La nonviolenza e' in cammino. 1459



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1459 del 25 ottobre 2006

Sommario di questo numero:
1. Una persona, tutte le persone
2. Cindy Sheehan: L'Iraq e' gia' il Vietnam?
3. Rosangela Pesenti: Tra il corpo e la parola (parte seconda e conclusiva)
4. La "Carta" del Movimento Nonviolento
5. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. UNA PERSONA, TUTTE LE PERSONE
[Gabriele Torsello, giornalista, fotografo e documentarista freelance,
collaboratore di movimenti umanitari, impegnato contro la guerra e contro le
violazioni dei diritti umani, e' stato rapito in Afghanistan sabato 14
ottobre 2006]

Sia liberato Gabriele Torsello.
Cessino le uccisioni.
Pace e liberta' per l'Afghanistan.
Giustizia e misericordia per ogni persona.
*
Da ogni citta' d'Italia si levi un appello di solidarieta' e di pace.
Affinche' torni libero sano e salvo Gabriele Torsello.
Affinche' l'Italia cessi di partecipare alla guerra terrorista e stragista
in Afghanistan.
Affiinche' l'Italia s'impegni per la cessazione dei crimini della Nato - di
cui fa parte - e di tutte le parti in conflitto, per la smilitarizzazione
del conflitto, per il disarmo, per recare aiuti umanitari all'intera
popolazione in forme rigorosamente non armate e nonviolente.
Solo se si sceglie la pace si sceglie l'umanita'.

2. TESTIMONIANZE. CINDY SHEEHAN: L'IRAQ E' GIA' IL VIETNAM?
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente intervento di
Cindy Sheehan.
Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il
successivo mese di agosto e' stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in
cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l'intenzione di parlargli
per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e
alla sua testimonianza si e' risvegliato negli Stati Uniti un ampio
movimento contro la guerra; e' stato recentemente pubblicato il suo libro
Not One More Mother's Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel
sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One
Mom's Journey from Heartache to Activism, per Atria Books.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sydney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di
Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra
Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne
nell'islam contro l'integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005]

Con le elezioni di medio termine che si avvicinano pericolosamente, e con
l'opinione pubblica contraria alle fallimentari politiche estere di George
Bush che ha oltrepassato il capo dei due terzi, la Casa Bianca ha annunciato
di essere sul punto di presentare al governo fantoccio dell'Iraq una
"tabella" per il ritiro delle truppe statunitensi.
Questo mi ricorda il "piano segreto" di Richard Nixon per rimuovere le
truppe dal Vietnam, che egli sbandiero' prima della vittoria elettorale, di
misura, contro Hubert Humphrey nel 1968. Il piano statunitense per il ritiro
dall'Iraq include il disarmo delle milizie e l'addestramento di piu' uomini
nelle polizie irachene, per controllare la sicurezza del paese, il che suona
in modo sospetto simile alla "vietnamizzazione" del programma di Nixon.
Sapendo che il notorio guerrafondaio Kissinger si trova di nuovo
nell'ufficio presidenziale a consigliare George (e di fatto ci eravamo
chiesti perche' l'Iraq fosse un disastro cosi' totale), qualcun altro oltre
a me subodora il trucco?
E' incredibile, perche' sebbene si sappia che il mio stesso figlio e' stato
ucciso in Iraq, mi viene spesso detto che i morti americani nella prima
guerra per il profitto di questo giovane secolo sono un numero
"trascurabile", se paragonato al numero dei morti in Vietnam.
*
Ho brutte notizie per questi appartenenti all'ala destra-reich, confederati
nel massacro: l'Iraq e' persino piu' mortale, per le forze Usa, del Vietnam.
Nei primi tre anni e sette mesi dell'illegale ed immorale occupazione
dell'Iraq, 2.791 volontari sono stati tragicamente uccisi, e nei primi
quattro anni dell'illegale ed immorale conflitto in Vietnam (giacche'
neppure quella fu mai una guerra a norma di Costituzione, dichiarata dal
Congresso) erano stati uccisi 1.864 coscritti.
La disparita' fra gli "uccisi in azione" e' grande, e le sue implicazioni mi
danno la nausea. Ottobre sta diventando il peggior mese mai passato dai
soldati e dai cittadini in Iraq. Con Henry Kissinger che fa quasi
regolarmente visita a George Bush, ed i tamburi di morte che battono per
l'Iran, torna in mente l'invasione della Cambogia decisa da Nixon, ed il suo
risultato, il massacro nel sudest asiatico e le violente proteste in casa
nostra. Pare quindi che il "piano segreto" di Nixon fosse incrementare la
mattanza, ed io tremo al pensiero dei piani di Bush per la pace.
I gangli della macchina della guerra presenti al Congresso dissiparono 161
miliardi dei nostri dollari durante i quattordici anni in cui la guerra in
Vietnam si trascino' disastrosamente. Ebbene, e' una somma da nulla. Fino ad
ora, il Congresso ha buttato via nel suo delirio almeno 340 miliardi di
dollari. La macchina della guerra dev'essere assai indaffarata a lavar via
il sangue dal suo denaro, prima di poterlo depositare alla banca nazionale
delle speranze svanite e dei sogni perduti.
Le altre somiglianze con il Vietnam confermano la verita' del vecchio
adagio: coloro che non imparano dalla storia sono destinati a ripeterla. Nel
1967, Robert McNamara, il principale architetto dell'errore del Vietnam,
lascio' il suo posto di distributore civile di morte per diventare
presidente della Banca Mondiale. Allo stesso modo Paul Wolfowitz, principale
artefice, sostenitore e mentitore, dell'errore iracheno ha lasciato il suo
posto al dipartimento della guerra per il successivo logico incarico a
presidente della Banca Mondiale. E' evidente che se uno mostra un'attitudine
al macello viene ricompensato bene, non solo da Bush e compari.
*
Nel paese, i nostri compagni si disperano perche' "i giovani" non sono
coinvolti nel movimento contro la guerra, o perche' c'e' minor attivismo
rispetto a quanto ce ne fu durante gli anni del Vietnam. Dal punto di vista
storico, il movimento contro la guerra e' molto piu' attivo ed efficace
rispetto a questo conflitto che durante lo stesso periodo relativo al
Vietnam. Ci sono state manifestazioni enormi prima dell'invasione dell'Iraq,
perche' milioni di persone in tutto il mondo non volevano assistere ad
un'altra lotta sanguinosa e non volevano che omicidi fossero commessi in
nome loro. Io stessa mi sono trovata coinvolta in dimostrazioni enormi
durante quest'anno. Come la copertura mediatica di cio' che succede in Iraq
differisce nettamente da quella che tocco' al Vietnam (io ricordo la dose
giornaliera di notizie non censurate provenienti dal Vietnam), cosi' la
copertura mediatica sul movimento contro la guerra e' terribilmente scarsa.
Di recente, membri californiani del Congresso hanno scritto una lettera al
presidente-Rambo per chiedere che il Pentagono cacci i reporter della Cnn,
accreditati in seno all'esercito, dall'Iraq: questo perche',
sorprendentemente, la Cnn ha mostrato uno sconvolgente filmato dove cecchini
iracheni fanno il tiro al bersaglio sulle truppe statunitensi. Nessuno vuol
vedere un decesso mentre accade (a meno che non sia finto) e sempre di piu'
gli americani stanno comprendendo che le cose accadono anche se non si
mostrano loro le relative immagini scioccanti. Stiamo cominciando ad uscire
dal coma indotto dai media, e cio' contraddice la percezione di Bush
dell'Iraq come di una confortevole culla di felicita' e democrazia.
*
Noi, la gente, stiamo capendo che a dover essere biasimati sono i criminali
che hanno messo i nostri giovani in una situazione che si poteva evitare, e
che le immagini scioccanti cesseranno quando le nostre truppe verranno
riportare a casa.
Rispetto al Vietnam, vedemmo un tenente essere arrestato e poi prosciolto
per i crimini di guerra commessi nell'orrore di My Lai. In Iraq, abbiamo
visto alcuni soldati semplici e alcuni graduati essere similmente posti
sotto processo per gli orrori di Abu Ghraib.
Dopo il Vietnam, Nixon, Johnson, McNamara, Kissinger, eccetera, avrebbero
dovuto essere incriminati per crimini di guerra e crimini contro l'umanita'.
Sappiamo cos'e' accaduto a ciascuno di loro. Kissinger ha vinto un premio
Nobel per la pace, McNamara e' andato alla Banca Mondiale, ed i presidenti
si ritirarono con infamia nei loro possedimenti, a vivere una tranquilla
vita quotidiana di bugie con le loro famiglie. Qualcuno di loro ebbe
rimorsi, incubi, sentimenti di colpevolezza dell'abiezione? Probabilmente
no, per certo sappiamo solo che nessuno di loro ando' in prigione.
Per quanto concerne questa palude dell'Iraq noi, la gente, dobbiamo
assicurarci che Bush e compari non possano semplicemente ritirarsi nei loro
possedimenti e ranch (a Crawford o in Paraguay), a vivere esistenze di
relativo agio. Devono essere incriminati e imprigionati per tutti gli
omicidi che le loro avide politiche hanno causato. Le guerre per il profitto
non hanno termine sino a che i responsabili non vengono forzati a guardare
in faccia i loro errori, ed a pagare per essi.
Durante gli anni '60, ci dicevano di aver paura, molta paura, dei comunisti.
Oggi veniamo bombardati di avvisi politicamente assai convenienti sui
terroristi.
Nel 1968, una piccola maggioranza di elettori scelse di credere a Nixon ed
al suo "piano segreto" per uscire dal Vietnam, un piano che uccise almeno
altri 50.000 soldati americani e milioni di vietnamiti prima di essere
portato a compimento. Adesso, si suppone che noi si debba credere a bugiardi
riconosciuti ed alla loro "tabella" per l'eventuale ritiro delle truppe Usa
dall'Iraq.
*
Quanto del nostro comune tesoro umano, iracheno, americano, musulmano,
cristiano, marrone e nero e bianco, verra' dissipato prima che i nostri
funzionari eletti decidano di fermarsi?
Non votate in preda alla paura, il mese prossimo. Votate con coraggio per
candidati che sono palesemente ed a voce alta contro la guerra, e che
chiedono vengano riconosciute le responsabilita' della guerra.
Nel 1975, la miserabile debacle in Vietnam ebbe fine quando il Congresso
chiuse i finanziamenti agli omicidi. C'e' una proposta di legge, in sigla
HR4232 (presentata da McGovern, democratico del Massachusetts) che taglia i
fondi agli ammazzamenti continui in Iraq. Fate pressione sui vostri senatori
e deputati affinche' sostengano questa proposta. E' il solo modo per portare
a casa l'esercito, chiudere le basi permanenti e mettere la macchina della
guerra, almeno temporaneamente, fuori dal mercato.
Le statistiche dicono che i veterani del Vietnam che si sono suicidati sono
circa il doppio di quelli che morirono in combattimenti effettivi. Dobbiamo
assicurarci che alcuni dei miliardi che passiamo all'Halliburton, alla
Bechtel, alla Boeing, alla Esso, vadano invece all'assistenza per i veterani
dell'Iraq, di modo che questa tragedia sia loro evitata. Dobbiamo rendere
confortevole la vita ai soldati che tornano quanto dobbiamo renderla
impossibile ai loro leader civili.
Un mucchio di gente comincia a parlare con me dicendo: "Non avrei mai
pensato che dopo il Vietnam questo sarebbe accaduto di nuovo". Di solito io
rispondo: "Perche'?". Dopo che le truppe tornarono dal sudest asiatico, con
brutte ferite fisiche ed emotive, anche il movimento contro la guerra se ne
torno' a casa.
*
Il movimento contro la guerra non puo' adagiarsi sui suoi allori, questa
volta. Abbiamo la necessita' di trasformare il movimento contro la guerra in
un radicale movimento per la pace, se vogliamo che queste guerre infinite
per il profitto non "accadano di nuovo".
L'Iraq e' gia' un altro Vietnam? Si' e no. Si', perche' le persone stanno
morendo senza ragione, e le continue morti vengono giustificate con "non
possiamo tagliar la corda e scappare". E ancora si', perche' le famiglie
vengono distrutte, e le casse del nostro bilancio non sono solo vuote, ma
gia' in rosso di miliardi di miliardi. Ma anche no.  L'Iraq e' peggio del
Vietnam.

3. RIFLESSIONE. ROSANGELA PESENTI: TRA IL CORPO E LA PAROLA (PARTE SECONDA E
CONCLUSIVA)
[Ringraziamo Rosangela Pesenti (per contatti: rosangela_pesenti at libero.it)
per averci messo a disposzione il seguente scritto, "Tra il corpo e la
parola. Dialoghi e sguardi tra native e migranti", racconto di un
laboratorio con donne migranti e native che ha tenuto all'Udi di Modena,
pubblicato nel volume realizzato dall'Udi di Modena (a cura di Rosanna
Galli, Rosa Frammartino, Angela Remaggi), Io tu noi. Identita' in cammino,
Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, 2006. Rosangela Pesenti, laureata
in filosofia, da molti anni insegna nella scuola media superiore e svolge
attivita' di formazione e aggiornamento. Counsellor professionista e
analista transazionale svolge attivita' di counselling psicosociale per
gruppi e singoli (adulti e bambini). Entrata giovanissima nel movimento
femminista, nell'Udi dal 1978 di cui e' stata in vari ruoli una dirigente
nazionale fino al 2003, collabora con numerosi gruppi e associazioni di
donne. Fa parte della Convenzione permanente di donne contro tutte le
guerre, della Convenzione delle donne di Bergamo, collabora con il Centro
"La Porta", con la rivista "Marea" e la rivista del Movimento di
cooperazione educativa. Tra le opere di Rosangela Pesenti: Trasloco,
Supernova editrice, Venezia 1998; (con Velia Sacchi), E io crescevo...,
Supernova editrice, Venezia 2001; saggi in volumi collettanei: "Antigone tra
le guerre: appunti al femminile", in Alessandra Ghiglione, Pier Cesare
Rivoltella (a cura di), Altrimenti il silenzio, Euresis Edizioni, Milano
1998; "Una bussola per il futuro", in AA. VV., L'economia mondiale con occhi
e mani di donna, Quaderni della Fondazione Serughetti - La Porta, Bergamo
1998; AA. VV., Soggettivita' femminili in (un) movimento. Le donne dell'Udi:
storie, memorie, sguardi, Centro di Documentazione Donna, Modena 1999; "I
luoghi comuni delle donne", in Rosangela Pesenti, Carmen Plebani (a cura
di), Donne migranti, Quaderni della Fondazione Serughetti - La Porta,
Bergamo 2000; "Donne, guerra, Resistenza" e "Carte per la memoria", in AA.
VV., Storia delle donne: la cittadinanza, Quaderni della Fondazione
Serughetti - La Porta, Bergamo 2002; Caterina Liotti, Rosangela Pesenti,
Angela Remaggi e Delfina Tromboni (a cura di), Volevamo cambiare il mondo.
Memorie e storie dell'Udi in Emilia Romagna, Carocci, Firenze 2002; "Donne
pace democrazia", "Bertha Von Suttner", "Lisistrata", in Monica Lanfranco e
Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne Disarmanti, Intra Moenia, Napoli 2003;
"I Congressi dell'Udi", in  Marisa Ombra (a cura di), Donne manifeste, Il
Saggiatore, Milano 2005; "Tra il corpo e la parola", in Io tu noi. Identita'
in cammino, a cura dell'Udi di Modena, Fondazione Cassa di Risparmio di
Modena, 2006]

Ci ritroviamo impazienti di raccontare, i cartelloni vengono sciorinati sul
pavimento, ricomposti con cura i fili sgualciti, gli angoli piegati, ci
guardiamo gravide d'attesa, ci si invita con pressione garbata a
cominciare.
"Sono partita dall'origine della mia famiglia", enuncia con voce lenta, in
sintonia col corpo flessuoso, una giovane donna, "erano agricoltori che si
sono spostati dalla regione dove abitavano verso la costa, in cerca di
fortuna e la' sono nati gli otto figli". Di questo viaggio resta la
fotografia di un ponte su un grande fiume, con una nave, che rappresentata
la traversata dalla campagna alla citta'.
Di quel tempo d'infanzia resta la gallina, che la nonna le regalava perche'
si ricordasse di lei quando mangiava le uova ed era una lotta con la madre
che voleva cucinare la gallina. Anche adesso la nonna le chiede di tornare
da lei e la sua paziente attesa e' per la nipote il ricordo piu' struggente.
Nella citta' il luogo amato e' la spiaggia dove s'incontrano i giovani, dove
si vivono le amicizie e gli amori dell'adolescenza, mentre il grande fiume
navigabile e' pericoloso, proibito dagli adulti che ricordano e tramandano
la storia amara dello sbarco dei primi colonizzatori e l'inizio della
vendita, dell'asservimento del Paese.
Nella grande citta' si cresce e ci si prepara al viaggio verso l'Occidente,
dopo la maturita', dove la neve sara' la prima scoperta che affascina,
mediatrice di gioco e condivisione con amici nuovi: viene toccata, guardata,
perfino assaggiata.
L'Occidente e' un luogo di opportunita' ma anche di inquietudine,
soprattutto l'Italia con la presenza di donne seminude in tv, corpi esposti
come merci che appaiono degradati, diventando modelli di acritico
asservimento, e non solo per le piu' giovani. Qui il radicamento richiede o
propone conversioni: il passaggio dalla religione animista al cristianesimo
e' una scelta consapevole che esprime la disponibilita' ad accogliere i riti
della nuova terra e insieme la speranza di un legame universale che cancelli
ogni traccia di razzismo. Nell'immagine ha messo due bimbi, uno bianco e uno
nero, che si guardano sorridenti.
Un'altra donna racconta, illustrando il significato del grande sole che
simboleggia il Paese d'origine; l'Italia in cui arriva sembra, per
contrasto, un Paese buio "Ho pianto per un anno perche' dovevo chiudere le
finestre e mi chiudevo io stessa".
Sul foglio ci sono le palme del suo paese, tante valige, una pecora e un
grande fiore. Poche immagini, ma il racconto si fa denso: il dolore per la
condizione di immigrata che colloca automaticamente in uno stato
d'inferiorita' e la nostalgia per l'antica nobilta' della famiglia, nonni e
zii nel ruolo di governatori, e soprattutto per la madre che le ha indicato
la strada dell'emancipazione. Nel paese d'origine alla nascita di un bambino
la levatrice va sulla porta di casa ed eleva un grido tradizionale, sette
volte per un maschio, quattro per una femmina, ma la madre, levatrice, grida
sette volte per tutti, senza distinzione di sesso, e impone questa scelta
anche alla sua nascita.
La pecora ricorda la nonna che gliene regalava una ogni volta che andava al
paese a trovarla e alla fine, da grande, lei si e' ritrovata con tante
pecore che non ha potuto portare con se' in Italia.
Un'immagine illustra la guerra di indipendenza del suo Paese, si commuove
ricordando i morti, parla con orgoglio del contributo femminile attraverso
l'Associazione nazionale delle donne, e la loro presenza nel governo, oggi.
Ma la guerra e' anche il motivo della sua partenza, lei, ribelle, sarebbe
finita male e sono proprio i genitori a convincerla a partire. Per questo
tante valige in cui ci sono abiti, libri, i gioielli regalati dalla madre,
tutto cio' che si puo' trasportare per sentirsi ancora un po' a casa. Poi la
storia si snoda con il racconto degli studi serali, l'impegno politico, la
ricerca di una casa, brandelli di vita e di fatiche che non hanno trovato
collocazione sulla carta.
In tutto questo dolore il fiore rosso che spicca e' la bambina, nata in
Italia, simbolo dolce di un piccolo spazio di pace finalmente conquistata.
Lo scarto fra semplicita' delle immagini e fiume della narrazione dice di
una sovrabbondanza di memoria che ancora deve trovare un modo per placarsi
nella serenita' della nuova vita.
Guardiamo un nuovo collage, un intreccio di percorsi tra terra e mare, si
riconosce il profilo dell'Italia solcata in lungo e in largo con linee
diverse, una sequenza di puntini viola, piccole frecce verdi che si
rincorrono mutando a un certo punto direzione, una lunga linea rossa che
arriva ad un luogo affollato di case, nella memoria sono mari e fiumi a
rendere riconoscibili e amabili i posti nuovi.
C'e' un fiume anche nel paese dell'Alto Adige dove e' nata, abeti e terra
scura, un grande sole arancio "un po' cupo" che si apre come il cerchio di
un ventaglio sul paesaggio, forse presagio del lunghissimo viaggio, tre
giorni con tutta la famiglia in "cinquecento" attraverso la pianura padana e
poi l'Appennino, che la porta a cinque anni nella solitudine della campagna
sarda. Per questo il primo viaggio da ragazza e' una fuga e il fiume e'
l'Arno di Firenze, e poi ci sono Modena, gli studi, il lavoro, il
matrimonio, la figlia, la separazione. Linee altalenanti, che cambiano
direzione, verticali per l'inquietudine, lo spaesamento, orizzontali per la
serenita' della nuova vita che sente crescere nel corpo e nei pensieri
insieme alla sua bambina.
Ora il viaggio e' un ritorno possibile, ci si allontana dalla sofferenza e
si recuperano le origini, la casa ha il colore del sole dell'infanzia, meta
di un andirivieni fecondo e finalmente libero tra molti luoghi, nei pensieri
i progetti ondeggiano sul mare ancora lievemente mosso, come una barca a
vela che conosce molti approdi.
Chi attraversa l'oceano per arrivare in Europa ha tracciato il percorso con
un unico filo rosso di grossa lana, caldo, luminoso, resistente, che
attraversa sinuosamente tutto il foglio lungo un'immaginaria diagonale.
Viene evocata la famiglia, affettuosa ma opprimente, un calore obeso al
quale si risponde con l'anoressia e poi finalmente la fuga e il movimento
politico, quel filo rosso che crea legami forti, capaci di superare le
distanze, ritrovati nei ricordi condivisi con gli amici con cui si resta a
chiacchierare fino al mattino. La tensione politica resiste, sostiene la
faticosa accettazione del corpo che diventa morbido con le figlie ed ora
esprime tutta la pienezza di una vita di cui si sente protagonista.
Lo specchio e' metafora di un persistente sguardo su di se', che nel
presente sa ammorbidire l'autocritica per consentirsi una tenerezza ironica,
diffusa sul suo viso diventato piano piano piu' dolce e giovane.
Questa sono tutta io, annuncia la ragazza. Sul foglio la parte in bianco e
nero e' il passato, e' l'immenso paese orientale sconosciuto da cui vengono
i genitori che raccontano le storie di una grande famiglia patriarcale,
moltissime persone conosciute solo attraverso le fotografie.
Nell'infanzia ci sono i cani, compagni affettuosi di tanti giochi,
rassicuranti presenze amiche, e un mostro che rappresenta le paure che
talvolta stendono ancora la loro lunga ombra sulla vita. Venezia e'
l'universita' e l'amicizia, il momento in cui ci si interroga sul passato e
non bastano piu' le fotografie. Telecamera e macchina fotografica sono i
simboli della ricerca e del viaggio, nel passato e nel futuro, mentre i
mulini a vento raccontano il luogo di un incontro importante. Lei e' tutta
in una timida viola e in un piccolo robot, la sensibilita' giusta per
esplorare il nuovo e la coscienza di non sapere ancora quali saranno le
trasformazioni.
Racconta e sorride, tace la natura delle ombre, che talvolta riappaiono, ma
i colori sono la scoppiettante energia di chi sapra' trovare dentro di se'
le risorse per affrontare ogni desiderio.
Una donna piu' grande esordisce dicendo che questo lavoro le e' piaciuto
moltissimo: "non mi ero accorta di aver traslocato sei volte. Oggi abito
nella sesta casa". La prima casa resta la piu' importante, le esperienze
dell'infanzia sono state determinanti e hanno orientato il percorso di tutta
la vita. Nel lungo racconto ogni episodio e' legato a quelle prime
consapevolezze e alla grande abitazione contadina che ne e' stata la culla.
La campagna a mezzadria era, a quei tempi, un destino di poverta', poi
arriva la guerra, i bombardamenti sulla fabbrica di esplosivi, dove lavorano
quattromila donne che hanno il coraggio di scioperare nel 1943, durante il
fascismo, la casa viene occupata dai tedeschi, il padre e' prigioniero, e
poi ancora, due alluvioni, gli animali da salvare, la fatica di crescere e
trovare il proprio posto nel mondo.
Una grande oca bianca, vinta alla prima festa democratica, e' il simbolo
della liberazione e della nuova vita che comincia. Il viottolo su cui
cammina felice con l'oca legata ad una cordicella che le trotterella vicino
e' un'immagine che si moltiplica per l'intera vita, mentre le strade si
fanno piu' grandi e numerosi i compagni e le compagne di strada.
Nel viaggio che la porta dalla prima alla seconda casa e poi in citta', dove
lavoro e responsabilita' politiche riempiono di soddisfazioni la vita,
centrale e' il ricordo di un grande incontro di giovani a Mosca. Il
fidanzato che non gradisce la partenza viene immediatamente lasciato, lo
racconta con lo stesso tono con cui ci ha spiegato come ha lasciato il
lavoro di sarta, imparato per necessita': "ora non attacco nemmeno un
bottone!". Avvertiamo l'entusiasmo di quel ritrovarsi tra giovani di tanti
paesi diversi, la banda che accoglie ad ogni stazione, lo scambio di regali,
il sogno comune di una pace duratura.
Poi l'incontro con il marito, i viaggi al sud (anche qui la "cinquecento"),
i figli che nascono nella quarta casa. Le vicende private diventano tappe
veloci mentre il racconto si allarga, si dilata, intorno alla Casa delle
donne, luogo centrale dell'identita' dove ancora fioriscono tanti progetti.
Una vita in movimento, affollata di persone e idee come il disegno e'
affollato di case, strade, piazze ad indicare traslochi che sono stati
soprattutto nuove reti di relazioni intrecciate dentro piu' vasti orizzonti.
Una mappa metaforica e' quella che ci presenta la giovane donna che "lavora
con la psiche, con l'anima, aiutando le persone a trovare la propria
strada". La sua di strada si articola in grandi spirali che girano intorno
al duomo di Modena, simbolo della citta'. Qui sono le radici, da qui si
parte e qui si torna; ogni viaggio e' importante, porta esperienze nuove,
una nuova consapevolezza e non si potrebbe restare senza il coraggio di
partire ogni tanto. Le frecce rivolte all'esterno e all'interno del cerchio
sono solide, solari, dominanti, simboli di progetti concreti, di riflessioni
importanti come importanti sono gli incontri che formano una costellazione
di immagini nell'universo che orbita intorno a questa citta'.
Un'altra mappa che guardiamo e' dominata da un grande cerchio luminoso: nata
in una terra del sole, i raggi fitti sono i tanti sogni che fanno da corolla
all'infanzia. Nei molti viaggi intrapresi il mare e il ritmo della musica
restano una costante, quasi un richiamo arcaico alle origini che
l'accompagna ovunque. Se le lingue talvolta separano, per lei sono questi i
linguaggi e le esperienze fondamentali che uniscono e la fanno sentire a
casa tra le persone definite straniere.
La ragazza che succede nel racconto e' cosi' giovane che la casa con cui
ancora sente di dover fare i conti e' quella della famiglia d'origine. Il
luogo e' rappresentato dal formaggio grana, un odore e un sapore che forse
modellano anche uno stile di vita. La casa e' isolata, anche se nella
realta' era in un condominio, perche' dichiara una lunga solitudine da cui
comincia ad uscire con la scuola superiore e le nuove amicizie. Sono quattro
le amiche e i quattro lacci segnalano un legame forte e duraturo che
consente di muoversi liberamente su strade diverse. Poi ci sono altre case,
quella della comunita' in cui ha lavorato, una casa per se' e la casa dei
sogni, tanto grande da contenere tutte le amiche e le loro storie d'amore.
Anche per un'altra donna l'autonomia e' una casa con la sorella e la gatta:
un luogo di serrato confronto, un ritrovarsi faticoso e felice, un punto di
forza che consente di fare i conti con il "prima", il rapporto con i
genitori, una citta' diversa, altre storie, e con il "dopo", che diventa un
viaggio fatto di tante mete: equilibri raggiunti, traguardi di studio e di
lavoro, nuovi rapporti, incontri sentimentali importanti. Il mare e il cielo
stellato sono una bella storia d'amore, sul foglio si rincorrono ancora
alcune nuvole, ma sopra c'e' sempre una striscia di cielo limpido che
continua, come la storia, anche oltre la luce bianca del foglio.
Alle nuvole in corsa verso il futuro si sostituisce l'immagine di un altro
cartellone: un grande albero che occupa tutto lo spazio in verticale. Era
una strada ad albero, racconta la donna, mi sono lasciata guidare
dall'istinto e l'albero e' cresciuto in discesa, verso le radici solide che
sono la maturita' raggiunta.
La grande chioma e' l'infanzia, ricordo delle distese di ulivi e metafora
della famiglia, talmente allargata da comprendere una quarantina di cugini e
svariati zii e zie, che hanno consentito circolarita' di affetti e
molteplici possibilita' di amicizia.
Le arti diplomatiche della madre mediano e mitigano la figura autoritaria
del padre, traducendo le severe lezioni di onesta' nei messaggi di liberta'
e autonomia che la figlia sapra' cogliere appieno.
Lungo il tronco della crescita i nodi sono le difficolta' dell'adolescenza,
quando la presenza di coetanee in famiglia favorisce i confronti e la
ridondanza dei ruoli di figlia, sorella, cugina, mortifica l'identita'.
Un grande orologio segnala l'impegno nel lavoro, imperativo paterno e piu'
tardi necessita', nella citta' del nord dove il pregiudizio nei confronti
dei meridionali sfaticati e' molto forte.
Gli studi non sono incoraggiati, una femmina deve aiutare in casa e' il
monito che accompagna fin dall'infanzia e dopo il liceo e' preclusa la
filosofia per la lontananza della facolta'. La teologia, scelta "pur di
studiare" apre la strada a un rinnovato cammino di fede e diventa una
concreta opportunita' di lavoro segnando quello che definisce come momento
del riscatto.
La musica e' la passione che accompagna ogni evento, nascite e morti hanno
la loro colonna sonora.
Il matrimonio determina lo spostamento a Modena. Fiori, libri, un caminetto:
la casa e' realta' e sogno su cui brillano due soli, che sono le figlie. Non
importa se anche la loro adolescenza e' fatta di qualche nodo, sono tutte
occasioni di crescita, mentre si moltiplicano le radici, una per ogni terra,
una per ogni rapporto e l'oggi e' la consapevolezza di coincidere finalmente
con il proprio nome.
Mentre racconto qui per grandi sintesi imprecise le storie ascoltate
riassaporo la stessa emozione, condivisa allora con una donna che era mancat
a al lavoro. Il suo ascolto assorto, lo sguardo che talvolta vagava o
sembrava ripiegarsi ad ascoltare un misterioso ritmo interno, la sua
partecipazione intensa, espressa in un breve ammirato commento, mi
accompagnano ancora come una lezione muta e preziosa. Anche il silenzio puo'
diventare presenza eloquente e affettuosa in un cerchio di donne. "Mi sono
quasi dimenticata della mia storia ascoltando le vostre" e mi sembra di
cogliere una venatura di sollievo forse per una sofferenza temporaneamente
accantonata. Talvolta e' un privilegio riposante potersi allontanare da se'
per incontrare gli altri.
Mettere in comune le storie apre la possibilita' di percorrere nuove strade.
Anche questi fogli stesi tra noi, cosi' densi di racconti, possono essere
girati dall'altra parte ed ora ognuna ha una grande pagina bianca davanti a
se', aperta a qualsiasi possibile futuro.
*
Nell'incontro successivo, mentre ancora commentiamo le immagini dei collage,
viene naturale ripercorrere l'elenco delle risposte date alle domande sulla
professione svolta (una frase), e la classe sociale di appartenenza (una
sola parola).
Leggiamo definizioni vaghe, parole che richiedono spiegazioni per essere
comprese: sono due temi critici perche' indicano la nostra collocazione
nelle reti delle relazioni pubbliche che inevitabilmente designano gerarchie
e distanze, in modo particolare per le donne, che dipendono spesso da altri,
padri o mariti, per la propria definizione sociale.
Il percorso di accesso, ancora faticoso, non solo ad una professione, ma
soprattutto ad un reddito che consenta l'autonomia, gia' difficile per le
native, lo diventa particolarmente se si e' donna e migrante, per il non
riconoscimento dei titoli di studio, per la condizione di precarieta'
talvolta anche affettiva (perche' nel cambiamento vengono coinvolti o
travolti rapporti e legami), per l'assenza di servizi sociali di sostegno
alla maternita', per la difficolta' comunque anche dei bambini ad inserirsi
in luoghi talvolta perfino ostili e comunque sempre estranei...
Non e' facile ricomporre in un equilibrio socialmente spendibile lo scarto
tra l'investimento di energie che richiede l'emigrazione e la modestia dei
risultati inizialmente raggiunti.
Il senso di estraneita', anche quando non e' vissuto in solitudine, richiede
una capacita' di lettura del contesto, in cui talvolta sono altrettanto
desolanti le solitudini e le difficolta' dei nativi, che rischia di
confermarsi anche dopo il primo deludente impatto, impedendo l'elaborazione
delle perdite e una visione articolata della nuova realta'.
I racconti delle donne italiane, da questo punto di vista, non sono piu'
rassicuranti, dicono di migrazioni interne, difficili mediazioni famigliari,
evocano spesso ingiustizie e preclusioni sociali per chi ha un'eta' matura e
per le piu' giovani ci sono sfruttamento, precariato e mortificante
dipendenza dalla famiglia.
Tra la condizione di migrante e il sogno di una nuova vita esiste una mappa
implicita di idee, valori, convinzioni, credenze sulla vita e sul mondo che
talvolta i nativi, anche se accoglienti, non riescono a decifrare, immersi
come sono, a loro volta, in una mappa analoga e diversa.
Alcune hanno portato anche in questa nostra piccola esperienza i traguardi
raggiunti, il desiderio di radicarsi in un luogo di donne, le piccole gioie
da condividere, altre governano a fatica una rabbia che ancora non ha
trovato collocazione, un modo per dirsi ed essere capita, un posto dove
esprimersi ed agire.
Tra le migranti, che noi unifichiamo mentalmente nell'unica categoria di
straniere, le differenze sono enormi, cosi' come tra le donne italiane,
viste dalle straniere attraverso la lente deformante dell'unico reale
privilegio che condividono, quello di essere "native", e non sempre del
posto dove abitano.
Non puo' stupire percio' che permanga in alcune, nonostante le dichiarazioni
di disponibilita', una certa diffidenza, che talvolta si colora di
un'inconsapevole venatura di ostilita'.
Le giovani sembrano piu' disponibili, ma spesso distratte dal tumultuare
della propria storia, cosi' rumorosa da rendere sorde ai bisbigli di chi e'
piu' carico di esperienze e stanchezze. Le differenze non sono marcate solo
dalle diverse provenienze o dalle storie personali, ma anche, piu'
semplicemente, dall'eta'.
Il laboratorio e' un crogiuolo di parole, aspettative non espresse,
sentimenti del passato che riaffiorano, percezioni vaghe, domande, ma in
certi momenti diventa anche un luogo dove gli stereotipi e le rigidita' si
sciolgono e scorrono via come ghiaccio trasformato in acqua a primavera.
Siamo tutte migranti, nel tempo della nostra vita, nella ricerca di un luogo
in cui corpo e pensieri possano riconoscersi e sostare, e certo tutte
sappiamo che qui, se lo vogliamo, sara' sempre possibile tornare per
incontrarsi.
*
L'ultimo lavoro insieme e' una fioritura di alberi genealogici, mappe
famigliari e amicali, adulti significativi che hanno accompagnato l'infanzia
e l'adolescenza, persone incontrate per caso che rinnovano il piacere della
reciprocita' nei viaggi reali e immaginari della vita.
Nel racconto prendono forma e volto i legami, si definiscono vicinanze e
lontananze, tempi e occasioni di apprendimento che l'oggi conserva come
patrimonio prezioso.
Ci si racconta nell'intimita' del rapporto a due, dove l'una accoglie la
storia dell'altra, ne diventa custode e narratrice nel gruppo, restituendo i
sentimenti dell'ascolto che aprono talvolta nuove possibilita' di lettura.
Nel racconto dell'altra alcuni nodi sembrano allentarsi, la sofferenza delle
tante separazioni diventa occasione di crescita, i tratti di certi parenti
si scoprono simili, analoghi gli affetti e il senso depositato nella propria
vita.
Nel tracciato di una ragazza colpisce la divisione dei ruoli tra genitori e
zii, definita in una concordia che diventa modello di convivenza e scuola di
vita, per un'altra e' il rapporto con il fratello piu' piccolo, con cui
sperimenta il senso materno, che diventa l'asse portante di tutti gli altri
legami con le generazioni precedenti e la propria famiglia attuale, per
un'altra ancora e' l'esistenza del gruppo, dell'associazione in cui entra
giovanissima, a segnare e ampliare il terreno educativo gia' dissodato dai
genitori.
Padri rigidi e madri apparentemente sottomesse o viceversa, madri severe,
chiuse nel retaggio pesante della propria origine e padri spensierati come
ragazzi, compagni di giochi e di scuola.
Nonni e nonne, zii e zie, che spesso si rendono visibili in modo positivo,
nelle dinamiche famigliari, nei momenti di difficolta' o di tristezza, ma
anche insegnanti, amici e amiche dei genitori, fratelli e sorelle con cui ci
si misura nei primi conflitti e di cui si scopre la solidarieta'.
Ci sono i mariti, i fidanzati, compagni e compagne di strada, ma anche le
piccole comunita' in cui si cresce, quartieri o paesi, condomini o
associazioni dove ci sono persone che sanno prendersi cura delle relazioni
collettive con piccoli affettuosi e competenti gesti quotidiani.
Le donne sanno cogliere le opportunita' dove sembra esistere solo
preclusione, sperimentano le ribellioni, ma imparano ad apprezzare certe
mediazioni delle madri, che sapranno utilizzare nelle relazioni pubbliche,
nel lavoro, spostandole dai rapporti privati nei quali invece si cerca di
stabilire un terreno di scambio alla pari e non si accettano compromessi
avvilenti.
Cosi' il patrimonio femminile di saperi, profusi nella gestione famigliare,
diventa bagaglio che si rimescola creativamente con la cultura appresa
nell'esperienza scolastica e la voglia di sperimentarsi nel mondo dei
coetanei.
Allo snodo dell'uscita dalla famiglia d'origine ci si confronta piu' con
fratelli e sorelle che con le generazioni precedenti e se le strade
divergono non c'e' nebbia ai crocicchi dove e' sempre possibile il ritorno e
l'incontro.
Si mescolano nella memoria le persone amate ormai scomparse a quelle lontane
e vicine, nella percezione del valore affettivo di quel succedersi delle
generazioni che non e' solo l'immodificabile cifra del vivere, ma anche la
possibilita' creativa di riconoscere, accettare, modificare e rinnovare i
patrimoni culturali ereditati.
*
Il tempo del laboratorio e' troppo breve per l'elaborazione di sentimenti
che richiedono una lunga sapiente pazienza, anche se via via, nel corso
degli incontri, le varie individualita' hanno saputo costruire un gruppo
attento, discreto, non giudicante, capace di accogliere e contenere
qualsiasi parola.
Ognuna ha saputo aprirsi all'altra rispettando i confini di volta in volta
definiti, lasciando alla conduttrice, a me, la responsabilita' di
accompagnare i diversi modi di porsi ed esporsi.
Sono tutte biografie in fieri, frammenti di storie passate ancora calde di
vita se i ricordi suscitano commozione e risate, nostalgie ed entusiasmi e
il tempo sembra scorrere sempre in fretta, senza posto per noia o
distrazione.
Io ascolto, porto talvolta qualche testo, parole di donne e uomini che hanno
saputo tradurre l'esperienza vissuta nelle riflessioni utili ad accompagnare
e sostenere i miei pensieri.
Arrivo come una stanza vuota, attenta a cogliere ed accogliere, la mia
storia ripiegata e conservata altrove e quando riparto mi porto un bagaglio
di narrazioni da ripensare, che mi cullano benevolmente nella stanchezza del
viaggio di ritorno.
Anche per questo propongo di concludere il lavoro immaginando di riempire
una piccola valigia per una partenza improvvisa. La consegna e' volutamente
vaga e gli oggetti da portare limitati, per distillare la benevola
ridondanza che ci costruiamo intorno per vivere.
Pochi abiti, penna, carta, agenda, orologio e telefono: l'essenziale per la
sopravvivenza e' cio' che serve per annotare pensieri o annodare e
conservare relazioni, anche se l'ansia richiede medicinali e il bisogno di
fare casa ovunque non fa mancare piccolissime comodita'.
Qualcuna specifica, tra pareo e maglione, l'immaginario di luoghi e stagioni
d'approdo, altre portano libri, anche se pesano e non sono introvabili, ma
le parole amate accudiscono i pensieri e aiutano a leggere nuove mappe,
altre ancora portano scarpe comode, piccoli dizionari, macchina fotografica
e perfino acqua e panini.
Ci sono valige pesanti e zaini leggeri, ma si condivide il pensiero che in
qualche tasca possono stare alcune fotografie, talismano contro la
solitudine piu' che sostegno al ricordo che si porta nel cuore.
Gli oggetti piu' cari o piu' utili si mescoleranno alla fine con quello che
ci portiamo dal laboratorio; anche se in questo caso la partenza e' stata
annunciata dal calendario fin dall'inizio, non e' per questo piu' facile.
Come nella valigia anche nel laboratorio le cose che sembravano banali si
rivelano importanti e dense di significato, l'ascolto reciproco e la
scoperta dell'altra sono uniti al lavorio interiore sui pregiudizi che si
rende visibile nei piccoli gesti di complice affettuosita'.
*
I dolci concludono la giornata con un piccolo segno di festa. Mentre si
mastica lentamente nella solitudine del piacere in cui il palato coglie e
indovina sapori, sorrisi e gesti conservano il cerchio immaginario in cui si
sciolgono liberamente immagini di ricordi simili.
Per tutte c'e' l'esperienza del cibo cucinato per se' o per altri, consumato
all'angolo del tavolo di un pomeriggio stanco, offerto nella profusione
riccamente elaborata di una ricorrenza, intriso di pensieri veloci nei gesti
automatici del quotidiano dove si impara il valore della cura di quel
piccolo grande collettivo che ci cresce intorno.
Poche parole di ciascuna sono le molte di tutte, che continuano la tessitura
sulla trama precisa che hanno disposto le ore passate e i programmi, fili
diversi che s'intersecano in modo casuale ma mai scomposto, segno
individuale che non prevarica, ma s'accompagna ancora nel tessuto con la
grazia di una misura continuamente reimparata.
La necessita' e il piacere di salutarci evocano altri saluti, altre
occasioni, anche solo un sentimento vago, depositato al fondo misterioso dei
pensieri, che ha gia' il sapore della nostalgia e del rimpianto, insieme
alla soddisfazione per un tempo concluso bene che ci si puo' portare con
se'.
Un tempo che sapra' conservarsi con dimensioni diverse, puo' lievitare negli
 anni parole inattese, rannicchiarsi sul fondo di un cassetto della memoria,
essere ridotto ad un sacchetto che trova posto in ogni valigia: il racconto
corale che abbiamo costruito restituisce comunque ad ognuna il filo
inconfondibile del proprio discorso e l'orizzonte della strada su cui
cammina.
*
La breve durata del corso ci ha ricordato ancora una volta il limite,
dimensione di ogni tempo della nostra vita, aiutandoci ad ascoltare senza
interpretare, ad accettare il confine che ognuna definisce per se', a
restare talvolta sulla soglia della comprensione per non correre il rischio
di invadere uno spazio abitato con difficolta' o dolore, ad accogliere come
opportunita' anche quella parte di mistero che la differenza porta
inevitabilmente nelle relazioni interpersonali.
Se ci sono state parole sospese o attese inevase appartengono alla naturale
vaghezza delle aspettative che ognuna contiene o amplifica nel proprio cuore
quando si avvicina ad un luogo d'incontro e condivisione, ma certamente il
gruppo ha offerto a tutte un'opportunita' di ripensare le proprie
esperienze, di rivisitare episodi e sentimenti, di riaggiustare con qualche
filo morbido e colorato alcuni strappi che ci si portava dai vissuti
precedenti.
Un percorso fatto di piccoli passi di reciproco avvicinamento che nella mia
memoria si e' depositato insieme ai volti, ai sorrisi, agli sguardi, al
gesticolare delle mani, alla concentrata immobilita' dei corpi in ascolto
dell'altra o di se'.
Le parole che ricordo risuonano nell'intonazione delle voci e mi
restituiscono una felice mescolanza delle storie: per questo, nel racconto,
ho scelto di conservare quella circolarita' di presenze che pure non
confonde, nella memoria, le singole individualita'.
Sono grata a Beby, Rosanna, Edith, Rita, Saadia, Raffaella, Tatiana, Rosa,
Zighereda, Domenica, Caterina, Francoise, Bruna, Laura, Filomena per avermi
seguita con fiducia in ogni proposta.
Sono grata a Rosa Frammartino e Rosanna Galli per avermi chiesto di condurre
questo percorso.
(Parte seconda - fine)

4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

5. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1459 del 25 ottobre 2006

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