dei teacher assistants migranti che, a
causa del visto, non possono andare a casa prima di aver finito i 5-6 anni
del dottorato, perche' rischiano che non venga rinnovato. Se si affrontasse
questo argomento, la precarieta' o meglio le battaglie contro la precarieta'
diventerebbero un "luogo comune".
*
- Gigi Roggiero: Eppure le universita' statunitensi sono stati luoghi, in
questi anni, in cui la critica alla riduzione delle universita' a corporate
university con studenti equiparati a consumatori e i docenti ridotti a
fornitori di servizi e' stata molto diffusa...
- Chandra Talpade Mohanty: Negli anni scorsi una parte degli studenti e del
personale docente ha partecipano alle lotte contro la globalizzazione
capitalistica, ma sono state mobilitazioni relegate all'interno
dell'universita'. Gli studenti color, da sempre sensibili o coinvolti nelle
battaglie per i diritti dei migranti, sono stati relegati spesso ai margini
perche' le mobilitazioni per i diritti dei migranti sono state spesso
considerate esterne al movimento contro la globalizzazione.
*
- Gigi Roggiero: Possiamo parlare, per quanto riguarda la formazione, del
passaggio dai meccanismi selettivi basati sull'esclusione a meccanismi di
inclusione differenziale?
- Chandra Talpade Mohanty: Negli Stati Uniti questo processo non e' nuovo.
Una delle differenze tra le lotte degli afroamericani e quelle dei nativi
americani e' infatti proprio questa. Da una parte ci sono politiche di
esclusione per gli afroamericani, da cui i movimenti per i diritti civili;
dall'altra ci sono le politiche di inclusione differenziale per i nativi
americani, che devono lottare per non essere fatti americani. In questo
caso, il conflitto e' sull'inclusione coatta, sulla sovranita' e sui diritti
civili. Ora, pero', sono l'unica risposta politica ai movimenti sociali.
Prendiamo la retorica sugli asiatici-americani come "minoranza modello": un
chiaro esempio di politiche di inclusione differenziale.
*
- Gigi Roggiero: In Europa, le lotte contro la privatizzazione celano
talvolta un'ambigua propensione per l'universita' statale aperta a tutti. Da
una parte, si sottolinea un fatto indubbiamente positivo - il diritto
universale alla formazione -, dall'altra pero' si rimuove il fatto che
l'universita' statale e' stato anche una forma di controllo e di
normalizzazione dello spazio pubblico. Non le sembra che occorre
concettualizzare un nuovo concetto di pubblico?
- Chandra Talpade Mohanty: Il tema e' centrale. Negli Stati Uniti, ci sono
molti modelli di formazione popolare. A New York, ad esempio, lavoro con il
Center for Immigrant Families composto da donne che spesso non parlano
inglese. Produciamo cultura critica, creiamo cioe' saperi oppositivi anche
se chi vi partecipa non avra' nessun diploma. C'e' una lunga storia di
queste esperienze negli Stati Uniti, la piu' nota e' l'Highlander Research
and Education Center in Tennesse. Esperienze vitali, innovative a cui pero'
si accompagna l'assenza di un ordine del discorso sull'universita'. Spesso
si ignora il processo in atto della sua aziendalizzazione. Bene, penso che
le forme di produzione e trasmissione del sapere per cosi' dire popolari
vadano valorizzate, nel senso che contemplano una dimensione pubblica della
trasmissione della conoscenza. Questo non significa pero' che non occorra
discutere su come funziona l'universita': le forme di accesso, le discipline
che si insegnano, i contenuti che si trasmettono. Se non si guarda alla
formazione in termini globali, rimane solo da discutere la quantita' dei
finanziamenti che le universita' percepiscono dallo stato o, negli Stati
Uniti, dai privati. Possiamo pure proporre curriculum radicali o
antagonisti, ma se poi ci limitiamo solo al problema di quanti fondi abbiamo
accettiamo l'idea che l'accademia funziona come una macchina a pieno regime
per addomesticare il sapere che viene prodotto e insegnato.

6. LIBRI. LEA DURANTE PRESENTA "IL PENSIERO POLITICO DI GRAMSCI" DI CARLOS
NELSON COUTINHO
[Dal quotidiano "Liberazione" del primo settembre 2006.
Lea Durante insegna all'Universita' di Foggia.
Carlos Nelson Coutinho, intellettuale critico e militante della sinistra
brasiliana, ha militato nel partito comunista, poi in quello di Lula che
recentemente ha lasciato. Tra le opere di Carlos Nelson Coutinho: Il
pensiero politico di Gramsci, Unicopli, Milano 2006.
Antonio Gramsci, nacque ad Ales, in provincia di Cagliari, nel 1891. Muore a
Roma il 27 aprile 1937. La sua figura e la sua riflessione, dal buio del
carcere fascista, ancora illumina la via per chi lotta per la dignita'
umana, per un'umanita' di liberi ed eguali. Opere di Antonio Gramsci:
l'edizione critica completa delle Opere di Antonio Gramsci e' ancora in
corso di pubblicazione presso Einaudi. E' indispensabile la lettura delle
Lettere dal carcere e dei Quaderni del carcere. Opere su Antonio Gramsci:
nell'immensa bibliografia gramsciana per un avvio si vedano almeno le
monografie di Festa, Fiori, Lajolo, Lepre, Paladini Musitelli, Santucci,
Spriano]

Lasciare il partito di Lula, circa tre anni fa, dopo averne salutato con
entusiasmo l'ascesa al governo del Brasile, e' stato solo il piu' recente
atto di coerenza di Carlos Nelson Coutinho verso quella idea di politica che
cerca di coniugare socialismo e democrazia, a cui e' stato fedele per tutta
la vita, e che gia' altre volte lo aveva costretto a fare pratica di
"spirito di scissione" (tanto per entrare subito nel linguaggio gramsciano).
Esule in Europa durante la dittatura militare, Carlos Nelson come lo
chiamano dalle sue parti, dove ci si rivolge alle persone importanti col
solo nome, e' stato negli anni Sessanta un esponente del partito comunista,
da cui e' poi uscito, sempre in nome della democrazia, continuando a essere
comunista; nel Pt ha ricoperto importanti incarichi, prima di lasciare il
partito che conosce oggi una gestione incompatibile con le ragioni dei
lavoratori.
Coutinho, intellettuale noto in Brasile e vero punto di riferimento per gli
studi gramsciani, di cui e' un protagonista anche sul piano internazionale,
e' professore di teoria politica all'Universita' federale di Rio de Janeiro.
L'occasione di parlare di lui e' data dalla recente uscita italiana presso
Unicopli de Il pensiero politico di Gramsci, l'importante monografia
pubblicata per la prima volta in Brasile negli anni Ottanta e recentemente
aggiornata dall'autore. Non e' un caso che un libro del genere provenga da
quella parte di mondo che piu' ha riconosciuto in Antonio Gramsci un
grimaldello critico e un supporto teorico per il superamento di una fase
storica drammatica, contrassegnata prima dalle dittature e poi da un
percorso contraddittorio e difficile di ricostruzione del tessuto sociale
democratico, di una societa' civile di tipo "occidentale".
Proprio "il fallimento dei modelli insurrezionalisti pose al centro della
scena teorica e politica della sinistra latinoamericana e brasiliana i
concetti gramsciani di 'guerra di posizione' e di 'egemonia'", afferma Guido
Liguori nella bella prefazione che contestualizza il libro e lo introduce al
lettore italiano. Ne derivo' un progressivo e sempre crescente interesse per
il pensiero di Gramsci, di cui Coutinho sottolinea in questo libro la
valenza integralmente politica, contro le piu' diverse forme di culturalismo
che hanno nutrito molte letture recenti dell'autore sardo, sia piu'
propriamente di sinistra, sia piu' apertamente liberali. Proprio perche'
mosso da questa evidenza, Coutinho riesce a fare il punto efficacemente su
alcune delle principali categorie gramsciane giungendo subito ad enuclearne
il nocciolo teorico e storico, senza mai rinunciare a un serrato confronto
con gli interlocutori diretti e indiretti di Gramsci. Il libro, infatti,
tutto sommato breve rispetto alla densita' dei problemi che affronta, ha tra
l'altro il pregio di una straordinaria chiarezza del punto di vista e
dell'esposizione, riuscendo ad essere al tempo stesso un significativo
contributo specialistico al dibattito sull'autore dei Quaderni e un valido
testo introduttivo.
*
Seguendo Gramsci dalle sue prime esperienze di operatore politico e
culturale che si affranca con difficolta' e tenacia, a partire dalla fase
consiliarista, dall'influenza dell'idealismo di Croce e di Gentile, Coutinho
ne mostra l'evoluzione del pensiero politico sempre in stretto rapporto con
il procedere della dimensione storica, quella in cui, cioe', il pensiero si
faceva prassi, e la prassi correggeva gli spigoli teorici. Gramsci, dunque,
attraverso le fondamentali esperienze della fondazione del Partito
Comunista, della definizione della sua collocazione rispetto alla
Internazionale Comunista in un progressivo ma non indolore distanziamento
dalle posizioni bordighiane; attraverso i viaggi a Mosca e a Vienna che gli
permisero di comprendere in uno sguardo piu' ampio la dimensione
internazionale dei problemi; attraverso anche gli errori di valutazione, per
esempio sulla portata del fascismo, definisce progressivamente nella prassi
il proprio rapporto teorico di "superamento dialettico" di Marx e di Lenin,
collocandosi senza dubbio fino alla fine nella prospettiva storica del
socialismo, ma superandone la visione dogmatica che essa aveva assunto
nell'Unione Sovietica dalla meta' degli Venti e che vedeva soprattutto
nell'identificazione tra Stato e partito la propria realizzazione. Per
Gramsci, invece - ed e' proprio su questo ganglio della sua riflessione piu'
matura affidata ai Quaderni che egli interloquisce principalmente con la
lunga e profonda tradizione del pensiero politico europeo, da Machiavelli a
Vico, da Rousseau a Hegel - si tratta "di proporre un altro modello di
socialismo, un modello in cui il centro del nuovo ordine deve risiedere non
nel rafforzamento dello Stato ma nell'ampliamento della societa' civile". Si
tratta, nella lettura di Coutinho, di una proposta di democrazia fondata sul
consenso, che non si ancora ne' al pensiero liberale ne' alle formulazioni
piu' datate del "comunismo storico", ma rinvia piuttosto alla versione
democratico-radicale del contrattualismo di Rousseau. E proprio questo
richiamo a Rousseau e' certamente uno dei passaggi piu' originali e
meritevoli di discussione dell'interpretazione di Coutinho che e' tra
l'altro studioso da lungo tempo del filosofo ginevrino.
L'idea guida del libro, che coniuga una rigorosa analisi del pensiero di
Gramsci con una efficace visione d'insieme del mondo contemporaneo, di cui
Gramsci fa ancora parte ad avviso dello studioso sudamericano, e' quella di
una lettura storicamente fondata del pensatore sardo, una lettura, cioe',
nella quale l'utilita' durevole delle sue categorie venga garantita dalla
capacita' di tradurre tali categorie nell'attualita', e anche nelle
differenti specificita' geo=politiche: e' cosi' del resto che Gramsci aveva
vissuto il proprio rapporto con Marx e con Lenin, non assolutizzandoli ma
comprendendoli dinamicamente. Questo puo' significare anche, talvolta,
superare Gramsci, giudicare inefficaci o storicamente troppo segnati alcuni
passaggi della sua riflessione, ma si tratta di un avvertimento importante,
poiche' anche nella iconizzazione vi sono rischi di dogmatismo.
Coutinho, insomma, con la sua lunga esperienza di lettore di Gramsci - e'
stato anche curatore, insieme ad altri, di una monumentale edizione delle
Opere gramsciane in dieci volumi pubblicata in Brasile tra il 1999 e il
2002 - suggerisce di trattare l'intera materia con rigore di metodo ma anche
con grande apertura e flessibilita' intellettuale, e utilizza una parola,
nazionale, che potrebbe apparire impropria a chi si faccia travolgere in
modo totalizzante dalle letture del presente come dimensione cosi' globale
da divenire quasi astraente: una parola che richiama invece alla natura
materiale dei conflitti, al carattere pragmatico della politica, alla
dimensione reale dei problemi.
Gramsci doveva inventare una "scienza della politica che fosse adeguata alla
filosofia della prassi": Carlos Nelson ci spiega come e perche' l'unico vero
modo di farlo fu per lui farsi "critico della scienza politica", almeno di
quella costruita nella modernita'.

7. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI" 2006

Come ogni anno le Edizioni Qualevita mettono a disposizione l'agenda-diario
"Giorni nonviolenti", un utilissimo strumento di lavoro per ogni giorno
dell'anno. Vivamente la raccomandiamo. Il costo di una copia e' di 9,50
euro, con sconti progressivi con l'aumento del numero delle copie richieste.
Per informazioni ed acquisti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell. 3495843946, e-mail:
qualevita3 at tele2.it

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1457 del 23 ottobre 2006

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